Donne.
Women.
676,3 678,1 1083,1 2258,1 2259,1 2481,2 3281,1 3291,1 3301,1 3553,2 3898,1 3926 3955,1 4092,1 4293,2 4294,5Donne, maltrattate da' Greci e da' Romani antichi, sotto gl'Imperatori erano già oggetto di galanteria.
Women, mistreated by the ancient Greeks and Romans; under the Emperors were already an object of galantry.
4144,3[676,3]
Enfin elles aiment l'amour, et non pas l'amant.
Ces personnes se livrent à toutes les passions
{les plus} ardentes. Vous les voyez
occupées du jeu, de la table: tout ce qui porte la livrée du plaisir
est bien reçu.
*
Parla di quelle donne galanti qui ne cherchent et ne veulent que
les plaisirs de l'amour,
*
di quelle che ne cherchent dans l'amour que les
plaisirs des sens,
*
(o della galanteria dell'ambizione
ec.) que celui d'être fortement
occupées et entraînées, et que celui d'être aimées;
*
di
quelle che
677 possono associer d'autres passions à l'amour,
*
e lasciare du vide
dans
*
(leur) son
coeur,
*
e che après avoir tout donné,
*
possono non essere uniquement
*
(occupées)
occupé de ce qu'on
aime;
*
di quelle che se font une habitude de galanterie, et ne savent point joindre la qualité d'amie à celle
d'amant
*
; di quelle che ne cherchent que les plaisirs, et non pas l'union des
coeurs
*
, e conseguentemente échappent à tous les devoirs de
l'amitié
*
: in somma delle donne d'oggidì tutte quante, e
in fatti ancor ella sebbene distingue le donne amanti in tre specie,
conchiude il discorso di questa specie, così: Voilà l'amour d'usage et d'à-présent, et où les
conduit une vie frivole et dissipée.
*
Mme. de Lambert, Réflexions nouvelles sur les
femmes, dans ses oeuvres
complètes, citées ci-dessus (p. 633.) p. 179.
(18. Febbraio 1821).
[678,1]
678
Il faut convenir
que les femmes sont plus délicates que les hommes en fait
d'attachement.
*
Il n'appartient qu'à elles de
faire sentir par un seul mot, par un seul regard, tout un
sentiment.
*
Mme. de Lambert, lieu cité ci-dessus, p.
187.
[1083,1]
1083 Alla considerazione della grazia derivante dallo
straordinario, spetta in parte il vedere che uno de' mezzi più frequenti e
sicuri di piacere alle donne, è quello di trattarle con dispregio e motteggiarle
ec. Il che anche deriva da un certo contrasto ec. che forma il piccante. {+E ancora dall'amor proprio messo in
movimento, e renduto desideroso dell'amore e della stima di chi ti
dispregia, perch'ella ti pare più difficile, e quindi la brami di più ec. E
così accade anche agli uomini verso le donne o ritrose, o motteggianti
ec.}
(24. Maggio 1821.).
[2258,1] Altra somiglianza fra il mondo e le donne. Quanto
più sinceramente queste e quello si amano, quanto più si ha vera e forte
intenzione di giovar loro, e sacrificarsi per loro, tanto più bisogna esser
certi di non riuscire a nulla presso di essi. Odiarli, disprezzarli, trattarli
al solo fine de' proprii vantaggi e piaceri, questo è l'unico e indispensabil
mezzo di far qualche cosa nella galanteria, come in qualunque carriera
mõdana[mondana], con qualunque persona, o
società, in qualunque parte della vita, in qualunque scopo ec. ec. (18.
Dic. 1821.).
[2259,1] Per qual cagione le donne sono ordinariamente
maliziose, furbe, raggiratrici, ingannatrici, astute, impostore, e nella
galanteria, e nella devozione, e in tutto ciò che imprendono, e in qualunque
carriera si mettono? Perchè acquistano così presto e l'inclinazione e l'arte
d'ingannare, dissimulare, fingere, cogliere le occasioni ec. ec.? Perchè
l'astuzia di una donna di mediocre talento e pratica di mondo, vince bene spesso
l'arte e la furberia dell'uomo il più capace per natura e per esercizio?
Crediamo noi che l'ingegno delle donne sia naturalmente e meccanicamente
disposto ad amare, e facilmente acquistare queste qualità, a differenza dello
spirito degli uomini? Crediamo noi che queste facoltà (poichè sono pur facoltà)
sieno ingenerate nelle femmine più che ne' maschi, e proprie della
2260 natura donnesca? Non già. Lo spirito naturale e
primitivo delle donne, non ha nè vestigio alcuno di tali facoltà, nè
disposizione ad acquistarle, maggiore per nessun grado di quella che ne abbiano
gli uomini. Ma la facilità e la perfezione con cui esse le acquistano, non viene
da altra cagione che dalla loro natural debolezza, e inferiorità di forze a
quelle degli uomini, e dal non poter esse sperare se non dall'arte e
dall'astuzia essendo inferiori nella forza, ed inferiori ancora ne' diritti che
la legge e il costume comparte fra gli uomini e le donne. Questo è tutto ciò che
v'ha di naturale e d'innato nel carattere malizioso delle femmine: vale a dire
che nè questo carattere, nè alcuna particolar disposizione ad acquistarlo esiste
nella natura donnesca, ma solo una qualità, una circostanza che la proccura,
affatto estranea al talento, all'indole dello spirito, al meccanismo
dell'ingegno e dell'animo. Infatti ponete le donne in altre circostanze;
2261 vale a dire fate o ch'esse non sieno mai entrate a
dirittura in verun genere di società, massimamente cogli uomini, o che le leggi
{e i costumi} non sottopongano la loro condizione a
quella de' maschi (come accadeva primitivamente, e come accade forse anche oggi
in qualche paese barbaro), o che dette leggi e costumi le favoriscano alquanto
più, o le mettano anche al di sopra degli uomini (come so di un paese dov'elle
son tenute per esseri sacri), o che esse generalmente per qualche circostanza
(come si raccontava del paese delle amazzoni ec.), o individualmente sieno o
uguali o superiori agli uomini con cui trattano, per forze o corporali, o
intellettuali, naturali o acquisite, per ricchezze, per rango, per nascita ec.
ec. e troverete la loro arte ed astuzia o nulla, o poca, o non superiore o
inferiore ancora a quella degli uomini, almeno di quelli con cui hanno a fare; o
certo proporzionatamente, e secondo la qualità di dette circostanze, minore di
quella delle altre donne,
2262 poste nelle circostanze
contrarie, ancorchè meno ingegnose, e meno cattive ec. L'esperienza quotidiana
lo dimostra. Nè solo nelle donne, ma anche negli uomini, o deboli, o poveri,
{o brutti, o difettosi,} o non colti, o inferiori
per qualunque verso agli altri con cui trattano, come sono i cortigiani avvezzi
a trattare con superiori, e però sempre furbi, e ingannatori, e simulatori ec.
Nè solo degli uomini, ma delle nazioni intere (come quelle soggette al
dispotismo), delle città o provincie, delle famiglie, ec. lo dimostra la storia,
i viaggi ec. ec. E cambiate le circostanze e i tempi quella stessa nazione o
città o individuo maschio o femmina, perde, minora, acquista, accresce l'astuzia
e la doppiezza, che si credono proprie del loro carattere, quando si osservano
superficialmente. I selvaggi ordinariamente son doppi, impostori, finti verso
gli stranieri più forti di loro fisicamente o moralmente. Ed osservate che la
furberia è propria dell'ingegno. Ora ell'è spessissimo maggiore appunto in chi
ha svantaggio
2263 dagli altri per ingegno o coltura ed
esercizio di esso. {+(Così nelle donne in
genere, meno colte degli uomini, negl'individui maschi o femmine, plebei,
mal educati ec. ne' selvaggi rispetto ai civilizzati ec.)} Qual prova
maggiore e più chiara che l'ingegno complessivamente preso, e ciascuna sua
facoltà, non sono opera se non delle circostanze, quando si vede che la stessa
circostanza dell'aver poco ingegno, proccura ad esso ingegno una facoltà (tutta
propria di esso), che maggiori ingegni non hanno, o in minor grado? (19.
Dic. 1821.).
[2481,2] Grazia dal contrasto. La medesima insipidezza o del
carattere, o delle maniere, o de' discorsi, o degli scherzi, sentimenti ec. in
una persona bella, fa molte volte effetto, ed è un charme tanto nelle donne rispetto agli uomini, come viceversa. La
stessa rozzezza, o una certa poca delicatezza di modi ec. è spesse volte e per
molti graziosa e attraente in una persona di forme delicate ec. (17.
Giugno. 1822.).
[3281,1] Da' quali pensieri si dee raccogliere questo
corollario, che le donne essendo per natura più deboli di corpo e d'animo, e
quindi più timide, e più bisognose dell'opera altrui che gli uomini non sono,
sono anche generalmente e naturalmente meno degli uomini inclinate alla
compassione e alla beneficenza, non altrimenti ch'elle, per universale consenso,
sieno generalmente e regolarmente meno schiette degli uomini, più proclivi alla
menzogna e all'inganno, più feconde di frodi, più simulatrici, più finte; tutte
qualità, con molte altre analoghe (che nelle donne generalmente si osservano),
derivanti per natura {+niente più, niente
meno che la sopraddetta,} dalla debolezza d'animo e di corpo, e
dall'insufficienza {+delle proprie forze,
de' propri mezzi e} di se stesso a se stesso. E si può concludere che
le donne sono, generalmente parlando, più egoiste degli uomini, o più portate
all'egoismo per natura (sebbene le circostanze {sociali,} che spesso rovesciano la natura, e fanno
3282 talora le donne, anche prima che abbiano formato il loro
carattere, signore degli uomini, {+oggetti delle lor cure spontanee, de' loro omaggi, suppliche ec.
ec.,} possano {ben} render vana questa
disposizione), e naturalmente si troverà un maggior numero di donne egoiste che
non d'uomini. {+Così le
nazioni e i secoli più infelici, tiranneggiati ec. si vede costantemente
che furono e sono i più egoisti ec. ec.}
(26-27. Agos. 1823.). {{V. p. 3291.
3361.}}
[3291,1]
Alla p. 3282.
Bisogna distinguere tra egoismo e amor proprio. Il primo non è che una specie
del secondo. L'egoismo è quando l'uomo ripone il suo amor proprio in non pensare
{che} a se stesso, non operare che per se stesso
immediatamente, rigettando l'operare per altrui con intenzione lontana e non ben
distinta dall'operante, ma reale, saldissima e continua, d'indirizzare quelle
medesime operazioni a se stesso come ad ultimo ed unico vero fine, {+il che l'amor proprio può ben fare, e
fa.} Ho detto altrove p. 1382
pp. 2410-12
pp. 2736-38
pp.
2752-55 che l'amor proprio è tanto maggiore nell'uomo quanto in esso è
maggiore la vita o la vitalità, e questa è tanto maggiore quanto è maggiore la
forza {+e l'attività dell'animo, e del
corpo ancora.} Ma questo, ch'è verissimo dell'amor proprio, non è nè
si deve intendere dell'egoismo. Altrimenti i vecchi, i moderni, gli uomini poco
sensibili e poco immaginosi sarebbero meno egoisti dei {fanciulli e dei} giovani, degli antichi, degli uomini sensibili e di
forte immaginazione.
3292 Il che si trova essere
appunto in contrario. Ma non già quanto all'amor proprio. Perocchè l'amor
proprio è veramente maggiore assai ne' fanciulli e ne' giovani che ne' maturi e
ne' vecchi, maggiore negli uomini sensibili e immaginosi che ne' torpidi. {Che l'amor proprio sia maggiore ne'
fanciulli e ne' giovani che nell'altre età, segno n'è quella infinita e
sensibilissima tenerezza verso se stessi, e quella suscettibilità e
sensibilità e delicatezza intorno a se medesimi che coll'andar degli anni e
coll'uso della vita proporzionatamente si scema, e in fine si suol
perdere.} I fanciulli, i giovani, gli uomini sensibili sono assai più
teneri di se stessi che nol sono i loro contrarii. Così generalmente furono gli
antichi rispetto ai moderni, e i selvaggi rispetto ai civili, perchè più forti
di corpo, più forti ed attivi e vivaci d'animo e d'immaginazione (sì per le
circostanze fisiche, sì per le morali), meno disingannati, e insomma
maggiormente e più intensamente viventi. {Nella stessa guisa discorrasi dei deboli rispetto ai forti e simili.}
(Dal che seguirebbe che gli antichi fossero stati più infelici generalmente de'
moderni, secondo che la infelicità è in proporzion diretta del maggiore amor
proprio, come altrove ho mostrato: p. 1382
pp. 2410-11
pp. 2752-55
pp. 2736-37
pp.
2495-96
p. 2754 ma l'occupazione {e l'uso} delle proprie forze, la distrazione e simili
cose, essendo state infinitamente maggiori in antico che oggidì; e il maggior
grado di vita esteriore essendo stato anticamente più che in
3293 proporzione del maggior grado di vita interiore, resta, come ho
in mille luoghi provato, che gli antichi fossero anzi mille volte meno infelici
de' moderni: e similmente ragionisi de' selvaggi e de' civili: non così de'
giovani e de' vecchi oggidì, perchè a' giovani presentemente è interdetto il
sufficiente uso delle proprie forze, e la vita esterna, della quale tanto ha
quasi il vecchio oggidì quanto il giovane; per la quale e per l'altre cagioni da
me in più luoghi accennate, maggiore presentemente è l'infelicità del giovane
che del vecchio, come pure altrove ho conchiuso pp. 277-80
pp. 2736-38
pp.
2752-55).
[3301,1] Come l'uomo sia quasi tutto opera delle circostanze
e degli accidenti: quanto poco abbia fatto in lui la natura: quante di quelle
medesime qualità che in lui più naturali si credono, anzi di quelle ancora che
non d'altronde mai si credono poter derivare che dalla natura, nè per niun modo
acquistarsi, e necessariamente in lui svilupparsi e comparire, non altro sieno
in effetto che acquisite, e {tali che} nell'uomo posto
in diverse circostanze, non mai si sarebbero sviluppate, nè sarebbero comparse,
nè per niun modo esistite: come la natura non ponga quasi
3302 nell'uomo altro che disposizioni, ond'egli possa essere tale o
tale, ma niuna o quasi niuna qualità ponga in lui; di modo che l'individuo non
sia mai tale quale egli è, per natura, ma solo per natura possa esser tale, e
ciò ben sovente in maniera che, secondo natura, tale ei non dovrebb'essere, anzi
pur tutto l'opposto: come insomma l'individuo divenga (e non nasca) quasi tutto
ciò ch'egli è, qualunque egli sia, cioè sia divenuto. Qual cosa pare più
naturale, più inartifiziale, {più spontanea,} meno
fattizia, più ingenita, meno acquistabile, più indipendente e più disgiunta
dalle circostanze e dagli accidenti, che quel tal genere di sensibilità con cui
l'uomo suol riguardare la donna, e la donna l'uomo, ed essere trasportato l'uno
verso l'altra; quel tal genere, dico, di affetti e di sentimenti che l'uomo, e
massimamente il giovane nella prima età, senz'ombra di artifizio, senza
intervento di volontà, anzi tanto più quanto egli è più giovane, più semplice ed
inesperto, e quanto meno il suo carattere
3303 è stato
modificato e influito dall'uso del mondo e dalla conversazione degli uomini e
pratica della società, suol provare alla vista {+o al pensiero} di donne giovani e belle, o nel
trattenersi seco loro; e così le donne giovani cogli uomini giovani e belli?
quel tressaillement, quell'emozione,
quell'ondeggiamento e confusione di pensieri e di sentimenti tanto più
indistinti e indefinibili quanto più vivi, che parte par che abbiano del
materiale, parte dello spirituale, ma molto più di questo, in modo che par
ch'egli appartengano interamente allo spirito, anzi alla più alta e più pura e
più intima parte di esso? Or questo genere di sentimenti e di affetti e di
pensieri, questa qualità del giovane, cioè questa tale sensibilità, e la facoltà
ed abito di provare questi siffatti sentimenti, non è per niun modo naturale nè
innata, ma acquisita, ossia prodotta di pianta dalle circostanze, e tale che se
queste non fossero state, l'uomo neppur conoscerebbe nè potrebbe pur concepire
questa qualità, nè anche sospettare d'esserne capace.
3304 Il genere umano naturalmente è nudo, e, seguendo la natura,
almeno in molte parti del globo, egli non avrebbe mai fatto uso de' vestimenti,
siccome le vesti sono affatto ignote p. e. ai Californii. {Nè
l'uomo nè} il giovane non avrebbe mai veduto {nè
immaginato} nelle donne (e così la donna negli uomini) nulla di
nascosto. E nulla vedendo di nascosto, {{nè}}
{potendo desiderare o sperar di vedere,} e ben
conoscendo fin dal principio la nudità {e la forma}
dell'altro sesso, egli non avrebbe mai provato per la donna altro affetto, altro
sentimento, altro desiderio, che quello che per le {lor} femmine provano gli altri animali; nè avrebbe concepito intorno
a lei altro pensiero che quello di mescersi seco lei carnalmente; nè l'aspetto o
il pensiero o la compagnia della donna avrebbe in lui cagionato, neppur nella
primissima gioventù, verun altro effetto che un desiderio il più puramente e
semplicemente sensuale che possa mai dirsi, {un impeto a
soddisfare tal desiderio,} ed un piacere (molto languido in se stesso
per l'abitudine {+e l'assuefazione}
incominciata sin dalla nascita, e sempre continuata) altrettanto carnale {che quel desiderio,} e interamente, unicamente
3305 e manifestissimamente materiale, cioè appartenente
e derivante dalla sola materia e dal senso, nè più nè meno che quel piacere che
in lui avrebbe prodotto la vista di un color rosso bello e vivo o altra tal
sensazione; se non solamente che quel diletto sarebbe stato per natura maggiore
di questi; siccome tra gli altri diletti, {o}
naturalmente {{o per circostanze,}} qual è maggiore qual
è minore, non in se, ma rispetto agli uomini e agli animali, insomma agli esseri
che li provano, e ne' quali essi diletti nascono ed hanno l'essere.
[3553,2] Ho notato altrove p. 108 che la
debolezza per se stessa è cosa amabile, quando non ripugni alla natura del
subbietto in ch'ella si trova, o piuttosto al modo in che noi siamo soliti di
vedere e considerare la rispettiva specie di subbietti; o ripugnando, non
distrugga però la sostanza d'essa natura, e non ripugni più che tanto:
3554 insomma quando o convenga al subbietto, secondo
l'idea che noi della perfezione di questo ci formiamo, e concordi colle {altre} qualità d'esso subbietto, secondo la stessa idea
{+(come ne' fanciulli e nelle
donne);} o non convenendo, nè concordando, non distrugga però
l'aspetto della convenienza nella nostra idea, ma resti dentro i termini di
quella sconvenienza che si chiama grazia (secondo la mia teoria della grazia), come può esser negli
uomini, o nelle donne in caso ch'ecceda la proporzione ordinaria, ec. Ora
l'esser la debolezza per se stessa, e s'altro fuor di lei non si oppone,
naturalmente amabile, è una squisita provvidenza della natura, la quale avendo
posto in ciascuna creatura l'amor proprio in cima d'ogni altra disposizione, ed
essendo, come altrove ho mostrato pp. 872. sgg. , una necessaria e propria conseguenza
dell'amor proprio in ciascuna creatura l'odio dell'altre, ne seguirebbe che le
creature deboli fossero troppo sovente la vittima delle forti. Ma la debolezza
essendo naturalmente amabile e dilettevole altrui per se stessa, fa che altri
ami il subbietto in ch'ella si trova, e l'ami per amor proprio, cioè perchè da
esso riceve diletto. {La debolezza
ordinariamente piace ed è amabile e bella nel bello. Nondimeno può piacere
ed esser bella ed amabile anche nel brutto, non in quanto nel brutto, ma in
quanto debolezza, (e talor lo è) purch'essa medesima non sia {la} cagione della bruttezza nè in tutto nè in
parte.} Senza ciò i fanciulli,
3555 massime
dove non vi fossero leggi sociali che tenessero a freno il naturale egoismo
degl'individui, sarebbero tuttogiorno écrasés dagli
adulti, le donne dagli uomini, e così discorrendo. Laddove anche il selvaggio
mirando un fanciullo prova un certo piacere, e {quindi}
un certo amore; e così l'uomo civile non ha bisogno delle leggi per contenersi
di por le mani addosso a un fanciullo, benchè i fanciulli sieno per natura
esigenti ed incomodi, ed in quanto sono (altresì per natura) apertissimamente
egoisti, offendano l'egoismo degli altri più che non fanno gli adulti, e quindi
siano per questa parte naturalmente odiosissimi (sì a coetanei, sì agli altri).
Ma il fanciullo è difeso {per se stesso} dall'aspetto
della sua debolezza, che reca un certo piacere a mirarla, e quindi ispira
naturalmente (parlando in genere) un certo amore verso di lui, perchè l'amor
proprio degli altri trova in lui del piacere. E ciò, non ostante che la stessa
sua debolezza, rendendolo assai bisognoso degli altri, sia cagione essa medesima
di noia e di pena agli altri, che debbono provvedere in qualche modo a' suoi
bisogni, e lo renda per natura molto esigente ec. Similmente discorrasi
3556 delle donne, nelle quali indipendentemente
dall'altre qualità, la stessa debolezza è amabile perchè reca piacere ec. Così
di certi animaletti o animali (come la pecora, {i cagnuolini,
gli agnelli,} gli uccellini ec. ec.) in cui l'aspetto della lor
debolezza rispettivamente a noi, in luogo d'invitarci ad opprimerli, ci porta a
risparmiarli, a curarli, ad amarli, perchè ci riesce piacevole. {ec.} E si può osservare che tale ella riesce anche ad
altri animali di specie diversa, che perciò gli risparmiano e mostrano talora di
compiacersene e di amarli ec. Così i piccoli degli animali non deboli quando son
maturi, sono risparmiati ec. dagli animali maturi della stessa specie (ancorchè
non sieno lor genitori), ed eziandio d'altre specie (eccetto se non ci hanno
qualche nimicizia naturale, o se per natura non sono portati a farsene cibo
ec.); ed apparisce in essi animali una certa o amorevolezza o compiacenza verso
questi piccoli. Similmente negli uomini verso i piccoli degli animali che
cresciuti non son deboli. E di questa compiacenza non n'è solamente cagione la
piccolezza per se (ch'è sorgente di grazia, come ho detto altrove), p.
200
pp.
1880-81
{#1. nè la sola sveltezza che in questi
piccoli suole apparire (siccome ancora nelle specie piccole di animali) e
che è cagion di piacere per la vitalità che manifesta e la vivacità ec.
secondo il detto altrove p. 221
pp. 1716-17
p. 1999
pp. 2336-37 da me
sull'amor della vita, onde segue quello del vivo ec.} ma v'ha la
3557 sua parte eziandio la debolezza. (29-30.
Sett. 1823.). {{V. p. 3765.}}
[3898,1]
Alla p. 3513.
Come le donne naturalmente e generalmente parlando (e basta all'effetto, che
così sia per natura) vivono {alquanto} meno degli
uomini, o son destinate ad uno spazio di vita alquanto più breve, ed infatti il
loro sviluppo, e la decadenza ed estinzione delle loro facoltà e della
giovanezza loro, è certamente più pronto, e la loro carriera fisica generalmente
più rapida; così è ben verisimile che le date quantità di tempo, ad esse paiano
alquanto maggiori che agli uomini, secondo la piccola proporzione che risulta
dal poco svantaggio di lunghezza che ha la lor vita naturalmente dalla nostra;
la qual differenza e proporzione essendo assai piccola, non è maraviglia se il
detto effetto non si nota,
3899 e se riesce
impercettibile, essendo quasi menomo ec. Forse anche simili differenze
impercettibili si potrebbero supporre tra diversi individui di uno stesso sesso,
nazione ec. come derivanti e proporzionate a certe relative differenze fisiche o
morali, ec. che si potrebbe forse notare a questo proposito, e come {atte a} cagionare detto effetto ec. ec. (22. Nov.
1823.).
[3925,1] Del resto egli è ben vero, come ho detto, che la
forza del corpo rende il vivente più materiale, e gl'impedisce o indebolisce
l'azione {+e la passione} interna,
e quindi scema, propriamente parlando, la vita. Ond'è che, generalmente
parlando, quanto nel vivente è maggiore la forza e l'operazione e passione e
sensazione del corpo particolarmente detto (sia per natura, o per abito, o per
atto), tanto è minore la vita, l'azione e la passione dello spirito, cioè la
vita propriamente detta. Ma questo si deve intendere, posta una parità di
circostanze nel rimanente. Voglio dire, se il leone ha più forza di corpo che il
polipo, non per questo egli è men vivo del polipo. Perocchè egli è nel tempo
stesso assai più organizzato del polipo, e quindi ha molto più vita. Onde tanto
sarebbe falso il conchiudere dalla sua maggior forza corporale che egli abbia
più vita, e quindi sia più infelice, del polipo, quanto il conchiuderne ch'ei
sia più infelice dell'uomo, come si dovrebbe conchiudere se la vita si avesse a
misurare dalla forza comunque, o dalla forza estrinseca (nel che il leone passa
l'uomo d'assai) e non dalla organizzazione
3926 ec. in
cui l'uomo è molto superiore al leone. Se la donna è di corpo più debole
dell'uomo, e la femina del maschio, non ne segue che generalmente e naturalmente
la donna e la femmina abbia più vita, e sia più infelice del maschio.
Converrebbe prima affermare che di spirito la femmina sia o più o altrettanto
forte, cioè viva ec., che il maschio; ed accertarsi o mostrare in qualunque
modo, che al minor grado della sua forza corporale rispetto al maschio non
risponda generalmente nel suo spirito una certa qualità di organizzazione un
certo minor grado di delicatezza ec. ec. da cui risulti che generalmente e
naturalmente lo spirito della femmina sia minore, men vivo, che la femmina abbia
men vita interna, e quindi propriamente men vita, del maschio, con un certo e
proporzionato ragguaglio al minor grado di forza corporale che ha la femmina
rispetto al maschio. Io credo onninamente che sia così {#1. e che il maschio in somma viva propriamente (per
natura e in generale) più che la femmina.} ed è ben ragione ec. {#2. V. p. 3938.} Similmente discorrasi delle nazioni,
degl'individui, {+e de' vari stati di un
medesimo individuo} avendo riguardo alle lor varie nature, {caratteri}
{ed} abiti sì quanto al corpo sì quanto allo spirito
{+v. p. 3932.}
la[le] quali disparità, e quelle de' loro gradi,
e le diverse combinazioni di questi e di quelle producono in questo nostro
proposito, come, si può dire, in ogni altra cosa, (e in tutta la natura {+e in tutte le parti di lei}
similmente accade), infinite e grandissime diversità di risultati. Tutti i quali
però, benchè impossibile sia lo specificarli e spiegarli a uno a uno, e benchè,
stante la moltiplicità {+e
sfuggevolezza} delle cause che contribuiscono a modificarli in questa
e questa e questa forma (una delle quali che mancasse, o non fosse appunto tale
e tale, o in quel tal grado, o in quella proporzione coll'altre, o
3927 così combinata ec., il risultato non sarebbe
quello) sieno anche bene spesso difficilissimi a spiegarsi, e a rivocarsi ai
principii, ed a conoscerne il rapporto e somiglianza cogli altri risultati, chi
non sia abilissimo, acutissimo e industriosissimo nel considerarli; nondimeno in
sostanza corrispondono ai principii da me esposti, e non se gli debbono riputare
contrarii, come non dubito che potranno parere mille di loro e in mille casi,
alla prima vista, ed anche dopo un accurato, ma non idoneo nè giusto nè
sufficiente esame. Bisogna aver molta pratica ed abilità ed abitudine di
applicare i principii generali agli effetti anche più particolari e lontani, e
di scoprire e conoscere e d'investigare i rapporti anche più astrusi e riposti e
più remoti. Questa protesta intendo di fare generalmente per tutti gli altri
principii e parti del mio sistema sulla natura. {{V. p.
3936.
3977.}}
[3955,1] Grazia dal contrasto. Parolacce in bocca di donne o
di forme e maniere maschili, o gentili e delicate ec. Parole, {discorsi,} modi, atti, pensieri ec. tiranti al maschile,
{assennati, dotti ec.} in donne di forme ec.
maschili o all'opposto ec. S'intende di donne avvenenti ec. {+e che la maschilità non passi i termini del grazioso
nello sconveniente ec. V. p.
3961.}
(8. Dec. Festa della Concezione. 1823.).
[4092,1]
4092
Alla p. 4064.
Da questo ragionamento segue che la maggior parte degli altri animali (poichè la
vita naturale dell'uomo è delle più lunghe, e il suo sviluppo corporale è de'
più tardi) sono anche per questa parte naturalmente più felici di noi, tanto più
quanto il loro sviluppo è più rapido, al che corrisponde in ragion diretta la
brevità della vita, perchè il Buffon
osserva ch'ella è tanto più breve quanto più rapida è la vegetazione
dell'animale (s'intende del genere, e spesso anche degl'individui rispetto al
genere) l'accrescimento del suo corpo e facoltà, le sue funzioni animali per
conseguenza, e il giungere allo stato di perfezione e maturità; {e viceversa.}
{Similmente discorrasi delle donne, in
proporzione ec.} Questo si osserva per lo meno in quasi tutti i generi
{+anche vegetali.}
(Buffon, nel capitolo, se non erro, della Vecchiezza). Ond'è che p. e. i cavalli e poi di
mano in mano gli altri di sviluppo più rapido, sino a quegl'insetti che non
vivono più d'un giorno, (v. il mio Dial. d'un Fisico e di un Metafisico)
sieno tutti di mano in mano più e più disposti naturalmente alla felicità che
non è l'uomo, non ostante che la brevità della vita loro sia nella stessa
proporzione; la qual brevità o lunghezza non aggiunge e non toglie nè cangia un
apice nella felicità d'alcun genere di animali (nè anche negl'individui), come
ho dimostrato nel Dial. succitato e nel pensiero a cui questo si
riferisce. (21. Maggio. 1824.).
[4293,2] Se fosse possibile che io m'innamorassi, ciò
potrebbe accadere piuttosto con una straniera che con un'italiana. Quel tanto o
di nuovo o d'ignoto che v'ha ne' costumi, nel modo di pensare, nelle
inclinazioni, nei gusti, nelle maniere esteriori, {nella
lingua} di una straniera, è molto a proposito per far nascere o per
mantenere in un amante quella immaginazion di mistero, quella opinione di vedere
e di conoscere nella persona amata assai meno di quello che essa nasconde in se
stessa, di quel ch'ella è, quella idea di profondità, di animo recondito e
segreto, ch'è il primo e necessario fondamento dell'amor più che sensuale. Oltre
alla grazia che accompagna naturalmente ciò ch'è straniero, come straordinario.
(Firenze. 21. Sett. 1827.).
[4294,5] persone la cui compagnia {e
conversazione} ci piaccia durevolmente, e si usi volentieri con
4295 frequenza e lunghezza, non sono in sostanza, e non
possono essere altre che quelle dalle quali giudichiamo che vaglia la pena di
sforzarci e adoperarci d'essere stimate, e stimate ogni giorno più. Perciò la
compagnia {e conversazione} delle donne non può esser
durevolmente piacevole, se esse non sono o non si rendono tali da rendere
durevolmente pregiabile e desiderabile la loro stima.
(Firenze. Domenica 14. Ottobre.
1827.). {{
Fin qui si stende l'Indice di questo zibaldone di
Pensieri
cominciato agli 11 Luglio, e finito ai 14 ottobre del 1827. in Firenze.}}
Fin qui si stende l'Indice di questo zibaldone di
Pensieri
cominciato agli 11 Luglio, e finito ai 14 ottobre del 1827. in Firenze.}}
[4144,3] Si sa quanto poco fossero considerate le donne
presso i Greci e i Romani, e come il servirle e trattarle quasi superiori agli
uomini, come si fa oggi, non avesse origine, secondo il Thomas (Essai sur les
femmes), se non {nei tempi cavallereschi}
dai costumi dei settentrionali conquistatori di europa, i
quali avevano un'antica loro superstizione che riguardava le donne come tante
deità. Nondimeno pare che a tempo degl'Imperatori romani la condizione delle
donne fosse già molto simile alla presente. Lascio le odi di Orazio e i libri di Ovidio, Tibullo, Properzio ec. Epitteto
Enchirid. cap. 62. Aἱ
γυναῖκες εὐϑὺς ἀπὸ τεσσαρεσκαίδεκα ἐτῶν ὑπὸ τῶν ἀνδρῶν κυρίαι καλοῦνται.
τοιγαροῦν ὁρῶσαι ὅτι ἄλλο μὲν οὐδὲν αὐταῖς πρόσεστι, μόνον δὲ
συγκοιμᾶσϑαι τοῖς ἀνδράσιν, ἄρχονται καλλωπίζεσϑαι καὶ ἐν τούτῳ πάσας
ἔχειν τὰς ἐλπίδας.
*
Dove trovo nelle note: V. Serv. ad. Virg.
Æn. 6. 397.
Suet. in
Claud. c. 39.
*
(Bologna. 1825. 10. Ottobre.). {{V. p. 4246.}}
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