Fanciullezza. Immaginazione dei fanciulli ec.
Childhood. Children's imagination, etc.
211,3 212,2 481,1 499,1 514,1 527,1 528,1 624,1 636,2 667,1 668,1 1464,1 1554,2 1555,1 1628,2 1653,1 1688,1 1735 1987,1 2430 2432-3 2645,2 2684,1 2965,1 3291,1 3770,1 4226,4 4229,4[211,3] A proposito di quello che ho detto p. 152. pens. ult. notate che
l'immaginazione dei fanciulli ha ordinariamente tutte due queste qualità, ma
l'una, cioè la fecondità, in maggior grado. E perciò come sono facili a fissarsi
in un'idea, così anche a distrarsi, nel mezzo di un discorso, dello studio, di
qualsivoglia occupazione onde si suol dire che i fanciulli non sono buoni allo
studio {non solo pel poco intelletto, ma} perchè son
pieni di distrazioni.
212 Giacchè la loro fantasia ha
gran facilità di staccarsi subito da un oggetto per attaccarsi a un altro.
Eccetto alcuni fanciulli d'immaginazione destinata a grandi cose, e a fargli
infelici quando saranno maturi, la profondità della quale li fissa fortemente in
questa o in quella idea, ordinariamente paurosa o dolorosa, e li tormenta nella
stessa fanciullezza, com'è accaduto a me. Ed è notabile come questa profondità
della immaginazione li renda gelosissimi del metodo e del consueto, fuor del
quale non trovano pace, spaventandosi dello straordinario, e contando per
disgrazia insopportabile l'aver tralasciato di fare una cosa loro solita ec. Es.
di Pietrino, e
mio. Del resto l'effetto della immaginazione dei fanciulli qual sia, v. p. 172. fine.
[212,2] La soprabbondanza della immaginazione è quella che
tormenta i fanciulli detti qui sopra, e perciò in luogo di cercarla nello
straordinario, cercano di spegnerla o addormentarla col metodo. Cosa che accade
anche agli uomini. V. il carattere di Lord Nelvil nella Corinna.
(16. Agosto 1820.).
[481,1] Quanta sia la forza d'immaginazione nei fanciulli, e
com'ella sia tale che le concezioni derivatene nella prima età, influiscono
grandemente anche nel resto della vita, si può vedere ancora in questa
osservazione minuziosa. Noi da fanciulli per lo più concepiamo una certa idea,
un certo tipo di ciascun nome di uomo: e la natura di questo tipo deriva dalle
qualità delle prime o a noi più cognite e familiari persone che hanno portato
quei tali nomi. Formatoci nella fantasia questo tipo (il quale ancora
corrisponde alle circostanze particolari di quelle persone relativamente
482 a noi, alle nostre simpatie, antipatie ec.) sentendo
dare lo stesso nome ad un'altra persona diversa da quella su cui ci siamo
formati il detto tipo, noi concepiamo subito di quella persona un'idea conforme
al detto tipo. E il nome può essere elegantissimo, e quella tal persona
bellissima: se quel tipo è stato da noi immaginato e formato sopra una persona
odiosa o brutta; anche quell'altra bellissima, ci pare che di necessità debba
esser tale: almeno troviamo una contraddizione tra il nome e il soggetto; o
proviamo una ripugnanza a credere quel soggetto diverso da quel tipo e da
quell'idea ec. Così viceversa e relativamente alle varie qualità dei nomi e
delle persone. Ed anche da grandi, e dopo che l'immaginazione ha perduto il suo
dominio, dura per lungo tempo e forse sempre questo tale effetto, almeno
riguardo ai primi momenti, e proporzionatamente alla forza dell'impressione
ricevuta da fanciulli, e dell'immagine concepita. Io da fanciullo ho conosciuto
familiarmente una Teresa vecchia, e secondo che mi pareva, odiosa. Ed allora e
oggi che son grande provo una certa ripugnanza a persuadermi che {il nome di} Teresa possa appartenere
483 ad una giovane, o bella, o amabile: o che quella che porta questo
nome, possa aver questa qualità: e insomma sentendo questo nome, provo sempre un
impressione e prevenzione sfavorevole alla persona che lo porta. E
ordinariamente l'idea che noi abbiamo dell'eleganza, grazia, dolcezza, amabilità
di un nome, non deriva dal suono materiale di esso nome, nè dalle sue qualità
proprie e assolute, ma da quelle delle prime persone chiamate con quel nome,
conosciute o trattate da noi nella prima età. Anche però viceversa potrà
accadere che noi da fanciulli concepiamo idea della persona, dal nome che porta,
massime se si tratta di persone lontane, o da noi conosciute solamente per nome:
e giudichiamo della persona, secondo l'effetto che ci produce il nome col suono
materiale, o col significato che può avere, o con certe relazioni con altre
idee. E questo ci avviene ancora da grandi, sia per conseguenza dell'idea
concepita nella fanciullezza, sia anche assolutamente: perchè è certo che noi
non ascoltiamo il nome, ovvero il cognome di persona a
noi tanto ignota, che sopra quella denominazione non ci
484 formiamo una tal quale idea sì dell'esterno che dell'interno di
quella persona. Idea più o meno confusa, più o meno viva, secondo le
circostanze; ma ordinariamente chiarissima e vivissima ne' fanciulli, sebbene
per lo più falsissima. E massimamente i fanciulli (sempre lontani
dall'indifferenza), secondo questa idea, si determinano all'odio o all'amore, a
un certo genio o contraggenio verso quelle tali persone, non conosciute se non
per nome. (10. Gen. 1821.).
[499,1] La fecondità e istabilità e velocità della
immaginazione e concezione (vera o falsa, che
500 ciò
non monta) ne' fanciulli, apparisce ancora da una osservazione che ho fatta in
quelli che trovandosi in età di mezzana fanciullezza (6. 7. 8. anni, o cosa
simile), e sapendo già {tanto e più di lingua da
potere} infilare un discorso, nondimeno sebbene sieno loquaci, anzi
quanto più sono loquaci, {(il che è segno di
fecondità)} tanto più esitano e stentano, nel fare un discorso
continuato, un racconto ec. Ho dunque notato che ciò non deriva principalmente
dalla difficoltà di trovare o combinar le parole (anzi come ho detto, i più
loquaci sono più soggetti a questo: i meno loquaci riescono molto meglio in un
discorso abbastanza lungo e seguìto); ma dalla moltiplicità delle idee che si
affollano loro in mente. Onde non sanno scegliere, si confondono, saltano di
palo in frasca, mutano anche totalmente e improvvisamente soggetto; i loro
discorsi non hanno nè capo nè coda, e avendo incominciato colla testa dell'uomo,
finiscono colla coda del pesce. Quanta dunque non dev'essere l'attività interna,
la moltiplicità delle occupazioni ancorchè disoccupatissimi, la facilità di
distrarsi, e alleggerire o spegnere
501 i pensieri o le
sensazioni dolorose, la varietà, e nel tempo stesso la vivacità delle immagini e
concezioni (giacchè ciascuna è capace di strapparli intieramente da quella che
presentemente gli occupa); in somma la vita {dell'animo,} e per conseguenza la felicità de' fanciulli anche i meno
felici rispetto alle circostanze esteriori!
[514,1] Da fanciulli, se una veduta, una campagna, una
pittura, un suono ec. {un racconto, una descrizione, una
favola, un'immagine poetica, un sogno,} ci piace e diletta, quel
piacere e quel diletto è sempre vago e indefinito: l'idea che ci si desta è
sempre indeterminata e senza limiti: ogni consolazione, ogni piacere, ogni
aspettativa, {ogni disegno, illusione ec. (quasi anche ogni
concezione)} di quell'età tien sempre all'infinito: e ci pasce e ci
riempie l'anima indicibilmente, anche mediante i minimi oggetti. Da grandi, o
siano piaceri e oggetti maggiori, o quei medesimi che ci allettavano da
fanciulli, come una bella prospettiva, campagna, pittura ec. proveremo un
piacere, ma non sarà più simile in nessun modo all'infinito, o certo non sarà
così intensamente, sensibilmente, durevolmente ed essenzialmente vago e
indeterminato. Il piacere {di quella sensazione} si
determina subito e si circoscrive: appena comprendiamo
515 qual fosse la strada che prendeva l'immaginazione nostra da fanciulli, per
arrivare con quegli stessi mezzi, e in quelle stesse circostanze, o anche in
proporzione, all'idea ed al piacere indefinito, e dimorarvi. Anzi osservate che
forse la massima parte delle immagini e sensazioni indefinite che noi proviamo
pure dopo la fanciullezza e nel resto della vita, non sono altro che una
rimembranza della fanciullezza, si riferiscono a lei, dipendono e derivano da
lei, sono come un influsso e una conseguenza di lei; o in genere, o anche in
ispecie; vale a dire, proviamo quella tal sensazione, idea, piacere, ec. perchè
ci ricordiamo e ci si rappresenta alla fantasia quella stessa sensazione
immagine ec. provata da fanciulli, e come la provammo in quelle stesse
circostanze. Così che la sensazione presente non deriva immediatamente dalle
cose, non è un'immagine degli oggetti, ma della immagine fanciullesca; una
ricordanza, una ripetizione, una ripercussione o riflesso della immagine antica.
E ciò accade frequentissimamente. (Così io, nel rivedere quelle stampe
piaciutemi vagamente da fanciullo,
516 quei luoghi,
{spettacoli, incontri,} ec. nel ripensare
ai[a] quei racconti, favole, letture, sogni
ec. nel risentire quelle cantilene udite nella fanciullezza o nella prima
gioventù ec.) In maniera che, se non fossimo stati fanciulli, tali quali siamo
ora, saremmo privi della massima parte di quelle poche sensazioni indefinite che
ci restano, giacchè la proviamo se non rispetto e in virtù della
fanciullezza.
[527,1] I fanciulli trovano il tutto nel nulla, gli uomini il
nulla nel tutto.
[528,1] Come i piaceri così anche i dolori sono molto più
grandi nello stato primitivo e nella fanciullezza, che nella nostra età e
condizione. E ciò per le stesse ragioni per le quali è maggiore il diletto.
Primieramente (massime ne' fanciulli) manca l'assuefazione al bene e al male. Il
bene dunque e il male dev'essere molto più sensibile ed energico relativamente
all'animo loro, che al nostro. Poi (e questo è il punto principale, e comune a
tutti gli uomini naturali) il dolore, la disgrazia ec. nel fanciullo, e nel
primitivo, sopravviene all'opinione della felicità possibile, o anche presente;
contrasta vivissimamente coll'aspetto del bene, creduto e reale e grande, del
bene o già provato, o sperato con ferma speranza, o veduto attualmente negli
altri; è l'opposto e la privazione di quella felicità che si crede vera,
importante, possibilissima, anzi destinata all'uomo, posseduta dagli altri,
529 e che sarebbe posseduta da noi, se quell'ostacolo
non ce l'impedisse, o per ora, o per sempre. Ed anche l'idea del male assoluto,
cioè indipendentemente dalla comparazione del bene, è forse maggiore in natura,
che nello stato di civiltà e di sapere.
[624,1] Come appunto i fanciulli, giacchè anche questo effetto
deriva dalle stesse cagioni, i quali sebbene attivissimi naturalmente, con tutto
ciò obbligati dalle circostanze, all'inazione esterna, la suppliscono e
compensano ed occupano intieramente, con una vivissima azione interna. E per
azione interna, intendo sì nei fanciulli, come nei detti popoli, anche quella
che si dimostra al di fuori, ma che si occupa di bagattelle, e di nullità, ed in
queste ritrova bastante pascolo e vita all'anima: e per conseguenza non deriva,
625 non si fonda, non è sufficiente all'uomo, se non
in forza dell'energia, dell'immaginazione, delle facoltà insomma e della vita
interna.
[636,2]
Nous ne vivons que pour perdre et pour nous
détacher.
*
Mme. Lambert, lieu cité ci-dessus, p. 145. alla
metà del Traité de la Vieillesse. Così è. Ciascun giorno
perdiamo qualche cosa, cioè perisce, o scema qualche illusione, che sono l'unico
nostro avere. {L'esperienza e la verità ci spogliano alla
giornata di qualche parte dei nostri possedimenti.} Non si vive se non
perdendo. L'uomo nasce ricco di tutto, crescendo impoverisce, e giunto alla
vecchiezza si trova quasi senza nulla. Il fanciullo è più ricco del giovane,
anzi ha tutto; ancorchè poverissimo e nudo {e
sventuratissimo,} ha più del giovane più fortunato; il giovane è più
ricco dell'uomo maturo, la maturità più ricca della vecchiezza. Ma Mad. Lambert dice questo in altro
senso, cioè rispetto alle perdite {così dette} reali,
che si fanno coll'avanzar dell'età. (9. Feb. 1821.) Ma siccome
nessuna cosa si possiede realmente, così nulla si può perdere. Bensì quel detto
è vero per quest'altra parte, relativamente alla condizione presente degli
uomini, e
637 dello spirito umano, e della società.
(10. Feb. 1821.).
[667,1] Quello che ho detto in altro pensiero pp.
481-84 intorno all'idea che i fanciulli si formano dei nomi, si deve
estendere assai, perchè ordinariamente e generalmente, il fanciullo dal primo
individuo che vede, si forma l'idea di tutta la specie o genere, in ogni sorta
di cose; dal primo soldato, l'idea di tutti i soldati, dal primo tempio, l'idea
di tutti i tempii ec. E se la forma vivamente e durevolmente, se però altri
individui della stessa specie, non vengono frequentemente o nella stessa
fanciullezza, o poi, a scancellare l'idea concepita sul primo individuo. Senza
ciò, e massimamente se le idee di altri individui non sottentrano a quella del
primo durante la fanciullezza, l'idea del primo si conserva per lunghissimo
tempo anche nelle altre età, e serve nella nostra mente di tipo, a tutti gli
altri individui della stessa specie di cui ci dobbiamo formare un'idea per
relazione o cosa tale, e che non ci cadono sotto i sensi. P. e. avendo io {di} due anni veduto un colonnello, l'idea
668 ch'io mi formo naturalmente della persona di questo
o di quel colonnello, ch'io non conosco di veduta, e in astratto, del
colonnello, è ancora modellata su quella figura, quelle maniere ec. Anche da ciò
si deve inferire quanto sieno importanti le benchè minime impressioni della
fanciullezza, e quanto gran parte della vita dipenda da quell'età; e quanto sia
probabile che i caratteri degli uomini, le loro inclinazioni, questa o
quell'altra azione ec. derivino bene spesso da minutissime circostanze della
loro fanciullezza; e come i caratteri ec. e le opinioni massimamente (dalle
quali poi dipendono le azioni, e quasi tutta la vita) si diversifichino bene
spesso per quelle minime circostanze, e accidenti, e differenze appartenenti
alla fanciullezza, mentre se ne cercherà la cagione e l'origine in tutt'altro,
anche dai maggiori conoscitori dell'uomo. (16. Feb. 1821.). {{V. p. 675. principio.}}
[668,1] Quella maravigliosa facilità che hanno
669 i fanciulli di passare immediatamente dal più
profondo dolore alla gioia, dal pianto al riso ec. e viceversa, e ciò per minime
cagioni; questa somma volubilità e versatilità d'indole e d'immaginazione, non
dev'ella esser causa di una molto maggiore felicità, o molto minore miseria che
nelle altre età? (16. Feb. 1821.).
[1464,1]
1464 Da tutto ciò si conferma ciò che ho detto altrove
pp. 1341-42 che il primo principio delle cose è
il nulla. (7. Agos. 1821.).
[1554,2] In questo presente stato di cose, non abbiamo gran
mali, è vero, ma nessun bene; e questa mancanza è un male grandissimo, continuo,
intollerabile, che rende penosa tutta quanta la vita, laddove i mali parziali,
ne affliggono solamente una parte. L'amor proprio, e quindi il desiderio
ardentissimo della felicità, perpetuo ed essenzial compagno della vita
1555 umana, se non è calmato da verun piacere {vivo,} affligge la nostra esistenza crudelmente, quando
anche non v'abbiano altri mali. E i mali son meno dannosi alla felicità che la
noia ec. anzi talvolta utili alla stessa felicità. L'indifferenza non è lo stato
dell'uomo; è contrario dirittamente alla sua natura, e quindi alla sua felicità.
V. la mia teoria del piacere,
applicandola a queste osservazioni, che dimostrano la superiorità del mondo
antico sul moderno, in ordine alla felicità, come pure dell'età fanciullesca o
giovanile sulla matura. (24. Agos. 1821.).
[1555,1] Consideriamo la natura. Qual è quell'età che la
natura ha ordinato nell'uomo alla maggior felicità di cui egli è capace? Forse
la vecchiezza? cioè quando le facoltà dell'uomo decadono visibilmente; quando
egli si appassisce, indebolisce, deperisce? Questa sarebbe una contraddizione,
che la felicità, cioè la perfezione dell'essere, dovesse naturalmente trovarsi
nel tempo della decadenza e quasi corruzione di detto essere. Dunque la
gioventù, cioè il fior dell'età, quando le facoltà dell'uomo sono in pieno
vigore ec. ec.
1556 Quella è l'epoca della perfezione e
quindi della possibile felicità sì dell'uomo che delle altre cose. Ora la
gioventù è l'evidente immagine del tempo antico, la vecchiezza del moderno. Il
giovane e l'antico presentano grandi mali, congiunti a grandi beni, passioni
vive, attività, entusiasmo, follie non poche, movimento, vita d'ogni sorta. Se
dunque la gioventù è visibilmente l'età destinata dalla natura alla maggior
felicità, l'ἀκμή della vita, e per conseguenza della felicità ec. ec. se il
nostro intimo senso ce ne convince (che nessun vecchio non desidera di esser
giovane, e nessun giovane vorrebbe esser vecchio); se la considerazione del
sistema e delle armonie della natura ce lo dimostra a primissima vista; dunque
l'antico tempo era più felice del moderno; dunque che cosa è la sognata
perfettibilità dell'uomo? dunque ec. ec. Quest'osservazione si può stendere a
larghissime conseguenze. (24. Agos. 1821.).
[1628,2] Forza dell'assuefazione generale. Le impressioni de' sensi sono sempre vivissime
ne' fanciulli. L'uomo ci si avvezza, ed elle perdono in forza e durata. Ma non
si avvezza solamente ad una per una. Un'impressione tanto nuova per un uomo
quanto la più nuova che possa provare un fanciullo, fa meno effetto in quello
che in questo: perchè quegli è avvezzo alle
1629
impressioni. Quanto più l'uomo (in proporzione delle circostanze individuali) è
avvezzo alle novità, tanto l'impressione delle novità è per lui meno forte e
durevole: e finalmente gli farà maggiore impressione la monotonia ec. che la
novità. E pur nessuno può essere avvezzo a una nuova impressione in particolare;
ma l'uomo si avvezza alle nuove impressioni in generale. ec. ec. (4. Sett.
1821.).
[1653,1]
1653 Il fanciullo non può contenere i suoi desideri, o
difficilmente, secondo ch'egli è più o meno assuefatto a soddisfarli. L'uomo
difficilmente concepisce un desiderio così vivo come il menomo de' fanciulli, e
di tutti facilmente è padrone, benchè {+certo non abbia cambiato natura, e} la vita umana si componga tutta
di desiderii, e l'uomo (o l'animale) non
possa vivere senza desiderare, perchè non può vivere senz'amarsi, e
questo amore essendo infinito, non può esser mai pago. Tutto dunque è
assuefazione nell'uomo. Questa osservazione si può estendere a tutte le passioni
e a tutte le parti esteriori ed interiori dell'uomo, e della sua vita. (8.
Sett. 1821.).
[1688,1] Le immaginazioni calde (come son quelle de'
fanciulli più o meno) in forza della somma tendenza dell'animale a' suoi simili,
trovano da per tutto delle forme simili alle umane. Ma notate che sebbene si
troverebbe facilmente maggiore analogia fra le altre parti dell'uomo e i diversi
oggetti materiali, che fra questi e la fisonomia umana, nondimeno
l'immaginazione trova sempre in essi oggetti, maggiore analogia col volto
dell'uomo che colle altre parti, anzi a queste neppur pensa. V. il mio discorso sui romantici. Tanto è vero che
la principal parte dell'uomo riguardo all'uomo è il volto. (13. Sett.
1821.).
[1733,3] Ma vi sono due specie di attenzioni. Una volontaria,
ed una involontaria; o piuttosto una spirituale, un'altra materiale.
1734 Della prima non si diventa capaci se non
coll'assuefazione (e quindi facoltà) di attendere. E perciò gli uomini
riflessivi e generalmente gl'ingegni o grandi, o applicati, hanno ordinariamente buona memoria, e si
distinguono assai dal comune degli uomini nella facoltà di ricordarsi anche
delle minuzie, perchè sono assuefatti ad attendere. Della seconda specie sono
quelle attenzioni che derivano da forza e vivacità delle sensazioni, le quali
colla loro impressione costringono l'anima ad un'attenzione in certo modo
materiale. Perciò gli spiriti suscettibili, e immaginosi, ancorchè non abbiano
grande ingegno, o almeno non abbiano l'assuefazione di molto attendere, cosa
naturale in questi tali, sono sempre d'ottima memoria, perchè tutto fa in loro
proporzionatamente maggiore impressione che negli altri. (E
questo è forse {il più ordinariamente} tutto ciò
che si considera per dono naturale di buona e
squisita memoria. Vedete com'ella sia nulla per se stessa, e dipendente,
anzi quasi
1735 tutt'uno colle altre facoltà
mentali.) E così il dono della memoria pare ad essi ed agli altri
naturale, ed innato precisamente, in loro, perchè senza l'assuefazione di
attendere, essi attendono spontaneamente a causa della forza in certo modo
materiale delle impressioni. Quindi in gran parte deriva la durevolezza delle
ricordanze di ciò che appartiene alla fanciullezza, dove tutte le impressioni,
siccome straordinarie, sono vivissime,
e quindi l'attenzione è grande benchè il fanciullo non ne abbia l'abito. {+E detta durata, siccome detta attenzione
è proporzionata alla diversa immaginativa, suscettibilità, assuefabilità,
delicatezza insomma e conformabilità degli organi de' diversi
fanciulli.} Così la memoria degl'ignoranti, o poco avvezzi a
sensazioni variate ec., memoria nulla dovunque è necessario l'abito di attendere
(v. p. 1717.), suol essere
tenacissima di tutte le sensazioni straordinarie, le quali per essi sono
frequenti, perchè poco conoscono ec. ec. e la meraviglia opera in loro più
spesso, e la novità non è rara per loro ec. e quindi li troviamo assai spesso di
prontissima memoria, in cose di cui {noi} punto non ci
ricordiamo ec. e vedendo che per essere ignoranti, non hanno esercizio
1736 nè d'attenzione nè di memoria, crediamo che questa
in loro sia una precisa facoltà di cui la natura gli abbia squisitamente
dotati.
[1987,1] Per la copia e la vivezza ec. delle rimembranze sono
piacevolissime e e poeticissime tutte le imagini che tengono del fanciullesco, e
tutto ciò che ce le desta (parole, frasi, poesie, pitture, imitazioni o realtà
ec.). Nel che tengono il primo luogo gli antichi poeti, e fra questi Omero. Siccome le impressioni, così le
ricordanze della fanciullezza in qualunque età, sono più vive che quelle di
qualunque altra età. E son piacevoli per la loro vivezza, anche le ricordanze
d'immagini e di cose che nella fanciullezza ci erano dolorose, o spaventose ec.
E per la stessa ragione ci è piacevole nella vita anche la ricordanza dolorosa,
e quando bene la cagion del dolore non sia passata, e quando pure la ricordanza
lo cagioni o l'accresca, come nella morte de' nostri
1988 cari, il ricordarsi del passato ec. (25. Ott. 1821.).
[2429,2] Che società, che amicizia, che commercio potresti tu
avere con un cieco e sordo, o egli con te?
2430 Al
quale nè coi gesti nè colle parole potresti communicare alcuno de' tuoi
sentimenti, nè egli a te i suoi? e per conseguenza qual comunione di spirito,
cioè di vita e di sentimento potresti aver seco lui? qual sentimento di te
penseresti d'aver destato, o di poter mai destare nell'animo suo? E nondimeno tu
sai pur ch'egli vive, ed oltracciò di vita umana e d'un genere medesimo colla
tua; ed egli potrebbe forse in qualche modo darti ad intendere i suoi bisogni, e
beneficato esteriormente da te, o in altro modo influito, potrebbe aver qualche
senso della tua esistenza, e formarsi di te qualche idea; anzi è certo che ti
considererebbe come suo simile, non ch'egli n'avesse alcuna prova certa, ma
appunto per la scarsezza delle sue idee; come fanno i fanciulli, che sempre
inclinano a creder tutto animato, e simile in qualche modo a loro, non
conoscendo, nè sapendo neppure insufficientemente concepire altra forma d'esistenza che la propria, non ostante
ch'essi pur vedano la differenza della figura, e delle qualità esteriori.
[2431,1]
2431 Or se contuttociò, tu non crederesti di poter aver
con costui nessuna o quasi nessuna società, e non ti soddisfaresti nè ti
compiaceresti in alcun modo del suo commercio, che dovremo dire di quella
società che i filosofi tedeschi e romantici, vogliono che il poeta supponga,
anzi ponga e crei fra l'uomo e il resto della natura? La qual società vogliono
che sia tale che tutto per immaginazione si supponga vivo bensì, ma non di vita
umana, anzi diversissima secondo ciascun genere di esseri? Non è questa una
società peggiore e più nulla di quella col cieco e sordo? Il quale finalmente è
uomo. Ma qui sebben tu creda, e poeticamente t'immagini che le cose vivano, non
supponendo che questa vita abbia nulla di comune colla tua, che sentimento di te
puoi presumere di destare in loro, o qual sentimento della vita loro puoi
presumere di ricever da essi, non potendo neppur concepire altra forma di vita se non la propria? Che giova alla
tua immaginazione e alla tua sensibilità il figurarti che la natura viva? Che
relazione può la tua fantasia fabbricarsi
2432 colla
natura per questo? Ella è cieca e sorda verso te, e tu verso lei. Non basta al
sentimento e al desiderio innato di quasi tutti i viventi che li porta verso il
loro simile, il figurarsi che le cose
vivano, ma solamente che vivano di vita simile per natura alla propria. Tolta questa non v'è società fra
viventi, come non vi può esser società fra cose dissimili, e molto meno fra cose
che in nessun modo si possono intendere l'une coll'altre, nè comunicarsi alcun
sentimento, nè farsi scambievolmente verun segno di se, e neppur concepire o
formarsi nessuna idea del genere di vita l'una dell'altra. Fra le bestie e
l'uomo non è di gran lunga così, e perciò qualche società può passare e passa
fra questo e quelle, e maggiore, quanto più la loro vita, e il loro spirito è
simile al nostro, e quanto più esse {mostrano}
{di} concepire le cose nostre, e noi le loro; e
maggiore eziandio generalmente perchè l'immaginazione nostra (e probabilmente
anche la loro) entra in questo commercio altresì, e ce le dipinge molto più
simili a noi che forse non sono, e noi a loro parimente.
2433 Certo è poi che grandissima affinità e somiglianza passa tra la
vita degli animali e la nostra, tra le loro passioni (radicalmente parlando) e
fra le nostre ec. Affinità e somiglianza che non si trova o non apparisce fra
l'esistenza delle cose inanimate e la nostra; che l'immaginazione antica, e
fanciullesca, e, più o meno, quella di tutti i tempi, non vedendola, la suppone
e la crea; che i bravi tedeschi non vogliono che si supponga, e che non per
tanto s'immagini e si conservi un commercio scambievole fra le cose inanimate e
l'uomo. (8. Maggio. 1822.).
[2645,2] La storia greca, romana ed ebrea contengono le
reminiscenze delle idee acquistate da ciascuno nella sua fanciullezza. Ciascun
nome, ciascun fatto delle dette storie, e massime i principali e più noti ci
richiamano idee quasi primitive per noi, e sono in certo modo legati alla storia
della vita, e della fanciullezza
2646
massimente[massimamente], delle cognizioni, de'
pensieri di ciascuno di noi. Quindi l'interesse che ispirano le dette storie, e
loro parti, e tutto ciò che loro appartiene; interesse unico nel suo genere,
come fu osservato da Chateaubriand
(Génie ec.); interesse che non può esserci mai ispirato da
verun'altra storia, sia anche più bella, varia, grande, e per se più importante
delle sopraddette; sia anche più importante per noi, come le storie nazionali.
Le suddette tre sono le più interessanti perchè sono le più note; perchè sono le più domestiche, familiari, pratiche, e quasi
strette parenti di ciascun uomo civile e colto, ancorchè di patria diversissimo
da queste tre nazioni. E perciò elle sono le più, anzi le sole, feconde di
argomenti {storici} veramente propri d'epopea, di
tragedia, ec.
2647 e all'interesse dei detti argomenti,
massime nella poesia, non si può supplire in verun conto, nè con veruna
industria, cavando argomenti {o dall'immaginazione, o}
dalle altre storie, neppur dalle patrie. Aggiungasi alle tre dette storie,
quella della guerra troiana, la quale interessa sommamente per le dette ragioni,
anzi più delle altre tre, perchè i poemi d'Omero e di Virgilio, l'hanno
resa più nota e familiare a ciascuno, che verun'altra, e perch'ella a cagione
dei detti poemi, delle favole ec. è più legata alle ricordanze della nostra
fanciullezza, che non sono la storia greca e romana, e neanche l'ebrea. Tutto
ciò è relativo, e l'interesse delle dette storie non deriva particolarmente
dalle loro proprie e intrinseche qualità, ma dalla circostanza estrinseca
dell'essere le medesime familiari
2648 a ciascuno fin
dalla sua fanciullezza; tolta la qual circostanza, che ben si potrebbe togliere,
dipendendo dalla educazione ec., questo interesse o si confonderebbe e
agguaglierebbe con quello delle altre storie, e argomenti storici, o sarebbe
anche superato. (Roma. 25. Nov. 1822.).
[2684,1]
2684 L'uomo sarebbe felice se le sue illusioni
giovanili {(e
fanciullesche)} fossero realtà. Queste sarebbero realtà, se
tutti gli uomini le avessero, e durassero sempre ad averle: perciocchè il
giovane d'immaginazione e di sentimento, entrando nel mondo, non si troverebbe
ingannato della sua aspettativa, nè del concetto che aveva fatto degli uomini,
ma li troverebbe e sperimenterebbe quali gli aveva immaginati. Tutti gli uomini
più o meno (secondo la differenza de' caratteri), e massime in gioventù, provano
queste tali illusioni felicitanti: è la sola società, e la conversazione
scambievole, che civilizzando e istruendo l'uomo, e assuefacendolo a riflettere
sopra se stesso, a comparare, a ragionare, disperde immancabilmente queste
illusioni, come negl'individui, così ne' popoli, e come ne' popoli, così nel
genere umano ridotto allo stato sociale. L'uomo isolato non {le} avrebbe mai perdute; ed elle son proprie del giovane in
particolare non tanto a causa del calore immaginativo, naturale a quell'età,
quanto della inesperienza, e del vivere isolato che fanno i giovani. Dunque se
l'uomo avesse continuato a vivere isolato, non avrebbe mai perdute le sue
illusioni giovanili, e tutti gli uomini le
2685
avrebbero e le conserverebbero per tutta la vita loro. Dunque esse sarebbero
realtà. Dunque l'uomo sarebbe felice. Dunque la causa originaria e continua
della infelicità umana è la società. L'uomo, secondo la natura sarebbe vissuto
isolato e fuor della società. Dunque se l'uomo vivesse secondo natura, sarebbe
felice. (Roma 1. Aprile. Martedì di Pasqua.
1823.).
[2965,1] Così discorrere del fanciullo. Il quale neanche si
può così semplicemente dire che trovi piacevole a vedere la gioventù, appena, e
la prima volta ch'ei la vede; che gli paia, come si dice, bella assolutamente e per se, e più bella della
vecchiezza, al primo vederla.
2966 Ho notato altrove
pp. 1198-99
pp.
1750-52 quanto spesso una persona giovane gli paia, e sia da lui
espressamente giudicata bruttissima, e
una persona vecchia bellissima (ancorchè ella sia a tutti gli altri brutta,
eziandio per vecchia), e ciò per varie circostanze. E i sopraddetti effetti non
hanno luogo nel fanciullo, o non v'hanno luogo costantemente e sicuramente nè in
modo che non sia accidentale e di circostanza, se non dopo essersi sviluppata in
lui la inclinazione naturale verso la gioventù, massime in ordine agl'individui
della propria specie; il quale sviluppo, specialmente ne' paesi meridionali,
accade nel fanciullo assai presto, e molto prima ch'egli sia in grado ec. V. l'Alfieri nella sua Vita.
Accade, dico, almeno in parte. E anche circa il cieco nato che acquisti
improvvisamente il vedere, dubito molto che egli ne' primi momenti, e anche ne'
primi giorni, trovi assolutamente bello, come si dice, l'aspetto della
giovanezza per se medesimo, e più bello che quello della vecchiezza. ec. Del
resto il cieco nato, restando pur cieco, troverà certo più piacevole
2967 p. e. la voce giovanile che la senile, e tutte le
altre sensazioni che gli verranno da persone giovani, in parità di circostanze,
le troverà più piacevoli di quelle che gli verranno da persone vecchie; e l'idea
ch'egli concepirà della giovanezza, qualunque ella sia, sarà per lui più
piacevole, e, come si dice, più bella che la contraria, e piacevole e bella per
se medesima. Ma tutto ciò sarà effetto della inclinazione, e non derivato
originalmente dall'intelletto. ec.
[3291,1]
Alla p. 3282.
Bisogna distinguere tra egoismo e amor proprio. Il primo non è che una specie
del secondo. L'egoismo è quando l'uomo ripone il suo amor proprio in non pensare
{che} a se stesso, non operare che per se stesso
immediatamente, rigettando l'operare per altrui con intenzione lontana e non ben
distinta dall'operante, ma reale, saldissima e continua, d'indirizzare quelle
medesime operazioni a se stesso come ad ultimo ed unico vero fine, {+il che l'amor proprio può ben fare, e
fa.} Ho detto altrove p. 1382
pp. 2410-12
pp. 2736-38
pp.
2752-55 che l'amor proprio è tanto maggiore nell'uomo quanto in esso è
maggiore la vita o la vitalità, e questa è tanto maggiore quanto è maggiore la
forza {+e l'attività dell'animo, e del
corpo ancora.} Ma questo, ch'è verissimo dell'amor proprio, non è nè
si deve intendere dell'egoismo. Altrimenti i vecchi, i moderni, gli uomini poco
sensibili e poco immaginosi sarebbero meno egoisti dei {fanciulli e dei} giovani, degli antichi, degli uomini sensibili e di
forte immaginazione.
3292 Il che si trova essere
appunto in contrario. Ma non già quanto all'amor proprio. Perocchè l'amor
proprio è veramente maggiore assai ne' fanciulli e ne' giovani che ne' maturi e
ne' vecchi, maggiore negli uomini sensibili e immaginosi che ne' torpidi. {Che l'amor proprio sia maggiore ne'
fanciulli e ne' giovani che nell'altre età, segno n'è quella infinita e
sensibilissima tenerezza verso se stessi, e quella suscettibilità e
sensibilità e delicatezza intorno a se medesimi che coll'andar degli anni e
coll'uso della vita proporzionatamente si scema, e in fine si suol
perdere.} I fanciulli, i giovani, gli uomini sensibili sono assai più
teneri di se stessi che nol sono i loro contrarii. Così generalmente furono gli
antichi rispetto ai moderni, e i selvaggi rispetto ai civili, perchè più forti
di corpo, più forti ed attivi e vivaci d'animo e d'immaginazione (sì per le
circostanze fisiche, sì per le morali), meno disingannati, e insomma
maggiormente e più intensamente viventi. {Nella stessa guisa discorrasi dei deboli rispetto ai forti e simili.}
(Dal che seguirebbe che gli antichi fossero stati più infelici generalmente de'
moderni, secondo che la infelicità è in proporzion diretta del maggiore amor
proprio, come altrove ho mostrato: p. 1382
pp. 2410-11
pp. 2752-55
pp. 2736-37
pp.
2495-96
p. 2754 ma l'occupazione {e l'uso} delle proprie forze, la distrazione e simili
cose, essendo state infinitamente maggiori in antico che oggidì; e il maggior
grado di vita esteriore essendo stato anticamente più che in
3293 proporzione del maggior grado di vita interiore, resta, come ho
in mille luoghi provato, che gli antichi fossero anzi mille volte meno infelici
de' moderni: e similmente ragionisi de' selvaggi e de' civili: non così de'
giovani e de' vecchi oggidì, perchè a' giovani presentemente è interdetto il
sufficiente uso delle proprie forze, e la vita esterna, della quale tanto ha
quasi il vecchio oggidì quanto il giovane; per la quale e per l'altre cagioni da
me in più luoghi accennate, maggiore presentemente è l'infelicità del giovane
che del vecchio, come pure altrove ho conchiuso pp. 277-80
pp. 2736-38
pp.
2752-55).
[3769,1] Ho detto in questo discorso come sia necessario che
il soggetto dell'epopea sia nazionale, e come dannoso sarebbe ch'ei fosse
universale ec. (se non nel modo usato dal Tasso ec.). Ma per altra parte la nazionalità del soggetto limita,
quanto a se, l'interesse e il grand'effetto del poema, a una sola nazione. Non
v'è altro modo di ovviare a questo gran male (il qual fa ancora che i posteri,
dopo le tante mutazioni politiche che cagiona il tempo, distruttore o cangiatore
delle nazioni, o de' loro nomi, ch'è tutt'uno,
3770 e
loro carattere nazionale ec. non considerino più quegli antichi, nè possano
considerarli, come lor nazionali, e che a lungo andare, immancabilmente, non vi
sia più nazione a cui quel poema sia nazionale), se non di costringere
l'immaginazion de' lettori qualunque a persuaderli di esser compatrioti e
contemporanei de' personaggi del poeta, a trasportarli in quella nazione e in
quei tempi ec. Illusione conforme a quella che deono proccurare i drammatici ec.
Or tra tutti gli epici quel che meglio l'ha proccurata si è Omero nell'iliade,
siccome fra tutti gli storici Livio.
Vero è che questo viene in grandissima parte da quelle tante cagioni altrove da
me esposte pp. 3125. sgg., le quali fanno che tutte le nazioni
civili in tutti i tempi sieno {state e sieno per
essere} connazionali e contemporanee de' troiani, greci {antichi} romani {antichi} ed
ebrei {antichi.} Infatti dopo l'iliade, il poema epico che meglio proccura la detta illusione
universale, si è l'Eneide, perchè di soggetto
troiano e romano. Ma vero è ancora che, massime quanto ai troiani, le dette
cagioni si riducono alla sola iliade (ed
all'Eneide),
3771
onde l'illusione ch'essa proccura, non viene da cause a lei affatto estrinseche,
anzi l'iliade è tanto più mirabile quanto essa sola, o essa
principalmente (cioè aiutata dall'Eneide ec.),
ha potuto rendere {e rende} tutti gli uomini civili
d'ogni nazione e tempo compatrioti e contemporanei de' troiani. Questo ella
consegue mediante le reminiscenze della fanciullezza ec. le quali l'accompagnano
perchè sin da fanciulli conosciamo l'iliade, o i
fatti da essa narrati e inventati, e la mitologia in essa contenuta, ec. e le
prime nozioni della mitologia che apprendiamo, sono strettamente legate e in
{buona} parte composte delle invenzioni d'Omero ec. ec. Ma tutto questo non sarebbe
{nè sarebbe stato} se l'iliade non fosse sempre stata così celebre. Nè così celebre sarebbe
stata sempre senza il suo sommo merito. Vero è che questo non ha che fare in
particolare colla condotta ec. ec. (25. Ott. 1823.).
[4226,4]
Bellissima è l'osservazione di Ierocle nel libro de Amore fraterno, ap. Stobeo serm. ὅτι κάλλιστον ἡ ϕιλαδελϕία etc. 84. Grot. 82. Gesner. che essendo la vita
umana come una continua guerra, nella quale siamo combattuti dalle cose di fuori
(dalla natura e dalla fortuna), i fratelli, i genitori, i parenti ci son dati
come alleati e ausiliari ec. E io, trovandomi lontano dalla mia famiglia, benchè
circondato da persone benevole, {e benchè senza
inimici,} pur mi ricordo di esser vissuto in una specie di timore
4227 o timidezza continua, rispetto ai mali
indipendenti dagli uomini, e questi, sopravvenendomi, avermi spaventato, ed
abbattuto e afflitto l'animo assai più del solito, non per altro se non perchè
io mi sentiva essere come solo in mezzo a nemici, cioè in mano alla nemica
natura, senza alleati, per la lontananza de' miei;
(Recanati. 16. Nov. 1826.)
{{e per lo contrario, ritornando fra loro, aver provato un
vivo e manifesto senso di sicurezza, di coraggio, e di quiete d'animo, al
pensiero, all'aspettativa, al sopravvenirmi di avversità, malattie
ec.}}
[4229,4] È naturale all'uomo, debole, misero, sottoposto a
tanti pericoli, infortunii e timori, il supporre, il figurarsi, il fingere anco
gratuitamente un senno, una sagacità e prudenza, un intendimento e
discernimento, {una perspicacia, una esperienza}
superiore alla propria, in qualche persona, alla quale poi mirando in ogni suo
duro partito, si riconforta o si spaventa secondo che vede quella o lieta o
trista, o sgomentata o coraggiosa, e sulla sua autorità si riposa senz'altra
ragione; spessissimo eziandio, ne' più gravi pericoli e ne' più miseri casi, si
consola e fa cuore, solo per la {buona speranza e}
opinione, ancorchè manifestamente falsa o senza niuna apparente ragione, che
egli vede o s'immagina essere in quella tal persona; o solo anco per una ciera
lieta o ferma che egli vede in quella. Tali sono assai sovente i figliuoli,
massime nella età tenera, verso i genitori. Tale sono stato io, anche in età
ferma e matura, verso mio padre; che in ogni cattivo caso, o timore, sono stato solito per
determinare, se non altro, il grado della mia afflizione o del timor mio
proprio, di aspettar di vedere o di congetturare il suo, e l'opinione e il
giudizio che
4230 egli portava della cosa; nè più nè
meno come s'io fossi incapace di giudicarne; e vedendolo {o
veramente o nell'apparenza} non turbato, mi sono ordinariamente
riconfortato d'animo sopra modo, con una assolutamente cieca sommissione alla
sua autorità, o fiducia nella sua provvidenza. E trovandomi lontano da lui, ho
sperimentato frequentissime volte un sensibile, benchè non riflettuto, desiderio
di tal rifugio. Ed è cosa {mille volte} osservata {e veduta per prova} come gli uomini di guerra, anche
esperimentatissimi e veterani, sogliano pendere nei pericoli, nei frangenti,
nelle calamità della guerra, dalle opinioni, dalle parole, dagli atti, dal
volto, di qualche lor capitano, eziandio giovane e immaturo, che si abbia
guadagnato la lor confidenza; e secondo che veggono, o credono di veder fare a
lui, sperare o temere, dolersi o consolarsi, pigliar animo o perdersi di
coraggio. Onde suol tanto giovare nel Capitano la fermezza d'animo, e la
dissimulazione del dolore o del timore nei casi ov'è sommamente da temere o
dolersi. E questa qualità dell'uomo è ancor essa una delle cagioni per cui tanto
universalmente e così volentieri si è abbracciata e tenuta, come ancor si tiene,
la opinione di un Dio provvidente, cioè di un ente superiore a noi di senno e
intelletto, il qual disponga ogni nostro caso, e indirizzi ogni nostro affare, e
nella cui provvidenza possiamo riposarci dell'esito delie cose nostre. (9.
Dic. Vigilia della Venuta della S. Casa di Loreto. 1826.
Recanati.). La credenza di un ente senza
misura più savio e più conoscente di noi, il quale dispone e conduce di continuo
tutti gli avvenimenti, e tutti a fin di bene, eziandio quelli che hanno maggior
sembianza di mali per noi, e che veglia sulla nostra sorte; e tutto ciò con
ragioni e modi a noi sconosciuti, e che noi non possiamo in guisa alcuna
scoprire nè intendere, di maniera che non dobbiamo darcene pensiero veruno;
questa credenza è agli uomini universalmente, e massime ai deboli ed infelici,
un conforto maggior d'ogni altro possibile: il qual conforto non da altro
procede, nè consiste in altro, che un riposo, uno acquetamento, ed una
confidenza
4231 cieca nell'autorità, nel senno, e nel
provvedimento altrui. (9. Dic. 1826.).
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