Stranieri. Odio verso gli stranieri; loro esclusione dai diritti sociali ec. ec. presso gli antichi ec.
Foreigners. Hatred toward foreigners; their exclusion from social rights, etc. among the ancients.
879,segg. 923,12 1004,2 1016,1 1037,1 1078,1 1083,2 1163,3 1362,1 1422,1 1606,1 1709,1 1710,1 1723,1 1827,1 1842,1 2252,1 2305,2 2389,2 2397,1 2625,1 2660,2 2677,1 2759,2 3073,1 3115,1 3141-2 3157,1 3365,1 3420,1 4117,9 4121,6 4290,1[879,1] Dunque l'amor proprio si trasformava in amor di
patria. E l'odio verso gli altri individui? Non già spariva, ch'è sempre ed
eternamente inseparabile dall'amor proprio, e quindi dal vivente: ma si
trasformava in odio verso le altre società o nazioni. Cosa naturale e
conseguente, se quella tal società o patria, era per ciascuno individuo come un
altro se stesso. Quindi desiderio di soverchiarle, invidia de' loro beni,
passione di render la propria patria signora delle altre nazioni, ingordigia
altresì de' loro beni e robe, e finalmente odio ed astio dichiarato; tutte cose
che nell'individuo trovandosi verso gli altri individui, lo rendono per natura,
880 incompatibile colla società.
[923,2] Siccome l'amor patrio o nazionale non è altro che una
illusione, ma facilmente derivante dalla natura, posta la società, com'è
naturale l'amor proprio nell'individuo, e posta la famiglia, l'amor di famiglia,
che si vede anche ne' bruti; così esso non si mantiene, e non produce buon
frutto senza le illusioni e i pregiudizi che naturalmente ne derivano, o che
anche ne sono il fondamento. L'uomo non è sempre ragionevole, ma sempre
conseguente in un modo o nell'altro. Come dunque amerà
924 la sua patria sopra tutte, e come sarà disposto nei fatti, a tutte le
conseguenze che derivano da questo amore di preferenza, se effettivamente egli
non la crederà degna di essere amata sopra tutte, e perciò la migliore di tutte;
e molto più s'egli crederà le altre, o qualcun'altra, migliore di lei? Come sarà
intollerante del giogo straniero, e geloso della nazionalità per tutti i versi,
{e disposto a dar la vita e la roba per sottrarsi al
dominio forestiero,} se egli crederà lo straniero uguale al
compatriota, e peggio, se lo crederà migliore? Cosa indubitata: da che il
nazionale ha potuto {o voluto} ragionare sulle nazioni,
e giudicarle; da che tutti gli uomini sono stati uguali nella sua mente; da che
il merito presso lui non ha dipenduto dalla comunanza della patria ec. ec.; da
che egli ha cessato di persuadersi che la sua nazione fosse il fiore delle
nazioni, la sua razza, la cima delle razze umane; dopo, dico, che questo ha
avuto luogo, le nazioni sono finite, e come nella opinione, così nel fatto, si
sono confuse insieme; passando inevitabilmente la indifferenza dello spirito e
del giudizio e del concetto, alla indifferenza del sentimento, della
inclinazione, e dell'azione. E questi pregiudizi che si rimproverano alla
Francia, perchè offendono l'amor proprio degli
stranieri, sono la somma salvaguardia della sua nazionale indipendenza, come lo
furono presso gli antichi;
925 la causa di quello
spirito nazionale che in lei sussiste, di quei sacrifizi che i francesi son
pronti a fare ed hanno sempre fatto, per conservarsi nazione, e per non
dipendere dallo straniero; e il motivo per cui quella nazione, sebbene così
colta ed istruita (cose contrarissime all'amor patrio), tuttavia serba ancora,
forse più che qualunque altra, la sembianza di nazione. E non è dubbio che dalla
forza di questi pregiudizi, come preso[presso]
gli antichi, così nella Francia, doveva seguire quella
preponderanza sulle altre nazioni d'europa, ch'ella ebbe
finora, e che riacquisterà verisimilmente. (6. Aprile 1821.).
[1004,2] Tanto era l'odio degli antichi (quanti aveano una
patria e una società) verso gli stranieri, e verso le altre patrie e società
qualunque; che una potenza minima, o anche una città solo assalita da una
nazione intera (come Numanzia da' Romani), non veniva
mica a patti, ma resisteva con tutte le sue forze, e la resistenza si misurava
dalle dette forze, non già da quelle del nemico; e la deliberazione di resistere
era immãcabile[immancabile], e immediata, e
senza consultazione vervna; e dipendeva dall'essere assaliti, non
1005 già dalla considerazione delle forze degli
assalitori e delle proprie, dei mezzi di resistenza, delle speranze che potevano
essere nella difesa ec. E questa era, come ho detto pp. 879-80, una
conseguenza naturale dell'odio scambievole delle diverse società, dell'odio che
esisteva nell'assalitore, e che obbligava l'assalito a disperare de' patti;
dell'odio che esisteva nell'assalito, e che gl'impediva di consentire a
soggettarsi in qualunque modo, malgrado qualunque utilità nel farlo, e qualunque
danno nel ricusarlo, ed anche la intera distruzione di se stessi e della propria
patria, come si vede nel fatto presso gli antichi, e fra gli altri, nel citato
esempio di Numanzia.
[1016,1] Un effetto dell'antico sistema di odio nazionale,
era in Roma il costume del trionfo,
costume che nel presente sistema dell'uguaglianza delle nazioni, {anche delle vinte colle vincitrici,} sarebbe
intollerabile; costume, fra tanto, che dava sì gran vita alla nazione, che
produceva sì grandi effetti, e sì utili per lei, e che forse fu la cagione di
molte sue vittorie, e felicità militari e politiche. (6. Maggio
1821.).
[1037,1] Basta vedere il principio dell'Orazione ᾽Eπιτάϕιος attribuita a Demostene, dove discorre della nobiltà del popolo Ateniese, per
conoscere come fosse fermo fra gli antichi il dogma della disuguaglianza delle
nazioni, e come si aiutassero delle favole, delle tradizioni ec. per
persuadersi, e tener come cosa non arbitraria, ma ragionata e fondata, che la
propria nazione fosse di genere e di natura, e quindi di diritti ec. ec. diversa
dalle altre. Persuasione utilissima e necessaria, come altrove pp.
914-15
pp. 923-25 ho dimostrato. (12. Maggio 1821.).
[1078,1] Altro esempio e conseguenza dell'odio nazionale
presso gli antichi. Ai tempi antichissimi, quando il mondo non era sì popolato,
che non si trovasse
1079 facilmente da cambiar sede, le
nazioni vinte, non solo perdevano libertà, proprietà ec. ma anche quel suolo che
calpestavano. E se non erano portate schiave; o tutte intere, o quella parte che
avanzava alla guerra, alla strage susseguente, e alla schiavitù, se n'andava in
esilio. E ciò tanto per volontà loro, non sopportando in nessun modo di obbedire
al vincitore, e volendo piuttosto mancar di tutto, e rinunziare ad ogni menoma
proprietà passata, che dipendere dallo straniero: parte per forza, giacchè il
vincitore occupava le terre e i paesi vinti non solo col governo e colle leggi,
non solo colla proprietà o de' campi o de' tributi ec. ma intieramente e
pienamente col venirci ad abitare, colle colonie ec. col mutare insomma nome e
natura al paese conquistato, spiantandone affatto la nazione vinta, e
trapiantandovi parte della vincitrice. Così accadde alla
Frigia, ad Enea ec. o se non vogliamo credere quello che se ne racconta, questo
però dimostra qual fosse il costume di que' tempi. (23. Maggio
1821.).
[1083,2] Stante l'antico sistema di odio nazionale, non
esistevano, massime ne' tempi antichissimi, le virtù verso il nemico, e la
crudeltà verso il nemico vinto, l'abuso della vittoria ec. erano virtù, cioè
forza di amor patrio. Da ciò si vede quanto profondi filosofi e conoscitori
della storia dell'uomo, sieno quelli che riprendono Omero d'aver fatto i suoi Eroi troppo spietati e
accaniti col nemico vinto. Egli gli ha fatti grandissimi e virtuosissimi nel
senso di quei tempi, dove il nemico {della nazione} era
lo stesso, che oggi è per li Cristiani il Demonio, il peccato ec. Nondimeno Omero che pel suo gran genio ed anima
sublime e poetica, concepiva anche in que' suoi tempi antichissimi la bellezza
della misericordia verso il nemico, della generosità verso il vinto ec.
considerava però questo bello come figlio della sua immaginazione, e fece che
Achille con grandissima difficoltà
si piegasse ad usar misericordia a Priamo supplichevole nella sua tenda, e al corpo di Ettore.
Difficoltà che a noi pare assurda. (E quindi incidentemente inferite
l'autenticità
1084 di quell'Episodio, tanto controverso
ec.) Ma a lui, ed a' suoi tempi pareva nobile, naturale e necessaria. E notate
in questo proposito la differenza fra Omero e Virgilio. (24.
Maggio 1821.).
[1163,3] Altra prova dell'antico odio nazionale. Presso gli
antichi latini o romani, forestiero e nemico si denotavano colla stessa parola
hostis. V.
Giordani nella lettera al
Monti, in fine; (Proposta ec. vol. 1. par. 2. p. 265. fine.
alle voci Effemeride. Endica. Epidemia)
il
Forcellini, e il mio pensiero su questa voce, {{p. 205. fin.}}
dove si porta anche l'esempio simile, della lingua Celtica. (13. Giugno
1821.).
[1362,1] Tutte le battaglie, le guerre ec. degli antichi,
stante il sistema dell'odio nazionale, che altrove ho largamente esposto pp. 879. sgg.
pp. 1004-1005
pp.
1078-79
pp. 1083-84, erano disperate, e con quella risoluzione di vincere o morire, e con quella
certezza di nulla guadagnare o salvare cedendo, che oggi non si trovano più.
(21. Luglio 1821.).
[1422,1]
1422 Il sistema di odio nazionale si vede anche oggidì,
sì nelle nazioni che meglio conservano la nazionalità (come tra i francesi e
gl'inglesi ec.), sì massimamente ne' selvaggi, i quali, come gli antichissimi,
combattono per la vita e le sostanze, non danno quartiere ai vinti, o menano
schiave le tribù intiere, sono in perpetua nemicizia fra loro, abbruciano,
scorticano, fanno morire fra i più terribili tormenti i nemici della loro tribù
ec. ne mangiano le viscere ec. ec. ec. (31. Luglio. 1821.)
[1606,1] L'anima de' partiti è l'odio. Religione, partiti
politici, scolastici, letterarii, patriotismo, ordini, tutto cade, tutto langue,
manca di attività, e di amore e cura di se stesso, tutto alla fine si scioglie e
distrugge, o non sopravvive se non di nome, quando non è animato dall'odio, o
quando questo per qualunque ragione l'abbandona. La mancanza di nemici distrugge
i partiti, e per partiti intendo pur le nazioni ec. ec. (2. Sett.
1821.).
[1709,1] Dice il Rocca che gli spagnuoli nell'ultima guerra, non si facevano scrupolo,
anzi dovere di mancar {pubblicamente o privatamente} di
parola a' francesi, tradirli comunque, pagare i lor benefizi individuali con
cercar di uccidere il benefattore. ec. ec. {+Così tutti i popoli naturali. Ed egli lo racconta
specialmente dei contadini.} Quindi deducete 1. che cosa sia la
pretesa legge naturale, doveri universali dell'uomo verso i suoi simili, diritti
delle genti ancor che nemiche (e notate che l'uomo naturale è nemico di ciascun
uomo). 2. qual sia la natura {e il sistema} dell'odio
nazionale proprio di tutti i popoli non raffinati, e quindi degli antichi.
Osservate ancora la somma religione degli spagnuoli, la quale pur non bastava a
storcere le loro inclinazioni naturali, e i dettami di colei che si considera
come autrice ec. della morale; quantunque la religion cristiana sia una specie
di civilizzazione, com'è figlia di lei. (15. Sett. 1821.).
[1710,1]
1710 L'amore universale, anche degl'inimici, che noi
stimiamo legge naturale (ed è infatti la base della nostra morale, siccome della
legge evangelica in quanto spetta a' doveri dell'uomo verso l'uomo, ch'è quanto
dire a' doveri di questo mondo) non solo non era noto agli antichi, ma contrario
alle loro opinioni, come pure di tutti i popoli non inciviliti, o mezzo
inciviliti. Ma noi avvezzi a considerarlo come dovere sin da fanciulli, a causa
della civilizzazione e della religione, che ci alleva in questo parere sin dalla
prima infanzia, e prima ancora dell'uso di ragione, lo consideriamo come innato.
Così quello che deriva dall'assuefazione e dall'insegnamento, ci sembra
congenito, spontaneo, ec. Questa non era la base di nessuna delle antiche
legislazioni, di nessun'altra legislazione moderna, se non fra' popoli
inciviliti. Gesù Cristo diceva agli
stessi Ebrei, che dava loro un precetto nuovo ec. Lo spirito della legge
Giudaica non solo non conteneva l'amore, ma l'odio verso chiunque non era
Giudeo. Il Gentile,
1711 cioè lo straniero, era nemico
di quella nazione; essa non aveva neppure nè l'obbligo nè il consiglio di tirar
gli stranieri alla propria religione, d'illuminarli ec. ec. Il solo obbligo, era
di respingerli quando fossero assaliti, di attaccarli pur bene spesso, di non
aver seco loro nessun commercio. Il precetto diliges proximum tuum sicut
te ipsum
*
, s'intendeva non già i tuoi simili, ma i tuoi connazionali. Tutti i doveri sociali degli Ebrei si restringevano
nella loro nazione.
[1723,1] Chi ha disperato di se stesso, o per qualunque
ragione, si ama meno vivamente, è meno invidioso, odia meno i suoi simili, ed è
quindi più suscettibile di amicizia {{per questa}}
parte, o almeno in minor contraddizione con lei. Chi più si ama meno può amare.
Applicate questa osservazione alle nazioni, ai diversi gradi di amor patrio
sempre proporzionali a' diversi gradi di odio nazionale; alla necessità di
render l'uomo egoista di una patria perch'egli possa amare i suoi simili a
cagion di se stesso, appresso a poco come dicono i teologi che l'uomo deve amar
se stesso e i suoi prossimi in Dio, e
1724 per l'amore
di Dio. (17. Sett. 1821.).
[1827,1] Dove non è odio nazionale, quivi non è virtù.
(3. Ott. 1821.).
[1842,1] Oggi la gara di onore è più fra coloro che
compongono una stessa armata che fra le armate nemiche; anticamente per lo
contrario: oggi per conseguenza il soldato invidia e quindi odia il suo compagno
più
1843 che il nemico; anticamente per lo contrario:
oggi egli si duol più di un vantaggio riportato da un suo emulo sopra il nemico,
che de' vantaggi del nemico; anticamente per lo contrario: oggi insomma anche
nelle armate dove regna quella utilissima e grande illusione che si chiama punto
di onore, tutto è egoismo individuale; anticamente tutto era egoismo nazionale.
Signori filosofi, giacchè non si può fare a meno dell'uno o dell'altro, quale vi
sembra il migliore? Anticamente erano emule le nazioni, oggi gl'individui, e più
quelli di una stessa che di diverse nazioni; e così quando anche si cerca la
gloria, cosa ben rara, {+e quando ella si
cerca operando per la nazione e contro i di lei nemici,} ella non è
cercata e non ha per fine che l'individuo in luogo della nazione a cui esso
appartiene. (5. Ott. 1821.).
[2252,1] Che il privato verso il privato straniero, e
massimamente nemico, sia tenuto nè più nè meno a quei medesimi doveri sociali,
morali, di commercio ec. a' quali è tenuto verso il compatriota o concittadino,
e verso quelli che sono sottoposti ad una legislazione comune con lui; che
esista insomma una legge, un corpo di diritto universale che abbracci tutte le
nazioni, ed obblighi l'individuo nè più nè meno verso lo straniero che verso il
nazionale; questa è un'opinione che non ha mai esistito prima del Cristianesimo;
ignota ai filosofi antichi i più filantropi, ignota non solo, ma evidentemente e
positivamente esclusa da tutti gli antichi legislatori i più severi, e pii, e
religiosi, da tutti i più puri moralisti (come Platone) da tutte le più sante religioni e legislazioni,
2253 compresa quella degli Ebrei. Se in qualche nazione
antica, o moderna selvaggia, la legge o l'uso vieta il rubare, ciò s'intende a'
proprii compatrioti, (secondo quanto si estende questo[questa] qualità; perciocchè ora si stringe a una sola città, ora ad
una nazione benchè divisa, come in grecia ec.) e non mica
al forestiere che capita, o se vi trovate in paese forestiere. {+V. il Feith,
Antiquitates homericae, nel Gronovio, sopra la pirateria ec.
λῃστεία, usata dagli antichissimi legalmente e onoratamente cogli
stranieri.} Così dico dell'ingannare, mentire ec. ec.
Infatti osservate che fra popoli selvaggi, ordinariamente virtuosissimi al loro
modo, e pieni de' principii di onore e di coscienza verso i loro paesani ec. i
viaggiatori hanno sempre o assai spesso trovato molta inclinazione a derubarli,
ingannarli ec. eppure i loro costumi non erano certamente corrotti. V. le storie della conquista
del Messico circa l'usanza menzognera di quei popoli
i meno civilizzati. Parimente trovandosi gli antichi o i selvaggi in
terra forestiera, non
2254 hanno mai creduto di mancare
alla legge, danneggiando gli abitatori in qualunque modo.
[2305,2] Ho detto altrove p. 880. sgg.
pp.
1710-11
pp. 2252. sgg. che gli
antichi (e ciò per natura) consideravano il forestiero come naturalmente ed
essenzialmente diverso dal paesano, e come ente d'altra natura. Quindi è ch'essi
si difendevano da' forestieri o gli assaltavano, come facevano colle bestie,
cogli animali o colle cose d'altra specie, se non quanto ponevano maggior gloria
nel vincer gli uomini, come vittoria più difficile. Ma la guerra nell'antica e
primitiva idea non differiva o punto o quasi punto dalla caccia (come non
differisce presso i selvaggi). Quindi non quartiere, non pietà, non magnanimità
(che allora non si credeva aver luogo col nemico), non perdono col vinto; quindi
2306 ostinazione, risolutezza di non cedere, (e
come avrebbero voluto sottostare al governo di animali, di fiere ec.? come
dunque a quello di uomini creduti d'altra specie?) disperazione di esser vinto,
schiavitù, depredamenti, incendi, distruzioni degli alberghi e dei paesi, delle
sostanze e delle persone dei vinti; quindi tutti gli altri effetti dell'antico
odio nazionale, che altrove ho specificati, e che sono parimente moderni nei
selvaggi, barbari ec. (29. Dic. 1821.).
[2389,2]
{Alla p.
2338.} Ho detto delle contraddizioni naturali che
occorrono fra quegli oggetti che il presente stato dell'uomo gli rende
necessarii, anche nell'agricoltura ec. Aggiungo che di quegli stessi animali
ch'egli nodrisce, molti sono nemici fra loro per natura, e si danneggiano
scambievolmente quando non ci si provveda, o che lo facciano volontariamente, o
anche involontariamente per fisiche disposizioni, senza esser nemiche ec. come
le galline nuocciono ai buoi. (16. Feb. 1822.).
[2397,1]
Decia
*
(Montezuma),
que no era crueldad ofrecer à sus Dioses unos
Prisioneros de Guerra, que venian yà condenados à muerte; no hallando razon, que le hiciesse capaz de que
fuessen proximos los Enemigos.
*
D. Antonio de Solìs, Hist. de la Conquista de
Mexico, lib. 3. capitulo 12. en Madrid
año de 1748. p. 230. col. 2. (25. Marzo, dì dell'Annunziazione
di M. V. SS.
1822.).
[2625,1] Ho detto altrove p. 1037 che le
antiche nazioni si stimavano {ciascuna} di natura
diversa dalle altre,
2626 non consideravano queste come
loro simili, e quindi non attribuivano loro nessun diritto, nè si stimavano
obbligate ad esercitar cogli esteri la giustizia distributiva ec. se non in
certi casi, convenuti generalmente per necessità, come dire l'osservazion de'
trattati, l'inviolabilità degli araldi ec. cose tutte, la ragion delle quali
appoggiavano favolosamente alla religione, come quelle che da una parte erano
necessarie volendo vivere in società, dall'altra non avevano alcun fondamento
nella pretesa legge naturale. Quindi gli araldi amici e diletti di Giove presso Omero ec. quindi il violare i trattati era farsi nemici
gli Dei (v. Senof. in Agesilao) ec. Ho citato p. 1037 l'Epitafios attribuito a Demostene per provare che questa falsa, ma
naturale idea della superiorità loro ec. ec. sulle altre nazioni, le
confermavano
2627 le nazioni antiche, e poi le
fondavano sulle favole, e sulle storie da loro inventate, tradizioni ec. dando
così a questo inganno una ragione, e una forza di massima e di principio. Anche
più notabile in questo proposito è quel che si legge nel Panegirico d'Isocrate verso il principio,
dove fa gli Ateniesi superiori per natura ed origine a tutti gli uomini. V. anche l'orazione della Pace, dove
paragona gli Ateniesi coi Τριβαλλοί, e coi Λευκανοί. Similmente il popolo Ebreo
chiamavasi il popolo eletto, e quindi si poneva senza paragone alcuno al di
sopra di tutti gli altri popoli sì per nobiltà, sì per merito, sì per diritti
ec. ec. e spogliava gli altri del loro ec. ec. (25. Settembre
1822.).
[2660,2]
Nella sopraddetta disputazione è notabile un
frammento (c. 15. p. 243.), dove Cicerone in persona di Filo ricorda quella favolosa opinione che avevano gli Arcadi
2661 e gli Ateniesi d'essere αὐτόχθονες cioè terrae filii, perlochè stimandosi di diversa origine e
natura dagli altri uomini, niente stimavano di dovere alle altre nazioni, benchè
riconoscessero leggi e diritti che obbligassero ciascuno individuo della propria
nazione verso gli altri individui della medesima. v. quivi la nota 1. del Mai. (22. Dic. 1822.)
{{V. p. 2665.}}
[2677,1]
{Puoi vedere p.
3791.} Tutti gl'imperi, tutte le nazioni ch'hanno
ottenuto dominio sulle altre, da principio hanno combattuto con quelli di fuori,
co' vicini, co' nemici: poi liberati dal timore esterno, e soddisfatti
dell'ambizione e della cupidigia di dominare sugli stranieri e di possedere quel
di costoro, e saziato l'odio nazionale contro l'altre nazioni, hanno sempre
rivolto il
2678 ferro contro loro medesime, ed hanno
per lo più perduto colle guerre civili quell'impero e quella ricchezza ec. che
aveano guadagnato colle guerre esterne. Questa è cosa notissima e ripetutissima
da tutti i filosofi, istorici, politici ec. Quindi i politici romani prima e
dopo la distruzion di Cartagine, discorsero della
necessità di conservarla, e se ne discorre anche oggidì ec. L'egoismo nazionale
si tramuta allora in egoismo individuale: e tanto è vero che l'uomo è per sua
natura e per natura dell'amor proprio, nemico degli altri viventi e se-amanti;
in modo che s'anche si congiunge con alcuno di questi, lo fa per odio o per
timore degli altri, mancate le quali passioni, l'odio e il timore si rivolge
contro i compagni e i vicini. Quel ch'è successo nelle nazioni è successo ancora
nelle città, nelle corporazioni, nelle famiglie ch'hanno figurato nel mondo ec.
unite contro gli esteri, finchè questi non erano vinti, divise e discordi e
piene d'invidia ec. nel loro interno, subito sottomessi gli estranei. {+Così in ciascuna fazione di una stessa
città, dopo vinte le contrarie o la contraria. V. il proem. del lib. 7. delle Stor. del
Machiavello.} Ed
è bello a questo proposito un passo di Plutarco sulla fine del libro Come si potria
trar giovamento da' nimici (Opusc. mor. di Plut. volgarizzamento da Marcello Adriani il giovane. Opusc. 14. Fir. 1819. t. 1. p.
394.) La qual cosa ben parve che
comprendesse
2679 un saggio uomo di governo
nominato Demo, il quale,
in una civil sedizione dell'isola di Chio,
ritrovandosi dalla parte superiore, consigliava i compagni a non
cacciare della città tutti gli avversarj, ma lasciarne alcuni, acciò
(disse egli) non incominciamo a contendere con gli amici, liberati
che saremo interamente da' nimici: così questi nostri
affetti
*
(soggiunge Plutarco, cioè l'emulazione, la gelosia, e
l'invidia) consumati
contra i nimici meno turberanno gli amici.
*
{+(V.
ancora gl'Insegnamenti Civili di Plut. dove il citato Volgarizzamento p. 434. ha Onomademo in vece di Demo
{{: ὄνομα
Δῆμος.}})}
[2759,2] Chi vuol manifestamente vedere la differenza de'
tempi d'Omero da quelli di Virgilio, quanto ai costumi, e alla
civilizzazione, e alle opinioni che
2760 s'avevano
intorno alla virtù e all'eroismo, {+siccome anche quanto ai rapporti scambievoli delle nazioni, ai diritti e al
modo della guerra, alle relazioni del nimico col nimico;} e chi vuol
notare la totale diversità che passa tra il carattere e l'idea della virtù
eroica che si formarono questi due poeti, e che l'uno espresse in Achille e l'altro in Enea, consideri quel luogo dell'Eneide (X. 521-36.) dov'Enea fattosi sopra Magone che gittandosi in terra e abbracciandogli le
ginocchia, lo supplica miserabilmente di lasciarlo in vita e di farlo cattivo,
risponde, che morto Pallante, non ha
più luogo co' Rutuli alcuna misericordia nè alcun commercio di guerra, e spietatamente pigliandolo per la
celata, gl'immerge la spada dietro al collo per insino all'elsa. Questa scena e
questo pensiero è tolto di peso da Omero, il quale introduce Menelao sul punto di lasciarsi commuovere da simili prieghi, ripreso
da Agamennone, che senza alcuna pietà
uccide il troiano già vinto e supplichevole.
[3073,1]
Alessandro Magno schifò quel
*
(consiglio) d'Aristotile, che volea ch'egli trattasse i Greci da parenti, e
i Barbari da bestie, e sterpi.
*
Id. ib.
(1. Agosto. dì del Perdono. 1823.).
[3115,1] E qui si deve considerare il maraviglioso artifizio
di Omero. Non solevasi a' tempi eroici,
cioè quasi selvaggi, stimar gran fatto il nemico. L'odio che gli portava la
parte contraria, quell'odio il quale faceva che ciascun soldato considerasse
l'esercito o la nazione opposta come nemici suoi personali, e con questo
sentimento combattesse, non lasciava luogo alla stima. E quando anche s'avesse
cagione di stimare il nemico, ciascuno, come si fa de' nemici personali, cercava
a tutto potere di deprimerlo sì nella propria immaginazione che presso gli
altri, e ricusava di riconoscere in lui alcuna virtù. Non prevaleva nè si
conosceva allora quella sentenza che la gloria di chi fortemente combatte e di
chi vince è tanto maggiore quanto più forte e stimabile è il nemico e il vinto.
Ma sebbene allora
3116 ciascuno amasse e cercasse la
gloria sopra ogni altra cosa ed assai più che al presente, niuno si curava di
accrescerla a costo del proprio odio verso il nimico, niuno sosteneva di
aggrandire a' propri occhi o agli altrui il pregio della propria vittoria col
considerare e render giustizia al valore della resistenza; ognuno preferiva di
tenere anzi l'inimico per vile e codardo e tale rappresentarlo agli altri,
perchè l'odio e la vendetta più si soddisfa e gode disprezzando il nimico e
privandolo d'ogni qualsivoglia stima, che sforzandolo e vincendolo, e quasi
piuttosto eleggerebbe di soccombergli che di lodarlo. Una tal disposizione
offriva poche risorse, poca varietà, poco campo di passioni al poema epico. Omero ebbe l'arte di fare che i greci si
contentassero di stimare il nemico che avevano vinto; e fece loro provare il
piacere, a quei tempi ignoto o rarissimo, di vantarsi e compiacersi
3117 di una vittoria riportata sopra un nemico nobile e
valoroso. Questo piacere fu veramente Omero che lo concepì, Omero
che lo produsse; ei non era proprio de' tempi, non nasceva dalla maniera di
pensare e dalle disposizioni di quegli uomini, ma nacque dalla poesia d'Omero; Omero per dir così ne fu l'inventore. Questo gli diede campo di
moltiplicare e intrecciar gl'interessi, di variar le passioni e gli effetti
cagionati dal suo poema nell'animo de' lettori.
[3141,1]
Turno non occupa
se non pochissima parte dell'Eneide, e riesce
così poco interessante che certo la sua sventura e morte non ha mai tratto ad
alcuno un sospiro. Gli Eroi de' Barbari nella Gerusalemme sono
appostatamente {più d'uno} e di ugualissimo pregio,
{#1. Argante, Clorinda,
Solimano. Questi ed Argante sono anche
espressamente emuli, ma tutti tre pari di valore. Altri eroi
degl'infedeli non v'ha nella Gerus.
v. p. 3525.}
sicchè l'interesse non si determina per alcuno di loro, nè della loro morte o
calamità niuno si compiange, nè a veruna di queste morti o calamità tendono le
fila del poema. Di più il Tasso,
stante lo spirito del suo tempo, {+e stante che in quel caso pareva che la Religione
interdicesse, come suole, e confondesse colla empietà
l'imparzialità,} non potè a meno di rappresentare con
tratti odiosi (in alcuno più in altri manco, ma generalmente, {e
massime in Solimano ed Argante,} odiosi) i nemici de'
Cristiani. Quindi nella presa di Gerusalemme niuno sente
per niun modo la sventura e il disastro di quella città infedele, nè
3142 la presa è descritta {o
narrata} con intenzione di muovere a compatimento, nè in maniera da
poterne mai cagionare nè meno a caso. {+Altrettanto dicasi delle sconfitte degli eserciti maomettani o pagani.
E} similmente si discorra dell'altre moderne epopee.
[3157,1] 3. Le idee, i principii di generosità, di equità, di
umanità, {di beneficenza} verso il nemico sì ne'
giudizi sì ne' sentimenti sì nelle azioni, nacquero, si può dir, dopo Omero, mitigati che furono i ferocissimi
{e} implacabili {ed
eterni} odi nazionali, proprii degli uomini ancor vicini a natura.
Essi principii sono massimamente comuni ed efficaci ne' tempi moderni, ne' quali non vi possono avere odi
nazionali, non avendovi quasi nazioni, e niuno individuo considera, come
anticamente, per nemici personali quelli della nazione, i quali altresì ed
effettivamente nol sono nè per sentimento nè per fatto, ma nemici
3158 solamente del suo re ec. Anzi i detti principii
oggi degenerano in totale indifferenza verso il nemico della nazione, la qual
porta a non distinguerlo quasi affatto dall'amico. Or non è egli maraviglioso
che il poema d'Omero sia cento volte più
imparziale e generoso verso i nemici della sua propria nazione, che non sono i
poemi moderni verso la parte contraria a quella ch'in essi si celebra? e tanto
che volendo nella iliade investigare i proprii sentimenti del
poeta, e non mirando se non se all'espressione di questi, appena si potrebbe
oggi distinguere se Omero fosse greco o
troiano, o d'una terza nazione, {+e in
quest'ultimo caso,} per qual di quelle due fosse più propenso nel suo
animo.
[3365,1]
J'ai
vu quatre sauvages de la Louisiane qu'on amena en
France, en 1723. Il y avait parmi eux une
femme d'une humeur fort douce. Je lui demandai, par interprète, si elle
avait mangé quelquefois de la chair de ses ennemis, et si elle y avait
pris goût; elle me répondit qu'oui; je lui demandai si elle aurait
volontiers tué ou fait tuer un de ses compatriotes pour le manger; elle
me répondit en frémissant, et avec une horreur visible pour ce
crime.
*
Voltaire. Correspondance du rince Royal de
Prusse (depuis Frédéric
II.) et de M. de Voltaire.
Lettre 31. Octobre,
3366 à
Cirey. 1737. tome 1.r de la Correspondance de Frédéric II, Roi de Prusse, 10.e de la
collection des Oeuvres Complettes de Frédéric II, Roi de Prusse, 1790. p. 142.
(6. Sett. 1823.).
[3420,1]
3420 Opinione de' greci, anche filosofi, e principali
filosofi, sul giusto e l'ingiusto creduto altro verso i greci, altro verso i
barbari, non accidentalmente, ma naturalmente; sulla supposta inferiorità di
natura di questi a quelli; sul supposto naturale
diritto ne' greci di comandare a tutte l'altre nazioni, come per natura incapaci
di governarsi da se nè d'acquistare le facoltà a ciò convenienti; sulla supposta
servilità non di circostanza ma di natura ne' barbari (cioè nei non greci),
servilità creduta in essi così universale, che l'esser molti di essi nella
propria nazione servi, era creduto irragionevole, perchè niuno nella loro
nazione era stimato aver dritto di comandarli, essendo tutta la nazione composta
di soli servi per natura. Vedi la rep. d'Aristot. edizione del Vettori, Firenze Giunti 1586. libro 1. p.
7. 31. 32. {{libro 3. p. 257.}} e le note del Vettori ai rispettivi luoghi.
{# 1. E Plutarco t. 2. p. 329. B.
ec.}
(12. Settembre 1823.). {{Opinione rinnovatasi presso gli spagnuoli ec. quanto agli
americani indigeni, ai negri ec. ec.}}
[4117,9] Della pretesa αὐτοχϑονία degli ateniesi ed attici,
v. Luciano l. c. e quivi la nota. (19. Agosto.
1824.).
[4121,6] Della pretesa αὐτοχθονία degli Ateniesi vedi Goguet
Origine ec. ed. di
Lucca 1761. p. 52. not. a. tom. 1.
(7. Novembre. Domenica. 1824.).
[4290,1]
C'est
en conséquence de ces cruelles opinions, que l'on a vu enseigner
publiquement, à la honte du Christianisme, que l'on
ne devoit pas garder la foi aux hérétiques; sentiment que Clément VIII, qui d'ailleurs
étoit assez honnête homme pour un Pape, approuvoit, ainsi que s'en
plaint amérement le Cardinal d'Ossat. L'inhumaine décision du
concile de Constance, sur le mépris des saufs - conduits, est aussi le
fruit de cette pernicieuse doctrine.
*
(Hist. du concile de
Constance, préface de Lenfant. P. 47.)
Examen
critique des Apologistes de la religion chrétienne, par M. Fréret, chap. 10. édit. de 1766.
p. 188-9.
(Firenze, 19. Sett. 1827.).
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