8. Ott. 1821.
[1866,2]
Alla p. 1865.
Si può dire che la cognizione del mondo, la furberia, la filosofia, ed anche
generalmente lo stesso talento, consiste in gran parte nella facoltà ed abito di
non eccettuare. Il giovane si trova tradito, deriso dietro alle spalle ec. ec.
ingannato, perseguitato ec. da questo e da quell'uomo da cui meno se
l'aspettava, da un amico ec. ec. S'egli ha talento, dopo due o tre esperienze,
ed anche alla prima, conchiude che non bisogna fidarsi degli uomini, che tutti
appresso a poco sono malvagi, ne deduce de' risultati generali sulla natura del
mondo e della società, qualunque
1867 persona ancorchè
novissima, qualunque favore fattogli ec. ec. gli riesce sospetto, ed in breve
egli si forma un sistema vero intorno agli uomini, di cui nessuna circostanza,
nessuna apparenza per grande ch'ella sia, lo può far dimenticare. Ma s'egli è di
corto talento, 10, 20 esperienze non basteranno a condurlo a questi risultati,
egli considererà quello che gli è accaduto, e sempre gli accade, come tante
eccezioni, e per conoscer gli uomini avrà sempre bisogno di esperienze
individuali su ciascuno, così che al fine della sua carriera non sarà meglio
istruito che nel principio, le esperienze non gli serviranno mai nulla, il suo
giudizio sarà sempre falso, le apparenze e le illusioni lo inganneranno sempre
allo stesso modo. E così si verifica che la facoltà di generalizzare è quella
che costituisce gran parte del talento.
[1867,1] Similmente il giovane istruito da' suoi studi,
dall'educazione ec. sulla natura degli uomini, e sulla diffidenza che bisogna
sempre
1868 averne, sarà veramente impossibile, che
quantunque persuaso di ciò, prima dell'esperienza, applichi queste teorie alle
persone che lo circondano, ch'egli ha da gran tempo conosciute, ch'è avvezzo a
riguardar come buone, di cui non ha fatto alcuna prova sfavorevole, e di cui non
sa nulla in contrario. Sarà anche impossibile che le prime persone a cui si
avverrà nell'entrare in carriera, e colle quali avrà che fare, egli le
sottoponga nella sua opinione, al rigore della teoria degli uomini che gli è
stata insegnata. Insomma sarà impossibile che prima dell'esperienza, egli non
faccia sempre decisa eccezione dalla teoria generale in favore delle persone che
gli appartengono, lo circondano, o con cui per prime s'incontra. Ma dopo due o
tre esperienze, s'egli ha talento, termina di eccettuare, si persuade che il
generale si avvera ne' particolari, divien pratico degli uomini, le sue teorie
applicate alla pratica gli servono effettivamente al saper vivere; ed egli non è
più capace d'illusioni individuali intorno agli uomini, siccome già da principio
non era
1869 capace d'illusioni generali. Ma il giovane
di poco talento, sebbene allo stesso modo istruito e persuaso, non lascerà mai
dopo le più chiare e replicate esperienze di eccettuare ciascun caso
particolare, e ciascun individuo che abbia apparenza contraria alle sue teorie,
dalla regola generale; non conoscerà mai i rapporti della teoria colla pratica,
di ciò ch'egli sa con ciò ch'egli esperimenta, o deve sperimentare; non saprà
mai applicare la scienza alla pratica, e credendo fermamente di non doversi
fidar di nessuno, non troverà mai nessuno del quale non giudichi conveniente e
giusto il fidarsi. {+Puoi vedere in tali
propositi l'avvertimento 23. (al. 26.) del Guicciardini, e la prima delle Considerazioni civili di
Remigio Fiorentino sopra le
Historie di F. Guicciardini.}
[1869,1] Così si verifica quello che ho detto, che la
cognizione del mondo, la filosofia, lo stesso talento consiste in gran parte
nell'abito e facoltà di non eccettuare, perchè appunto esso consiste nella
facoltà di generalizzare, e in quella di applicare, o di conoscere i rapporti,
che viene a coincidere con quella di generalizzare.
[1870,1]
1870 E secondo queste osservazioni si conosce come il
filosofo non sia filosofo nella vita e nelle azioni, s'egli non guarda se stesso
e i fatti suoi come quelli degli altri, s'egli non gli osserva dall'alto, come
quelli degli altri, se insomma non si spoglia dell'abitudine naturale di
escluder se stesso e i fatti suoi dalla dottrina generale degli uomini e de'
fatti del mondo. Se il filosofo non è filosofo nella pratica, e se i suoi
principii non corrispondono alle sue azioni, il che accade tutto giorno; ovvero
ogni volta ch'egli non è filosofo in questa o quell'azione, o caso della vita,
il che accade inevitabilmente spessissimo a' più stoici e cinici (cioè pratici)
filosofi del mondo; egli non pecca per altro, se non perchè in tali casi egli fa
eccezione del particolare dal generale, e non applica la dottrina e la teoria al
caso pratico.
[1870,2] Queste osservazioni si possono applicare ad ogni
genere di talenti, di abilità di discipline ec. ec. ec. ad ogni genere di cose
che s'imparano ec. ec. Quello scolare di rettorica
1871
perfettamente istruito, e che scrivendo cade in mille difetti, non vi cade se
non perch'egli eccettua. L'abito di eccettuare è quello che massimamente nuoce
ad ogni sorta di discipline, di ammaestramenti, di cognizioni ec.; quello che
bisogna sopra tutto vincere; quello che rende necessario l'esercizio e
l'esperienza in tutto ciò che deesi applicare alla pratica, ed eseguire; la qual
esperienza non fa quasi altro che persuadervi palpabilmente che bisogna
applicare il generale al particolare, e non fare eccezioni. (8. Ott.
1821.).