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13. Gen. 1821.

[496,2]  Dicono e suggeriscono che volendo ottener dalle donne quei favori che si desiderano, giova prima il ber vino, ad oggetto di rendersi coraggioso, non curante, pensar poco alle conseguenze, e se non altro brillare nella compagnia coi vantaggi della disinvoltura. Voltaire consiglia scherzosamente di bere, per dimenticare o liberarsi dall'  497 amore. Ou bien buvez: c'est un parti fort sage. * Non so quanto bene. Il vino, ossia la forza del corpo, come ho detto altrove p. 109 p. 324, ed è vero, sebbene inclini all'allegrezza, e sopisca i dolori dell'animo, contuttociò dà risalto alle passioni dominanti o abituali di ciascheduno. Bensì le rallegrerà, e darà speranza anche allo sventurato o disperato in amore. {{V. p. 501 capoverso 1.}}
[497,1]  Favella e favellare derivano evidentemente da fabula e fabulari mutato al solito il b in v, come da fabula diciamo pure favola; onde è come se dicessimo fabella e fabellare. Qui non c'è niente di notabile o strano: la cosa va da se, e sarà stata notata da tutti gli Etimologi. Ma che ha da far la favella e il favellare col favoleggiare e colle favole? Qui appunto consiste il singolare e l'osservabile in questa derivazione. Perocchè l'antico e primitivo significato di fabula, non era favola, ma discorso, da for faris, quasi piccolo discorso, onde poi si trasferì al significato di ciancia  498 nugae, e finalmente di finzione e racconto falso. Appunto come il greco μῦϑος nel suo significato proprio, valeva lo stesso che λόγος verbum dictum oratio sermo colloquium, e da Omero non si trova, cred'io, adoperato se non in questa o simili significazioni, così esso come i suoi derivati. Poi fu trasferito alla significazione di favola. Il detto senso di fabula, fabulator, fabulo, fabulor, confabulor {etc.} è evidente negli scrittori latini di tutti i buoni secoli, massime però ne' più antichi e più puri. V. il Forcellini in tutte queste voci. Ma dopo, e massimamente ne' bassi tempi il significato usuale e comune di fabula {nelle scritture} non era altro che favola. E tuttavia la nostra lingua ha ritenuto espressamente questa parola (la quale, come ho detto, è la stessa nostra di favella) nel suo antichissimo, primitivo e proprio valore. Certo non è andata a pescare questo significato nelle antichissime memorie, e nei primi scrittori. Bisogna dunque che la detta significazione tal qual era da principio sia pervenuta di mano in mano, e conservata e continuata senza  499 interruzione fino alla nascita e alle origini della nostra lingua. Ora ciò non può essere stato se non per mezzo del volgo latino; tanto più che gli scrittori, quando anche avessero conservata in uso la detta significazione sino all'ultimo, non avrebbero mai potuto essi soli comunicarla al volgo, e renderla volgare, usuale, comune, propria e primitiva in una lingua nascente, quando il significato più comune di quella parola fose stato un altro. E tale era infatti appresso gli scrittori. Del resto come μῦϑος e fabula vuol dire al tempo stesso discorso e favola, e da quel primo significato fu trasferito al secondo così viceversa nella nostra lingua novella e novellare, dal significato di favola o racconto, trasferiti a quello di ciance o di favella, hanno parimente nel tempo stesso il valore di favola e di discorso. V. la Crusca. (13. Gen. 1821.). {{V. p. 871. fine.}}