27. Nov. 1823.
[3921,1]
3921 Dico altrove in più luoghi p. 1382
pp. 2410-14
pp. 2736-39
pp.
3291. sgg.
pp. 3835-36
p.
3906 che gli uomini e i viventi più forti o per età o per complessione
{o per clima} o per qualunque causa, abitualmente o
attualmente o comunque, avendo più vita ec. hanno anche più amor proprio ec. e
quindi sono più infelici. Ciò è vero per una parte. Ma essi sono anche tanto più
capaci e di azion viva ed esterna, e di piaceri {forti
e} vivi. Quindi tanto più capaci di viva distrazione ed occupazione, e
di poter fortemente divertire l'operazione {interna}
dell'amor proprio e del desiderio di felicità sopra loro stessi e sul loro
animo. La qual potenza ridotta in atto è uno de' principalissimi mezzi, anzi
forse il principal mezzo di felicità o di minore infelicità conceduto ai
viventi. (Io considero quelli che si chiamano piaceri come utili e conducenti
alla felicità, solo in quanto distrazioni forti, e vivi divertimenti dell'amor
proprio, (chè infatti essi non sono utili in altro modo) e tanto più forti
distrazioni, quanto più vivi e forti sono essi piaceri, così chiamati, e
maggiore il loro essere di piacere, e la sensazion loro più viva. I deboli sono
incapaci di piaceri forti, o solo di rado e poco frequenti, e men forti sempre
che non ne provano i vigorosi, perchè la lor natura non ha la facoltà o di
sentire più che tanto vivamente, o di sentire piacevolmente quando le sensazioni
sieno più che tanto vive.) Se l'uomo forte in qualunque modo, è privo, per
qualunque cagione, di piaceri, o di piaceri abbastanza forti, e di sensazioni
vive, e di poter mettere in opera la sua facoltà di azione, o di metterla in
opera più che il debole, egli è veramente più infelice che il debole, e soffre
3922 di più. Perciò, fra le altre cose, nel
presente stato delle nazioni e quanto alla sua natura, i giovani sono
generalmente più infelici dei vecchi, e questo stato è più conveniente e buono
alla vecchiezza che alla giovanezza. L'uomo forte è meno infelice del debole in
uguali dispiaceri e dolori; più infelice s'egli è privo di piaceri, o di piaceri
più vivi {e frequenti} che non son quelli del debole.
Egli {è} più atto a soffrire, e meno atto a non godere;
o vogliamo dire men disadatto all'uno, e più disadatto all'altro.
[3922,1] Ma oltre di tutto ciò, bisogna accuratamente
distinguere la forza dell'animo dalla forza del corpo. L'amor proprio risiede
nell'animo. L'uomo è tanto più infelice generalmente, quanto è più forte e viva
in lui quella parte che si chiama animo. Che la parte detta corporale sia più
forte, ciò per se medesimo non fa ch'egli sia più infelice, nè accresce il suo
amor proprio, se non in quanto il maggiore o minor vigore del corpo è per certe
parti {+e rispetti, e in certi
modi,} legato e corrispondente e proporzionato a quello della parte
chiamata animo. Ma nel totale e sotto il più de' rispetti, tanto è lungi che la
maggior forza del corpo sia cagione di maggiore amor proprio e infelicità, che
anzi questa e quello sono {naturalmente} in ragione
inversa della forza propriamente corporale, sia abituale sia passeggera. L'amor
proprio e quindi l'infelicità sono in proporzione diretta del sentimento della
vita. Ora accade, generalmente e naturalmente parlando, che ne' più forti di
corpo la vita sia bensì maggiore, ma il sentimento della vita minore, e tanto
minore quanto maggiore si è e la somma della vita e la forza. Ne' più deboli
{di corpo} viceversa. O volendoci esprimere in
altro modo, e forse più chiaramente, ne' più forti
3923
di corpo la vita esterna e{è} maggiore, ma l'interna è
minore; e al contrario ne' più deboli di corpo. Infatti è cosa osservata che
generalmente, naturalmente, e in parità di altre circostanze, le nazioni e
gl'individui più deboli di corpo sono più disposti e meno impediti a pensare,
riflettere, ragionare, immaginare, che non sono i più forti; e un individuo
medesimo lo è più in uno stato e tempo di debolezza corporale o di minor forza,
che in istato di forza corporale, o di forza maggiore. Gli uomini sensibili, di
cuore, di fantasia; insomma di animo mobile, suscettibile, e più vivo in una
parola che gli altri, sono delicati e deboli di complessione, e ciò così
ordinariamente, che il contrario, cioè molta e straordinaria sensibilità ec. in
un corpo forte, sarebbe un fenomeno. {#2.
V. p. 3945.} La vita
è il sentimento dell'esistenza. Questo è tutto in quella parte dell'uomo, che
noi chiamiamo spirituale. Dunque la maggiore o minor vita, e quindi amor proprio
e infelicità, si dee misurare dalla maggior forza non del corpo ma dello
spirito. E la maggior forza dello spirito consiste nella maggior delicatezza,
finezza ec. degli organi che servono alle funzioni spirituali. Delicatezza
d'organi difficilmente si trova in una complessione non delicata; e viceversa
ec. La delicatezza del fisico interno corrisponde naturalmente ed è accompagnata
da quella dell'esterno. Di più la forza del corpo rende l'uomo più materiale, e
quindi propriamente parlando, men vivo, perchè la vita, cioè il sentimento
dell'esistenza, è nello spirito e dello spirito. {+Così le passioni ed azioni, le sensazioni e piaceri
{ec.} materiali, tanto più quanto sono più
forti; {#1. (rispettivamente alla
capacità ed agli abiti fisici e morali, ec. dell'individuo)}; le
attuali attualmente, le abituali abitualmente.} Le sensazioni
materiali in un corpo forte, o in un individuo che per esercizio o per altra
3924 cagione ha acquistato maggior forza corporale
ch'ei non aveva per natura, o in un corpo debole che si trovi in passeggero
stato di straordinaria forza, sono più forti, ma non perciò veramente più vive,
anzi meno perchè più tengono del materiale, e la materia (cioè quella parte
delle cose e dell'uomo che noi più peculiarmente chiamiamo materia) non vive, e
il materiale non può esser vivo, e non ha che far colla vita, ma solo colla
esistenza, la quale considerata senza vita, non è capace nè di amor proprio nè
d'infelicità. Così la materia non è capace di vita, e una cosa, un'azione, una
sensazione ec. quanto è più materiale, tanto è men viva. Insomma ciascuna specie
di viventi rispetto all'altre, ciascuno individuo rispetto a' suoi simili,
ciascuna nazione rispetto all'altre, ciascuno stato dell'individuo sia naturale,
sia abituale, sia attuale e passeggero, rispetto agli altri suoi stati, quanto
ha più del materiale, e meno dello spirituale, tanto è, propriamente parlando,
men vivo, tanto meno partecipa della vita e per quantità e per intensità e
grado, tanto ha minor somma e forza di amor proprio, e tanto è meno infelice.
Quindi tra' viventi le specie meno organizzate, avendo un'esistenza più
materiale, e meno di vita propriamente detta, sono meno infelici. Tra le nazioni
{umane} le settentrionali, più forti di corpo, men
vive di spirito, sono meno infelici delle meridionali. Tra gl'individui umani i
più forti di corpo, men delicati di spirito, sono meno infelici. Tra' vari stati
degl'individui, quello p. e. di ebbrietà, benchè più vivo quanto al corpo,
essendo però men vivo quanto
3925 allo spirito (che in
quel tempo è obruto dalla materia, e le
sensazioni spirituali dalle materiali, e le azioni stesse dello spirito, {{benchè più forti ec,}} hanno allora più del materiale
che all'ordinario), e quindi la vita essendo allora più materiale, e quindi
propriamente men vita (come in tempo di sonno o letargo, benchè questo sia
inerte, e l'ebbrietà più svegliata ancora e più attiva talvolta che lo stato sobrio), è meno infelice.
[3925,1] Del resto egli è ben vero, come ho detto, che la
forza del corpo rende il vivente più materiale, e gl'impedisce o indebolisce
l'azione {+e la passione} interna,
e quindi scema, propriamente parlando, la vita. Ond'è che, generalmente
parlando, quanto nel vivente è maggiore la forza e l'operazione e passione e
sensazione del corpo particolarmente detto (sia per natura, o per abito, o per
atto), tanto è minore la vita, l'azione e la passione dello spirito, cioè la
vita propriamente detta. Ma questo si deve intendere, posta una parità di
circostanze nel rimanente. Voglio dire, se il leone ha più forza di corpo che il
polipo, non per questo egli è men vivo del polipo. Perocchè egli è nel tempo
stesso assai più organizzato del polipo, e quindi ha molto più vita. Onde tanto
sarebbe falso il conchiudere dalla sua maggior forza corporale che egli abbia
più vita, e quindi sia più infelice, del polipo, quanto il conchiuderne ch'ei
sia più infelice dell'uomo, come si dovrebbe conchiudere se la vita si avesse a
misurare dalla forza comunque, o dalla forza estrinseca (nel che il leone passa
l'uomo d'assai) e non dalla organizzazione
3926 ec. in
cui l'uomo è molto superiore al leone. Se la donna è di corpo più debole
dell'uomo, e la femina del maschio, non ne segue che generalmente e naturalmente
la donna e la femmina abbia più vita, e sia più infelice del maschio.
Converrebbe prima affermare che di spirito la femmina sia o più o altrettanto
forte, cioè viva ec., che il maschio; ed accertarsi o mostrare in qualunque
modo, che al minor grado della sua forza corporale rispetto al maschio non
risponda generalmente nel suo spirito una certa qualità di organizzazione un
certo minor grado di delicatezza ec. ec. da cui risulti che generalmente e
naturalmente lo spirito della femmina sia minore, men vivo, che la femmina abbia
men vita interna, e quindi propriamente men vita, del maschio, con un certo e
proporzionato ragguaglio al minor grado di forza corporale che ha la femmina
rispetto al maschio. Io credo onninamente che sia così {#1. e che il maschio in somma viva propriamente (per
natura e in generale) più che la femmina.} ed è ben ragione ec. {#2. V. p. 3938.} Similmente discorrasi delle nazioni,
degl'individui, {+e de' vari stati di un
medesimo individuo} avendo riguardo alle lor varie nature, {caratteri}
{ed} abiti sì quanto al corpo sì quanto allo spirito
{+v. p. 3932.}
la[le] quali disparità, e quelle de' loro gradi,
e le diverse combinazioni di questi e di quelle producono in questo nostro
proposito, come, si può dire, in ogni altra cosa, (e in tutta la natura {+e in tutte le parti di lei}
similmente accade), infinite e grandissime diversità di risultati. Tutti i quali
però, benchè impossibile sia lo specificarli e spiegarli a uno a uno, e benchè,
stante la moltiplicità {+e
sfuggevolezza} delle cause che contribuiscono a modificarli in questa
e questa e questa forma (una delle quali che mancasse, o non fosse appunto tale
e tale, o in quel tal grado, o in quella proporzione coll'altre, o
3927 così combinata ec., il risultato non sarebbe
quello) sieno anche bene spesso difficilissimi a spiegarsi, e a rivocarsi ai
principii, ed a conoscerne il rapporto e somiglianza cogli altri risultati, chi
non sia abilissimo, acutissimo e industriosissimo nel considerarli; nondimeno in
sostanza corrispondono ai principii da me esposti, e non se gli debbono riputare
contrarii, come non dubito che potranno parere mille di loro e in mille casi,
alla prima vista, ed anche dopo un accurato, ma non idoneo nè giusto nè
sufficiente esame. Bisogna aver molta pratica ed abilità ed abitudine di
applicare i principii generali agli effetti anche più particolari e lontani, e
di scoprire e conoscere e d'investigare i rapporti anche più astrusi e riposti e
più remoti. Questa protesta intendo di fare generalmente per tutti gli altri
principii e parti del mio sistema sulla natura. {{V. p.
3936.
3977.}}
[3927,1] L'esistenza può esser maggiore senza che lo sia la
vita. L'esistenza del leone può dirsi maggiore di quella dell'uomo. La vita al
contrario. L'esistenza {insieme} e la vita del leone è
maggiore rispetto all'ostrica, alla testuggine, alla lumaca, al giumento, al
polipo. La vita del leone è maggiore che non è quella delle piante anche più
grandi, de' globi celesti ec. L'esistenza al contrario.
[3927,2] Vedi al proposito di questo pensiero le pagg. 3905-6. (27. Nov.
1823.). {{e la p. 3929. lin. 11.
12.}}