17 - 18. Ott. 1823.
[3720,1]
Alla p. 3546.
I detti effetti accadono in un gran letterato, in un gran filosofo, in un gran
poeta, in un gran professore di qualsivoglia o letteratura o arte o scienza o
abilità ec. verso quelli che si arrogano quella medesima arte, e la professano.
{ec.} Severissimi, disprezzantissimi,
intollerantissimi a principio, non per superbia (anzi questi tali sono sempre
modestissimi) ma per non trovar {niuno} che non sia
indegnissimo di stima per se, o che meriti più che pochissimo nella sua
professione; e disprezzanti nel cuor loro, piuttosto ch'esternamente; a poco a
poco persuadendosi che insomma non v'è di meglio di coloro ch'ei disprezzava,
dalla mancanza de' veramente stimabili piglia argomento e in ultimo abitudine di
tollerare il niun merito, e di stimare e lodare il piccolissimo, e di celebrare
e fino ammirare il mediocre (non per se ma per la sua rarità, finalmente
conosciuta, e conosciuta per universale) e insomma di contentarsi del poco e
pochissimo, e di dare alle cose non il
3721 peso
assoluto ma il peso relativo che meritano. Sicchè gli si viene a fare ben raro
il caso nel quale ei possa e sappia totalmente disprezzare.
[3721,1] Passo più oltre, e dico che l'essere disprezzante,
non curante, severissimo, esigente, incontentabile, intollerante ec. o verso gli
uomini in genere, o verso quelli della propria professione, è segno certo, vista
la qualità del mondo, o d'inesperienza, {+e poca o niuna cognizione e pratica degli uomini,} o di poco talento,
che dall'esperienza non è persuaso e non ne cava il profitto e le conseguenze
che deve, e non sa mai da pochi particolari generalizzare, ma per ciascun
particolare che gli occorre nella vita ha bisogno di nuova ed apposita
esperienza, ch'è il caso, la proprietà e il distintivo degli uomini di poco
ingegno; o finalmente è segno di poco o niun valore sia in genere, sia nella sua
professione, perchè sempre chi poco vale, non potendo giustamente estimar se
stesso nè gli altri, è superbo verso se, e verso gli altri disprezzante. Laddove
chi molto vale, ben potendo intendere ed estimare il suo valore e l'altrui, sia
in genere sia nella sua professione, e compararlo
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ec. può giustamente dispensare e dispensa, almeno nel suo interno, tanto a se
stesso quanto agli altri, il grado di stima o assoluta o almen rispettiva, che a
ciascun si conviene, e si mette al disopra o al disotto degli altri, e questi al
disopra gli uni degli altri, secondo il merito rispettivo ec. (17 - 18.
Ott. 1823.).