Macchiavellismo di società.
Machiavellianism of society.
195,1 196,2 197,1 206,1.2 220,1 233,2 283,1 334,1 463,2 476,2 496,2 507,2 612,2 663,1.2 669,1 724,2 930,1 960,1 978,1 1083,1 1291,1 1387,2 1431,1 1594,1 1673,1 1721,1 1727,2 1728,1 1787,3 1866,2 1880,1 1885,1 1903,2 2155,4 2258,1 2259,1 2271,1 2342,1 2401,3 2429,1 2436,1 2441,1 2473,1 2568,1 2582,1 2611,1 3061,1 3183,1 3360,1 3466,1 3520,1 3545,1 3546,1 255,2 3684,1 3720,1 4037,6 4058,1 4096,2 4140,2 4153,5 4172,8.9 4188,8 4194,1 4197,8 4201,8 4247,1 4268,1 4280,1 4285,5 4286,5 4294,5[195,1] Gli uomini sono come i cavalli. Per tenergli in dovere
e farsi stimare bisogna sparlare bravare minacciare e far chiasso. Bisogna
adoperar l'espediente di quelle monache del Tristram Shandy. (1
Agosto 1820.).
[196,2] Anche gli uomini già sazi della lode, e persuasi della
loro fama che non guadagna per le espressioni particolari di questo o di quello,
sono sensibili alla lode che riguarda qualche pregio diverso da quelli per cui
sono famosi. E però, eccetto le persone avvezze a essere adulate in ogni cosa,
nessuno diviene indifferente alla lode in
197 genere, ma
alla lode di quelle tali sue qualità. Di più la lode più cara è spesso quella
che cade sopra una cosa nella quale tu desideri, ma dubiti o stimi di {non} esser lodevole, o che altri {non} ti abbia per tale.
[197,1] Dice Diogene Laerzio di Chilone che προσέταττε... ἰσχυρὸν ὄντα πρᾷον εἶναι ὅπως οἱ πλησίον αἰδῶνται μᾶλλον
ἢ ϕοβῶνται
*
. E questo precetto si deve estendere,
massimamente oggidì in tanta propagazione dell'egoismo, a tutti i vantaggi
particolari di cui l'individuo può godere. Perchè se tu sei bello non ti resta
altro mezzo per non essere odiosissimo agli uomini che un'affabilità
particolare, e come una certa noncuranza di te stesso, che plachi l'amor proprio
altrui offeso dall'avvantaggio che tu hai sopra di loro, o anche
dall'uguaglianza. Così se tu sei ricco, dotto, potente ec. Quanto maggiore è
l'avvantaggio che tu hai sopra gli altri, tanto più per fuggir l'odio, t'è
necessaria una maggiore amabilità, e quasi dimenticanza e disprezzo di te stesso
in faccia agli altri, perchè tu devi medicare una cagione d'odio che tu hai in
te stesso e che gli altri non hanno: una cagione assoluta, che ti fa odioso per
se sola, senza che tu sia nè ingiusto nè superbo nè ec. Ed era questa una cosa
notissima agli antichi, tanto persuasi della odiosità dei vantaggi individuali,
che ne credevano invidiosi gli stessi dei, e nella prosperità avevano cura
dell'invidiam deprecari tanto divina che umana, e
quindi un
198 seguito non interrotto di felicità li
rendeva paurosi di gravi sciagure. V. Frontone
de Bello Parthico.
(4. Agosto 1820.). {{v. p. 453. capoverso
ult.}}
[220,1] Si dice con ragione che al mondo si rappresenta una
Commedia dove tutti gli uomini fanno la loro parte. Ma non era così dell'uomo in
natura, perchè le sue operazioni non avevano in vista gli spettatori e i
circostanti, ma erano reali e vere.
[233,2] Al capoverso
primo della p. 206. aggiungi: Et si elles
*
(les
Françoises) ont un amant, elles ont autant de soin
de ne pas {donner} à l'heureux mortel des
marques de prédilection en public, qu'un Anglois du bon ton de ne
pas paroître amoureux {de sa femme} en
compagnie.
*
Morgan,
France. t.
1. 1818. p. 253. liv. 3.
[283,1] Qualunque uomo nuovo tu veda, purch'egli viva nel
mondo, tu sei certo di non errare, tenendolo subito per un malvagio, qualunque
sia la sua fisonomia, le maniere, il portamento, le parole, le azioni ec. E chi
vuol mettersi al sicuro deve subito giudicarlo per tale, e appresso a poco non
troverà mai di avere sbagliato veramente, non ostante che tutte le apparenze gli
possano dimostrare il contrario per lunghissimo tempo. Nello stesso modo, e per
la stessa ragione è pur troppo acerbissima oggidì la condizione dell'uomo da
bene che si unisce in matrimonio. Perchè s'egli non intende di portare e far
sempre vivere i suoi figli nelle selve, deve tenere per indubitatissimo
284 fino da quel primo punto, che il suo matrimonio non
frutterà al mondo altro che qualche malvagio di più. E questo non ostante
qualunque indole, qualunque cura o arte di educazione ec. Perchè da che un uomo
qualunque dovrà entrare nella società, è quasi matematicamente certo che dovrà
divenire un malvagio, se non tutto a un tratto, certo a poco a poco; se non del
tutto, certo in gran parte, a proporzione degli ostacoli ch'esso gli opporrà, ma
che in tutti i modi certamente saranno vinti. E parimente dovrebb'esser
dolorosissimo per l'uomo da bene il considerare nel mentre che alleva i suoi
figli, che qualunque sua cura, qualunque immaginabile speranza di virtù, ch'egli
ne possa concepire, è certissimo per infallibile e continua esperienza, che
saranno, almeno in gran parte, inutili e vane. Sicchè tutto quello che può
ragionevolmente sperare e cercare il buon educatore, è d'istillare ne' suoi
figli tanta dose di virtù, che venendo senza fallo a scemare, pur ne resti
qualche poco, a proporzione della prima quantità. Questa sarebbe ben altra
risposta da darsi a chi vi consigliasse d'ammogliarvi, o v'interrogasse perchè
non l'abbiate fatto. Al che Talete
interrogato
285 da Solone, dicono che
rispondesse col mostrargli le inquietudini e i dolori del padre per li pericoli
o le sventure della sua prole. Ma ora si potrebbe rispondere: per non procreare
dei malvagi: per non dare al mondo altri malvagi. (17. 8.bre
1820.).
[334,1]
334 Non c'è uomo costituito in carica o dignità, il
quale confessi di averla cercata, e non dica o voglia fare intendere d'esserne
stato rivestito spontaneamente, anzi contro sua voglia ec. Gl'incarichi, le
dignità, gli onori, ciascuno li cerca, e nessuno gli ha cercati.
[463,2] L'egoismo comune cagiona e necessita l'egoismo di
ciascuno. Perchè quando nessuno fa per te, tu non puoi vivere se non t'adopri
tutto per te solo. E quando gli altri ti tolgono quanto possono, e per li loro
vantaggi non badano al danno tuo, se vuoi vivere, conviene che tu combatta per
te, e contrasti agli altri tutto quello che puoi. Perchè di qualunque cosa tu
voglia cedere, non devi aspettare nè gratitudine nè compenso, essendo abolito il
commercio de' sacrifizi e liberalità e benefizi scambievoli: anzi se tu cedi un
passo gli altri ti cacciano indietro venti passi, adoperandosi ciascuno per se
con tutte le sue forze; onde bisogna che ciascuno
464
contrasti agli altri quanto può, e combatta per se fino all'ultimo, e con tutto
il potere: essendo necessario che la reazione sia proporzionata all'azione, se
ne deve seguire l'effetto, cioè se vuoi vivere. E l'azione essendo eccessiva,
dev'esserlo anche la reazione. E quanto l'una è maggiore, tanto l'altra dee
crescere necessariamente. Come in una truppa di fiere affollate intorno a una
preda, dove ciascuna è risoluta di non lasciare alle altre se non quanto sarà
costretta; quella fiera che o restasse inattiva, o cedesse alle altre, o
aspettasse che queste pensassero a lei, o finalmente non adoperasse tutte le sue
forze; o resterebbe a digiuno, o perderebbe tanto, quanto meno forza avesse
adoperata, o potuto adoperare. Tutto quello che si cede è perduto, posto il
sistema dell'egoismo universale. Anche per altra parte, questo egoismo cagiona
l'egoismo individuale, cioè non solo per l'esempio, ma pel disinganno che
cagiona in un uomo virtuoso, la trista esperienza della inutilità, anzi
nocevolezza della virtù e de' sacrifizi magnanimi: e per la misantropia che
ispira il veder tutti occupati per se stessi, e non curanti del vostro
vantaggio, non grati ai vostri benefizi, e pronti a danneggiarvi o beneficati o
no.
465 La qual cosa cambia il carattere delle persone,
e introduce non solo materialmente, ma radicalmente l'egoismo, anche negli animi
più ben fatti. Anzi principalmente in questi, perchè l'egoismo non vi entra come
passione bassa e vile, ma come alta e magnanima, cioè come passione di vendetta,
e odio de' malvagi e degl'ingrati. Si nocentem innocentemque idem exitus
maneat, acrioris viri esse, merito perire:
*
diceva Ottone Imp. appresso Tacito
Hist. l. 1. c. 21.
(2. Gen. 1821.). {{V. p. 607.
fine.}}
[476,2] Non punir mai l'ingiuria che non hai meritata, nè
lasciare impunita quella che hai meritata.
477 Perdona
al tuo calunniatore, punisci il tuo detrattore. Non far caso di chi ti schernisce a torto, ma piglia vendetta
di chi ti motteggia a ragione.
(7. Gen. 1821.).
[496,2] Dicono e suggeriscono che volendo ottener dalle donne
quei favori che si desiderano, giova prima il ber vino, ad oggetto di rendersi
coraggioso, non curante, pensar poco alle conseguenze, e se non altro brillare
nella compagnia coi vantaggi della disinvoltura. Voltaire consiglia
scherzosamente di bere, per dimenticare o liberarsi dall'
497 amore. Ou bien
buvez: c'est un parti fort sage.
*
Non so quanto
bene. Il vino, ossia la forza del corpo, come ho detto altrove p.
109
p.
324, ed è vero, sebbene inclini all'allegrezza, e sopisca i dolori
dell'animo, contuttociò dà risalto alle passioni dominanti o abituali di
ciascheduno. Bensì le rallegrerà, e darà speranza anche allo sventurato o
disperato in amore. {{V. p. 501 capoverso
1.}}
[507,2] Qual è la più grata compagnia? Quella che rileva
l'idea che abbiamo di noi medesimi; quella che ci fa compiacere di noi stessi,
che ci persuade di valer più che non credevamo, che ci mostra come lodevoli
alcune qualità, dove non credevamo di meritar lode, o non tanta;
508 quella da cui partiamo con maggiore stima di noi,
che ci lascia più soddisfatti di noi stessi. Tutto è amor proprio nell'uomo e in
qualunque vivente. Amabile non pare e non è, se non quegli che lusinga, giova
ec. l'amor proprio degli altri. Questa è una delle principali osservazioni ed
artifizi per farsi stimare di buona compagnia, rendersi piacevole e amabile,
farsi desiderare e far fortuna: nominatamente nella galanteria. Cosa ben
conosciuta dai professori di quest'ultima arte. V. quello che Lord
Nelvil di Mad.
d'Arbigny presso la Staël nella Corinna. Si
desidera bene spesso la compagnia di qualcuno, ci si trova un pascolo un piacere
nuovo e straordinario: nè si vede bene perchè, ma si attribuisce all'amabilità
delle sue maniere e del suo carattere. La ragion vera ch'egli sa fare che noi ci
stimiamo da più di quello che facessimo, o confermarci nella buona opinione che
avevamo di noi. (15. Gen. 1821.).
[612,2] Non è veramente furbo chi non teme, o presume e
confida con certezza, di non poter essere ingannato {trappolato ec.:} perchè non conosce dunque e non apprezza a dovere le
forze della sua stessa furberia.
[669,1]
L'orgueil nous sépare de la société: notre
amour-propre nous donne un rang à part qui nous est toujours
disputé: l'estime de soi-même qui se fait trop sentir est presque
toujours punie par le mépris universel.
*
Mme de Lambert, Avis d'une mère à sa fille, dans
ses oeuvres complètes
citées ci-dessus, (p. 633), p.
99. fine. Così è naturalmente nella società, così porta la natura di
questa istituzione umana, la quale essendo diretta al comun bene e piacere, non
sussiste veramente, se l'individuo non accomuna
670 più
o meno cogli altri la sua stima, i suoi interessi, i suoi fini, pensieri,
opinioni, sentimenti ed affetti, inclinazioni, ed azioni; e se tutto questo non
è diretto se non a se stesso. Quanto più si trova nell'individuo il se stesso, tanto meno esiste veramente
la società. Così se l'egoismo è intero, la società non esiste se non di nome.
Perchè ciascuno individuo non avendo per fine se non se medesimo, non curando
affatto il ben comune, e nessun pensiero o azione sua essendo diretta al bene o
piacere altrui, ciascuno individuo forma da se solo una società a parte, ed
intera, e perfettamente distinta, giacchè è perfettamente distinto il suo fine;
e così il mondo torna qual era da principio, e innanzi all'origine della
società, la quale resta sciolta quanto al fatto e alla sostanza, e quanto alla
ragione ed essenza sua. Perciò l'egoismo è sempre stata la peste della società,
e quanto è stato maggiore, tanto peggiore è stata
671 la
condizione della società; e quindi tanto peggiori essenzialmente quelle
istituzioni che maggiormente lo favoriscono o direttamente o indirettamente,
come fa soprattutto il dispotismo. (Sotto il quale stato la
Francia, era divenuta la patria del più pestifero
egoismo, mitigato assai dalla rivoluzione, non ostante gl'immensi suoi danni,
come è stato osservato da tutti i filosofi.) L'egoismo è inseparabile dall'uomo,
cioè l'amor proprio, ma per egoismo, s'intende più propriamente un amor proprio
mal diretto, male impiegato, rivolto ai propri vantaggi reali, e non a quelli
che derivano dall'eroismo, dai sacrifizi, dalle virtù, dall'onore, dall'amicizia
ec. Quando dunque questo egoismo è giunto al colmo, per intensità, e per
universalità; e quando a motivo e dell'intensità, e massime dell'universalità si
è levata la maschera (la quale non serve più a nasconderlo, perchè troppo vivo,
e perchè tutti sono animati dallo stesso sentimento), allora la natura del
commercio sociale (sia relativo alla conversazione,
672
sia generalmente alla vita) cangia quasi intieramente. Perchè ciascuno pensando
per se (tanto per sua propria inclinazione, quanto perchè nessun altro vi pensa
più, e perchè il bene di ciascheduno è confidato a lui solo), si superano tutti
i riguardi, l'uno toglie la preda dalla bocca e dalle unghie dell'altro;
gl'individui di quella che si chiama società, sono ciascuno in guerra più o meno
aperta, con ciascun altro, e con tutti insieme; il più forte sotto qualunque
riguardo, la vince; il cedere agli altri qualsivoglia cosa, {o per creanza, o per virtù, onore ec.} è inutile, dannoso e pazzo,
perchè gli altri non ti son grati, non ti rendono nulla, e di quanto tu cedi
loro, o di quella minore resistenza che opponi loro, profittano in loro
vantaggio solamente, e quindi in danno tuo. E così, per togliere un esempio dal
passo cit. di Mad. di Lambert, si vede
nel fatto che oggidì, il disprezzo degli altri, e la stima aperta e ostentata di
se stesso, non solamente non è più così dannosa come
673
una volta, ma bene spesso è necessaria, e chi non sa farne uso non guadagna
nulla in questo mondo presente. Perchè gli altri non sono disposti ad accordarti
{spontaneamente, e in forza del vero, e del merito}
nulla, come di nessuna altra cosa, così neanche di stima, e bisogna quindi che
tu la conquisti come per forza, e con guerra aperta e ostilmente, mostrandoti
persuasissimo del tuo merito, ad onta di chicchessia, disprezzando e calpestando
gli altri, deridendoli, profittando d'ogni menomo loro difetto, rinfacciandolo
loro, non perdonando nulla agli altri, cercando in somma di abbassarli e di
renderteli inferiori, o nella conversazione o dovunque con tutti i mezzi più
forti. Che se oggidì ti vuoi procacciare la stima degli altri, col rispetto,
buona maniera verso loro, col lusingare il loro amor proprio, dissimulare i loro
difetti ec. e quanto a te, colla modestia, col silenzio ec. ti succede tutto
l'opposto. Essi profittano di te {e de' tuoi riguardi verso
loro,} per innalzarsi, e della tua poca resistenza {quanto a te,} per deprimerti. Quello che concedi
674 loro, l'adoprano in loro mero vantaggio, e danno tuo; quello che
non ti arroghi o non pretendi, o quel merito che tu dissimuli, te lo negano e
tolgono, per vederti inferiore ec. Così, nel modo che ho detto, ritornano
effettivamente nel mondo i costumi selvaggi, {e} di
quella prima età, quando la società non esistendo, ciascuno era amico di se
solo, e nemico di tutti gli altri esseri o dissimili o simili suoi, in quanto si
opponevano a qualunque suo menomo interesse o desiderio, o in quanto egli poteva
godere a spese loro. Costumi che nello stato di società son barbari, perchè
distruttivi della società, e contrari direttamente all'essenza ragione, e scopo
suo. Quindi si veda quanto sia vero, che lo stato presente del mondo, è
propriamente barbare[barbarie], o vicino alla
barbarie quanto mai fosse. Ogni così detta società dominata dall'egoismo
individuale, è barbara, e barbara della maggior barbarie. (17. Feb.
1821.).
[724,2] L'uomo è così inclinato alla lode, che anche in quelle
cose dov'egli non ha mai nè cercato nè curato di esser lodevole, e ch'egli stima
di nessun pregio, ancora in queste l'esser lodato lo compiace. Anzi spesso lo
indurrà a cercar di rialzare presso se stesso il pregio e l'opinione di quella
tal cosa minima nella quale è stato lodato; e a persuadersi che essa, o l'essere
lodevole in essa, non sia del tutto minimo nell'opinione altrui. (7. Marzo
1821.).
[930,1] Oggi l'uomo è nella società quello ch'è una colonna
d'aria rispetto a tutte le altre e a ciascuna di loro. S'ella cede, o per
rarefazione, o per qualunque conto, le colonne lontane premendo le vicine, {e queste premendo nè più nè meno in tutti i lati,} tutte
accorrono ad occupare e riempiere il suo posto. Così l'uomo nella società
egoista. L'uno premendo l'altro, quell'individuo che cede in qualunque maniera,
o per mancanza di abilità, o di forza, o per virtù, e perchè lasci un vuoto di egoismo, dev'esser sicuro di
esser subito calpestato dall'egoismo
che ha dintorno per tutti i lati: e di essere stritolato come una macchina {pneumatica} dalla quale, senza le debite precauzioni, si
fosse sottratta l'aria. (11. Aprile 1821.).
[960,1] Altra cagione dello snervamento prodotto nell'uomo
dall'infelicità, è la diffidenza di se stesso o delle cose, affezione mortifera,
com'è vivifica e principalissima nel mondo {e nei
viventi} la confidenza, e massime in se stesso: e questa è una qualità
primitiva e naturale nell'uomo e nel vivente, innanzi all'esperienza. ec. ec.
Così pure l'uomo che ha perduto, o per viltà e vizio, o per forza delle
avversità e delle contraddizioni e avvilimenti {e
disprezzi} sofferti, la stima di se stesso, non è più buono a niente
di grande nè di magnanimo. E dicendo la stima, distinguo questa qualità dalla
confidenza, ch'è cosa ben diversa considerandola bene. (19. Aprile.
1821.).
[978,1] Oggi non può scegliere il cammino della virtù se non
il pazzo, o il timido e vile, o il debole e misero. (23. Aprile.
1821.)
[1083,1]
1083 Alla considerazione della grazia derivante dallo
straordinario, spetta in parte il vedere che uno de' mezzi più frequenti e
sicuri di piacere alle donne, è quello di trattarle con dispregio e motteggiarle
ec. Il che anche deriva da un certo contrasto ec. che forma il piccante. {+E ancora dall'amor proprio messo in
movimento, e renduto desideroso dell'amore e della stima di chi ti
dispregia, perch'ella ti pare più difficile, e quindi la brami di più ec. E
così accade anche agli uomini verso le donne o ritrose, o motteggianti
ec.}
(24. Maggio 1821.).
[1291,1] L'aspetto dell'uomo allegro e pieno o commosso anche
mediocremente da qualche buona fortuna, da qualche vantaggio, da qualche piacere
ricevuto ec. è per lo più molestissimo non solo alle persone afflitte, o pur
malinconiche, o poco inclinate alla letizia per atto o
1292 per abito, ma anche alle persone d'animo indifferentemente
disposto, {+e non danneggiate punto, nè soverchiate ec.
da quella prosperità.} Questo ci accade ancora cogli amici,
parenti i più stretti ec. E bisogna che l'uomo il quale ha cagione di allegria,
o la dissimuli, o la dimostri con certa disinvoltura, indifferenza e spirito,
altrimenti {la sua presenza, e la sua conversazione}
riuscirà sempre odiosa e grave, anche a quelli che dovrebbero rallegrarsi del
suo bene, o che non hanno materia alcuna di dolersene. {+Tale infatti è la pratica degli uomini riflessivi, padroni di se, e ben
creati.} Che vuol dir questo, se non che il nostro amor
proprio, ci porta inevitabilmente, e senza che ce ne avvediamo, all'odio altrui?
Certo è che nel detto caso, anche all'uomo il più buono, è mestieri un certo
sforzo sopra se stesso e un certo eroismo, per prender parte alla letizia
altrui, della quale egli non aspetti nessun vantaggio {nè
danno,} o solamente per non gravarsene. (8. Luglio
1821.).
[1387,2] I giovani massime alquanto istruiti prima di entrare
nel mondo, credono facilmente e fermamente in generale, quello che sentono o
leggono delle cose umane, ma nel particolare non mai. E il frutto
dell'esperienza è persuadere a' giovani, {quanto alla vita
umana,} che il generale si verifica effettivamente in tutti o in quasi
tutti i particolari, e in ciascuno di essi. (25. Luglio 1821.).
[1431,1] Non c'è miglior modo di far colpo e fortuna con una
giovane superba e sprezzante, che disprezzandola. Or chi crederebbe che l'amor
proprio (giacchè dal solo amor proprio deriva l'amore altrui) potesse produrre
questo effetto, che quando egli è punto, si provasse inclinazione per chi lo
punge? Chi non crederebbe al contrario che una donna altera e innamorata di se
stessa, dovesse vincersi, interessarsi, allettarsi cogli ossequi, cogli omaggi,
ec.? Eppur così è. Non solo l'ossequio e l'omaggio ti farà sempre più disprezzar
da costei, ma se disprezzandola tu sei pervenuto a fissarla, e a produrle una
inclinazione per te, ed allora o per amore, o per abbandono, o per credere di
aver fatto abbastanza, ec. tu cerchi di cattivartela coi mezzi più naturali, e
le dai qualche piccolo segno di sommissione,
1432 di
amore che si dimostri per vero ec. tu hai tutto perduto, ed ella immediatamente
si disgusta di te, e ti disprezza. Conviene che tu segua imperturbabile a
mostrarle noncuranza fino alla fine. Ed è questo un effetto semplicissimo di
quel centiforme amor proprio, che produce gli effetti i più svariati e contrari.
Tanto che, mentre quasi tutte le donne si cattivano col disprezzo, {+(sebbene alcune volte, e in certe
circostanze, se ne offendono)} quelle però massimamente dove l'amor
proprio è più vivo e tirannico, cioè le più superbe ed egoiste ec. {+V. in questo proposito les Mémoires
secrets de Duclos à Lausanne 1791. t. 1. p.
95. e p. 271-273.} V. in questo proposito altro
pensiero p. 1083 dove ho notato questo effetto, discorrendo
della grazia. Certo è però che questa modificazione dell'amor proprio, non è
delle più naturali, benchè non molto lontana dalla natura; e ricerca un
carattere alquanto alterato, ma per altro comunissimo. (1. Agos.
1821.).
[1594,1]
1594 La forza dell'opinione, dell'assuefazione ec. e
come tutto sia relativo, si può anche vedere nelle parole, ne' modi, ne'
concetti, nelle immagini della poesia e della prosa comparativamente. Paragone
il quale si può facilmente istituire, mostrando p. e. come una parola, una
sentenza {non insolita}, che non fa verun
effetto nella prosa {perchè vi siamo assuefatti,} lo
faccia nel verso ec. ec. ec. e puoi vedere la p. 1127. (31. Agos. 1821.).
[1673,1] L'uomo inesperto del mondo, come il giovane ec.
sopravvenuto da qualche disgrazia o corporale o qualunque, {dov'egli non abbia alcuna colpa,} non pensa neppure che ciò debba
essere agli altri, oggetto di riso sul suo conto, di fuggirlo, di spregiarlo,
1674 di odiarlo, di schernirlo. Anzi se egli
concepisce verun pensiero intorno agli altri, relativamente alla sua disgrazia,
non se ne promette altro che compassione, ed anche premura, o almen desiderio di
giovarlo; insomma non li considera se non come oggetti di consolazione e di
speranza per lui; tanto che talvolta arriva per questa parte a godere in certo
modo della sua sventura. Tale è il dettame della natura. Quanto è diverso il
fatto! Anche le persone le più sperimentate, ne' primi momenti di una disgrazia,
sono soggette a cadere in questo errore, e in questa speranza, almeno confusa e
lontana. Non par possibile all'uomo che una sventura non meritata gli debba
nuocere presso i suoi simili, nell'opinione, nell'affetto, ec. ma egli tien per
fermissimo tutto l'opposto; e s'egli è inesperto non si guarda di nascondere
agli altri (potendo) la sua disgrazia; anzi talvolta cerca di manifestarla:
laddove la principale arte di vivere consiste ordinariamente nel non confessar
mai di esser
1675 disgraziato, o di avere alcuno
svantaggio rispetto agli altri ec.
[1721,1] Non si vive al mondo che di prepotenza. Se tu non
vuoi o sai adoperarla, {gli} altri l'adopreranno su di
te. Siate dunque prepotenti. Così dico dell'impostura. (17. Sett.
1821.).
[1727,2] L'uomo il più certo della malizia degli uomini, si
riconcilia col genere umano, e ne pensa alquanto meglio, se anche
momentaneamente ne riceve qualche buon trattamento, sia pur di pochissimo
rilievo. L'individuo da te più conosciuto per malvagio, se ti usa distinzioni e
cortesie che lusinghino il tuo amor proprio, divien subito qualche cosa di meno
male nella tua fantasia. Molto più la donna coll'uomo, o l'uomo (anche il più
brutto, anche quello di cui s'ha peggiore idea, anzi pure avversione
particolare) colla donna: e però è massima, specialmente degli uomini, che
1728 per qualunque ripulsa, idea, opinione, ostacolo,
costume, non si dee mai disperare di venire a capo di una donna. Si potrebbe
parimente dire in genere, che l'uomo non dee mai disperare di venire a capo di
qualunque persona. Ecco quanta è la gran forza della ragione nell'uomo!
(18. Sett. 1821.).
[1728,1] Come l'individuo, così le nazioni non faranno mai
nulla se non saranno piene di se stesse, di amor proprio, ambizione, opinione di
se, confidenza in se stesse. (18. Sett. 1821.).
[1787,3] Chi vuole o dee fare un mestiere al mondo, se vuol
trarne alcun frutto, non può scegliere se non quello dell'impostore, in
qualunque genere. La letteratura è stato sempre il più sterile di tutti i
mestieri. Il
1788 vero letterato (se non mescola alla
verità l'impostura) non guadagna mai nulla. Eppur l'impostore arriva a render
fecondo anche questo campo infruttifero, e uno de' maggior miracoli
dell'impostura si è di render fruttuosa la letteratura. L'impostura è una
condizione necessaria per tutti i mestieri o veri o falsi. Se le lettere e la
dottrina frutta mai nulla, ciò {è} all'impostore, e in
virtù non della verità (quando anche vi sia mescolata), ma dell'impostura.
(25. Sett. 1821.).
[1866,2]
Alla p. 1865.
Si può dire che la cognizione del mondo, la furberia, la filosofia, ed anche
generalmente lo stesso talento, consiste in gran parte nella facoltà ed abito di
non eccettuare. Il giovane si trova tradito, deriso dietro alle spalle ec. ec.
ingannato, perseguitato ec. da questo e da quell'uomo da cui meno se
l'aspettava, da un amico ec. ec. S'egli ha talento, dopo due o tre esperienze,
ed anche alla prima, conchiude che non bisogna fidarsi degli uomini, che tutti
appresso a poco sono malvagi, ne deduce de' risultati generali sulla natura del
mondo e della società, qualunque
1867 persona ancorchè
novissima, qualunque favore fattogli ec. ec. gli riesce sospetto, ed in breve
egli si forma un sistema vero intorno agli uomini, di cui nessuna circostanza,
nessuna apparenza per grande ch'ella sia, lo può far dimenticare. Ma s'egli è di
corto talento, 10, 20 esperienze non basteranno a condurlo a questi risultati,
egli considererà quello che gli è accaduto, e sempre gli accade, come tante
eccezioni, e per conoscer gli uomini avrà sempre bisogno di esperienze
individuali su ciascuno, così che al fine della sua carriera non sarà meglio
istruito che nel principio, le esperienze non gli serviranno mai nulla, il suo
giudizio sarà sempre falso, le apparenze e le illusioni lo inganneranno sempre
allo stesso modo. E così si verifica che la facoltà di generalizzare è quella
che costituisce gran parte del talento.
[1880,1] Ho detto pp. 452-53 che la stessa malvagità è
grazia, e fa effetto nelle donne. Aggiungo che anche nelle buone, anche nelle
scrupolose, anzi più che nelle altre, perchè per esse è più nuova e
straordinaria la malvagità. Il malvagio le tira a se collo stesso orrore e
scuotimento che in loro produce sì esso che il suo carattere. Lo stesso diremo
delle donne rispetto agli uomini. {+Lo
stesso particolarmente di {questo o quel} vizio di
chi dev'essere amato, dirittamente contrario alla natura o al costume di
quella persona che deve amare.}
[1885,1] Un uomo famoso per dissipazioni e sfrenatezze e
fortune galanti, e infedeltà in amore, fa grand'effetto nelle donne con questa
sola fama, ma forse nelle donne modeste e timide, e avvezze ad esser fedeli, più
che nelle altre. La franchezza, il brio,
1886 la
sfrontatezza ec. fa {sempre} fortuna in amore, ed
e[è] quasi indifferentemente necessaria e
felice con ogni sorta di donne, perch'è quasi l'unico mezzo di ottenere. Ma
considerata semplicemente come mezzo di piacere e di far effetto sulle prime, è
certo ch'egli è più potente, sulle donne modeste, ritirate, paurose, poco solite
agl'intrighi ec. che nelle loro contrarie.
[1903,2]
Alla p. 1880.
L'uomo, per molto che sia dissipato, convive sempre più con se stesso che cogli
altri, o con verun altro, e quindi è più abituato alle qualità proprie, che alle
altrui, o a quelle di chiunqu'altro. Perciò non v'è qualita[qualità] umana così straordinaria per l'uomo, come quelle
che sono contrarie alle proprie. Ben è vero che questo effetto va in proporzione
della maggiore o minore abitudine che l'uomo ha o con se stesso, o con la
società. Del resto è noto che l'uomo giudica
1904
sempre più o meno gli altri da se stesso; che per quanto sia filosofo e pratico
del mondo, e quasi anche dimentico di se stesso, sempre ricade lì; che il
vizioso non crede alla virtù, nè il virtuoso al vizio; che secondo le mutazioni
a cui soggiace il carattere di ciascun individuo, si diversifica il giudizio e
il concetto abituale ch'egli forma degli altri ec.
[2155,4] Le donne, i grandi, e il pubblico (letterario,
civile, politico ec.) si guadagnano, si maneggiano, si muovono, si persuadono,
2156 si predominano, si vincono ec. colle stesse
arti, mezzi, furfanterie, soverchierie ec. Le rivalità letterarie p. e. si
esercitano nello stesso modo delle galanti. Nella repubblica letteraria ec. come
presso le donne, e come nelle conversazioni, bisogna innalzarsi sopra il corpo
degli altri, bisogna farsi largo, calunniare i rivali, motteggiarli, farsi
dintorno una gran piazza vota, cacciandone chi la occupa, cogli artifizi e le
malvagità che si esercitano co' rivali in amore ec. (24. Nov.
1821.).
[2258,1] Altra somiglianza fra il mondo e le donne. Quanto
più sinceramente queste e quello si amano, quanto più si ha vera e forte
intenzione di giovar loro, e sacrificarsi per loro, tanto più bisogna esser
certi di non riuscire a nulla presso di essi. Odiarli, disprezzarli, trattarli
al solo fine de' proprii vantaggi e piaceri, questo è l'unico e indispensabil
mezzo di far qualche cosa nella galanteria, come in qualunque carriera
mõdana[mondana], con qualunque persona, o
società, in qualunque parte della vita, in qualunque scopo ec. ec. (18.
Dic. 1821.).
[2259,1] Per qual cagione le donne sono ordinariamente
maliziose, furbe, raggiratrici, ingannatrici, astute, impostore, e nella
galanteria, e nella devozione, e in tutto ciò che imprendono, e in qualunque
carriera si mettono? Perchè acquistano così presto e l'inclinazione e l'arte
d'ingannare, dissimulare, fingere, cogliere le occasioni ec. ec.? Perchè
l'astuzia di una donna di mediocre talento e pratica di mondo, vince bene spesso
l'arte e la furberia dell'uomo il più capace per natura e per esercizio?
Crediamo noi che l'ingegno delle donne sia naturalmente e meccanicamente
disposto ad amare, e facilmente acquistare queste qualità, a differenza dello
spirito degli uomini? Crediamo noi che queste facoltà (poichè sono pur facoltà)
sieno ingenerate nelle femmine più che ne' maschi, e proprie della
2260 natura donnesca? Non già. Lo spirito naturale e
primitivo delle donne, non ha nè vestigio alcuno di tali facoltà, nè
disposizione ad acquistarle, maggiore per nessun grado di quella che ne abbiano
gli uomini. Ma la facilità e la perfezione con cui esse le acquistano, non viene
da altra cagione che dalla loro natural debolezza, e inferiorità di forze a
quelle degli uomini, e dal non poter esse sperare se non dall'arte e
dall'astuzia essendo inferiori nella forza, ed inferiori ancora ne' diritti che
la legge e il costume comparte fra gli uomini e le donne. Questo è tutto ciò che
v'ha di naturale e d'innato nel carattere malizioso delle femmine: vale a dire
che nè questo carattere, nè alcuna particolar disposizione ad acquistarlo esiste
nella natura donnesca, ma solo una qualità, una circostanza che la proccura,
affatto estranea al talento, all'indole dello spirito, al meccanismo
dell'ingegno e dell'animo. Infatti ponete le donne in altre circostanze;
2261 vale a dire fate o ch'esse non sieno mai entrate a
dirittura in verun genere di società, massimamente cogli uomini, o che le leggi
{e i costumi} non sottopongano la loro condizione a
quella de' maschi (come accadeva primitivamente, e come accade forse anche oggi
in qualche paese barbaro), o che dette leggi e costumi le favoriscano alquanto
più, o le mettano anche al di sopra degli uomini (come so di un paese dov'elle
son tenute per esseri sacri), o che esse generalmente per qualche circostanza
(come si raccontava del paese delle amazzoni ec.), o individualmente sieno o
uguali o superiori agli uomini con cui trattano, per forze o corporali, o
intellettuali, naturali o acquisite, per ricchezze, per rango, per nascita ec.
ec. e troverete la loro arte ed astuzia o nulla, o poca, o non superiore o
inferiore ancora a quella degli uomini, almeno di quelli con cui hanno a fare; o
certo proporzionatamente, e secondo la qualità di dette circostanze, minore di
quella delle altre donne,
2262 poste nelle circostanze
contrarie, ancorchè meno ingegnose, e meno cattive ec. L'esperienza quotidiana
lo dimostra. Nè solo nelle donne, ma anche negli uomini, o deboli, o poveri,
{o brutti, o difettosi,} o non colti, o inferiori
per qualunque verso agli altri con cui trattano, come sono i cortigiani avvezzi
a trattare con superiori, e però sempre furbi, e ingannatori, e simulatori ec.
Nè solo degli uomini, ma delle nazioni intere (come quelle soggette al
dispotismo), delle città o provincie, delle famiglie, ec. lo dimostra la storia,
i viaggi ec. ec. E cambiate le circostanze e i tempi quella stessa nazione o
città o individuo maschio o femmina, perde, minora, acquista, accresce l'astuzia
e la doppiezza, che si credono proprie del loro carattere, quando si osservano
superficialmente. I selvaggi ordinariamente son doppi, impostori, finti verso
gli stranieri più forti di loro fisicamente o moralmente. Ed osservate che la
furberia è propria dell'ingegno. Ora ell'è spessissimo maggiore appunto in chi
ha svantaggio
2263 dagli altri per ingegno o coltura ed
esercizio di esso. {+(Così nelle donne in
genere, meno colte degli uomini, negl'individui maschi o femmine, plebei,
mal educati ec. ne' selvaggi rispetto ai civilizzati ec.)} Qual prova
maggiore e più chiara che l'ingegno complessivamente preso, e ciascuna sua
facoltà, non sono opera se non delle circostanze, quando si vede che la stessa
circostanza dell'aver poco ingegno, proccura ad esso ingegno una facoltà (tutta
propria di esso), che maggiori ingegni non hanno, o in minor grado? (19.
Dic. 1821.).
[2271,1] Il partire, il restare contenti di una persona, non
vuol dire, e non è altro in sostanza che il restar contenti di se medesimi. Noi
amiamo la conversazione, usciamo soddisfatti dal colloquio ec. di coloro che ci
fanno restar contenti di noi medesimi, in qualunque modo, o perchè essi lo
proccurino, o perchè non sappiano altrimenti, ci diano campo di figurare. ec.
Quindi è che quando tu resti contento di un altro, ciò vuol dire in ultima
analisi che tu ne riporti l'idea di te stesso superiore all'idea di colui. Così
che se questo può giovare all'amore verso quella tal persona, ordinariamente
però non giova nè alla stima, nè al timore, nè al peso, nè al conto, nè all'alta
opinione ec. cose che gli uomini in società desiderano di riscuotere dagli altri
uomini assai più che l'amore.
2272 (E con ragione,
perchè l'amore verso gli altri è inoperoso, non così il timore, l'opinione, il
buon conto ec.) E però volendo farsi largo nel mondo, solamente i giovanetti e i
principianti cercano sempre di lasciar la gente soddisfatta di se. Chi ben
pensa, proccura tutto il contrario, e sebben pare a prima vista che quegli il
quale parte malcontento di voi porti con se de' sentimenti a voi sfavorevoli,
nondimeno il fatto è che egli suo malgrado, e senza punto avvedersene, {+anzi e desiderando e cercando e credendo
il contrario,} porta de' sentimenti a voi favorevolissimi secondo il
mondo, giacchè l'esser malcontento di voi, non è per lui altro che esser
malcontento di se stesso rispetto a voi, e quindi in un modo o nell'altro tu
nella sua idea resti superiore a lui stesso (che è quello appunto che gli dà
pena); e gl'impedisci di ecclissar la opinione di te, con l'opinione e
l'estimazione di se. Ne seguirà l'odio, ma non mai il disprezzo
2273 (neppur quando tu l'abbia fatto scontento con
maniere biasimevoli, ed anche villane); e il disprezzo, o la poca opinione, è
quello che in società importa soprattutto di evitare; e il solo che si possa
evitare, perchè l'odio non è schivabile; essendo innato nell'uomo e nel vivente
l'odiare gli altri viventi, e massime i compagni; non è schivabile per quanta
cura si voglia mai porre nel soddisfare a tutti colle opere, colle parole, colle
maniere, e nel ménager, e cattivare, e studiare, e
secondare l'amor proprio di tutti. Laddove il disprezzo verso gli altri non è
punto innato nell'uomo: bensì egli desidera di concepirlo, e lo desidera in
virtù dell'odio che porta loro; ma dipendendo esso dall'intelletto, e da' fatti,
e non dalla volontà, si può benissimo impedire. {+Tutti questi effetti sono maggiori oggidì di quello che
mai fossero nella società, a causa del sistema di assoluto e universale e
accanito e sempre crescente egoismo, che forma il carattere del
secolo.}
(22. Dic. 1821.).
[2342,1]
2342 Il mondo deride chi fedelmente e sinceramente
osserva i suoi doveri, o prova effettivamente e segue i sentimenti dettati dalla
natura e dalla morale; e si scandolezza e biasima chi trascura pubblicamente i
medesimi doveri, chi mostra di disprezzarli, chi pienamente non gli adempie in
faccia al pubblico, quando anche egli abbia i suoi giustissimi motivi per non
farlo, e non seguire il costume in
questa parte. Una donna è derisa s'ella piange sinceramente il suo marito
recentemente morto, se a chi la tratta, dà segno di sentir vivo e vero dolore
della sua perdita; ma s'ella, anche per circostanze imperiose, trascura il
menomo dei doveri che il costume impone in questi casi, s'ella un giorno più
presto del tempo prescritto dall'uso si fa vedere in pubblico, s'ella, anche a
solo fine di portar qualche alleggerimento al suo vero dolore, si permette prima
del detto tempo, qualche menomo spasso o distrazione, il mondo severissimamente
la giudica, e inesorabilmente la condanna, senz'aver riguardo a ragioni nè
circostanze, per reali che possano essere, e non lascia di mordere
2343 e di riprendere la più piccola violazione dei
doveri apparenti, mentre è prontissimo a schernire chi gli osservi di buona fede
ec. (10. Gen. 1822.).
[2401,3] Non è da far mai pompa della propria infelicità. La
sola fortuna fa fortuna tra gli uomini, e la sventura non fu mai fortunata; nè
si può far traffico, e ritrarre utilità dalla miseria, quando ella sia vera.
Nessuno fu mai più stimato o più gradito per esser più infelice degli altri. E
però allo sventurato, volendo esser bene accolto ed accetto, o
2402 farsi tenere in pregio, non solamente conviene
dissimulare le proprie disgrazie, ma fingersi del numero de' fortunati,
pretendere a questo titolo, combatter la fama o chiunque glie lo neghi, e
mettere ogni studio per ingannar gli altri in questo punto. (23. Aprile.
1822.). {{V. p. 2415.}}
{{2485.}}
[2429,1]
2429 A voler esser lodato o stimato dagli altri,
bisogna per necessità intuonar sempre altamente e precisamente alle orecchie
loro: io vaglio assai più di voi: acciocchè gli altri dicano: colui vale
alquanto più di noi, o quanto noi. La fama di ciascheduno in qualsivoglia
genere, {o propriamente o almeno metaforicamente
parlando,} è sempre incominciata dalla bocca propria. Se tu fai nel
cospetto di quanta gente tu vuoi, un'azione o una produzione ec. la più degna e
la più lodevole che si possa immaginare; t'inganni a partito se credi che
quell'azione ec. essendo manifestissima, e manifestissimamente lodevolissima,
gli altri debbano aprir la bocca spontaneamente, e cominciare essi a dir bene di
te. Guardano, e tacciono eternamente, se tu non rompi il silenzio, e se non hai
l'arte o il coraggio d'essere il primo a far questo. Ciò massimamente in questi
tempi di perfezionato e purificato egoismo. Chi vuol vivere, si scordi della
modestia. (7. Maggio. 1822.).
[2436,1] Il mondo, o la società umana nello stato di egoismo
(cioè di quella modificazione dell'amor proprio così chiamata) in cui si trova
presentemente, si può rassomigliare al sistema
2437
dell'aria, le cui colonne (come le chiamano i fisici) si premono l'une l'altre,
ciascuna a tutto potere, e per tutti i versi. Ma essendo le forze uguali, e
uguale l'uso delle medesime in ciascuna colonna, ne risulta l'equilibrio, e il
sistema si mantiene mediante una legge che par distruttiva, cioè una legge di
nemicizia scambievole continuamente esercitata da ciascuna colonna contro tutte,
e da tutte contro ciascuna.
[2441,1] Non si nomina mai più volentieri, nè più volentieri
si sente nominare in altro modo chiunque ha qualche riconosciuto difetto o
corporale o morale, che pel nome dello stesso difetto. Il sordo, il zoppo, il
gobbo, il matto tale. Anzi queste persone non sono ordinariamente chiamate se
non con questi nomi, o chiamandole pel nome loro fuor della loro presenza, è ben
raro che non vi si ponga quel tale aggiunto. Chiamandole o udendole chiamar
così, pare agli uomini d'esser superiori a questi tali, {godono dell'immagine del loro difetto,} sentono e si ammoniscono in
certo modo della propria superiorità, l'amor proprio n'è lusingato e se ne
compiace. Aggiungete l'odio eterno e naturale dell'uomo verso l'uomo che si
pasce
2442 e si diletta di questi titoli ignominiosi,
anche verso gli amici {o gl'indifferenti.} E da queste
ragioni naturali nasce che l'uomo difettoso com'è detto di sopra, muta quasi il
suo nome in quello del suo difetto, e gli altri che così lo chiamano intendono e
mirano indistintamente nel fondo del cuor loro a levarlo dal numero de' loro
simili, o a metterlo al di sotto della loro specie: tendenza propria {+(e quanto alla società, prima e
somma)} d'ogn'individuo sociale. {+Io mi sono trovato a vedere uno di persona difettosa,
uomo del volgo, trattenersi e giocare con gente della sua condizione, e
questa non chiamarlo mai con altro nome che del suo difetto, tanto che il
suo proprio nome non l'ho mai potuto sentire. E s'io ho veruna cognizione
del cuore umano, mi si dee credere com'io comprendeva chiaramente che
ciascuno di loro, ogni volta che chiamava quell'uomo disprezzatamente con
quel nome, provava una gioia interna, e una compiacenza maligna della
propria superiorità sopra quella creatura sua simile, e non tanto dell'esser
- p. 2449. marg.
{libero da quel
difetto, quanto del vederlo e poterlo deridere e rimproverare in quella
creatura, essendone libero esso. E per quanto frequente fosse nelle loro
bocche quell’appellazione, io sentiva e conosceva ch’ella non usciva
{mai} dalle loro labbra senza un tuono
esterno e un senso e giudizio interno di trionfo e di
gusto.}}
(13. Maggio 1822.).

[2473,1]
2473 Alle ragioni da me recate in altri luoghi pp.
1473-74
pp.
1648-49
pp. 2039-41, per le quali il giovane per natura sensibile, e
magnanimo e virtuoso, coll'esperienza della vita, diviene e più presto degli
altri, e più costantemente e irrevocabilmente, e più freddamente e duramente, e
insomma più eroicamente vizioso, aggiungi anche questa, che un giovane della
detta natura, e del detto abito, deve, entrando nel mondo, sperimentare e più
presto e più fortemente degli altri la scelleraggine degli uomini, e il danno
della virtù, e rendersi ben tosto più certo di qualunque altro della necessità
di esser malvagio, e della inevitabile e somma infelicità ch'è destinata in
questa vita e in questa società agli uomini di virtù vera. {{Perocchè gli altri non essendo virtuosi, o non essendolo al par di lui, non
isperimentano tanto nè così presto la scelleraggine degli uomini, nè l'odio
e persecuzione loro per tutto ciò ch'è buono, nè le sventure di quella virtù
che non possiedono. E sperimentando ancora le soverchierie e le persecuzioni
degli altri, non si trovano così nudi e disarmati per combatterle e
respingerle, come si trova il virtuoso.
2474 In
somma il giovane di poca virtù non può concepire un odio così vivo verso gli
uomini, {nè così presto,} com'è obbligato a
concepirlo il giovane d'animo nobile. Perchè colui trova gli uomini e meno
infiammati contro di se, e meno capaci di nuocergli, e meno diversi da lui
medesimo.}}
{{Per lo che, non arrivando mai ad odiare fortemente gli
uomini, e odiarli per massima nata e confermata e radicata immobilmente
dall'esperienza, non arriva neppure così facilmente a quell'eroismo di
malvagità fredda, sicura e consapevole di se stessa, ragionata, inesorabile,
immedicabile {ed eterna,} a cui necessariamente dee
giungere {(e tosto)} l'uomo d'ingegno al tempo
stesso e di virtù naturale. (13. Giugno. 1822.)}}
[2568,1] Tutto è arte, e tutto fa l'arte fra gli uomini.
Galanteria, commercio civile, cura de' propri negozi o degli altrui, carriere
pubbliche, amministrazione politica interiore ed esteriore, letteratura; in
tutte queste
2569 cose, e s'altre ve ne sono, riesce
meglio chi v'adopra più arte. In letteratura, (lasciando stare quel che spetta
alla politica letteraria, e al modo di governarsi col mondo letterato) colui che
scrive con più arte i suoi pensieri, è sempre quello che trionfa, e che meglio
arriva all'immortalità, sieno pure i suoi pensieri di poco conto, e sieno pure
importantissimi e originalissimi quelli d'un altro che non abbia sufficiente
arte nello scrivere: il quale non riuscirà mai a farsi nome, e ad esser letto
con piacere, e nemmeno a far valutare, e pigliare in considerazione e studio i
suoi pensieri. La natura ha certamente la sua parte, e la sua gran forza; ma
quanta sia la parte e la forza della natura in tutte queste cose,
rispettivamente a quella dell'arte, mi pare che dopo le gran dispute che se ne
son fatte, si possa determinare in questo modo, e precisare
2570 in questi termini. Supposto in due persone ugual grado d'arte,
quella ch'è superiore per natura, riesce certamente meglio dell'{altra} nelle sue imprese. Datemi due persone che
sappiano ugualmente scrivere. Quella che ha più genio, sicuramente trionfa nel
giudizio de' posteri e della verità. Datemi due galanti egualmente bravi nel
mestier loro. Quello ch'è più bello {+(in
parità d'altre circostanze, come ricchezza, fortuna d'ogni genere, comodità
ed occasioni particolari ec.)} soverchia sicuramente l'altro. Ma
ponete un uomo bellissimo senz'arte di trattar le donne; un gran genio senza
scienza o pratica dello scrivere; e dall'altra parte un bruttissimo bene
ammaestrato e pratico della galanteria, un uomo freddissimo bene istruito ed
esercitato nella maniera d'esporre i propri pensieri, questi due si godranno le
donne e la gloria, e quegli altri due staranno indubitatamente a vedere. Dal che
si deduce che in ultima
2571 analisi la forza dell'arte
nelle cose umane è maggiore assai che non è quella della natura. Lucano era forse maggior genio di Virgilio, nè perciò resta che sia stato
maggior poeta, e riuscito meglio nella sua impresa; anzi che veruno lo stimi
nemmeno paragonabile a Virgilio.
[2582,1]
2582 Il piacere che noi proviamo della Satira, della
commedia satirica, della raillerie, della maldicenza
ec. o nel farla o nel sentirla, non viene da altro se non dal sentimento o
dall'opinione della nostra superiorità sopra gli altri, che si desta in noi per
le dette cose, cioè in somma dall'odio nostro innato verso gli altri,
conseguenza dell'amor proprio che ci fa compiacere dello scorno e
dell'abbassamento anche di quelli che in niun modo si sono opposti o si possono
opporre al nostro amor proprio, a' nostri interessi ec., che niun danno, niun
dispiacere, niuno incomodo ci hanno mai recato, e fino anche della stessa specie
umana; l'abbassamento della quale, derisa nelle commedie o nelle satire ec. in
astratto, e senza specificazione d'individui reali, lusinga esso medesimo la nostra innata misantropia. E dico
innata, perchè l'amor proprio, ch'è innato, non può star senza di
2583 lei. (25. Luglio, dì di S. Giacomo maggiore 1822.)
[2611,1]
2611 Nessuna cosa è vergognosa per l'uomo di spirito nè
capace di farlo vergognare, e provare il dispiacevole sentimento di questa
passione, se non solamente il vergognarsi e l'arrossire. (22. Agosto.
1822.).
[3061,1] Niuna cosa nella società è giudicata, nè {{infatti riesce}} più vergognosa del vergognarsi.
(29. Luglio. 1823.).
[3183,1] Gli uomini che nel mondo sono stimati e sono tenuti
da quanto gli altri o da più degli altri, lo sono per l'ordinario in quanto
coll'uso della società essi si sono allontanati dalla natura lor propria e dagli
abiti naturali dell'uomo generalmente, ed hanno in se oscurata e coperta la
natura, o sanno, sempre che vogliono, coprirla. E quanto più è oscurata in loro
e coperta e mutata sì la natura individuale e lor propria, vale a dire il loro
natural carattere, e gli abiti a che essa {particolar
natura} gli avrebbe condotti, sì la natura generale degli uomini,
tanto la stima generale verso di essi è maggiore. Voglio dir che la più parte
delle qualità che negli uomini ottengono stima appo il mondo, o sono totalmente
acquisite e per nulla naturali, anzi spesso contrarie alla natura lor propria o
generale; ovvero sono talmente svisate
3184 dal
naturale che per naturali non si ravvisano, e più che sono svisate, più, per
l'ordinario, si stimano. Perocchè egli è ben raro che una qualità semplicemente
naturale, e tale qual ella è da natura, sia stimata punto nella società, e
quando pur sialo, questa stima non è nè durevole, nè salda, nè generale, nè
molta, {ed} è sempre inferiore a quella delle qualità
acquisite o snaturate, le quali si apprezzano per regola, stabilmente e
seriamente, ma le naturali quasi per gioco, per rarità, per variare, per
passatempo, momentaneamente. Quelle si stimano come gravi, serie, e da negozio;
queste come lievi, di poca importanza ed utilità, da {semplice} trattenimento e da ozio: e la società presto se ne
annoia.
[3360,1] Tanto l'uomo è gradito e fa fortuna nella
conversazione e nella vita, quanto ei
3361 sa ridere.
(5. Sett. 1823.).
[3466,1]
Ces hommes qui existent
ainsi
*
(les Chartreux de Rome) sont pourtant les mêmes à qui la guerre et toute son
activité suffiraient à peine s'ils s'y étaient accoutumés. C'est un
sujet inépuisable de réflexion que
3467 les
différentes combinaisons de la destinée humaine sur la terre. Il se
passe dans l'intérieur de l'ame mille accidents, il se forme mille
habitudes qui font de chaque individu un monde et son histoire.
Connaître un autre parfaitement serait l'étude d'une vie entière;
qu'est-ce donc qu'on entend par connaître les hommes? les gouverner,
cela se peut, mais les comprendre, Dieu seul le fait.
*
Corinne, livre 10. Chap. 1. t. 2. p.
114. Ciò vuol dire che l'uomo è sommamente e infinitamente o
indeterminatamente conformabile, e non è possibile conoscer mai tutti i modi e
tutte le differenze in cui lo spirito degl'individui, secondo la diversità delle
circostanze (ch'è infinita o indeterminabile), si conforma o si può conformare;
per la stessa ragione per cui non si possono conoscere tutte le circostanze
possibili ad aver luogo, che possono influire sullo spirito degl'individui, nè
tutte quelle che hanno effettivamente influito su tale o tale individuo
determinato, nè le loro combinazioni scambievoli, nè le loro minute diversità
che producono non piccole differenze di carattere ec.
3468 La maggior cognizione adunque che si possa avere dell'uomo è
quella di sapere perfettamente e ragionatamente che gli uomini non si possono
mai ben conoscere, perchè l'uomo è indefinitamente variabile negl'individui, e
l'individuo stesso per se. E il più certo segno di tal cognizione si è quello di
non maravigliarsi mai un punto, e di esser bene e ragionatamente e veramente
disposto a non maravigliarsi di qualunque strana {e inaudita
e nuova} indole, carattere, qualità, facoltà, azione di qualunque
individuo umano noto o ignoto ci possa venire agli orecchi o agli occhi, ci
accada o possa accader d'intendere o di vedere, {+in bene o in male.} Chi è veramente giunto a
questa disposizione, e l'ha in se ben perfetta, radicata e costante, ed
efficace, può dire di conoscer l'uomo il più ch'è possibile all'uomo.
È[E] più infatti non può se non Dio, come
ben dice la Staël, perchè Dio solo può
conoscere e conosce tutti i possibili. Or gli uomini non si possono
perfettamente {conoscere,} chi non conosca poco men che
tutti i possibili, dico, i possibili di questa natura e di questa terra.
(19. Sett. 1823.).
[3520,1] Tre stati e condizioni della vecchiezza rispetto
alla giovanezza ed alle altre età. {+Puoi vedere la p. 3846.}1.o
Quando il genere umano era appresso a poco incorrotto, o certo proclive ed
abituato generalmente alla virtù, e quando l'esperienza insegnava all'individuo
le cose utili {a se ed agli altri,} senza disingannarlo
delle oneste, e delle inclinazioni virtuose, nobili, magnanime
3521 ec.; nè gli dimostrava la perversità degli uomini,
che ancora non erano perversi, nè lo disgustava e faceva pentire della virtù,
che ancor non era, se non altro, dannosa, e ch'egli per naturale istituto aveva
intrapreso fin da principio di seguire, e seguiva; allora i vecchi, come più
ricchi d'esperienza e più saggi, erano più venerabili e venerati, più stimabili
e stimati, ed anche in molte parti più utili a' loro simili {e compagni} ed al corpo della società, che non i giovani e quelli
dell'altre età. 2. Cominciata a corrompere la società umana e giunta la
corruzione al mezzo, o più oltre, l'esperienza dovette fare tutto il contrario
delle cose dette di sopra, e distruggendo le buone disposizioni naturali, e le
qualità contratte ne' primi anni, render l'individuo tanto peggiore di
carattere, d'animo, di costumi, di qualità, di azioni o di desiderii, quanto più
egli avesse sperimentato. Allora dunque i vecchi furono (nella gran società)
molto meno stimabili e stimati, quanto alla virtù ed all'onestà, che i giovani
{ec.}; molto più tristi, svergognati,
3522 finti, coperti, furbi, traditori, malvagi insomma,
{alieni dal ben fare,} e dannosi, o inclinati a far
danno, a' compagni e alla società. Laddove quei dell'altre età, e massime i
giovani, furono molto più degni di stima e molto più utili o men dannosi, perchè
meno corrotti; più buoni perchè più naturali; più proprii a ben fare, più
misericordiosi, più benefici, perchè men freddi, più generosi per natura
dell'età, men guasti dall'esempio {e dalle cattive
massime,} o non ancor guasti ec. 3. Passata che fu la corruzione
sociale di gran lunga oltre il mezzo, e giunta, si può dire, al suo colmo, nel
quale oggidì si trova e riposa, ed è, a quel che sembra per riposar lungamente o
in perpetuo; non fu e non è bisogno di molta nè lunga esperienza nè d'assai mali
esempi per corrompere negl'individui la sempre buona natura ed indole primitiva;
nascono, si può dir, gli uomini già corrotti; il primitivo, e seco la virtù ed
ogni sorta di bontà effettiva, è sparito quasi onninamente dal mondo; il
giovane, anzi pure il fanciullo, in brevissimo tratto è maturo e vecchio di
malizia,
3523 di frode, di malvagità, e conosce il
mondo assai più che i vecchi stessi per lo passato non facevano ec. Quindi per
ben contrarie cagioni {+e con ben
contrari effetti veggasi la (p.
3517-8.)} son tornate le cose appresso a poco nel loro stato
primiero. I giovani massimamente, sono ben più odiosi e dannosi de' vecchi,
perchè in essi alla disposizione intera e alla decisa volontà di mal fare si
aggiunge il potere e la facoltà; e l'ardor giovanile, e la forza e l'impeto e il
fiore delle passioni, che un dì conduceva gli uomini al bene, ora conducendogli
dirittamente e pienamente e decisamente al male, rende gl'individui tanto più
{cattivi,} perniciosi ed odiabili, quanto esso
ardore è più grande. Laddove i vecchi sono, non dirò già più stimabili nè
venerabili, ma più tollerabili e meno da essere odiati e fuggiti che quelli
dell'altre età, siccome meno potenti di mal fare, benchè a ciò solo inclinati; e
siccome anche meno desiderosi di nuocere e di far bene a se e male altrui,
perchè più freddi, e di più sedate passioni, e dalla lunga esperienza più
disingannati
3524 de' piaceri e de' vantaggi di questa
vita, e fatti meno avidi, e di desiderii men vivi: essendo la freddezza e
l'esperienza che un dì furon cagione d'ogni male e malvagità, divenute oggi
cagione, non già di bene nè di bontà, ma di minor male e cattiveria, che non il
calor naturale e l'inesperienza che già furon cagioni principali di bontà, ed or
sono cagioni di maggiore ribalderia. Da principio dunque fu la vecchiezza {rispetto} alla gioventù (e proporzionatamente all'altre
età), come il meglio al bene; poscia come il cattivo al buono; in ultimo è (e
probabilmente sarà sempre) come il manco male al male, o come il cattivo al
pessimo.
[3545,1] Il più deciso effetto, e quasi la somma degli
effetti che produce in un uomo di raro ed elevato spirito la cognizione e
l'esperienza degli uomini, si è il renderlo indulgentissimo verso qualunque
maggiore e più {eccessiva} debolezza, piccolezza,
sciocchezza, ignoranza, stoltezza, malvagità, vizio e difetto altrui, naturale o
acquisito; laddove egli era verso queste cose severissimo prima di tal
cognizione; e il renderlo facilissimo ad apprezzare e lodare le menome virtù e i
piccolissimi pregi, che innanzi alla detta esperienza ei soleva dispregiare, non
curare, stimare indegni di lode, e quasi confondere o non distinguere dalle
3546 imperfezioni; insomma il renderlo facilissimo e
solito a stimare, e difficilissimo, insolito, anzi quasi dimentico del
dispregiare e del non curare, tutto all'opposto di quel ch'egli era per lo
innanzi. Tanto poco vagliono gli uomini. E da ciò si può dedurre e far {esatto} giudizio quanto sia il valor vero e la virtù
vera degli uomini. (28. Sett. 1823.). {{v. p.
3720.}}
[3546,1] In una città piccola, massime dove sia poca
conversazione, non essendo determinato il tuono della società, {+(neppur un tuono proprio particolarmente
d'essa città, qual sempre sarebbe in una città piccola, quando veggiamo che
anche le grandi hanno sempre notabilissime nuances
di tuono lor proprio, e differenze da quello dell'altre, anche dentro una
stessa nazione)} ciascun fa tuono da se, e la maniera di ciascuno,
qual ch'ella sia, è tollerata e giudicata per buona e conveniente. Così a
proporzione in una nazione, dove non v'abbia se non pochissima società, come in
italia. Il tuono sociale di questa nazione non
esiste: ciascuno ha il suo. Infatti non v'è tuono di società che possa dirsi
italiano. Ciascuno italiano ha la sua maniera di conversare, o naturale, o
imparata dagli stranieri, o comunque acquistata. Laddove in una nazione
socievole, e così a proporzione in una città grande, non è, non solo stimato, ma
neppur tollerato, chi non si
3547 conforma alla maniera
comune di trattare, e chi non ha il tuono degli altri, perchè questa maniera
comune esiste, e il tuono di società è determinato, più o meno strettamente, e
non è lecito uscirne senza esser messo, nella società ec., fuor della legge, e
considerato come da men degli altri, perchè dagli altri diverso, diverso dai
più. (28. Sett. 1823.).
[255,2] L'uomo superiore, oggidì colla cognizione e sperienza
del mondo, si può dire, benchè sembri un paradosso, che si avvezzi a pregiare
piuttosto che a dispregiare. Dico riguardo alle cose reali. Perchè
256 mentre egli è inesperto del mondo, i piccoli pregi,
i principii di virtù, le piccole bellezze o bontà o grandezze in qualsivoglia
genere di cose, gli paiono dispregevoli, paragonando sempre gli altri a se
stesso, com'è costume degli uomini, o paragonando le cose alla sua immaginativa.
Ma colla sperienza, trovandosi sempre in mezzo ad eccessive piccolezze,
malvagità, sciocchezze, bruttezze ec. appoco appoco si avvezza a stimare quei
piccoli pregi che prima spregiava, a contentarsi del poco, a rinunziare alla
speranza dell'ottimo o del buono, e a lasciar l'abitudine di misurar gli uomini
e le cose con se stesso, e colla immaginazion sua. Laonde siccome prima egli non
istimava se non le cose lontane, le quali, in quel modo in cui egli le
concepiva, non erano reali, si può dire che il numero delle cose reali ch'egli
stima vada sempre crescendo, se bene diminuisca la {misura
della} stima assoluta, e il numero assoluto delle cose ch'egli
stimava, perchè sono molte più quelle cose ch'egli pregiava lontane, e disprezza
vicine, di quelle che da principio noncurava, ed ora è necessitato a pregiare.
(30. 7.bre 1820.).
[3684,1]
3684 Non v'è persona che riesca più intollerabile e che
meno sia tollerata nella società, di uno intollerante. (14. Ott.
1823.).
[3720,1]
Alla p. 3546.
I detti effetti accadono in un gran letterato, in un gran filosofo, in un gran
poeta, in un gran professore di qualsivoglia o letteratura o arte o scienza o
abilità ec. verso quelli che si arrogano quella medesima arte, e la professano.
{ec.} Severissimi, disprezzantissimi,
intollerantissimi a principio, non per superbia (anzi questi tali sono sempre
modestissimi) ma per non trovar {niuno} che non sia
indegnissimo di stima per se, o che meriti più che pochissimo nella sua
professione; e disprezzanti nel cuor loro, piuttosto ch'esternamente; a poco a
poco persuadendosi che insomma non v'è di meglio di coloro ch'ei disprezzava,
dalla mancanza de' veramente stimabili piglia argomento e in ultimo abitudine di
tollerare il niun merito, e di stimare e lodare il piccolissimo, e di celebrare
e fino ammirare il mediocre (non per se ma per la sua rarità, finalmente
conosciuta, e conosciuta per universale) e insomma di contentarsi del poco e
pochissimo, e di dare alle cose non il
3721 peso
assoluto ma il peso relativo che meritano. Sicchè gli si viene a fare ben raro
il caso nel quale ei possa e sappia totalmente disprezzare.
[4037,6] Parrebbe che gli uomini sciolti, franchi nel
conversare, e massime gli sprezzanti avessero più amor proprio degli altri e più
stima di se, e i timidi meno. Tutto al contrario. I timidi per eccesso di amor
proprio e per il troppo conto che fanno di se, temendo sempre di sfigurare e
perdere la stima altrui o desiderando soverchiamente di acquistarla e di
figurare, hanno sempre innanzi agli occhi il rischio del proprio onore, del
proprio concetto, del proprio amore, e occupati e legati da questo pensiero,
sono senza coraggio, e non si ardiscono mai. I franchi e gli sprezzanti fanno al
contrario
4038 per la contraria cagione, cioè per aver
poca cura e poco concetto concetto di se, o desiderio della stima degli altri
(che viene a essere il medesimo), sia che essi sieno tali per natura, o per
abito acquisito. Così che essi offendono spesse volte e facilmente, o rischiano
di offendere l'amor proprio degli altri, e n'hanno poca cura, per poco amor di
se stessi. E i timidi lo risparmiano sempre con mille scrupoli e riguardi, e non
impetrano mai da se stessi non che di lederlo menomamente, ma di porsene a
rischio benchè leggero e lontano, e ciò per soverchio amor proprio, il quale
parrebbe che dovesse principalmente offendere e muoverli ad offendere quello
degli altri. E così per soverchia stima di se stessi, si guardano di mostrar
dispregio degli altri, e infatti non gli spregiano, anzi gli stimano
eccessivamente non per altro che per lo smisurato desiderio e conto che fanno
della loro stima, anche conoscendoli di niun valore, o almeno per la gran tema
che hanno di perderla, eziandio vedendo che la sarebbe piccola perdita per
rispetto al merito di coloro. Tali sono ordinariamente i fanciulli e i giovani
ancora inesperti e inesercitati nel commercio umano e nelle palestre dell'amor
proprio, dov'esso riporta tanti colpi, che alla fine incallisce; e tali sono più
o manco, per più o men lungo tempo, ed alcune per tutta la vita, le persone
sensibili e immaginose, le quali restano {sovente}
fanciulle anche in età matura, e vecchia, sì quanto a {molte} altre cose, sì quanto a questa della timidità {nel consorzio umano,} che in esse è sempre difficile a
vincere più {assai} che negli altri, e in alcune è
assolutamente invincibile, come {fu} in Rousseau. La cagione si è l'eccesso
dell'amor proprio, inseparabile dalla soprabbondanza della vita e forza
dell'animo; ed insieme la vivacità della immaginazione, la quale non mai
veramente spenta {in loro,} nè anche quando pare
affatto agghiacciata, e quando effettivamente ha cessato affatto di partorire
alcun piacere all'individuo medesimo, continuamente,
4039 secondo la sua natura, va fingendo ad esso amor proprio che è per se
vivissimo, mille falsi pericoli e difficoltà, o smisuratamente accrescendo e
moltiplicando i veri. Sì, Rousseau e gli
altri tali uomini sensibili e virtuosi e magnanimi, occupati sempre e legati da
un'invincibile e irrepugnabile timidità, anzi mauvaise
honte ed erubescenza, non furono e non son tali se non
per eccesso di amor proprio e d'immaginazione. Altro danno e infelicità somma
della soprabbondanza della vita interna dell'anima (oltre i tanti da me altrove
notati p. 1382
p.
1584
pp. 2410-14
pp.
2629-30
pp. 2736-39
p.
2861
pp.
3921. sgg.), della sensibilità, della squisitezza dell'ingegno, della
natura riflessiva, immaginosa ec. Poichè in essa l'amor proprio essendo
eccessivo e però tanto più bisognoso di successi, e desiderando la stima altrui
e temendo la disistima molto più che gli altri non fanno, e impedito di
conseguire e costretto ad incontrare quelli che gli altri con molto minor
desiderio e bisogno conseguono facilissimamente ogni dì, ed evitano con molto
minor tema, e che quando nol conseguissero o non lo evitassero, ne sarebbero
molto meno afflitti e infelicitati, per la minore vivacità {e
sensibilità} dell'amor proprio, ed anche della immaginazione, la quale
a quegli altri accresce eziandio per se stessa e con mille false esagerazioni e
finzioni la grandezza delle perdite fatte, di quello che essi desiderano
naturalmente di conseguire, di quello che non ottengono, dei mali successi
incontrati nella società, delle ἀσχημοσύναι, che anche bene spesso non son vere
affatto, ma fabbricate di pianta dall'immaginazione, e non esistono se non
nell'idea di questi tali, e così anche i buoni successi o gli oggetti che essi
si propongono di conseguire che spessissimo sono vani e immaginari, e da niuno
ottenuti nè possibili ad ottenere ec. ec. (1. Marzo. penultimo dì di
Carnevale. 1824.) Ciò che ho detto dell'immaginazione, dico
4040 dell'amor proprio, il quale in questi tali, anche
quando sembra rotto e fiaccato dall'uso de' mali, {dispiaceri, punture ec.} anzi minore assai che non è negli altri, e
quasi al tutto agghiacciato, addormentato e spento, è sempre in verità vivissimo
assai più che negli altri anche giovani e principianti, caldissimo, e {ancora} in istato da esser chiamato tenerezza di se
stesso (come suol essere nella gioventù) benchè sia in loro più {negativo che} positivo, più atto a impedire che a
cagionare, piuttosto causa di passione che d'azione ec. quale egli è
proporzianatamente[proporzionatamente] anche
ne' primi anni di questi tali. (3. Marzo. Mercoledì delle S. Ceneri.
1824.).
[4058,1] È un grand'errore di quelli che hanno a congetturare
o indovinare le risoluzioni o gli andamenti d'altri, sia nelle cose private sia
nelle pubbliche, e queste o politiche o militari, e sia con dati o senza dati,
il considerare con ogni sorta di acutezza e di prudenza quello che sia più utile
a quei tali di risolvere o di fare, più conveniente, più secondo lo stato loro e
delle cose, più giusto, più savio, e trovatolo, risolversi che essi faranno o
determineranno, ovvero fanno e determinano appunto questa o queste cose {+o l'una di queste in ogni modo.}
Diamo uno sguardo all'intorno alla vita, alle azioni e risoluzioni degli uomini,
e vedremo che per dieci ben fatte, convenienti ed utili a quei che le fanno, ve
n'ha mille malissimo fatte, sconvenientissime, inutilissime, dannosissime a essi
medesimi, più o meno, contrarie alla prudenza, a quello che avrebbe risoluto o
fatto un uomo savio e perfetto, trovandosi nel caso loro. Vedremo che gli uomini
il più delle volte non deliberano maturamente quando v'ha bisogno di maturità,
non conoscono l'importanza delle cose che hanno a risolvere o a fare, non
sospettano nemmeno che sia loro utile o necessario di consultare intorno ad
esse, e non entrano affatto in alcuna consulta. Parlo egualmente de' grandi e
de'
4059 piccoli, delle cose pubbliche e delle private,
piccole relativamente e grandi. È certissimo che gli affari degli uomini
qualunque, che vanno male, non vanno così (se non di rado) senza loro colpa o
insufficienza; or come dunque dovrà essere regola per indovinare le opere o
risoluzioni loro, il cercare quello che lor sia più utile e conveniente? Il
numero o degli sciocchi assolutamente, o degl'inetti ai carichi e alle cose che
hanno a maneggiare, benchè valorosi nel resto, o di quelli che anche al loro
carico sono adattati, ma non perfetti, o insomma delle risoluzioni e delle
azioni mal prese e mal fatte, inutili o dannose a chi le ha fatte o prese,
sconvenienti al caso, o finalmente tali che nelle date circostanze non erano le
migliori; il numero dico di tali azioni, risoluzioni ed uomini soverchia ed ha
sempre soverchiato di grandissima lunga quello delle azioni, risoluzioni ed
uomini loro contrarii, come apparisce da tutte le antiche e moderne storie sì
civili sì militari sì private, e dall'osservazione della vita e avvenimenti
giornalieri privati o pubblici. Onde quella regola in vece di condurre alla
probabilità dell'indovinare, conduce chi la segue ad avere cento probabilità per
una, contro quella {o quelle cose} che egli sceglie e
quel giudizio o congettura che ei forma. Di più, assolutamente parlando, è
falsissimo e malissimo considerato il persuadersi che gli uomini nel caso
proprio veggano quel medesimo che in esso caso veggono gli altri posti fuori di
esso, e pensino e sentano e sieno disposti {allo}
stesso modo. Onde ancorchè pognamo {in due persone}
perfetta parità di prudenza, di esperienza, insomma di attitudine a risolvere e
fare in un dato caso quello che si conviene, è certissimo che se di queste due
persone l'una
4060 si troverà nel caso e l'altra fuori
considerandolo senza comunicare con quella, {il più delle
volte} la risoluzione o il modo dell'azione dell'una sarà diversissima
{più o meno} da quello che all'altra parrà si fosse
convenuto. Aggiungasi la diversità dei principii, delle abitudini e di mille
altre cose anche minime che diversificando gli spiriti (giacchè non si dà
spirito perfettamente uguale ad un altro, più che si dieno due fisonomie al
tutto conformi), diversificano altresì con mille modi le risoluzioni ed azioni
di uno da quelle di un altro, anche supponendo in ambedue ugual capacità, e
parità di caso, anzi diversificano le risoluzioni e azioni di una persona stessa
in casi uguali o simiglianti. Senza poi parlare delle passioni e delle occasioni
e circostanze del momento, spesso minime, che così minime modificano sovente e
sovente cagionano al tutto e determinano le risoluzioni ed azioni di uno, mentre
che l'altro che vuole indovinarle non è affetto da tali circostanze, sia
fisiche, sia morali, sia qualunque. La vera regola per isbagliare il meno
possibile, e la vera politica in tali casi, è conoscere quanto si può il
carattere, le abitudini, le qualità della data persona, applicarle al caso di
cui si tratta, e rinunziando a ogni prudenza propria, mettendosi ne' piedi di
quella, piuttosto come poeta, che come ragionatore, congetturar quello ch'egli è
per fare o risolvere, {anzi risolvere, per così dire, in vece
sua.} come il drammatico congettura quello che un dato uomo di un dato
carattere in un dato caso sarebbe per dire, e congetturatolo parla in persona di
esso. (5. Aprile. 1824.). {+V. il Guicc. ed. Friburgo. t.
4. p. 106.}
[4096,2] Il tale diceva non esser ben detto quel che si
afferma comunemente che basta l'apparenza p. e. a un letterato per essere
stimato, benchè manchi della sostanza. Ora l'apparenza non solo basta, ma è la
sola cosa che basti, ed è necessaria e la sola necessaria. Perocchè la sostanza
senza l'apparenza non fa effetto alcuno e nulla ottiene, e l'apparenza colla
sostanza non fa nè ottiene niente di più che senza essa: onde si vede la
sostanza essere inutile, e il tutto stare nella sola apparenza. (1.
Giugno. 1824.).
[4140,2] Tanto è necessaria l'arte nel viver con gli uomini
che anche la sincerità e la schiettezza conviene usarla seco loro con artificio.
(Milano. 22. Sett. 1825.)
[4153,5] Il mezzo più efficace di ottener fama è quello di
far creder al mondo di esser già famoso. (Bologna.
21. Nov. 1825.). {{Analogo e confermativo
4154
{+ di questo detto è quello di Labruyère, che più facile è far
passare un'opera mediocre in grazia di una riputazione dell'autore già
ottenuta e stabilita, che l'ottenere o stabilire una riputazione con
un'opera eccellente.}}}
[4188,8]
Propterea dicebat
Bion μὴ δυνατòν εἶναι τοῖς
πολλοῖς ἀρέσκειν, εἰ μὴ πλακoῦντα γενóμενον ἢ Θάσιον: non posse aliquem
vulgo omnibus placere, nisi placenta fieret aut vinum Τhasium.
*
Casaub.
ad Athenae. l. 3. c. 29.
(Bologna. 17. Luglio. 1826.).
[4194,1] La condotta di Tiberio nell'impero, da principio non pur
affabile, benigna, moderata, ma eziandio umile; insomma più che civilis
(v. Sueton.
Tiber. c. 24-33), le sue
difficoltà di accettar l'impero ec. paragonate colla
seguente condotta tirannica, si attribuiscono a profonda politica,
dissimulazione e simulazione. Io non vi so veder niente di finto, nè di
artifiziale. Tiberio era certamente, a
differenza di Cesare, di natura timida.
A differenza poi e di Cesare che fin da
giovanetto andò continuamente elevandosi, ed abituando successivamente l'animo e
il carattere a grandezze sempre maggiori; e di Augusto che pure fin da giovanetto si vide alla testa degli affari;
Tiberio, nato privato, vissuto la
gioventù e l'età matura in sospetto di Augusto e de' costui parenti, ed anche in non piccolo pericolo (otto
anni passò ritirato in Rodi per fuggirlo o scemarlo), non
aveva l'animo nè il carattere formato al potere, quando la fortuna gliel pose in
mano. Però nel principio fu modesto, anzi timido ed umile, anche dopo liberato
da ogni timore, come dice espressamente Suetonio (c. 26.); {+v.
p. 4197. capoverso 6.} nè qui v'era dissimulazione: io non
ci veggo altro che un uomo avvezzo a soggiacere, avvezzo a temere ed evitar di
offendere, che ridotto a soprastare, conserva ancora l'abito di tal timore e di
tale evitamento. Egli lo perdè col tempo, e coll'esperienza continuata del suo
potere, e della soggezione, anzi abbiezione, degli altri. Questo non è
smascherarsi; questo è mutar carattere e natura, per mutazione di circostanze.
4195
Tiberio era certamente cattivo, perchè
vile, e debole. {+V. p. 4197. capoverso 7.} Questo fu causa
che il potere lo rendesse un tiranno, perchè la sua natura era tale che
l'influenza del principato doveva farne un cattivo carattere di principe. Ma qui
non ci entra simulazione. Io non sono mai stato nè principe nè cattivo. Pur
disprezzato e soggetto sempre fino all'età quasi matura; vedutomi poi per le
circostanze, uguale a molti e superiore ad alcuni; da principio benignissimo ed
umile cogl'inferiori, sono poi divenuto verso loro un poco esigente, {un poco intollerante, φιλόνεικος, μεμψίμοιρος,} ed anche
cogli uguali un poco chagrin, e più difficile a
perdonare un'ingiuria, {una piccola mancanza,} più
risentito, più facile a concepir qualche seme di avversione, {più desideroso, se non altro, di vendettucce,} ec. Se la mia natura
fosse stata cattiva, io sarei divenuto tanto più insopportabile quanto più tardi
sono pervenuto alla superiorità, ed in età men facile ad accostumarmici. Noi
siamo tutti inclinati a suppor negli uomini antichi o moderni, assenti o
presenti, noti o ignoti, e nelle loro azioni e condotta, una politica, un'arte,
una simulazione quasi continua, e qualche fine occulto. Ma credete a me che v'è
{al mondo} assai meno politica, assai meno
finzione, assai meno tendenze occulte, meno intrighi, meno maneggi, meno arte,
{e più di sincerità e di vero} che non si crede. 1.
Gli uomini di talento (indispensabile fondamento a simil condotta) sono assai
più rari che non si stima. 2. Anche gli uomini i più persuasi della necessità o
utilità dell'arte nel consorzio umano, {e i più disposti ad
essa per volontà,} non hanno la pazienza di usarla troppo spesso, di
fingere, di nascondere e dissimulare troppo a lungo. 3. Condotte calcolate e
dirette costantemente a qualche fine, sono più immaginarie che reali, perchè è
natura di qualunque uomo d'essere incostante, ne' suoi gusti, desiderii,
opinioni, in tutto; di esser contraddittorio
4196 ed
incoerente nelle sue azioni, massime ec.; di operare contro i proprii principii;
di operare contro i proprii interessi. ec. 4. Finalmente la natura per
combattuta che sia, per quanto la vogliam credere abbattuta, può ancora, ed
opera nel mondo, assai più che non si crede. Ora la natura è l'opposto
dell'arte: la finzione tende a nasconder la natura, ma questa trapela ad ogni
momento, in dispetto d'ogni massima, d'ogni volontà, d'ogni disciplina.
(Bologna. 3. Sett. Domenica. 1826.).
Del resto le atrocissime crudeltà usate scopertamente in seguito da Tiberio, e gran parte di queste senza
nessuna utilità proposta, ma per solo piacere e soddisfazione del gusto e
dell'animo suo, mostrano che l'anima di Tiberio era più vile che doppia per sua natura, e col regno era
divenuta più malvagia che politica. (Bologna 4.
Sett. 1826.).
[4197,8] Che gli uomini abbiano trovate e pongano in opera
delle arti per combattere, soggiogare, recare al loro uso e servigio il resto
della natura animata o inanimata, non è cosa strana. Ma che abbiano trovato ed
usino arti {e regole} per combattere e vincere gli
uomini stessi, che queste arti sieno esposte a tutti gli uomini, e tutti
ugualmente le apprendano ed usino, o le possano apprendere e usare, questo ha
dell'assurdo; perchè se due uomini sanno ugualmente di scherma, che giova la
loro arte a ciascuno de' due? che superiorità ne riceve l'uno sopra l'altro? non
sarebbe per ambedue lo stesso, che ambedue fossero ignoranti della scherma, o
che tutti e due combattessero alla naturale? {+V. p.
4214.} Un libro, una scoperta di Tattica o di strategica o di
poliorcetica ec. pubblicata ed esposta all'uso comune, a che giova? se l'amico e
il nemico l'apprendono del pari, ambedue con più arte e più fatica di prima, si
trovano nella stessissima condizione rispettiva di prima. Il coltivare queste
tali arti, o scienze che si vogliano dire, il proccurarne l'
4198 incremento, e molto più il diffonderne la coltura e la
conoscenza, è la più inutile e strana cosa che si possa fare; è propriamente il
metodo di ottener con fatica e spesa quello che si può ottenere senza fatica nè
spesa; di eseguire artificialmente e di render necessaria l'arte laddove la
natura bastava, e laddove col metodo artificiale non si ottiene il menomo
vantaggio sopra il naturale. Insomma è il metodo di moltiplicare e complicar le
ruote {e le molle} di un orologio, e di far con più
quel medesimo che si poteva fare e già si faceva con meno. Il simile dico della
politica, del macchiavellismo ec. e di tutte le arti inventate per combattere e
superchiare i nostri simili. (Bologna. 10. Sett.
1826.).
[4201,8] Eὐήϑης, εὐήϑεια, ec. bonitas, bonus vir ec.
bonhomme, bonhomie ec. dabben uomo, dabbenaggine ec. Parole il cui significato
ed uso provano in quanta stima dagli antichi e dai moderni sia stato veramente e
popolarmente (giacchè il popolo determina il senso delle parole) tenuta la
bontà. E in vero io mi ricordo che quando io imparava il greco, incontrandomi in
quell'εὐήϑης ec., mi trovava sempre imbarazzato, parendomi che siffatte parole
suonassero lode, e non potendomi entrare in capo ch'elle si prendessero in mala
parte, come pur richiedeva il testo. Avverto che io studiava il greco da
fanciullo. (Bologna. 18. Sett. 1826.).
[4247,1] Magistrato {#1
Ministro, funzionario qualunque} da bene. Magistrato malvagio. Qual è
il segno da riconoscerlo? Di tutte le altre cose non ne troverete una, dove
stabilito ancora e confessato il fatto, non sieno vari e opposti giudizi, o
interpretazioni qual buona qual sinistra. Rigoroso, severo: se tu lo lodi per
questo capo, altri per questo medesimo lo chiamerà vendicativo, crudele,
ministro della tirannide, esecutore di vendette e risentimenti privati sotto
specie di pubblici, nemico dei cittadini, fanatico, persecutore, odiatore dei
lumi, della libertà, del progresso della civilizzazione. Clemente: sarà freddo,
debole, protettore dei vizi e dei malvagi, complice dei perturbatori della
società, fautore delle male opere. Se vi sono partiti, ed egli ne favorisce uno,
l'altro o gli altri lo condannano; se nessuno, egli è un insensato, un vile,
almeno un furbo. {Così dell'ambizione; ec. ec.} Ma
quanto all'astinenza o all'appetenza dell'altrui o del pubblico, voi non
troverete due persone che concordato il fatto, discordino nel lodarlo o nel
biasimarlo, o anche nell'interpretarlo. E questo è quasi il solo capo dal quale
in verità suol dipendere il nome che uno acquista nei magistrati di uomo da
bene, o di tristo. Da bene è sinonimo di disinteressato, malvagio di cupido;
integrità di disinteresse ec. Da ciò parrebbe che gli uomini non fossero
d'accordo se non nel concetto della roba, e che l'ufficiale pubblico potesse a
suo modo dispor della vita, dell'onore, della libertà, di tutti gli altri beni
dei cittadini, purchè rispettasse i danari e le possessioni. (4. Feb.
Domenica. 1827.).
[4268,1]
Τhe muses are amicae omnium horarum; and, like our gay
acquaintance, the best company in the world, as long as one expects no
real service from them.
*
Ibid.
[4280,1] Il vedersi nello specchio, ed immaginare che v'abbia
un'altra creatura simile a se, eccita negli animali un furore, una smania, un
dolore estremo. Vedilo di una scimmia nel Racconto di Pougens, intitolato Joco, Nuovo Ricoglitore di Milano, Marzo 1827. p. 215-6.
Ciò accade anche nei nostri bambini. V.
Roberti
Lettera di un bambino di 16
mesi. Amor grande datoci dalla natura verso i nostri simili!!
(Recanati. 13. Apr. Venerdì santo.
1827.). {{
V. p.
4419.}}
[4285,5] L'amore e la stima che un letterato porta alla
letteratura, o uno scienziato alla sua scienza, sono il più delle volte in
ragione inversa dell'amore e della stima che il letterato o lo scienziato porta
a se stesso. (Firenze. 5. Luglio.
1827.).
[4286,5] Uno che costretto dai debiti, aveva venduto per
cinquantamila scudi il suo patrimonio, non volendo dire di aver venduto, diceva
(e certo con altrettanta verità) di aver comperato cinquantamila scudi.
(Firenze. 19. Luglio. 1827.).
[4294,5] persone la cui compagnia {e
conversazione} ci piaccia durevolmente, e si usi volentieri con
4295 frequenza e lunghezza, non sono in sostanza, e non
possono essere altre che quelle dalle quali giudichiamo che vaglia la pena di
sforzarci e adoperarci d'essere stimate, e stimate ogni giorno più. Perciò la
compagnia {e conversazione} delle donne non può esser
durevolmente piacevole, se esse non sono o non si rendono tali da rendere
durevolmente pregiabile e desiderabile la loro stima.
(Firenze. Domenica 14. Ottobre.
1827.). {{
Fin qui si stende l'Indice di questo zibaldone di
Pensieri
cominciato agli 11 Luglio, e finito ai 14 ottobre del 1827. in Firenze.}}
Fin qui si stende l'Indice di questo zibaldone di
Pensieri
cominciato agli 11 Luglio, e finito ai 14 ottobre del 1827. in Firenze.}}
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