Virtù.
Virtue.
893,1 978,1 1100,1 1554,2 1827,1 2156,1 2245,1 2473,1 2574,1Virtù. Fu sinonimo di forza, e non si disse che delle virtù forti.
Virtue. Was a synonym of strength, and referred only to strong virtues.
2215,1 3134,1 4268,6Grandi virtù e grandi azioni senza grandi vizi e delitti, se sieno possibili: problema da risolversi colla esperienza della civiltà moderna.
Whether great virtues and great actions are possible without great vices and crimes: a problem to be resolved with the experience of modern civilization.
4289,2[893,1] 3. Come senz'amor patrio non c'è società, dico ancora
che senz'amor patrio non c'è virtù, se non
altro, grande, e di grande utilità. La virtù non è altro in somma, che
l'applicazione e ordinazione dell'amor proprio (solo mobile possibile delle
azioni {e desiderii} dell'uomo e del vivente) al bene
altrui, considerato quanto più si possa come altrui, perchè in ultima analisi,
l'uomo non lo cerca o desidera, nè lo può cercare o desiderare se non come {bene} proprio. Ora se questo bene altrui, è il bene
assolutamente di tutti, non confondendosi questo mai col ben proprio, l'uomo non
lo può cercare. Se è il bene di pochi, l'uomo può cercarlo, ma allora la virtù
ha poca estensione, poca influenza, poca utilità, poco splendore, poca
grandezza. Di più, e per queste stesse ragioni, poco eccitamento e premio, così
che è rara e difficile; giacchè siamo da capo, mancando {allora} o essendo poco efficace lo sprone che muove l'uomo ad
abbracciar la virtù, cioè il ben proprio. Talchè anche per questo capo
894 è dannosa la soverchia ristrettezza e piccolezza, o
poca importanza e pregio delle società, dei corpi, dei partiti ec. E riguardo
all'altro capo, cioè la poca utilità delle virtù che si rapportano al bene o
agl'interessi qualunque di pochi, o poco importanti ec. questa è la ragione per
cui non sono lodevoli, anzi spesso dannosi i piccoli corpi, società, ordini,
partiti, corporazioni, e l'amore e spirito di questi negl'individui. Giacchè le
virtù e i sacrifizi a cui questi amori conducono l'individuo, sono piccoli,
ristretti, bassi, umili, e di poca importanza, vantaggio, ed entità. In oltre
nuocono alla società maggiore, perchè siccome l'amor di patria produce il
desiderio e la cura di soverchiare lo straniero, così l'amore de' piccoli corpi,
essendo parimente di preferenza, produce la cattiva disposizione degl'individui
verso quelli che non appartengono a quella tal corporazione, e il desiderio di
superarli in qualunque modo. Così che nasce la solita disunione d'interessi, e
quindi di scopo, e così queste piccole società, distruggono le grandi, e
dividono i cittadini dai cittadini, e i nazionali dai nazionali, restando tra
loro la società sola di nome. {+Dal che
potete intendere il danno delle sette, sì di qualunque genere, come
particolarmente di queste famose moderne e presenti, le quali ancorchè
studiose o in apparenza, o, poniamo anche, in sostanza del bene di tutta la
patria, si vede per esperienza, che non hanno mai fatto alcun bene, e sempre
gran male, e maggiore ne farebbero, se arrivassero a prevalere, e conseguire
i loro intenti; e ciò per le dette ragioni, e perchè l'amor della setta
(fosse pur questa purissima) nuoce all'amore della nazione ec.}
{{V. p. 1092, principio.}} Resta
dunque che l'egoismo sociale, abbia per
oggetto una società di tal grandezza ed estensione, che senza cadere
negl'inconvenienti delle piccole, non sia tanto grande, che l'uomo per cercare
il di lei bene, sia costretto a perdere di vista se stesso;
895 il che egli non potendo fare mentre vive, ricadrebbe nell'egoismo individuale. L'egoismo universale (giacchè anche questo non
potrebb'essere altro che egoismo, come tutte le passioni e tutti gli amori dei
viventi) è contraddittorio nella sua stessa nozione, giacchè l'egoismo è un amore di preferenza, che
si applica a se stesso, o a chi si considera come se stesso: e l'universale esclude {l'idea della} preferenza. Molto più poi è stravagante
l'amore sognato da molti filosofi, non solo di tutti gli uomini, ma di tutti i
viventi, e quanto si possa, di tutto l'esistente: cosa contraddittoria alla
natura, che ha congiunto indissolubilmente all'amor proprio una qualità
esclusiva, per cui l'individuo si antepone agli altri, e desidera esser più
felice degli altri, e da cui nasce l'odio, passione così naturale {e indistruggibile} in tutti i viventi, come l'amor
proprio. Ma tornando al proposito, la detta società di mezzana grandezza, non è
altro che una nazione. Perchè l'amore delle particolari città native è dannoso
oggi, come l'amore de' piccoli corpi, non producendo niente di grande, come non
dà eccitamento nè premio a virtù grandi; e d'altra parte, staccando l'individuo
dalla società nazionale, e dividendo le nazioni in tante parti, tutte intente a
superarsi l'una coll'altra, e quindi nemiche scambievoli. Del che non si può
dare maggior pregiudizio. Le città antiche, se anche erano piccole come le
moderne, e tuttavia servivano
896 di patria, erano però più importanti assai, per la somma
forza d'illusioni che vi regnava, e che somministrando grandi eccitamenti, e
premi grandi ancorchè illusorii, bastava alle grandi virtù. Ma questa forza
d'illusioni non è propria se non degli antichi, che come il fanciullo, sapevano
trar vita vera da tutto, ancorchè menomo. La patria moderna dev'essere
abbastanza grande, ma non tanto che la comunione d'interessi non vi si possa
trovare, come chi ci volesse dare per patria l'europa. La
propria nazione, coi suoi confini segnati dalla natura, è la società che ci
conviene. E conchiudo che senza amor
nazionale non si dà virtù grande. Da tutto ciò deducete il gran
vantaggio del moderno stato, che ha tolto assolutamente il fondamento, anzi la
possibilità della virtù, certo della virtù grande, e grandemente utile; della
virtù stabile e solida, e che abbia una base e una fonte durevole e ricca.
[978,1] Oggi non può scegliere il cammino della virtù se non
il pazzo, o il timido e vile, o il debole e misero. (23. Aprile.
1821.)
[1100,1]
1100 L'uomo non si può muovere neanche alla virtù, se
non per solo e puro amor proprio, modificato in diverse guise. Ma oggi quasi
nessuna modificazione dell'amor proprio può condurre alla virtù. E così l'uomo
non può esser virtuoso per natura. Ecco come l'egoismo universale, rendendo per
ogni parte inutile anzi dannoso ogni genere di virtù all'individuo, e la
mancanza delle illusioni {e di cose che le destino, le
mantengano, le realizzino,} producono inevitabilmente l'egoismo
individuale, anche nell'uomo per indole più fortemente e veramente e vivamente
virtuoso. Perchè l'uomo non può assolutamente scegliere quello che si oppone
evidentemente e per ogni parte all'amor
proprio suo. E perciò gli resta solo l'egoismo, cioè la più brutta modificazione
dell'amor proprio, e la più esclusiva d'ogni genere di virtù. (28. Maggio
1821.).
[1554,2] In questo presente stato di cose, non abbiamo gran
mali, è vero, ma nessun bene; e questa mancanza è un male grandissimo, continuo,
intollerabile, che rende penosa tutta quanta la vita, laddove i mali parziali,
ne affliggono solamente una parte. L'amor proprio, e quindi il desiderio
ardentissimo della felicità, perpetuo ed essenzial compagno della vita
1555 umana, se non è calmato da verun piacere {vivo,} affligge la nostra esistenza crudelmente, quando
anche non v'abbiano altri mali. E i mali son meno dannosi alla felicità che la
noia ec. anzi talvolta utili alla stessa felicità. L'indifferenza non è lo stato
dell'uomo; è contrario dirittamente alla sua natura, e quindi alla sua felicità.
V. la mia teoria del piacere,
applicandola a queste osservazioni, che dimostrano la superiorità del mondo
antico sul moderno, in ordine alla felicità, come pure dell'età fanciullesca o
giovanile sulla matura. (24. Agos. 1821.).
[1827,1] Dove non è odio nazionale, quivi non è virtù.
(3. Ott. 1821.).
[2156,1] Tutto è animato dal contrasto, e langue senza di
esso. Ho detto altrove p. 1606 della religione, de' partiti
politici, dell'amor nazionale ec. tutti affetti inattivi e deboli, se non vi
sono nemici. Ma la virtù, o l'entusiasmo della virtù (e che cosa è la virtù
senza entusiasmo? e come può essere virtuoso chi non è capace di entusiasmo?)
esisterebbe egli, se non esistesse il vizio? Egli è certissimo che
2157 il giovane del miglior naturale, e il meglio
educato, il quale ne' principii dell'età alquanto sensibile e pensante, e prima
di conoscere il mondo per esperienza, suol essere entusiasta della virtù, non
proverebbe quell'amor vivo de' suoi doveri, quella forte risoluzione di
sacrificar tutto ai medesimi, quell'affezione sensibile alle buone, nobili,
generose inclinazioni ed azioni, se non sapesse che vi sono molti che pensano e
adoprano diversamente, e che il mondo è pieno di vizi e di viltà, sebbene egli
non lo creda così pieno com'egli è, e come poi lo sperimenta. (24. Nov. dì
di S. Flaviano. 1821.).
[2245,1] La sola virtù che sia e costante ed attiva, è quella
ch'è amata e professata per natura e per illusioni, non quella che lo è per sola
filosofia, quando anche la filosofia porti alla virtù, il che non può fare se
non mentre ell'è imperfetta. Del resto osservate i romani. La virtù fondata
sulla filosofia non esistè in Roma fino a' tempi de' Gracchi. Virtuosi per filosofia non
furono mai tanti in roma, quanti a' tempi de' Tiberi, Caligola, Neroni, Domiziani. Troverete
nell'antica Roma dei Fabrizi (nemicissima della filosofia, come si sa dal fatto di Cinea) dei Curii ec. ma dei Catoni[(Cato
Maior; Cato Minor)], dei Bruti stoici non li troverete.
2246 Or bene
che giovò a Roma la diffusione l'introduzione della virtù
filosofica, e per principii? La distruzione della virtù operativa ed efficace, e
quindi della grandezza di Roma. (11. Dic.
1821.).
[2473,1]
2473 Alle ragioni da me recate in altri luoghi pp.
1473-74
pp.
1648-49
pp. 2039-41, per le quali il giovane per natura sensibile, e
magnanimo e virtuoso, coll'esperienza della vita, diviene e più presto degli
altri, e più costantemente e irrevocabilmente, e più freddamente e duramente, e
insomma più eroicamente vizioso, aggiungi anche questa, che un giovane della
detta natura, e del detto abito, deve, entrando nel mondo, sperimentare e più
presto e più fortemente degli altri la scelleraggine degli uomini, e il danno
della virtù, e rendersi ben tosto più certo di qualunque altro della necessità
di esser malvagio, e della inevitabile e somma infelicità ch'è destinata in
questa vita e in questa società agli uomini di virtù vera. {{Perocchè gli altri non essendo virtuosi, o non essendolo al par di lui, non
isperimentano tanto nè così presto la scelleraggine degli uomini, nè l'odio
e persecuzione loro per tutto ciò ch'è buono, nè le sventure di quella virtù
che non possiedono. E sperimentando ancora le soverchierie e le persecuzioni
degli altri, non si trovano così nudi e disarmati per combatterle e
respingerle, come si trova il virtuoso.
2474 In
somma il giovane di poca virtù non può concepire un odio così vivo verso gli
uomini, {nè così presto,} com'è obbligato a
concepirlo il giovane d'animo nobile. Perchè colui trova gli uomini e meno
infiammati contro di se, e meno capaci di nuocergli, e meno diversi da lui
medesimo.}}
{{Per lo che, non arrivando mai ad odiare fortemente gli
uomini, e odiarli per massima nata e confermata e radicata immobilmente
dall'esperienza, non arriva neppure così facilmente a quell'eroismo di
malvagità fredda, sicura e consapevole di se stessa, ragionata, inesorabile,
immedicabile {ed eterna,} a cui necessariamente dee
giungere {(e tosto)} l'uomo d'ingegno al tempo
stesso e di virtù naturale. (13. Giugno. 1822.)}}
[2574,1] Non c'è virtù in un popolo senz'amor patrio, come ho
dimostrato altrove pp. 892-93. Vogliono che basti la Religione. I tempi
barbari, bassi ec. erano religiosi fino alla superstizione, e la virtù dov'era?
Se per religione intendono la pratica della medesima, vengono a dire che non c'è
virtù senza virtù. Chi è religioso in pratica, è virtuoso. Se intendono la
teorica, {e} la speranza e il timore delle cose di là,
l'esperienza di tutti i tempi dimostra che questa non basta a fare un popolo
attualmente e praticamente virtuoso. L'uomo, e specialmente
2575 la moltitudine non è fisicamente capace di uno stato continuo di
riflessione. Or quello ch'è lontano, quello che non si vede, quello che dee
venir dopo la morte, dalla quale ciascuno naturalmente si figura d'esser
lontanissimo, non può fortemente {costantemente} ed
efficacemente influire sulle azioni e sulla vita, se non di chi tutto giorno
riflettesse. Appena l'uomo entra nel mondo, anzi appena egli esce del suo
interno (nel quale il più degli uomini non entra mai, e ciò per natura propria)
le cose che influiscono su di lui, sono le presenti, le sensibili, o quelle le
cui immagini sono suscitate e fomentate dalle cose in qualunque modo sensibili:
non già le cose, che oltre all'esser lontane, appartengono ad uno stato di
natura diversa dalla nostra presente, cioè al nostro stato dopo la morte, e
quindi, vivendo {noi} necessariamente fra
2576 la materia, e fra questa presente natura, appena
le sappiamo considerare come esistenti, giacchè non hanno che far punto con
niente di quello la cui esistenza sperimentiamo, e trattiamo, e sentiamo ec. La
conchiusione è che tolta alla virtù una ragione presente, o vicina, e sensibile,
e tuttogiorno posta dinanzi a noi; tolta dico questa ragione alla virtù (la qual
ragione, come ho provato, non può esser che l'amor patrio), è tolta anche la
virtù: e la ragione lontana, insensibile, e soprattutto, estrinseca affatto alla
natura della vita presente, e delle cose in cui la virtù si deve esercitare,
questa ragione, dico, non sarà mai sufficiente all'attuale e pratica virtù
dell'uomo, e molto meno della moltitudine, se non forse ne' primi anni, in cui
dura il fervore della nuova opinione, come nel primo secolo del Cristianesimo (corrotto già nel secondo.
2577
V. i SS. Padri.) (21. Luglio
1822.).
[2215,1]
Virtù presso i latini era sinonimo di valore, fortezza d'animo, e
anche s'applicava in senso di forza alle cose non
umane, o inanimate, come virtus Bacchi, cioè del
vino, virtus virium, ferri,
herbarum. V.
onninamente il Forcellini.
Anche noi diciamo virtù per potenza, virtù del fuoco, dell'acqua, de' medicamenti
ec. V. la
Crusca.
Virtù insomma presso i latini non era propriamente altro che fortitudo, applicata particolarmente all'uomo, da vir. E anche dopo il grand'uso
2216 di questa parola presso i latini, tardò ella molto a poter essere
applicata alle virtù non forti non vive per gli effetti e la natura loro, alla
pazienza (quella che oggi costuma), alla mansuetudine, alla compassione ec.
Qualità che gli scrittori latini cristiani chiamarono virtutes, non si potrebbero nemmen oggi chiamar così volendo scrivere
in buon latino, benchè virtù elle si chiamino nelle
sue lingue figlie, e con nomi equivalenti nelle altre moderne. Di ἀρετή (da
ἄρης) V. i Lessici, e gli etimografi: sebbene la sua etimologia, perchè parola
più antica, o più anticamente frequentata dagli scrittori, sia più scura. E così
credo che in tutte le lingue la parola significativa di virtù, non abbia mai originariamente significato altro che forza, vigore, (o d'anima o
di corpo, o d'ambedue, o confusamente dell'una e dell'altro, ma certo prima e
più di
2217 questo che di quella). Tanto è vero che
l'uomo primitivo, e l'antichità, non riconosce e non riconobbe altra virtù,
altra perfezione nell'uomo e nelle cose, fuorchè il vigore e la forza, o certo
non ne riconobbe nessuna che fosse scompagnata da queste qualità, e che non
avesse in elle la sua essenza, e carattere {principale,} e forma di essere, e la ragione di esser virtù e
perfezioni. (3. Dic. 1821.).
[3134,1]
3134 3. E ciò tanto più, quanto l'idea che noi abbiamo
della virtù è ben diversa da quella che s'aveva a' tempi d'Omero. La virtù qual suol essere concepita dai moderni
ha la fortuna assai più nemica, che non quella virtù concepita dagli
antichissimi, la quale consisteva quasi tutta o principalmente nella forza e nel
coraggio; qualità che, se non sempre, certo assai spesso son seguite (anche
oggidì) dalla fortuna, e molto giovano a conseguirla. Ond'era tanto più
ragionevole e conveniente che a quei tempi l'eroe del poema epico, il quale
dev'esser sommamente virtuoso, si scegliesse felice, perchè quella virtù in
ch'ei si doveva rappresentare eccellente, conduce infatti alla felicità, e il
mostrar ch'ella non avesse conseguito il proprio intento, l'avrebbe mostrata
imperfetta, come quella che non {era} bastata a
produrre quel ch'ella suole, e a che ella naturalmente serve e conduce. Massime
che gli uomini sogliono giudicar dai successi,
3135 ed
estimare assolutamente la natura, le qualità, {il grado, il
valore} e la propria bontà delle cose dai loro effetti. Ma la virtù
modernamente considerata, è per sua stessa natura, non solo non conducente, ma
pregiudizievole alla fortuna. Questo discorso ha massimamente luogo ne' tempi
più moderni, in che l'idee morali, e per cagione del Cristianesimo e per altro,
sono più raffinate, e sempre più tanto si raffinano quanto più divengono
inutili, e tanto si perfezionano e sottilizzano in teoria, quanto si vanno
segregando affatto dalla pratica. Ma proporzionatamente le dette considerazioni
sono anche applicabilissime ai tempi di Virgilio; e in fatti la virtù di Enea è immensamente diversa da quella di Achille, e il tipo di perfetto eroe concepito e voluto
esprimere da Virgilio fu diversissimo, e
in buona parte contrario, a quello di Omero.
[4268,6] È notabile ancora e caratteristico delle antiche
nazioni il modo come essi nominavano l'opposto dell'uomo di garbo, cioè il
malvagio. Δειλός timido, codardo, vale anche malvagio presso gli
antichissimi (Casaub.
ad Athenae. l. 15. c. 15. poco dopo
il mezzo). Viceversa κακός malvagio è usato
continuamente e con proprietà di lingua, per codardo,
o da nulla; ignavus. Così
ἀγαϑός ed ἐσϑλός e simili, per valoroso, utile, prode, strenuus. Similmente bonus e
malus presso i latini. Φαῦλος da nulla, {da
poco}, spesso è il medesimo che tristo, cattivo (come vaurien in
franc.), tanto di uomo, quanto di cosa. Χρηστός è utile e buono (similmente χρηστóτης);
ἄχρηστoς inutile
{e cattivo.}
[4289,2] Addolcendosi i costumi, diffondendosi le cognizioni
e la coltura delle maniere nelle classi inferiori, avanzandosi la civiltà,
veggiamo che i grandi delitti {o} spariscono, o si
fanno più rari. Se mancati i grandi delitti e i grandi vizi, potranno aver luogo
le grandi virtù, le grandi azioni, questo è un problema, che l'effetto e
l'esperienza della civilizzazion presente deciderà per la prima volta. -
Parlando con un famoso ed eloquente avvocato napoletano, il Baron Poerio, che ha avuto a
trattare un gran numero di cause criminali nella capitale e nelle provincie del
Regno di Napoli, ho dovuto ammirare in quel popolo
semibarbaro {o semicivile piuttosto,} una quantità di
delitti atroci che vincono l'immaginazione, una quantità di azioni eroiche di
virtù (spesso occasionate da quei medesimi delitti), che esaltano l'anima la più
fredda (come è la mia). Certo niente o ben poco di simile nelle parti men
barbare dell'italia, e
4290 nel
resto d'europa, nè per l'una nè per l'altra parte.
(Firenze. 18. Sett. 1827.)
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