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Stranieri. Odio verso gli stranieri; loro esclusione dai diritti sociali ec. ec. presso gli antichi ec.

Foreigners. Hatred toward foreigners; their exclusion from social rights, etc. among the ancients.

879,segg. 923,12 1004,2 1016,1 1037,1 1078,1 1083,2 1163,3 1362,1 1422,1 1606,1 1709,1 1710,1 1723,1 1827,1 1842,1 2252,1 2305,2 2389,2 2397,1 2625,1 2660,2 2677,1 2759,2 3073,1 3115,1 3141-2 3157,1 3365,1 3420,1 4117,9 4121,6 4290,1

[879,1]  Dunque l'amor proprio si trasformava in amor di patria. E l'odio verso gli altri individui? Non già spariva, ch'è sempre ed eternamente inseparabile dall'amor proprio, e quindi dal vivente: ma si trasformava in odio verso le altre società o nazioni. Cosa naturale e conseguente, se quella tal società o patria, era per ciascuno individuo come un altro se stesso. Quindi desiderio di soverchiarle, invidia de' loro beni, passione di render la propria patria signora delle altre nazioni, ingordigia altresì de' loro beni e robe, e finalmente odio ed astio dichiarato; tutte cose che nell'individuo trovandosi verso gli altri individui, lo rendono per natura,  880 incompatibile colla società.

[923,2]  Siccome l'amor patrio o nazionale non è altro che una illusione, ma facilmente derivante dalla natura, posta la società, com'è naturale l'amor proprio nell'individuo, e posta la famiglia, l'amor di famiglia, che si vede anche ne' bruti; così esso non si mantiene, e non produce buon frutto senza le illusioni e i pregiudizi che naturalmente ne derivano, o che anche ne sono il fondamento. L'uomo non è sempre ragionevole, ma sempre conseguente in un modo o nell'altro. Come dunque amerà  924 la sua patria sopra tutte, e come sarà disposto nei fatti, a tutte le conseguenze che derivano da questo amore di preferenza, se effettivamente egli non la crederà degna di essere amata sopra tutte, e perciò la migliore di tutte; e molto più s'egli crederà le altre, o qualcun'altra, migliore di lei? Come sarà intollerante del giogo straniero, e geloso della nazionalità per tutti i versi, {e disposto a dar la vita e la roba per sottrarsi al dominio forestiero,} se egli crederà lo straniero uguale al compatriota, e peggio, se lo crederà migliore? Cosa indubitata: da che il nazionale ha potuto {o voluto} ragionare sulle nazioni, e giudicarle; da che tutti gli uomini sono stati uguali nella sua mente; da che il merito presso lui non ha dipenduto dalla comunanza della patria ec. ec.; da che egli ha cessato di persuadersi che la sua nazione fosse il fiore delle nazioni, la sua razza, la cima delle razze umane; dopo, dico, che questo ha avuto luogo, le nazioni sono finite, e come nella opinione, così nel fatto, si sono confuse insieme; passando inevitabilmente la indifferenza dello spirito e del giudizio e del concetto, alla indifferenza del sentimento, della inclinazione, e dell'azione. E questi pregiudizi che si rimproverano alla Francia, perchè offendono l'amor proprio degli stranieri, sono la somma salvaguardia della sua nazionale indipendenza, come lo furono presso gli antichi;  925 la causa di quello spirito nazionale che in lei sussiste, di quei sacrifizi che i francesi son pronti a fare ed hanno sempre fatto, per conservarsi nazione, e per non dipendere dallo straniero; e il motivo per cui quella nazione, sebbene così colta ed istruita (cose contrarissime all'amor patrio), tuttavia serba ancora, forse più che qualunque altra, la sembianza di nazione. E non è dubbio che dalla forza di questi pregiudizi, come preso[presso] gli antichi, così nella Francia, doveva seguire quella preponderanza sulle altre nazioni d'europa, ch'ella ebbe finora, e che riacquisterà verisimilmente. (6. Aprile 1821.).

[1004,2]  Tanto era l'odio degli antichi (quanti aveano una patria e una società) verso gli stranieri, e verso le altre patrie e società qualunque; che una potenza minima, o anche una città solo assalita da una nazione intera (come Numanzia da' Romani), non veniva mica a patti, ma resisteva con tutte le sue forze, e la resistenza si misurava dalle dette forze, non già da quelle del nemico; e la deliberazione di resistere era immãcabile[immancabile], e immediata, e senza consultazione vervna; e dipendeva dall'essere assaliti, non  1005 già dalla considerazione delle forze degli assalitori e delle proprie, dei mezzi di resistenza, delle speranze che potevano essere nella difesa ec. E questa era, come ho detto pp. 879-80, una conseguenza naturale dell'odio scambievole delle diverse società, dell'odio che esisteva nell'assalitore, e che obbligava l'assalito a disperare de' patti; dell'odio che esisteva nell'assalito, e che gl'impediva di consentire a soggettarsi in qualunque modo, malgrado qualunque utilità nel farlo, e qualunque danno nel ricusarlo, ed anche la intera distruzione di se stessi e della propria patria, come si vede nel fatto presso gli antichi, e fra gli altri, nel citato esempio di Numanzia.

[1016,1]  Un effetto dell'antico sistema di odio nazionale, era in Roma il costume del trionfo, costume che nel presente sistema dell'uguaglianza delle nazioni, {anche delle vinte colle vincitrici,} sarebbe intollerabile; costume, fra tanto, che dava sì gran vita alla nazione, che produceva sì grandi effetti, e sì utili per lei, e che forse fu la cagione di molte sue vittorie, e felicità militari e politiche. (6. Maggio 1821.).

[1037,1]  Basta vedere il principio dell'Orazione ᾽Eπιτάϕιος attribuita a Demostene, dove discorre della nobiltà del popolo Ateniese, per conoscere come fosse fermo fra gli antichi il dogma della disuguaglianza delle nazioni, e come si aiutassero delle favole, delle tradizioni ec. per persuadersi, e tener come cosa non arbitraria, ma ragionata e fondata, che la propria nazione fosse di genere e di natura, e quindi di diritti ec. ec. diversa dalle altre. Persuasione utilissima e necessaria, come altrove pp. 914-15 pp. 923-25 ho dimostrato. (12. Maggio 1821.).

[1078,1]  Altro esempio e conseguenza dell'odio nazionale presso gli antichi. Ai tempi antichissimi, quando il mondo non era sì popolato, che non si trovasse  1079 facilmente da cambiar sede, le nazioni vinte, non solo perdevano libertà, proprietà ec. ma anche quel suolo che calpestavano. E se non erano portate schiave; o tutte intere, o quella parte che avanzava alla guerra, alla strage susseguente, e alla schiavitù, se n'andava in esilio. E ciò tanto per volontà loro, non sopportando in nessun modo di obbedire al vincitore, e volendo piuttosto mancar di tutto, e rinunziare ad ogni menoma proprietà passata, che dipendere dallo straniero: parte per forza, giacchè il vincitore occupava le terre e i paesi vinti non solo col governo e colle leggi, non solo colla proprietà o de' campi o de' tributi ec. ma intieramente e pienamente col venirci ad abitare, colle colonie ec. col mutare insomma nome e natura al paese conquistato, spiantandone affatto la nazione vinta, e trapiantandovi parte della vincitrice. Così accadde alla Frigia, ad Enea ec. o se non vogliamo credere quello che se ne racconta, questo però dimostra qual fosse il costume di que' tempi. (23. Maggio 1821.).

[1083,2]  Stante l'antico sistema di odio nazionale, non esistevano, massime ne' tempi antichissimi, le virtù verso il nemico, e la crudeltà verso il nemico vinto, l'abuso della vittoria ec. erano virtù, cioè forza di amor patrio. Da ciò si vede quanto profondi filosofi e conoscitori della storia dell'uomo, sieno quelli che riprendono Omero d'aver fatto i suoi Eroi troppo spietati e accaniti col nemico vinto. Egli gli ha fatti grandissimi e virtuosissimi nel senso di quei tempi, dove il nemico {della nazione} era lo stesso, che oggi è per li Cristiani il Demonio, il peccato ec. Nondimeno Omero che pel suo gran genio ed anima sublime e poetica, concepiva anche in que' suoi tempi antichissimi la bellezza della misericordia verso il nemico, della generosità verso il vinto ec. considerava però questo bello come figlio della sua immaginazione, e fece che Achille con grandissima difficoltà si piegasse ad usar misericordia a Priamo supplichevole nella sua tenda, e al corpo di Ettore. Difficoltà che a noi pare assurda. (E quindi incidentemente inferite l'autenticità  1084 di quell'Episodio, tanto controverso ec.) Ma a lui, ed a' suoi tempi pareva nobile, naturale e necessaria. E notate in questo proposito la differenza fra Omero e Virgilio. (24. Maggio 1821.).

[1163,3]  Altra prova dell'antico odio nazionale. Presso gli antichi latini o romani, forestiero e nemico si denotavano colla stessa parola hostis. V. Giordani nella lettera al Monti, in fine; (Proposta ec. vol. 1. par. 2. p. 265. fine. alle voci Effemeride. Endica. Epidemia) il Forcellini, e il mio pensiero su questa voce, {{p. 205. fin.}} dove si porta anche l'esempio simile, della lingua Celtica. (13. Giugno 1821.).

[1362,1]  Tutte le battaglie, le guerre ec. degli antichi, stante il sistema dell'odio nazionale, che altrove ho largamente esposto pp. 879. sgg. pp. 1004-1005 pp. 1078-79 pp. 1083-84, erano disperate, e con quella risoluzione di vincere o morire, e con quella certezza di nulla guadagnare o salvare cedendo, che oggi non si trovano più. (21. Luglio 1821.).

[1422,1]   1422 Il sistema di odio nazionale si vede anche oggidì, sì nelle nazioni che meglio conservano la nazionalità (come tra i francesi e gl'inglesi ec.), sì massimamente ne' selvaggi, i quali, come gli antichissimi, combattono per la vita e le sostanze, non danno quartiere ai vinti, o menano schiave le tribù intiere, sono in perpetua nemicizia fra loro, abbruciano, scorticano, fanno morire fra i più terribili tormenti i nemici della loro tribù ec. ne mangiano le viscere ec. ec. ec. (31. Luglio. 1821.)

[1606,1]  L'anima de' partiti è l'odio. Religione, partiti politici, scolastici, letterarii, patriotismo, ordini, tutto cade, tutto langue, manca di attività, e di amore e cura di se stesso, tutto alla fine si scioglie e distrugge, o non sopravvive se non di nome, quando non è animato dall'odio, o quando questo per qualunque ragione l'abbandona. La mancanza di nemici distrugge i partiti, e per partiti intendo pur le nazioni ec. ec. (2. Sett. 1821.).

[1709,1]  Dice il Rocca che gli spagnuoli nell'ultima guerra, non si facevano scrupolo, anzi dovere di mancar {pubblicamente o privatamente} di parola a' francesi, tradirli comunque, pagare i lor benefizi individuali con cercar di uccidere il benefattore. ec. ec. {+Così tutti i popoli naturali. Ed egli lo racconta specialmente dei contadini.} Quindi deducete 1. che cosa sia la pretesa legge naturale, doveri universali dell'uomo verso i suoi simili, diritti delle genti ancor che nemiche (e notate che l'uomo naturale è nemico di ciascun uomo). 2. qual sia la natura {e il sistema} dell'odio nazionale proprio di tutti i popoli non raffinati, e quindi degli antichi. Osservate ancora la somma religione degli spagnuoli, la quale pur non bastava a storcere le loro inclinazioni naturali, e i dettami di colei che si considera come autrice ec. della morale; quantunque la religion cristiana sia una specie di civilizzazione, com'è figlia di lei. (15. Sett. 1821.).

[1710,1]   1710 L'amore universale, anche degl'inimici, che noi stimiamo legge naturale (ed è infatti la base della nostra morale, siccome della legge evangelica in quanto spetta a' doveri dell'uomo verso l'uomo, ch'è quanto dire a' doveri di questo mondo) non solo non era noto agli antichi, ma contrario alle loro opinioni, come pure di tutti i popoli non inciviliti, o mezzo inciviliti. Ma noi avvezzi a considerarlo come dovere sin da fanciulli, a causa della civilizzazione e della religione, che ci alleva in questo parere sin dalla prima infanzia, e prima ancora dell'uso di ragione, lo consideriamo come innato. Così quello che deriva dall'assuefazione e dall'insegnamento, ci sembra congenito, spontaneo, ec. Questa non era la base di nessuna delle antiche legislazioni, di nessun'altra legislazione moderna, se non fra' popoli inciviliti. Gesù Cristo diceva agli stessi Ebrei, che dava loro un precetto nuovo ec. Lo spirito della legge Giudaica non solo non conteneva l'amore, ma l'odio verso chiunque non era Giudeo. Il Gentile,  1711 cioè lo straniero, era nemico di quella nazione; essa non aveva neppure nè l'obbligo nè il consiglio di tirar gli stranieri alla propria religione, d'illuminarli ec. ec. Il solo obbligo, era di respingerli quando fossero assaliti, di attaccarli pur bene spesso, di non aver seco loro nessun commercio. Il precetto diliges proximum tuum sicut te ipsum * , s'intendeva non già i tuoi simili, ma i tuoi connazionali. Tutti i doveri sociali degli Ebrei si restringevano nella loro nazione.

[1723,1]  Chi ha disperato di se stesso, o per qualunque ragione, si ama meno vivamente, è meno invidioso, odia meno i suoi simili, ed è quindi più suscettibile di amicizia {{per questa}} parte, o almeno in minor contraddizione con lei. Chi più si ama meno può amare. Applicate questa osservazione alle nazioni, ai diversi gradi di amor patrio sempre proporzionali a' diversi gradi di odio nazionale; alla necessità di render l'uomo egoista di una patria perch'egli possa amare i suoi simili a cagion di se stesso, appresso a poco come dicono i teologi che l'uomo deve amar se stesso e i suoi prossimi in Dio, e  1724 per l'amore di Dio. (17. Sett. 1821.).

[1827,1]  Dove non è odio nazionale, quivi non è virtù. (3. Ott. 1821.).

[1842,1]  Oggi la gara di onore è più fra coloro che compongono una stessa armata che fra le armate nemiche; anticamente per lo contrario: oggi per conseguenza il soldato invidia e quindi odia il suo compagno più  1843 che il nemico; anticamente per lo contrario: oggi egli si duol più di un vantaggio riportato da un suo emulo sopra il nemico, che de' vantaggi del nemico; anticamente per lo contrario: oggi insomma anche nelle armate dove regna quella utilissima e grande illusione che si chiama punto di onore, tutto è egoismo individuale; anticamente tutto era egoismo nazionale. Signori filosofi, giacchè non si può fare a meno dell'uno o dell'altro, quale vi sembra il migliore? Anticamente erano emule le nazioni, oggi gl'individui, e più quelli di una stessa che di diverse nazioni; e così quando anche si cerca la gloria, cosa ben rara, {+e quando ella si cerca operando per la nazione e contro i di lei nemici,} ella non è cercata e non ha per fine che l'individuo in luogo della nazione a cui esso appartiene. (5. Ott. 1821.).

[2252,1]  Che il privato verso il privato straniero, e massimamente nemico, sia tenuto nè più nè meno a quei medesimi doveri sociali, morali, di commercio ec. a' quali è tenuto verso il compatriota o concittadino, e verso quelli che sono sottoposti ad una legislazione comune con lui; che esista insomma una legge, un corpo di diritto universale che abbracci tutte le nazioni, ed obblighi l'individuo nè più nè meno verso lo straniero che verso il nazionale; questa è un'opinione che non ha mai esistito prima del Cristianesimo; ignota ai filosofi antichi i più filantropi, ignota non solo, ma evidentemente e positivamente esclusa da tutti gli antichi legislatori i più severi, e pii, e religiosi, da tutti i più puri moralisti (come Platone) da tutte le più sante religioni e legislazioni,  2253 compresa quella degli Ebrei. Se in qualche nazione antica, o moderna selvaggia, la legge o l'uso vieta il rubare, ciò s'intende a' proprii compatrioti, (secondo quanto si estende questo[questa] qualità; perciocchè ora si stringe a una sola città, ora ad una nazione benchè divisa, come in grecia ec.) e non mica al forestiere che capita, o se vi trovate in paese forestiere. {+V. il Feith, Antiquitates homericae, nel Gronovio, sopra la pirateria ec. λῃστεία, usata dagli antichissimi legalmente e onoratamente cogli stranieri.} Così dico dell'ingannare, mentire ec. ec. Infatti osservate che fra popoli selvaggi, ordinariamente virtuosissimi al loro modo, e pieni de' principii di onore e di coscienza verso i loro paesani ec. i viaggiatori hanno sempre o assai spesso trovato molta inclinazione a derubarli, ingannarli ec. eppure i loro costumi non erano certamente corrotti. V. le storie della conquista del Messico circa l'usanza menzognera di quei popoli i meno civilizzati. Parimente trovandosi gli antichi o i selvaggi in terra forestiera, non  2254 hanno mai creduto di mancare alla legge, danneggiando gli abitatori in qualunque modo.

[2305,2]  Ho detto altrove p. 880. sgg. pp. 1710-11 pp. 2252. sgg. che gli antichi (e ciò per natura) consideravano il forestiero come naturalmente ed essenzialmente diverso dal paesano, e come ente d'altra natura. Quindi è ch'essi si difendevano da' forestieri o gli assaltavano, come facevano colle bestie, cogli animali o colle cose d'altra specie, se non quanto ponevano maggior gloria nel vincer gli uomini, come vittoria più difficile. Ma la guerra nell'antica e primitiva idea non differiva o punto o quasi punto dalla caccia (come non differisce presso i selvaggi). Quindi non quartiere, non pietà, non magnanimità (che allora non si credeva aver luogo col nemico), non perdono col vinto; quindi  2306 ostinazione, risolutezza di non cedere, (e come avrebbero voluto sottostare al governo di animali, di fiere ec.? come dunque a quello di uomini creduti d'altra specie?) disperazione di esser vinto, schiavitù, depredamenti, incendi, distruzioni degli alberghi e dei paesi, delle sostanze e delle persone dei vinti; quindi tutti gli altri effetti dell'antico odio nazionale, che altrove ho specificati, e che sono parimente moderni nei selvaggi, barbari ec. (29. Dic. 1821.).

[2389,2]  {Alla p. 2338.} Ho detto delle contraddizioni naturali che occorrono fra quegli oggetti che il presente stato dell'uomo gli rende necessarii, anche nell'agricoltura ec. Aggiungo che di quegli stessi animali ch'egli nodrisce, molti sono nemici fra loro per natura, e si danneggiano scambievolmente quando non ci si provveda, o che lo facciano volontariamente, o anche involontariamente per fisiche disposizioni, senza esser nemiche ec. come le galline nuocciono ai buoi. (16. Feb. 1822.).

[2397,1]  Decia * (Montezuma), que no era crueldad ofrecer à sus Dioses unos Prisioneros de Guerra, que venian yà condenados à muerte; no hallando razon, que le hiciesse capaz de que fuessen proximos los Enemigos. * D. Antonio de Solìs, Hist. de la Conquista de Mexico, lib. 3. capitulo 12. en Madrid año de 1748. p. 230. col. 2. (25. Marzo, dì dell'Annunziazione di M. V. SS. 1822.).

[2625,1]  Ho detto altrove p. 1037 che le antiche nazioni si stimavano {ciascuna} di natura diversa dalle altre,  2626 non consideravano queste come loro simili, e quindi non attribuivano loro nessun diritto, nè si stimavano obbligate ad esercitar cogli esteri la giustizia distributiva ec. se non in certi casi, convenuti generalmente per necessità, come dire l'osservazion de' trattati, l'inviolabilità degli araldi ec. cose tutte, la ragion delle quali appoggiavano favolosamente alla religione, come quelle che da una parte erano necessarie volendo vivere in società, dall'altra non avevano alcun fondamento nella pretesa legge naturale. Quindi gli araldi amici e diletti di Giove presso Omero ec. quindi il violare i trattati era farsi nemici gli Dei (v. Senof. in Agesilao) ec. Ho citato p. 1037 l'Epitafios attribuito a Demostene per provare che questa falsa, ma naturale idea della superiorità loro ec. ec. sulle altre nazioni, le confermavano  2627 le nazioni antiche, e poi le fondavano sulle favole, e sulle storie da loro inventate, tradizioni ec. dando così a questo inganno una ragione, e una forza di massima e di principio. Anche più notabile in questo proposito è quel che si legge nel Panegirico d'Isocrate verso il principio, dove fa gli Ateniesi superiori per natura ed origine a tutti gli uomini. V. anche l'orazione della Pace, dove paragona gli Ateniesi coi Τριβαλλοί, e coi Λευκανοί. Similmente il popolo Ebreo chiamavasi il popolo eletto, e quindi si poneva senza paragone alcuno al di sopra di tutti gli altri popoli sì per nobiltà, sì per merito, sì per diritti ec. ec. e spogliava gli altri del loro ec. ec. (25. Settembre 1822.).

[2660,2]  Nella sopraddetta disputazione è notabile un frammento (c. 15. p. 243.), dove Cicerone in persona di Filo ricorda quella favolosa opinione che avevano gli Arcadi  2661 e gli Ateniesi d'essere αὐτόχθονες cioè terrae filii, perlochè stimandosi di diversa origine e natura dagli altri uomini, niente stimavano di dovere alle altre nazioni, benchè riconoscessero leggi e diritti che obbligassero ciascuno individuo della propria nazione verso gli altri individui della medesima. v. quivi la nota 1. del Mai. (22. Dic. 1822.) {{V. p. 2665.}}

[2677,1]  {Puoi vedere p. 3791.} Tutti gl'imperi, tutte le nazioni ch'hanno ottenuto dominio sulle altre, da principio hanno combattuto con quelli di fuori, co' vicini, co' nemici: poi liberati dal timore esterno, e soddisfatti dell'ambizione e della cupidigia di dominare sugli stranieri e di possedere quel di costoro, e saziato l'odio nazionale contro l'altre nazioni, hanno sempre rivolto il  2678 ferro contro loro medesime, ed hanno per lo più perduto colle guerre civili quell'impero e quella ricchezza ec. che aveano guadagnato colle guerre esterne. Questa è cosa notissima e ripetutissima da tutti i filosofi, istorici, politici ec. Quindi i politici romani prima e dopo la distruzion di Cartagine, discorsero della necessità di conservarla, e se ne discorre anche oggidì ec. L'egoismo nazionale si tramuta allora in egoismo individuale: e tanto è vero che l'uomo è per sua natura e per natura dell'amor proprio, nemico degli altri viventi e se-amanti; in modo che s'anche si congiunge con alcuno di questi, lo fa per odio o per timore degli altri, mancate le quali passioni, l'odio e il timore si rivolge contro i compagni e i vicini. Quel ch'è successo nelle nazioni è successo ancora nelle città, nelle corporazioni, nelle famiglie ch'hanno figurato nel mondo ec. unite contro gli esteri, finchè questi non erano vinti, divise e discordi e piene d'invidia ec. nel loro interno, subito sottomessi gli estranei. {+Così in ciascuna fazione di una stessa città, dopo vinte le contrarie o la contraria. V. il proem. del lib. 7. delle Stor. del Machiavello.} Ed è bello a questo proposito un passo di Plutarco sulla fine del libro Come si potria trar giovamento da' nimici (Opusc. mor. di Plut. volgarizzamento da Marcello Adriani il giovane. Opusc. 14. Fir. 1819. t. 1. p. 394.) La qual cosa ben parve che comprendesse  2679 un saggio uomo di governo nominato Demo, il quale, in una civil sedizione dell'isola di Chio, ritrovandosi dalla parte superiore, consigliava i compagni a non cacciare della città tutti gli avversarj, ma lasciarne alcuni, acciò (disse egli) non incominciamo a contendere con gli amici, liberati che saremo interamente da' nimici: così questi nostri affetti * (soggiunge Plutarco, cioè l'emulazione, la gelosia, e l'invidia) consumati contra i nimici meno turberanno gli amici. * {+(V. ancora gl'Insegnamenti Civili di Plut. dove il citato Volgarizzamento p. 434. ha Onomademo in vece di Demo {{: ὄνομα Δῆμος.}})}

[2759,2]  Chi vuol manifestamente vedere la differenza de' tempi d'Omero da quelli di Virgilio, quanto ai costumi, e alla civilizzazione, e alle opinioni che  2760 s'avevano intorno alla virtù e all'eroismo, {+siccome anche quanto ai rapporti scambievoli delle nazioni, ai diritti e al modo della guerra, alle relazioni del nimico col nimico;} e chi vuol notare la totale diversità che passa tra il carattere e l'idea della virtù eroica che si formarono questi due poeti, e che l'uno espresse in Achille e l'altro in Enea, consideri quel luogo dell'Eneide (X. 521-36.) dov'Enea fattosi sopra Magone che gittandosi in terra e abbracciandogli le ginocchia, lo supplica miserabilmente di lasciarlo in vita e di farlo cattivo, risponde, che morto Pallante, non ha più luogo co' Rutuli alcuna misericordia nè alcun commercio di guerra, e spietatamente pigliandolo per la celata, gl'immerge la spada dietro al collo per insino all'elsa. Questa scena e questo pensiero è tolto di peso da Omero, il quale introduce Menelao sul punto di lasciarsi commuovere da simili prieghi, ripreso da Agamennone, che senza alcuna pietà uccide il troiano già vinto e supplichevole.

[3073,1]  Alessandro Magno schifò quel * (consiglio) d'Aristotile, che volea ch'egli trattasse i Greci da parenti, e i Barbari da bestie, e sterpi. * Id. ib. (1. Agosto. dì del Perdono. 1823.).

[3115,1]  E qui si deve considerare il maraviglioso artifizio di Omero. Non solevasi a' tempi eroici, cioè quasi selvaggi, stimar gran fatto il nemico. L'odio che gli portava la parte contraria, quell'odio il quale faceva che ciascun soldato considerasse l'esercito o la nazione opposta come nemici suoi personali, e con questo sentimento combattesse, non lasciava luogo alla stima. E quando anche s'avesse cagione di stimare il nemico, ciascuno, come si fa de' nemici personali, cercava a tutto potere di deprimerlo sì nella propria immaginazione che presso gli altri, e ricusava di riconoscere in lui alcuna virtù. Non prevaleva nè si conosceva allora quella sentenza che la gloria di chi fortemente combatte e di chi vince è tanto maggiore quanto più forte e stimabile è il nemico e il vinto. Ma sebbene allora  3116 ciascuno amasse e cercasse la gloria sopra ogni altra cosa ed assai più che al presente, niuno si curava di accrescerla a costo del proprio odio verso il nimico, niuno sosteneva di aggrandire a' propri occhi o agli altrui il pregio della propria vittoria col considerare e render giustizia al valore della resistenza; ognuno preferiva di tenere anzi l'inimico per vile e codardo e tale rappresentarlo agli altri, perchè l'odio e la vendetta più si soddisfa e gode disprezzando il nimico e privandolo d'ogni qualsivoglia stima, che sforzandolo e vincendolo, e quasi piuttosto eleggerebbe di soccombergli che di lodarlo. Una tal disposizione offriva poche risorse, poca varietà, poco campo di passioni al poema epico. Omero ebbe l'arte di fare che i greci si contentassero di stimare il nemico che avevano vinto; e fece loro provare il piacere, a quei tempi ignoto o rarissimo, di vantarsi e compiacersi  3117 di una vittoria riportata sopra un nemico nobile e valoroso. Questo piacere fu veramente Omero che lo concepì, Omero che lo produsse; ei non era proprio de' tempi, non nasceva dalla maniera di pensare e dalle disposizioni di quegli uomini, ma nacque dalla poesia d'Omero; Omero per dir così ne fu l'inventore. Questo gli diede campo di moltiplicare e intrecciar gl'interessi, di variar le passioni e gli effetti cagionati dal suo poema nell'animo de' lettori.

[3141,1]  Turno non occupa se non pochissima parte dell'Eneide, e riesce così poco interessante che certo la sua sventura e morte non ha mai tratto ad alcuno un sospiro. Gli Eroi de' Barbari nella Gerusalemme sono appostatamente {più d'uno} e di ugualissimo pregio, {#1. Argante, Clorinda, Solimano. Questi ed Argante sono anche espressamente emuli, ma tutti tre pari di valore. Altri eroi degl'infedeli non v'ha nella Gerus. v. p. 3525.} sicchè l'interesse non si determina per alcuno di loro, nè della loro morte o calamità niuno si compiange, nè a veruna di queste morti o calamità tendono le fila del poema. Di più il Tasso, stante lo spirito del suo tempo, {+e stante che in quel caso pareva che la Religione interdicesse, come suole, e confondesse colla empietà l'imparzialità,} non potè a meno di rappresentare con tratti odiosi (in alcuno più in altri manco, ma generalmente, {e massime in Solimano ed Argante,} odiosi) i nemici de' Cristiani. Quindi nella presa di Gerusalemme niuno sente per niun modo la sventura e il disastro di quella città infedele, nè  3142 la presa è descritta {o narrata} con intenzione di muovere a compatimento, nè in maniera da poterne mai cagionare nè meno a caso. {+Altrettanto dicasi delle sconfitte degli eserciti maomettani o pagani. E} similmente si discorra dell'altre moderne epopee.

[3157,1]  3. Le idee, i principii di generosità, di equità, di umanità, {di beneficenza} verso il nemico sì ne' giudizi sì ne' sentimenti sì nelle azioni, nacquero, si può dir, dopo Omero, mitigati che furono i ferocissimi {e} implacabili {ed eterni} odi nazionali, proprii degli uomini ancor vicini a natura. Essi principii sono massimamente comuni ed efficaci ne' tempi moderni, ne' quali non vi possono avere odi nazionali, non avendovi quasi nazioni, e niuno individuo considera, come anticamente, per nemici personali quelli della nazione, i quali altresì ed effettivamente nol sono nè per sentimento nè per fatto, ma nemici  3158 solamente del suo re ec. Anzi i detti principii oggi degenerano in totale indifferenza verso il nemico della nazione, la qual porta a non distinguerlo quasi affatto dall'amico. Or non è egli maraviglioso che il poema d'Omero sia cento volte più imparziale e generoso verso i nemici della sua propria nazione, che non sono i poemi moderni verso la parte contraria a quella ch'in essi si celebra? e tanto che volendo nella iliade investigare i proprii sentimenti del poeta, e non mirando se non se all'espressione di questi, appena si potrebbe oggi distinguere se Omero fosse greco o troiano, o d'una terza nazione, {+e in quest'ultimo caso,} per qual di quelle due fosse più propenso nel suo animo.

[3365,1]  J'ai vu quatre sauvages de la Louisiane qu'on amena en France, en 1723. Il y avait parmi eux une femme d'une humeur fort douce. Je lui demandai, par interprète, si elle avait mangé quelquefois de la chair de ses ennemis, et si elle y avait pris goût; elle me répondit qu'oui; je lui demandai si elle aurait volontiers tué ou fait tuer un de ses compatriotes pour le manger; elle me répondit en frémissant, et avec une horreur visible pour ce crime. * Voltaire. Correspondance du rince Royal de Prusse (depuis Frédéric II.) et de M. de Voltaire. Lettre 31. Octobre,  3366 à Cirey. 1737. tome 1.r de la Correspondance de Frédéric II, Roi de Prusse, 10.e de la collection des Oeuvres Complettes de Frédéric II, Roi de Prusse, 1790. p. 142. (6. Sett. 1823.).

[3420,1]   3420 Opinione de' greci, anche filosofi, e principali filosofi, sul giusto e l'ingiusto creduto altro verso i greci, altro verso i barbari, non accidentalmente, ma naturalmente; sulla supposta inferiorità di natura di questi a quelli; sul supposto naturale diritto ne' greci di comandare a tutte l'altre nazioni, come per natura incapaci di governarsi da se nè d'acquistare le facoltà a ciò convenienti; sulla supposta servilità non di circostanza ma di natura ne' barbari (cioè nei non greci), servilità creduta in essi così universale, che l'esser molti di essi nella propria nazione servi, era creduto irragionevole, perchè niuno nella loro nazione era stimato aver dritto di comandarli, essendo tutta la nazione composta di soli servi per natura. Vedi la rep. d'Aristot. edizione del Vettori, Firenze Giunti 1586. libro 1. p. 7. 31. 32. {{libro 3. p. 257.}} e le note del Vettori ai rispettivi luoghi. {# 1. E Plutarco t. 2. p. 329. B. ec.} (12. Settembre 1823.). {{Opinione rinnovatasi presso gli spagnuoli ec. quanto agli americani indigeni, ai negri ec. ec.}}

[4117,9]  Della pretesa αὐτοχϑονία degli ateniesi ed attici, v. Luciano l. c. e quivi la nota. (19. Agosto. 1824.).

[4121,6]  Della pretesa αὐτοχθονία degli Ateniesi vedi Goguet Origine ec. ed. di Lucca 1761. p. 52. not. a. tom. 1. (7. Novembre. Domenica. 1824.).

[4290,1]  C'est en conséquence de ces cruelles opinions, que l'on a vu enseigner publiquement, à la honte du Christianisme, que l'on ne devoit pas garder la foi aux hérétiques; sentiment que Clément VIII, qui d'ailleurs étoit assez honnête homme pour un Pape, approuvoit, ainsi que s'en plaint amérement le Cardinal d'Ossat. L'inhumaine décision du concile de Constance, sur le mépris des saufs - conduits, est aussi le fruit de cette pernicieuse doctrine. * (Hist. du concile de Constance, préface de Lenfant. P. 47.) Examen critique des Apologistes de la religion chrétienne, par M. Fréret, chap. 10. édit. de 1766. p. 188-9. (Firenze, 19. Sett. 1827.).