13. Gen. 1821.
[499,1] La fecondità e istabilità e velocità della
immaginazione e concezione (vera o falsa, che
500 ciò
non monta) ne' fanciulli, apparisce ancora da una osservazione che ho fatta in
quelli che trovandosi in età di mezzana fanciullezza (6. 7. 8. anni, o cosa
simile), e sapendo già {tanto e più di lingua da
potere} infilare un discorso, nondimeno sebbene sieno loquaci, anzi
quanto più sono loquaci, {(il che è segno di
fecondità)} tanto più esitano e stentano, nel fare un discorso
continuato, un racconto ec. Ho dunque notato che ciò non deriva principalmente
dalla difficoltà di trovare o combinar le parole (anzi come ho detto, i più
loquaci sono più soggetti a questo: i meno loquaci riescono molto meglio in un
discorso abbastanza lungo e seguìto); ma dalla moltiplicità delle idee che si
affollano loro in mente. Onde non sanno scegliere, si confondono, saltano di
palo in frasca, mutano anche totalmente e improvvisamente soggetto; i loro
discorsi non hanno nè capo nè coda, e avendo incominciato colla testa dell'uomo,
finiscono colla coda del pesce. Quanta dunque non dev'essere l'attività interna,
la moltiplicità delle occupazioni ancorchè disoccupatissimi, la facilità di
distrarsi, e alleggerire o spegnere
501 i pensieri o le
sensazioni dolorose, la varietà, e nel tempo stesso la vivacità delle immagini e
concezioni (giacchè ciascuna è capace di strapparli intieramente da quella che
presentemente gli occupa); in somma la vita {dell'animo,} e per conseguenza la felicità de' fanciulli anche i meno
felici rispetto alle circostanze esteriori!
[501,1]
Alla p. 497.
*
*
Detto di Crate
Cinico presso il Laerzio
(VI. 86. in Cratete Thebano) mentovato anche
da altri scrittori, e riferito con qualche diversità da Stobeo, e da Suida.
V. il Menagio e l'Aldobrandini. (13. Gen. 1821.).
Ἔρωτα παύειλιμὸς, εἰ δὲ μὴ, χρόνος
Ἐὰν δὲ τούτοις μὴ δύνῃ χρῆσθαι, βρόχος.
Amorem sedat fames; sin minus, tempus:
Eis vero si uti non vales, laqueus.