12. Ott. 1821.
[1903,2]
Alla p. 1880.
L'uomo, per molto che sia dissipato, convive sempre più con se stesso che cogli
altri, o con verun altro, e quindi è più abituato alle qualità proprie, che alle
altrui, o a quelle di chiunqu'altro. Perciò non v'è qualita[qualità] umana così straordinaria per l'uomo, come quelle
che sono contrarie alle proprie. Ben è vero che questo effetto va in proporzione
della maggiore o minore abitudine che l'uomo ha o con se stesso, o con la
società. Del resto è noto che l'uomo giudica
1904
sempre più o meno gli altri da se stesso; che per quanto sia filosofo e pratico
del mondo, e quasi anche dimentico di se stesso, sempre ricade lì; che il
vizioso non crede alla virtù, nè il virtuoso al vizio; che secondo le mutazioni
a cui soggiace il carattere di ciascun individuo, si diversifica il giudizio e
il concetto abituale ch'egli forma degli altri ec.
[1904,1] Come ho detto [pp. 452-53]
[p. 1880] che la malvagità fa effetto nel virtuoso in ordine alla
grazia, così pur si può e dee dire della virtù rispetto al malvagio o vizioso
ec. ec. ec. (12. Ott. 1821.).