Filosofia perfetta, e mezza Filosofia.
Perfect philosophy and halfway philosophy.
520,1 1077,1 1252,2 1715,1 1792,1 2245,1 2292,1 2668,1 2672,3 2683,3[520,1]
520 L'intiera filosofia è del tutto inattiva, e un
popolo di filosofi perfetti non sarebbe capace di azione. In questo senso io
sostengo che la filosofia non ha mai cagionato nè potuto cagionare alcuna
rivoluzione, o movimento, o impresa ec. pubblica o privata; anzi ha dovuto per
natura sua piuttosto sopprimerli, come fra i Romani, i greci ec. Ma la mezza
filosofia è compatibile coll'azione, anzi può cagionarla. Così la filosofia avrà
potuto cagionare o immediatamente o mediatamente la rivoluzione di
Francia, di Spagna ec. perchè
la moltitudine, e il comune degli uomini anche istruiti, non è stato nè in
Francia nè altrove mai perfettamente filosofo, ma
solo a mezzo. Ora la mezza filosofia è madre di errori, ed errore essa stessa;
non è pura verità nè ragione, la quale non potrebbe cagionar movimento. E questi
errori semifilosofici, possono esser vitali, massime sostituiti ad altri errori
per loro particolar natura mortificanti, come quelli derivati da un'ignoranza
barbarica e diversa dalla naturale; anzi contrari ai dettami ed alle
521 credenze della natura, o primitiva, o ridotta a
stato sociale ec. Così gli errori della mezza filosofia, possono servire di
medicina ad errori più anti-vitali, sebben derivati anche questi in ultima
analisi dalla filosofia, cioè dalla corruzione prodotta dall'eccesso
dell'incivilimento, il quale non è mai separato dall'eccesso {relativo} dei lumi, dal quale anzi in gran parte deriva. E infatti la
mezza filosofia è la molla di quella poca vita e movimento popolare d'oggidì.
Trista molla, perchè, sebbene errore, e non perfettamente ragionevole, non ha la
sua base nella natura, come gli errori e le molle dell'antica vita, o della
fanciullesca, o selvaggia ec.: ma anzi finalmente nella ragione, nel sapere, in
credenze o cognizioni non naturali e contrarie alla natura: ed è piuttosto
imperfettamente ragionevole e vera, che irragionevole e falsa. E la sua tendenza
è parimente alla ragione, e quindi alla morte, alla distruzione, e all'inazione.
E presto o tardi, ci
522 deve arrivare, perchè tale è
l'essenza sua, al contrario degli errori naturali. E l'azione presente non può
essere se non effimera, e finirà nell'inazione come per sua natura è sempre
finito ogni impulso, ogni cangiamento operato nelle nazioni da principio e
sorgente filosofica, cioè da principio di ragione e non di natura inerente
sostanzialmente e primordialmente all'uomo. Del resto la mezza filosofia, non
già la perfetta filosofia, cagionava o lasciava sussistere l'amor patrio e le
azioni che ne derivano, in Catone, in
Cic. in Tacito, {Lucano, Trasea Peto, Elvidio Prisco,} e negli altri antichi filosofi e patrioti
allo stesso tempo. Quali poi fossero gli effetti de' progressi {e perfezionamento} della filosofia presso i Romani è ben
noto.
[1077,1] Il tempo di Luigi decimoquarto e tutto il secolo passato, fu
veramente l'epoca della corruzione barbarica delle parti più civili
d'europa, di quella corruzione e barbarie, che
succede inevitabilmente alla civiltà, di quella che si vide ne' Persiani e ne'
Romani, ne' Sibariti, ne' Greci ec. E tuttavia la detta epoca si stimava allora,
e per esser freschissima, si stima anche oggi, civilissima, e tutt'altro che
barbara. Quantunque il tempo
1078 presente, che si
stima l'apice della civiltà, differisca non poco dal sopraddetto, e si possa
considerare come l'epoca di un risorgimento dalla barbarie. Risorgimento
incominciato in europa dalla rivoluzione francese,
risorgimento debole, imperfettissimo, perchè derivato non dalla natura, ma dalla
ragione, anzi dalla filosofia, ch'è debolissimo, tristo, falso, non durevole
principio di civiltà. Ma pure è una specie di risorgimento; ed osservate che
malgrado la insufficienza de' mezzi per l'una parte, e per l'altra la
contrarietà ch'essi hanno colla natura; tuttavia la rivoluzione francese (com'è
stato spesso notato), ed il tempo presente hanno ravvicinato gli uomini alla
natura, sola fonte di civiltà, hanno messo in moto le passioni grandi e forti,
hanno restituito alle nazioni già morte, non dico una vita, ma un certo palpito,
una certa lontana apparenza vitale. Quantunque ciò sia stato mediante la mezza
filosofia, strumento di civiltà incerta, insufficiente, debole, e passeggera per
natura sua, perchè la mezza filosofia, tende naturalmente a crescere, e divenire
perfetta filosofia, ch'è fonte di barbarie. {+Applicate a questa osservazione le barbare e
ridicolissime e mostruose mode (monarchiche e feudali), come guardinfanti,
pettinature d'uomini e donne ec. ec. che regnarono, almeno in
italia, fino agli ultimissimi anni del secolo
passato, e furono distrutte in un colpo dalla rivoluzione (v. la lettera di Giordani a Monti §.
4.) E vedrete che il secolo presente è l'epoca di un vero
risorgimento da una vera barbarie, anche nel gusto; e qui può anche notarsi
quel tale raddrizzamento della letteratura in italia
oggidì.}
(23. Maggio 1821.). {{V. p.
1084.}}
[1252,2] - Nessuno è meno filosofo di chi vorrebbe tutto il
mondo filosofo, e filosofica tutta la vita umana, {+che è quanto dire, che non vi fosse più vita al
mondo.} E pur questo è il desiderio ec. de' filosofastri{{, anzi della maggior parte de' filosofi presenti e
passati.}}
[1715,1] Le illusioni non possono esser condannate,
spregiate, perseguitate se non dagl'illusi, e da coloro che credono che questo
mondo sia {o possa essere} veramente qualcosa, e
qualcosa di bello. Illusione capitalissima: e quindi il mezzo filosofo combatte
le illusioni perchè appunto è illuso, il vero filosofo le ama {e predica,} perchè non è illuso: e il combattere le
illusioni in genere è il più certo segno d'imperfettissimo e insufficientissimo
sapere, e di notabile illusione. (16. Sett. 1821.).
[1792,1] La filosofia sarebbe capace di dare all'animo quel
torpore e quella possibile noncuranza che ho detto esser piacevole p.
1779. Ma come questa benchè assopisca la speranza, nondimeno in fondo
la contiene, anzi talvolta l'accresce, mediante lo stesso non curarsi di nulla,
e la stessa disperazione,
1793 così la filosofia che
per se stessa spegne del tutto la speranza, non può cagionare all'animo uno
stato piacevole, se non essendo una mezza filosofia, ed imperfetta, (qual ella è
ordinariamente), o quando anche sia perfetta nell'intelletto, non avendo
influenza sul{l'ultimo} fondo dell'animo, o
rinunziandoci avvedutamente essa stessa. (26. Sett. 1821.).
[2245,1] La sola virtù che sia e costante ed attiva, è quella
ch'è amata e professata per natura e per illusioni, non quella che lo è per sola
filosofia, quando anche la filosofia porti alla virtù, il che non può fare se
non mentre ell'è imperfetta. Del resto osservate i romani. La virtù fondata
sulla filosofia non esistè in Roma fino a' tempi de' Gracchi. Virtuosi per filosofia non
furono mai tanti in roma, quanti a' tempi de' Tiberi, Caligola, Neroni, Domiziani. Troverete
nell'antica Roma dei Fabrizi (nemicissima della filosofia, come si sa dal fatto di Cinea) dei Curii ec. ma dei Catoni[(Cato
Maior; Cato Minor)], dei Bruti stoici non li troverete.
2246 Or bene
che giovò a Roma la diffusione l'introduzione della virtù
filosofica, e per principii? La distruzione della virtù operativa ed efficace, e
quindi della grandezza di Roma. (11. Dic.
1821.).
[2292,1]
2292 Chi deve governare gli uomini, dovrebbe conoscerli
più che alcun altro mai. I principi per lo contrario, cresciuti fra
l'adulazione, e vedendo gli uomini sempre diversi da quello che sono, (per le
infinite simulazioni della corte) e da giovani avendo poca voglia, più tardi
poco tempo di attendere agli studi, non possono conoscer gli uomini nè come li
conoscono i filosofi, nè come li conosce chi ha praticato e sperimentato il
mondo qual egli è. Quindi nella cognizione degli uomini, dote in essi di prima
necessità per il bene de' sudditi, i principi non solo non sono superiori, ma
necessariamente inferiori ai più meschini e ignoranti che vivono nel mondo. A
questo gran difetto rimedierebbero gli studi: e infatti quanti principi sono
stati studiosi o in gioventù o in seguito, quanti principi sono stati filosofi,
tanti sono stati buoni principi, avendo appreso dai libri a conoscer quel mondo
e
2293 quelle cose che avevano a governare. Marcaurelio, Augusto, Giuliano ec. Parrebbe questo un grandissimo pregio e un vero trionfo
della filosofia, e dimostrazione della sua utilità. Ma io dico che la filosofia
non ha fatto nè farà mai questo buon effetto di darci dei buoni principi, se non
fino ch'ella fu, o quando ella è imperfetta: allo stesso modo che solo in questo
caso ella può darci de' buoni privati, e ce ne diede e ce ne dà. Vengo a dire
che la filosofia moderna (la quale può dirsi che nella sua natura, cioè in
quanto filosofia, o scienza della ragione e del vero, sia perfetta) non farà de'
buoni principi, come non farà mai de' buoni privati; anzi ne farà dei pessimi,
perchè la perfezione della filosofia, non è insomma altro che l'egoismo; e però
la filosofia moderna non farà de' principi (come
2294
vediamo de' privati) se non de' puri e perfetti egoisti. Tanto peggiori de'
principi ignoranti, quanto che in questi l'egoismo ha una base meno salda; la
natura che lo cagiona, v'aggiunge molti lenitivi e modificativi; le illusioni
della virtù della grandezza d'animo, della compassione, della gloria non sono
irrevocabilmente chiuse per loro, come per un principe filosofo moderno: e se
non altro in quelli la coscienza e l'opinione ripugna al costume, e al vizio; in
questi li rassoda, li protegge (essendo un filosofo moderno, necessariamente
egoista, e {quindi} malvagio, per principii), anzi li
comanda, e condannerebbe il principe se non fosse egoista dopo aver conosciute
le cose e gli uomini. Così che anche un principe inclinatissimo alla virtù,
divenendo filosofo alla moderna, diverrebbe quasi per forza e suo malgrado
vizioso,
2295 come accade ne' privati. Volete una prova
di fatto? Volete conoscere che cosa sia un principe filosofo moderno? Osservate
Federico II. e paragonatelo con
M. Aurelio. Di maniera che è da
desiderarsi sommamente oggidì che un principe non sia filosofo, il che tanto
sarebbe, quanto freddo e feroce e inesorabile egoista, ed un egoista che ha in
mano, e può disporre a' suoi vantaggi una nazione, è quanto dire un tiranno.
Ecco il bel frutto e pregio della filosofia moderna, la quale finisce
d'impossibilitare i principi ad esser virtuosi (siccome fa ne' privati), e a
conoscer gli uomini, senza il che non possono esser buoni principi. Ma siccome
questo effetto della filosofia moderna, non è in quanto moderna, ma in quanto
vera e perfezionata filosofia (giacchè niente di falso le possiamo imputare), e
siccome le cose si denno considerare e giudicare nella
2296 loro perfezione cioè nella pienezza del loro essere, e delle loro
qualità e proprietà, così giudicate che cosa sia per essenza la filosofia, la
sapienza, la ragione, la cognizione del vero, tanto riguardo al regolare le
nazioni, cioè riguardo a' principi, quanto assolutamente parlando. (27.
Dic. 1821.).
[2668,1] Chi mi chiedesse quanto e fino a qual segno la
filosofia si debba brigare delle cose umane e del regolamento dello spirito,
delle passioni, delle opinioni, de' costumi, della vita umana; risponderei tanto
e fino a quel punto che i governi si debbono brigare dell'industria {e del commercio} nazionale a voler che questi
fioriscano, vale a dire non brigarsene nè punto nè poco. E sotto questo aspetto
la filosofia è veramente e pienamente paragonabile alla scienza dell'economia
pubblica. La perfezione della quale consiste nel conoscere che bisogna lasciar
fare alla natura, che quanto il commercio {(interno ed
esterno)} e l'industria è più libera, tanto più prospera, e tanto
meglio camminano gli affari della nazione; che quanto più è regolata tanto più
decade e vien meno; che in somma essa scienza è inutile, poichè il suo meglio è
fare che le cose vadano come s'ella non esistesse, e come anderebbero da per
tutto dov'ella e i governi non s'intrigassero del commercio e dell'industria; e
la sua perfezione è
2669 interdirsi ogni azione,
conoscere il danno ch'essa medesima reca, e in somma non far nulla, al quale
effetto gli uomini non avevano bisogno d'economia politica, ma s'ella non fosse
stata, ciò si sarebbe necessariamente ottenuto allo stesso modo, e meglio. Ora
tale appunto si è la perfezione della filosofia e della ragione e della
riflessione ec. come ho detto altrove pp. 448-50
pp. 491-494
pp.
574-75. (2-3. Feb. 1823.).
[2672,3]
Μὴ προϑυμεῖσϑαι εἰς τὴν
ἀκρίβειαν ϕιλοσοϕεῖν, ἀλλ' εὐλαβεῖσϑαι {ὅπως}
μὴ πέρα τοῦ δέοντος σοϕώτεροι γενόμενοι, λήσετε διαϕϑαρέντες.
*
Plato in Gorgia ed. Frider. Astii.
Lips. 1819-... t. 1. p. 362-4. Ne enitamini ut diligenter philosophemini, sed cavete ne, supra quam
oportet, sapientiores facti ipsi inscientes corrumpamini
*
.
Φιλοσοϕία γάρ τοί
ἐστιν, ὦ Σώκρατες, χαρίεν, ἄν τις αὐτοῦ μετρίως ἅψηται∙ ἐὰν δὲ περαιτέρω
τοῦ δέοντος ἐνδιατρίψῃ, διαϕϑορὰ τῶν ἀνϑρώπων.
*
ib. p. 356. Philosophia enim, o Socrate, est illa quidem lepida, si quis eam
modice attingit, sin ultra quam opus est ei studet, corruptela est
hominum.
*
Tutta la vituperazione della filosofia che Platone
in quel Dial. mette in bocca di Callicle, dalla p. 352. alla p.
362. è degna d'esser veduta. V'è anche insegnata (sebben Platone lo fa per poi negarla e
confutarla) la vera legge naturale, che ciascun uomo o vivente faccia tutto per
se, e il più forte sovrasti il più debole, e si goda quel di costui.
(Roma 12. Feb.
2673 1823. primo dì di Quaresima.)
[2683,3]
L'excès de la raison et
de la vertu, est presque aussi funeste que celui des plaisirs (Aristot.
de mor. II. 2. t. 2. p. 19.); la nature nous a
donné des goûts qu'il est aussi dangereux d'éteindre que
d'épuiser.
*
Même ouvrage ch. 78. t. 6. p. 456.
(29. Marzo. Sabato Santo. 1823.).
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