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8. Maggio. 1822.

[2429,2]  Che società, che amicizia, che commercio potresti tu avere con un cieco e sordo, o egli con te?  2430 Al quale nè coi gesti nè colle parole potresti communicare alcuno de' tuoi sentimenti, nè egli a te i suoi? e per conseguenza qual comunione di spirito, cioè di vita e di sentimento potresti aver seco lui? qual sentimento di te penseresti d'aver destato, o di poter mai destare nell'animo suo? E nondimeno tu sai pur ch'egli vive, ed oltracciò di vita umana e d'un genere medesimo colla tua; ed egli potrebbe forse in qualche modo darti ad intendere i suoi bisogni, e beneficato esteriormente da te, o in altro modo influito, potrebbe aver qualche senso della tua esistenza, e formarsi di te qualche idea; anzi è certo che ti considererebbe come suo simile, non ch'egli n'avesse alcuna prova certa, ma appunto per la scarsezza delle sue idee; come fanno i fanciulli, che sempre inclinano a creder tutto animato, e simile in qualche modo a loro, non conoscendo, nè sapendo neppure insufficientemente concepire altra forma d'esistenza che la propria, non ostante ch'essi pur vedano la differenza della figura, e delle qualità esteriori.
[2431,1]   2431 Or se contuttociò, tu non crederesti di poter aver con costui nessuna o quasi nessuna società, e non ti soddisfaresti nè ti compiaceresti in alcun modo del suo commercio, che dovremo dire di quella società che i filosofi tedeschi e romantici, vogliono che il poeta supponga, anzi ponga e crei fra l'uomo e il resto della natura? La qual società vogliono che sia tale che tutto per immaginazione si supponga vivo bensì, ma non di vita umana, anzi diversissima secondo ciascun genere di esseri? Non è questa una società peggiore e più nulla di quella col cieco e sordo? Il quale finalmente è uomo. Ma qui sebben tu creda, e poeticamente t'immagini che le cose vivano, non supponendo che questa vita abbia nulla di comune colla tua, che sentimento di te puoi presumere di destare in loro, o qual sentimento della vita loro puoi presumere di ricever da essi, non potendo neppur concepire altra forma di vita se non la propria? Che giova alla tua immaginazione e alla tua sensibilità il figurarti che la natura viva? Che relazione può la tua fantasia fabbricarsi  2432 colla natura per questo? Ella è cieca e sorda verso te, e tu verso lei. Non basta al sentimento e al desiderio innato di quasi tutti i viventi che li porta verso il loro simile, il figurarsi che le cose vivano, ma solamente che vivano di vita simile per natura alla propria. Tolta questa non v'è società fra viventi, come non vi può esser società fra cose dissimili, e molto meno fra cose che in nessun modo si possono intendere l'une coll'altre, nè comunicarsi alcun sentimento, nè farsi scambievolmente verun segno di se, e neppur concepire o formarsi nessuna idea del genere di vita l'una dell'altra. Fra le bestie e l'uomo non è di gran lunga così, e perciò qualche società può passare e passa fra questo e quelle, e maggiore, quanto più la loro vita, e il loro spirito è simile al nostro, e quanto più esse {mostrano} {di} concepire le cose nostre, e noi le loro; e maggiore eziandio generalmente perchè l'immaginazione nostra (e probabilmente anche la loro) entra in questo commercio altresì, e ce le dipinge molto più simili a noi che forse non sono, e noi a loro parimente.  2433 Certo è poi che grandissima affinità e somiglianza passa tra la vita degli animali e la nostra, tra le loro passioni (radicalmente parlando) e fra le nostre ec. Affinità e somiglianza che non si trova o non apparisce fra l'esistenza delle cose inanimate e la nostra; che l'immaginazione antica, e fanciullesca, e, più o meno, quella di tutti i tempi, non vedendola, la suppone e la crea; che i bravi tedeschi non vogliono che si supponga, e che non per tanto s'immagini e si conservi un commercio scambievole fra le cose inanimate e l'uomo. (8. Maggio. 1822.).