Inclinazione dell'uomo a misurar gli altri da se stesso.
The human inclination to measure others by our own standards.
1572,3 1903,2Inclinazione dell'uomo a supporre in qualcun altro un maggior senno, valore e capacità che in se stesso, per confidarsi e per riposarsi in quello.
The human inclination to suppose greater wisdom, worth and ability in someone else rather than oneself, so as to entrust oneself and rely on that person.
4229,4Inclinazione dell'uomo alla vivacità, alla vita.
The human inclination to vivacity, to life.
1684,1 1716,2 1780,1 1798,2 1944 1988,3 1999,1 2017,3 2041,1 2118,1 2336,1 2337,1 2361,1 2415,2 2433,1 2499,1 2546,1 2759,1 3191,12 3556,marg. 3617,4 3764,2 3813,1 3854,2 3906 4021,7 4060,1 4103,6[1572,3] Quanto l'uomo sia invincibilmente inclinato a
misurar gli altri da se stesso, si può vedere anche nelle persone le più
pratiche del mondo. Le quali se, p. e. sono fortemente morali, per quanto
conoscano, e sentano e vedano, non si persuaderanno mai intimamente che la
moralità non esista più, e
1573 sia del tutto esclusa
dai motivi determinanti l'animo umano. Lo dirà ancora, lo sosterrà, in qualche
accesso di misantropia arriverà a crederlo, ma come si crede momentaneamente a
una viva e conosciuta illusione, e non se ne persuaderà mai nel fondo
dell'intelletto. (Lascio i giovani i quali essendo ordinariamente virtuosi, non
si convincono mai prima dell'esperienza, che la virtù sia nemmeno rara.) Così
viceversa ec. ec. ec. Esempio, mio padre. (27. Agosto. 1821.).
[1903,2]
Alla p. 1880.
L'uomo, per molto che sia dissipato, convive sempre più con se stesso che cogli
altri, o con verun altro, e quindi è più abituato alle qualità proprie, che alle
altrui, o a quelle di chiunqu'altro. Perciò non v'è qualita[qualità] umana così straordinaria per l'uomo, come quelle
che sono contrarie alle proprie. Ben è vero che questo effetto va in proporzione
della maggiore o minore abitudine che l'uomo ha o con se stesso, o con la
società. Del resto è noto che l'uomo giudica
1904
sempre più o meno gli altri da se stesso; che per quanto sia filosofo e pratico
del mondo, e quasi anche dimentico di se stesso, sempre ricade lì; che il
vizioso non crede alla virtù, nè il virtuoso al vizio; che secondo le mutazioni
a cui soggiace il carattere di ciascun individuo, si diversifica il giudizio e
il concetto abituale ch'egli forma degli altri ec.
[4229,4] È naturale all'uomo, debole, misero, sottoposto a
tanti pericoli, infortunii e timori, il supporre, il figurarsi, il fingere anco
gratuitamente un senno, una sagacità e prudenza, un intendimento e
discernimento, {una perspicacia, una esperienza}
superiore alla propria, in qualche persona, alla quale poi mirando in ogni suo
duro partito, si riconforta o si spaventa secondo che vede quella o lieta o
trista, o sgomentata o coraggiosa, e sulla sua autorità si riposa senz'altra
ragione; spessissimo eziandio, ne' più gravi pericoli e ne' più miseri casi, si
consola e fa cuore, solo per la {buona speranza e}
opinione, ancorchè manifestamente falsa o senza niuna apparente ragione, che
egli vede o s'immagina essere in quella tal persona; o solo anco per una ciera
lieta o ferma che egli vede in quella. Tali sono assai sovente i figliuoli,
massime nella età tenera, verso i genitori. Tale sono stato io, anche in età
ferma e matura, verso mio padre; che in ogni cattivo caso, o timore, sono stato solito per
determinare, se non altro, il grado della mia afflizione o del timor mio
proprio, di aspettar di vedere o di congetturare il suo, e l'opinione e il
giudizio che
4230 egli portava della cosa; nè più nè
meno come s'io fossi incapace di giudicarne; e vedendolo {o
veramente o nell'apparenza} non turbato, mi sono ordinariamente
riconfortato d'animo sopra modo, con una assolutamente cieca sommissione alla
sua autorità, o fiducia nella sua provvidenza. E trovandomi lontano da lui, ho
sperimentato frequentissime volte un sensibile, benchè non riflettuto, desiderio
di tal rifugio. Ed è cosa {mille volte} osservata {e veduta per prova} come gli uomini di guerra, anche
esperimentatissimi e veterani, sogliano pendere nei pericoli, nei frangenti,
nelle calamità della guerra, dalle opinioni, dalle parole, dagli atti, dal
volto, di qualche lor capitano, eziandio giovane e immaturo, che si abbia
guadagnato la lor confidenza; e secondo che veggono, o credono di veder fare a
lui, sperare o temere, dolersi o consolarsi, pigliar animo o perdersi di
coraggio. Onde suol tanto giovare nel Capitano la fermezza d'animo, e la
dissimulazione del dolore o del timore nei casi ov'è sommamente da temere o
dolersi. E questa qualità dell'uomo è ancor essa una delle cagioni per cui tanto
universalmente e così volentieri si è abbracciata e tenuta, come ancor si tiene,
la opinione di un Dio provvidente, cioè di un ente superiore a noi di senno e
intelletto, il qual disponga ogni nostro caso, e indirizzi ogni nostro affare, e
nella cui provvidenza possiamo riposarci dell'esito delie cose nostre. (9.
Dic. Vigilia della Venuta della S. Casa di Loreto. 1826.
Recanati.). La credenza di un ente senza
misura più savio e più conoscente di noi, il quale dispone e conduce di continuo
tutti gli avvenimenti, e tutti a fin di bene, eziandio quelli che hanno maggior
sembianza di mali per noi, e che veglia sulla nostra sorte; e tutto ciò con
ragioni e modi a noi sconosciuti, e che noi non possiamo in guisa alcuna
scoprire nè intendere, di maniera che non dobbiamo darcene pensiero veruno;
questa credenza è agli uomini universalmente, e massime ai deboli ed infelici,
un conforto maggior d'ogni altro possibile: il qual conforto non da altro
procede, nè consiste in altro, che un riposo, uno acquetamento, ed una
confidenza
4231 cieca nell'autorità, nel senno, e nel
provvedimento altrui. (9. Dic. 1826.).
[1684,1] Piace naturalmente ed universalmente (anche a'
vecchi) la vivacità della fisonomia, moti, espressioni, stile, costumi, maniere
ec. ec. Che vuol dir ciò? Viene in parte dallo straordinario, ma nella parte
principale questo piacere è indipendente dal bello: egli viene in ultima analisi
da una inclinazione (innata) della natura
1685 alla
vita, ed odio della morte, e quindi della noia, dell'inattività, e di ciò che
l'esprime, come la melensaggine. Inclinazione ed odio che si manifesta in mille
altre parti della vita umana, anzi in tutto l'uomo, anzi in tutta la natura.
Bensì ella {pur} varia nelle proporzioni, secondo i
temperamenti, le circostanze, {ec.} e sarà piacevole, e
(come dicono) bella per costui una vivacità che sarà brutta per colui, bella
oggi, brutta domani, bella per una nazione, brutta per un'altra ec. ec. ec.
(12. Sett. 1821.).
[1716,2] Lo svelto non è che vivacità. Ella piace (e il
perchè, v. p. 1684. fine); dunque
anche la sveltezza. Così che il piacere che l'uomo prova ordinariamente alla
vista degli uccelli (esempi di sveltezza e vispezza), massime se li contempla da
vicino, tiene alle più intime inclinazioni
1717 e
qualità della natura umana, cioè l'inclinazione alla vita. (16. Sett.
1821.). {{V. p.
1725.}}
[1780,1] Una sorgente di piacere nella musica indipendente
dall'armonia per se stessa, dall'espressione, dal suono ancora o dalla natura
del canto in quanto voce, ec. ec. sono gli ornamenti, la speditezza, {la volubilità,} la sveltezza, la rapida successione,
gradazione, e variazione dei suoni, o de' tuoni della voce, cose le quali
piacciono per la difficoltà, per la prontezza, (ho detto altrove, cioè p. 1725. capoverso 2. perchè
1781 questa sia piacevole) per lo straordinario ec.
tutto indipendente dal bello. Senza la vivace mobilità e varietà de' suoni sia in ordine alla armonia, sia alla
melodia, la musica produrrebbe e produce un effetto ben diverso. Un'armonia o
melodia semplicissima, per bella ch'ella fosse annoierebbe ben tosto, e non
produrrebbe quella svariata moltiplice, rapida, e rapidamente mutabile
sensazione, che la musica produce, e che l'animo non arriva ad abbracciare. ec.
Viceversa queste difficoltà, questi ornamenti, queste agilità, se mancano di
espressione ec. ec. non sono piacevoli che agl'intendenti. La musica degli
antichi era certo assai semplice, e non è dubbio ch'ella non producesse ben
diverso effetto dalla nostra. Osserviamo bene, quando ascoltiamo una musica che
ci colpisce, e vedremo quanta parte del suo effetto provenga dall'agilità ec.
de' tuoni, de' passaggi, ec. indipendentemente dall'armonia o melodia in quanto
armonia o melodia.
[1798,2] Dell'effetto che fa negli animali il color vivo
(siccome pur ve lo fa il suono analogamente a quello che fa nell'uomo), v. ib. p. 203. fine. e 204.
fine. Anch'esso effetto sarà certo differente secondo i climi, e
maggiore ne' meridionali. (Così pure potrà dirsi de' vari suoni). Sarà però
sempre maggiore negli animali che nell'uomo, perchè più naturali. (26.
Sett. 1821.).
[1943,1] La causa di questa differenza, non è altra che la
mancanza di assuefazioni determinanti e creanti l'armonia o disarmonia de'
colori puri. E la causa di questa (se non totale, quasi totale) mancanza (che
rende ridicolo il tentativo fatto di una musica a colori), non può esser altra,
secondo me, che la stessa immensità delle assuefazioni,
1944 sensazioni, esercizi, occupazioni variatissime della vista,
applicandola sempre agli oggetti, la distrae dal considerare le loro qualità
visibili indipendentemente da essi, in modo bastante a formarsi di esse sole
assuefazioni bastanti a rendere armonica o disarmonica la loro pura
composizione. La vista è il più materiale di tutti i sensi, e il meno atto a
tutto ciò che sa di astratto. Perciò la vista e i suoi piaceri sono le
predilette sensazioni dell'uomo naturale. ec. ... ec. ... ec. V. Costa,
dell'Elocuzione.
[1988,3] L'uomo che a tutto si abitua, non si abitua mai alla
inazione. Il tempo che tutto alleggerisce, indebolisce, distrugge, non distrugge
mai nè indebolisce il disgusto e la fatica che l'uomo prova nel non far nulla. L'assuefazione
1989 intanto può influire sull'inazione, in quanto può
trasportare l'azione dall'esterno all'interno, e l'uomo forzato a non muoversi,
o in qualunque modo a non operare al di fuori, acquista appoco appoco l'abito di
operare al di dentro, di farsi compagnia da se stesso, di pensare, d'immaginare,
di trattenersi insomma vivamente col proprio solo pensiero (come fanno i
fanciulli, come si avvezzano a fare i carcerati ec.). Ma la pura noia, il puro
nulla, nè il tempo nè alcuna forza possibile (se non quella che intorpidisce o
estingue o sospende le facoltà umane, come il sonno, l'oppio, il letargo, una
totale prostrazione di forze ec.) non basta a renderlo meno intollerabile. Ogni
momento di pura inazione è tanto grave all'uomo dopo dieci anni {di assuefazione,} quanto la prima volta. La nullità, il
non fare, il non vivere, la morte, è l'unica cosa di cui l'uomo sia incapace, e
1990 alla quale non possa avvezzarsi. Tanto è vero
che l'uomo, il vivente, e tutto ciò che esiste, è nato per fare, e per fare
tanto vivamente, quanto egli è capace, vale a dire che l'uomo è nato per
l'azione esterna ch'è assai più viva dell'interna. {+Tanto più che l'interna nuoce al fisico quanto ell'è
maggiore e più assidua, e l'esterna viceversa. Quanto all'azione interna
dell'immaginazione, essa sprona e domanda impazientemente l'esterna, e
riduce l'uomo a stato violento, se questa gli è impedita.} E quella
infatti agognano i giovani, i primitivi, gli antichi, e non si può loro impedire
senza metter la loro natura in istato violento. Ciò non per altro se non perchè
l'uomo {e il vivente} tende sempre naturalmente alla
vita, e a quel più di vita che gli conviene. (26. Ott. 1821.).
[1999,1] La velocità p. es. de' cavalli o veduta, o
sperimentata, cioè quando essi vi trasportano (v. in tal proposito l'Alfieri
nella sua Vita, sui principii) è
piacevolissima per se sola, cioè per la vivacità, l'energia, la forza, la vita
di tal sensazione. Essa desta realmente una quasi idea dell'infinito, sublima
l'anima, la fortifica, la mette in una indeterminata azione, o stato di attività
più o meno passeggero. E tutto ciò tanto più quanto la velocità è maggiore. In
questi effetti avrà parte anche lo straordinario. (27. Ott.
1821.)
[2017,3] Il fare un atto di vigore, o il servirsi del vigore
passivamente o attivamente, {+(come fare
un veloce cammino, o de' movimenti forti ed energici ec.)} quando
{e finchè} ciò non superi le forze dell'individuo,
è piacevole per ciò solo, quando anche sia per se stesso incomodo, (come
l'esporsi a un gran freddo ec.) quando anche sia senza spettatori, e
prescindendo pure dall'ambizione e dall'interna soddisfazione e
2018 compiacenza di se stesso, che vi si prova. {+Nè solo il fare tali atti, ma anche il
vederli, l'essere spettatore di cose attive, energiche, rapide, movimenti
ec. vivaci, forti, difficili ec. ec. azioni ec. piace, perchè mette l'anima
in una certa azione, e le comunica una certa attività interiore, la rompe ec. l'esercita da lontano ec.
e par ch'ella {ne} ritorni più forte, ed esercitata
ec.}
[2041,1] La rapidità e la concisione dello stile, piace
perchè presenta all'anima una folla d'idee simultanee, o così rapidamente
succedentisi, che paiono simultanee, e fanno ondeggiar l'anima in una tale
abbondanza di pensieri, o d'immagini e sensazioni spirituali, ch'ella o non è
capace di abbracciarle tutte, e pienamente ciascuna, o non ha tempo di restare
in ozio, e priva di sensazioni.
2042 La forza dello
stile poetico, che in gran parte è tutt'uno colla rapidità, non è piacevole per
altro che per questi effetti, e non consiste in altro. L'eccitamento d'idee
simultanee, può derivare e da ciascuna parola isolata, o propria o metaforica, e
dalla loro collocazione, e dal giro della frase, e dalla soppressione stessa di
altre parole o frasi ec. Perchè è debole lo stile di Ovidio, e però non molto piacevole, quantunque egli sia
un fedelissimo pittore degli oggetti, ed un ostinatissimo e acutissimo
cacciatore d'immagini? Perchè queste immagini risultano in lui da una copia di
parole e di versi, che non destano l'immagine senza lungo circuito, e così poco
o nulla v'ha di simultaneo, giacchè anzi lo spirito è condotto a veder gli
oggetti appoco appoco per le loro parti. Perchè lo stile di Dante è il più forte che mai si possa concepire, e per
questa parte il più bello e dilettevole possibile? Perchè ogni
2043 parola presso lui è un'immagine ec. ec. V. il mio discorso sui romantici. Qua
si possono riferire la debolezza essenziale, e la ingenita sazietà della poesia
descrittiva, (assurda in stessa) e quell'antico precetto che il poeta (o lo
scrittore) non si fermi troppo in una descrizione. Qua la bellezza dello stile
di Orazio (rapidissimo, e pieno
d'immagini per ciascuna parola, o costruzione, o inversione, o traslazione di
significato ec.), {V. p. 2049.} e quanto al pensiero, quella dello
stile di Tacito. ec.
(3. Nov. 1821.). {{V. p. 2239.}}
[2118,1] Piace l'essere spettatore di cose vigorose ec. ec.
non solo relative agli uomini ma comunque. Il tuono, la tempesta, la grandine,
il vento gagliardo, veduto o udito, e i suoi effetti ec. Ogni sensazione viva
porta seco nell'uomo una vena di piacere, quantunque ella sia per se stessa
dispiacevole, o come formidabile, o come dolorosa ec. Io sentiva un contadino,
al quale un fiume vicino soleva recare grandi danni, dire che nondimeno era un piacere la vista della piena,
quando s'avanzava e correva velocemente verso i suoi campi, con grandissimo
strepito, e menandosi davanti gran quantità di sassi, mota ec. E tali immagini,
benchè brutte in se stesse, riescono infatti sempre belle nella poesia, nella
pittura, nell'eloquenza ec. (18. Nov. 1821.).
[2336,1] Ho parlato altrove pp. 1684-85
pp.
1716-17
pp.
1780-81
p.
1999
pp. 2049-50
p. 2239 del perchè la sveltezza debba piacere, e com'ell'abbia che fare colla velocità, colla prontezza ec. Ho notato che questa sveltezza piacevole, non è solo nella figura o delle
persone, o degli oggetti visibili, nè nei movimenti ec. ma in ogni altro genere
di cose, e qualità di esse. P. e. ho fatto osservare come la sveltezza, la
pieghevolezza, la rapidità della voce, de' passaggi ec. sia una delle principali
sorgenti di piacere nella musica, massimamente moderna. Or aggiungo. Piace la
sveltezza e la rapidità anche nel discorso, nella pronunzia, ec. Le donne
Veneziane piacciono molto a sentirle parlare anche per la rapidità materiale del
loro discorso, per la copia inesauribile che hanno di parole, perchè la rapidità
non le conduce a verun intoppo ec., cioè non ostante la velocità della pronunzia
e del discorso, non intoppano ec. Anche
2337 a
rapidità, la concisione ec. dello stile, e il piacere che ne ridonda, possono e
debbono in parte ridursi sotto queste considerazioni. (8. Gen.
1822.).
[2337,1] La sveltezza o veduta o concepita, per mezzo di
qualunque senso, o comunque, (v. il
pensiero precedente) comunica all'anima un'attività, una mobilità, la trasporta qua e là,
l'agita, l'esercita ec. Ed ecco ch'ella per necessità dev'esser piacevole,
perchè l'animo nostro trova sempre qualche piacere (maggiore o minore, ma sempre qualche piacere) nell'azione,
sinch'ella non è o non diviene fatica, e non produce stanchezza. (8. Gen.
1822.
[2361,1] Che vuol dire che l'uomo ama tanto l'imitazione e
l'espressione ec. delle passioni? e più delle più vive? e più l'imitazione la
più viva ed efficace? Laonde o pittura, o scultura, o poesia, {ec.} per bella, efficace, elegante, e pienissimamente
imitativa ch'ella sia, se non esprime passione, {+se non ha per soggetto veruna passione, (o solamente
qualcuna troppo poco viva)} è sempre posposta a quelle che
l'esprimono, ancorchè con minor perfezione nel loro soggetto. E le arti che non
possono esprimere passione, come l'architettura, sono tenute le infime fra le
belle, e le meno dilettevoli. E la drammatica e la lirica son tenute fra le
prime per la ragione
2362 contraria. Che vuol dir ciò?
non è dunque la sola verità dell'imitazione, nè la sola bellezza e dei soggetti,
e di essa, che l'uomo desidera, ma la forza, l'energia, che lo metta in
attività, e lo faccia sentire gagliardamente. L'uomo odia l'inattività, e di
questa vuol esser liberato dalle arti belle. {{Però le
pitture di paesi, gl'idilli ec. ec. saranno sempre d'assai poco effetto; e
così anche le pitture di pastorelle, di scherzi ec. di esseri insomma senza
passione: e lo stesso dico della scrittura, della scultura, e
proporzionatamente della musica. (26. Gen. 1822.).}}
[2415,2] La vita è fatta naturalmente per la vita, e non per
la morte. Vale a dire è fatta per l'attività, e per tutto quello che v'ha di più
vitale nelle funzioni de' viventi. (5. Maggio. 1822.).
[2433,1] Amando il vivente {quasi}
sopra ogni cosa la vita, non è maraviglia che odi quasi sopra ogni cosa la noia,
la quale è il contrario della vita
vitale (come dice Cic. in Lael.). Ed in tanto non l'odia sempre sopra ogni cosa, in
quanto non ama neppur sempre la vita sopra ogni cosa; p. e. quando un eccesso di
dolor fisico gli fa desiderare anche naturalmente la morte, e preferirla a quel
dolore. Vale a
2434 dire quando l'amor proprio si trova
in maggiore opposizione colla vita che colla morte. E perciò solo egli
preferisce la noia al dolore, cioè perchè gli preferisce eziandio la morte, se
non quanto spera di liberarsi dal dolore, e il desiderio della vita è così
mantenuto puramente dalla speranza.
[2499,1]
2499 Ho assegnato altrove pp. 2017-18
pp. 2410-12
pp. 2433-34 come
principio d'infinite e variatissime qualità dell'animo umano (p. e. l'amor delle
sensazioni vivaci) l'amor della vita. Questo amore però è non solo necessaria
conseguenza, ma parte, ovvero operazione naturale dell'amor proprio, il quale
non può non essere amore della propria esistenza, se non quando quest'esistenza
è divenuta una pena. Ma ciò non in quanto esistenza, chè l'esistenza in quanto
esistenza, è per natura eternamente amata sopra ogni cosa dall'esistente.
Perocchè tanto è amar la propria esistenza in quanto esistenza, quanto è amar se
stesso. E sarebbe una contraddizione quasi impossibile a concepirsi, che
l'esistenza non fosse amata dall'esistente; e quindi che in certo modo
l'esistenza fosse odiata dall'esistenza, e combattuta dall'esistenza, e
contraria all'esistenza, o anche semplicemente non cara e non gradita a se
stessa, nemmeno inquanto se stessa. (26. Giugno. 1822.).
[2546,1] Le Dee e specialmente Giunone, è chiamata spesso da
Omero βοῶπις (βοώπιδος)
2547 cioè ch'ha occhi di bue.
La grandezza degli occhi del bue, alla quale Omero ha riguardo, è certo sproporzionata al viso dell'uomo.
Nondimeno i greci intendentissimi del bello, non temevano di usar questa
esagerazione in lode delle bellezze donnesche, e di attribuire {e appropriar} questo titolo, come titolo di bellezza,
indipendentemente anche dal resto, e come contenente una bellezza in se,
contuttochè contenga una sproporzione. E in fatti non solo è bellezza per tutti
gli uomini e per tutte le donne (che non sieno, come sono molti, di gusto
barbaro) la grandezza degli occhi, ma anche un certo eccesso di questa
grandezza, se anche si nota come straordinario, e colpisce, e desta il senso
della sconvenienza, non lascia perciò di piacere, e non si chiama bruttezza. E
notate che non così accade dell'altre parti umane alle quali conviene esser
grandi (lascio l'osceno che appartiene ad
2548 altre
ragioni di piacere, diverse dal bello): nè i poeti greci, nè verun altro poeta o
scrittore di buon gusto, ha mai creduto che l'esagerazione della grandezza di
tali altre parti fosse una lode per esse, e un titolo di bellezza, come hanno
fatto relativamente agli occhi. Dalle quali cose deducete
[2759,1]
2759 Io udii un uomo di campagna, avvezzo per la sua
professione a considerare i rovesci degli elementi come sciagure e calamità,
raccontando gli effetti d'una inondazione da lui poco innanzi veduta, e
raccontandoli come dannosissimi, e compiangendoli, soggiungere che nondimeno
ella era stata una cosa bella e piacevole a vedere e udire, per l'impeto e il
rombo, la grandezza e la potenza della piena. Tanto è vero che l'uomo è
inclinato per natura alla vita, e che tutte le sensazioni forti e vive,
quand'elle non recano dolore al corpo, e non sono accompagnate col danno o col
presente pericolo di chi le prova, sono per la loro stessa forza e vivezza,
piacevoli, ancorchè per tutte le altre loro qualità ed effetti siano
dispiacevoli o terribili ancora. (10. Giugno 1823.).
[3191,2] All'amore che noi abbiamo della vita, e quindi delle
sensazioni vive, dee riferirsi il piacere che ci recano negli scritti o nel
discorso le parole chiamate espressive, cioè quelle che producono in quanto a
loro una idea vivace, o per la vivacità dell'azione o del soggetto qualunque
ch'elle significano (come spaccare), o perchè
vivamente rappresentano all'immaginativa questa
3192
medesima azione o soggetto, qualunque siasi la cagione perch'esse vivamente lo
rappresentino (come spaccare più vivamente rappresenta
l'azione significata, e desta un'idea più viva che fendere per varie ragioni che ora non accade specificare, e lungo
sarebbe il farlo), o perchè di un'azione o di un soggetto non vivace, ne destano
però una viva e presente idea. (18. Agosto. 1823.).
[3553,2] Ho notato altrove p. 108 che la
debolezza per se stessa è cosa amabile, quando non ripugni alla natura del
subbietto in ch'ella si trova, o piuttosto al modo in che noi siamo soliti di
vedere e considerare la rispettiva specie di subbietti; o ripugnando, non
distrugga però la sostanza d'essa natura, e non ripugni più che tanto:
3554 insomma quando o convenga al subbietto, secondo
l'idea che noi della perfezione di questo ci formiamo, e concordi colle {altre} qualità d'esso subbietto, secondo la stessa idea
{+(come ne' fanciulli e nelle
donne);} o non convenendo, nè concordando, non distrugga però
l'aspetto della convenienza nella nostra idea, ma resti dentro i termini di
quella sconvenienza che si chiama grazia (secondo la mia teoria della grazia), come può esser negli
uomini, o nelle donne in caso ch'ecceda la proporzione ordinaria, ec. Ora
l'esser la debolezza per se stessa, e s'altro fuor di lei non si oppone,
naturalmente amabile, è una squisita provvidenza della natura, la quale avendo
posto in ciascuna creatura l'amor proprio in cima d'ogni altra disposizione, ed
essendo, come altrove ho mostrato pp. 872. sgg. , una necessaria e propria conseguenza
dell'amor proprio in ciascuna creatura l'odio dell'altre, ne seguirebbe che le
creature deboli fossero troppo sovente la vittima delle forti. Ma la debolezza
essendo naturalmente amabile e dilettevole altrui per se stessa, fa che altri
ami il subbietto in ch'ella si trova, e l'ami per amor proprio, cioè perchè da
esso riceve diletto. {La debolezza
ordinariamente piace ed è amabile e bella nel bello. Nondimeno può piacere
ed esser bella ed amabile anche nel brutto, non in quanto nel brutto, ma in
quanto debolezza, (e talor lo è) purch'essa medesima non sia {la} cagione della bruttezza nè in tutto nè in
parte.} Senza ciò i fanciulli,
3555 massime
dove non vi fossero leggi sociali che tenessero a freno il naturale egoismo
degl'individui, sarebbero tuttogiorno écrasés dagli
adulti, le donne dagli uomini, e così discorrendo. Laddove anche il selvaggio
mirando un fanciullo prova un certo piacere, e {quindi}
un certo amore; e così l'uomo civile non ha bisogno delle leggi per contenersi
di por le mani addosso a un fanciullo, benchè i fanciulli sieno per natura
esigenti ed incomodi, ed in quanto sono (altresì per natura) apertissimamente
egoisti, offendano l'egoismo degli altri più che non fanno gli adulti, e quindi
siano per questa parte naturalmente odiosissimi (sì a coetanei, sì agli altri).
Ma il fanciullo è difeso {per se stesso} dall'aspetto
della sua debolezza, che reca un certo piacere a mirarla, e quindi ispira
naturalmente (parlando in genere) un certo amore verso di lui, perchè l'amor
proprio degli altri trova in lui del piacere. E ciò, non ostante che la stessa
sua debolezza, rendendolo assai bisognoso degli altri, sia cagione essa medesima
di noia e di pena agli altri, che debbono provvedere in qualche modo a' suoi
bisogni, e lo renda per natura molto esigente ec. Similmente discorrasi
3556 delle donne, nelle quali indipendentemente
dall'altre qualità, la stessa debolezza è amabile perchè reca piacere ec. Così
di certi animaletti o animali (come la pecora, {i cagnuolini,
gli agnelli,} gli uccellini ec. ec.) in cui l'aspetto della lor
debolezza rispettivamente a noi, in luogo d'invitarci ad opprimerli, ci porta a
risparmiarli, a curarli, ad amarli, perchè ci riesce piacevole. {ec.} E si può osservare che tale ella riesce anche ad
altri animali di specie diversa, che perciò gli risparmiano e mostrano talora di
compiacersene e di amarli ec. Così i piccoli degli animali non deboli quando son
maturi, sono risparmiati ec. dagli animali maturi della stessa specie (ancorchè
non sieno lor genitori), ed eziandio d'altre specie (eccetto se non ci hanno
qualche nimicizia naturale, o se per natura non sono portati a farsene cibo
ec.); ed apparisce in essi animali una certa o amorevolezza o compiacenza verso
questi piccoli. Similmente negli uomini verso i piccoli degli animali che
cresciuti non son deboli. E di questa compiacenza non n'è solamente cagione la
piccolezza per se (ch'è sorgente di grazia, come ho detto altrove), p.
200
pp.
1880-81
{#1. nè la sola sveltezza che in questi
piccoli suole apparire (siccome ancora nelle specie piccole di animali) e
che è cagion di piacere per la vitalità che manifesta e la vivacità ec.
secondo il detto altrove p. 221
pp. 1716-17
p. 1999
pp. 2336-37 da me
sull'amor della vita, onde segue quello del vivo ec.} ma v'ha la
3557 sua parte eziandio la debolezza. (29-30.
Sett. 1823.). {{V. p. 3765.}}
[3617,4] Il Tasso,
descrivendo i momenti che precedono una battaglia campale, e i due campi
ordinati in battaglia (Gerus. Liber. c. 20. stanza 30.): Bello in sì bella vista anco è
l'orrore, E di mezzo la tema esce il diletto.
*
Tant'è: ogni sensazion viva è gradevole perciocchè viva, benchè d'altronde, e
pure per se, dolorosa o paurosa ec. Fuor di quelle che son dolorose al corpo.
All'animo, eziandio dolorose, {+o
altramente spiacevoli,} sono sempre in qualche parte piacevoli.
(6. Ott. 1823.).
[3764,2] Gli spettacoli gladiatorii, così sanguinarii ec.
appartengono a quel diletto delle sensazioni vive, di cui dico in tanti luoghi
p.1953
pp. 2017-18
p. 2759. (23. Ott. 1823.). {{Così le cacce di tori ec. ec.}}
[3813,1] L'amor della vita, il piacere delle sensazioni vive,
dell'aspetto della vita ec. {+delle quali
cose altrove}
pp.
2107-108
p.
2499
pp. 1988-90
pp. 2017-18
p. 2415
pp. 2433-34 è ben
consentaneo negli animali. La natura è vita. Ella è esistenza. Ella stessa ama
la vita, e proccura in tutti i modi la vita, e tende in ogni sua operazione alla
vita. Perciocch'ella esiste e vive. Se la natura fosse morte, ella non sarebbe.
Esser morte, son termini contraddittorii. S'ella tendesse in alcun modo alla
morte, se in alcun modo la proccurasse, ella tenderebbe e proccurerebbe contro
se stessa. S'ella non proccurasse la vita con ogni sua forza possibile, s'ella
non amasse la vita quanto più si può amare, e se la vita non fosse tanto più
cara alla natura, quanto maggiore e più intensa e in maggior grado, la natura
non amerebbe se stessa (vedi la pagina 3785. principio), non proccurerebbe se stessa o il proprio bene, o
non si amerebbe quanto più può (cosa impossibile), nè amerebbe il suo maggior
3814 possibile bene, e non proccurerebbe il suo
maggior bene possibile (cose che parimente, come negl'individui e nelle specie
ec., così sono impossibili nella natura). Quello che noi chiamiamo natura non è
principalmente altro che l'esistenza, l'essere, la vita, sensitiva o non
sensitiva, delle cose. Quindi non vi può esser cosa {nè
fine} più naturale, nè più naturalmente amabile e desiderabile e
ricercabile, che l'esistenza e la vita, la quale è quasi tutt'uno colla stessa
natura, nè amore più naturale, nè naturalmente maggiore che quel della vita. (La
felicità non è che la perfezione {il compimento} e il
proprio stato della vita, secondo la sua diversa proprietà ne' diversi generi di
cose esistenti. Quindi ell'è in certo modo la vita o l'esistenza stessa, siccome
l'infelicità in certo modo è lo stesso che morte, o non vita, perchè vita non
secondo il suo essere, e vita imperfetta ec. Quindi la natura, ch'è vita, è
anche felicità.). E quindi è necessario alle cose esistenti amare e cercare la
maggior vita possibile a ciascuna di loro. E il piacere non è altro che vita ec.
E la vita è piacere necessariamente, e maggior piacere, quanto essa vita è
maggiore e più viva. La vita generalmente e[è]
tutt'uno colla natura, la vita divisa ne' particolari è tutt'uno co' rispettivi
subbietti esistenti. Quindi ciascuno essere, amando la vita, ama se stesso:
pertanto non può non amarla, e non amarla quanto si possa il più. L'essere
esistente non può amar la morte, {#1. (in
quanto la morte abbia rispetto a lui)} veramente parlando, non può
tendervi, non può proccurarla, non può non odiarla il più ch'ei possa, in veruno
istante dell'esser suo; per la stessa ragione per cui egli non può
3815 odiar se stesso, proccurare, amare il suo male,
tendere al suo male, non odiarlo sopra ogni cosa e il più ch'ei possa, non
amarsi, non solo sopra ogni cosa, ma il più ch'egli possa onninamente amare.
Sicchè l'uomo, l'animale ec. ama le sensazioni vive ec. ec. e vi prova piacere,
perch'egli ama se stesso. (31. Ott. 1823.).
[3854,2] Quello che noi chiamiamo spirito nei caratteri, nelle maniere, ne' moti ed atti,
nelle parole, ne' motti, ne' discorsi, nelle azioni, negli scritti e stili ec.
ci piace, e ciò a tutti, perch'egli è vita, e desta sensazioni vive sotto
qualche rispetto, {+o desta sensazioni
{qualunque,} e molte, e spesse, il che è cosa
viva, perchè il sentire lo è. Infatti lo spirito si chiama anche vivacità ec. o semplicemente, o vivacità di spirito, di carattere, stile, modi ec.
ec..} Il suo contrario in certo modo è morte, e non desta sensazioni,
o poche, leggere,
3855 non rapide, non varie, non
rapidamente succedentisi e variantisi, il che è cosa morta. Noi lo chiamiamo spirito perchè siamo soliti di
considerar la vita come cosa immateriale, e appartenente a cose non materiali, e
di chiamare spirito ciò ch'è vivo e vive e cagiona la vita ec.; e la materia
siamo soliti di considerarla come cosa morta, e non viva per se, nè capace di
vita ec. (10. Nov. ottava del dì de' Morti. 1823.).
[3905,1]
Alla p. 3835.
È da notare però che l'ubbriachezza ec. anche quando esalta le forze, e cagiona
una non ordinaria vivacità ed attività ed azione esteriore o interiore o l'uno e
l'altro, sempre però o quasi sempre cagiona eziandio nel tempo stesso una specie
di letargo, d'irriflessione, d'ἀναισθησία, ancorchè l'uomo per altra parte sia
allora straordinariamente sensibile, e riflessivo e profondo sopra ogni cosa.
{Veggasi la pag. 3921-27.} Ella infatti per
sua proprietà trae l'uomo più o meno, ed in uno o in altro modo, fuor di se
stesso, e in certa maniera, quando più quando meno, lo accieca, lo trasporta,
lega le sue facoltà, ne sospende l'uso libero ec. Perciò appunto ella è
ordinariamente piacevole, perocchè sospendendo o scemando in certo modo il
sentimento della vita nel tempo stesso ch'ella accresce la forza, l'energia,
l'intensità, {il grado,} la somma, la vitalità d'essa
vita, sospende o scema o rende insensibile o men sensibile l'azione, l'effetto,
3906 l'efficacia, le funzioni, l'attualità
dell'amor proprio, e quindi il desiderio vano della felicità ec., secondo il
detto nella mia teoria del piacere sopra
l'essenziale piacevolezza di qualunque assopimento pp. 172. sgg., in
quanto sospensivo del sentimento della vita, e quindi del sentimento, anzi
dell'attuale esistenza dell'amor proprio, e del desiderio della felicità. {L'ubbriachezza accrescendo la vita e il
sentimento di essa, fa nel medesimo tempo che l'individuo non rifletta
(naturalmente), non consideri questa vita e questo sentimento, che il suo
spirito consideri e s'interessi a questo sentimento accresciuto, assai meno
ancora ch'ei non suole al sentimento ordinario e minore, e tanto meno quanto
egli è più cresciuto. V. p.
3931.} L'ubbriachezza e tutto ciò che le si assomiglia o le
appartiene ec. è piacevole per sua natura, principalmente in quanto ell'è (per
sua natura) assopimento. Massime che questo nasce allora dall'eccesso medesimo
della vita e del sentimento di lei, il qual eccesso è nella ubbriachezza quello
che scema e mortifica più o meno esso sentimento (secondo che il troppo è padre
del nulla, come altrove pp.
714-17
pp. 1176-79
pp.
1260-62
pp. 1776-77
pp.
1653-54
p.
2478) e quasi estingue l'animo. (V.
Victor.
Commentar. in Aristot.
Polit.
Flor. 1576. pag. ult. lin. 5.
6.). Ond'è sommamente piacevole per se stesso, {#1. astraendo dalle circostanze che possono produrre in
qualche parte il contrario, e dall'altre qualità, ed effetti, anche
essenziali, dell'ubbriachezza ec. ec.} fra tutti gli assopimenti
quello prodotto dall'ubbriachezza e simili cause, perch'esso solo include,
suppone e porta seco ed ha per madre l'abbondanza {relativa} della vita e del sentimento di lei, la qual vita {e sentimento} è per natura {e
necessità} supremamente piacevole al vivente, come altrove in più
luoghi pp. 2410. sgg.
pp. 2736-39
pp.
3291. sgg.
pp. 3835-36 , se non che
negli altri casi la maggior vita e il maggior sentimento di essa è
proporzionatamente maggiore amor proprio, e quindi desiderio di felicità, e
questo vano, e quindi maggiore infelicità ec. (24. Nov. Festa di S. Flaviano 1823.)
[4021,7] Piacere della vita. Una statua, una pittura ec. con
un gesto, un portamento, un moto vivo, spiccato ed ardito, ancorchè non bello
questo, nè bene eseguita quella, ci rapisce subito gli occhi {a se,} ancorchè in un[una] galleria
d'altre mille, e ci diletta, almeno a prima vista, più che tutte queste altre,
s'elle sono di atto riposato ec., sieno pure perfettissime. E in parità di
perfezione, quella, anche in seguito, ci diletta più di queste.
4022 Così non la pensa la Staël nella
Corinna dove pretende che sia
debito e proprio della pittura e scultura il riposo delle figure, ma s'inganna,
testimonio l'esperienza. ec. ec. (24. Gen. 1824.).
[4060,1] L'uomo (per l'amor della vita) ama naturalmente e
desidera e abbisogna di sentire, o gradevolmente, o comunque purchè sia
vivamente (la qual vivezza qualunque, non può essere senza positivo diletto, nè
sensazione indifferente
4061 veramente). {Sì} Ιl sentire dispiacevolmente {come} il non sentire sono cose assolutamente penose per lui. E talora
è men penosa, anzi più grata una sensazione con alquanto di dispiacevole, che la
privazion di sensazioni. Se l'uomo potesse sentire infinitamente, di qualunque
genere si fosse tal sensazione, purchè non dispiacevole, esso in quel momento
sarebbe felice, perchè la sensazione è così viva, il vivo (non dispiacevole in
se) è piacevole all'uomo per se stesso e qualunque ei sia. Dunque l'uomo
proverebbe in quel momento un piacere infinito, e quella sensazione, benchè
d'altronde indifferente, sarebbe un piacere infinito, quindi perfetto, quindi
l'uomo ne saria pago, quindi felice.
[4103,6]
Il est
aisé de voir la prodigieuse révolution que cette époque
*
(celle
du Christianisme) dut produire dans les mœurs. Les
femmes, presque toutes d'une imagination vive et d'une ame ardente, se
livrèrent à des vertus qui les flattoient d'autant plus, qu'elles
étoient pénibles. Il est presque égal pour le bonheur de satisfaire de
grandes passions, ou de les vaincre. L'ame est heureuse par ses efforts;
et pourvu qu'elle s'exerce, peu lui importe d'exercer son activité
contre elle - même.
*
Thomas
Essai sur les Femmes.
Oeuvres, Amsterdam 1774. tome 4.
p. 340. (24. Giugno. Festa di S. Giovanni Battista.
1824.).
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