Schiavitù.
Slavery.
Vedi Stranieri. See Foreigners. 911,1 3420,1 4117,9 4121,6 4275Diritti degli Schiavi in Atene.
Rights of Slaves in Athens.
4245,1Diritti degli Schiavi a Cuba.
Rights of slaves in Cuba.
4280,3[911,1] Analogo al
pensiero precedente è questo che segue.
912 È
cosa osservata dai filosofi e da' pubblicisti che la libertà vera e perfetta di
un popolo non si può mantenere, anzi non può sussistere senza l'uso della
schiavitù interna. (Così il Linguet, credo anche il Rousseau, Contrat social l.
3. ch. 15. ed altri. Puoi vedere anche l'Essai sur l'indifférence en
matière de Religion, ch. 10. nel passo dove cita in
nota il detto luogo di Rousseau
{insieme} con due righe di questo autore.)
Dal che deducono che l'abolizione della libertà {è}
derivata dall'abolizione della schiavitù, e che se non vi sono popoli liberi,
questo accade perchè non vi sono più schiavi. Cosa, che strettamente presa, è
falsa, perchè la libertà s'è perduta per ben altre ragioni, che tutti sanno, e
che ho toccate in cento luoghi. Con molto maggior verità si potrebbe dire che
l'abolizione della schiavitù è provenuta dall'abolizione della libertà; o
vogliamo, che tutte due son provenute dalle stesse cause, ma però in maniera che
questa ha preceduto quella e per ragione e per fatto.
[3420,1]
3420 Opinione de' greci, anche filosofi, e principali
filosofi, sul giusto e l'ingiusto creduto altro verso i greci, altro verso i
barbari, non accidentalmente, ma naturalmente; sulla supposta inferiorità di
natura di questi a quelli; sul supposto naturale
diritto ne' greci di comandare a tutte l'altre nazioni, come per natura incapaci
di governarsi da se nè d'acquistare le facoltà a ciò convenienti; sulla supposta
servilità non di circostanza ma di natura ne' barbari (cioè nei non greci),
servilità creduta in essi così universale, che l'esser molti di essi nella
propria nazione servi, era creduto irragionevole, perchè niuno nella loro
nazione era stimato aver dritto di comandarli, essendo tutta la nazione composta
di soli servi per natura. Vedi la rep. d'Aristot. edizione del Vettori, Firenze Giunti 1586. libro 1. p.
7. 31. 32. {{libro 3. p. 257.}} e le note del Vettori ai rispettivi luoghi.
{# 1. E Plutarco t. 2. p. 329. B.
ec.}
(12. Settembre 1823.). {{Opinione rinnovatasi presso gli spagnuoli ec. quanto agli
americani indigeni, ai negri ec. ec.}}
[4117,9] Della pretesa αὐτοχϑονία degli ateniesi ed attici,
v. Luciano l. c. e quivi la nota. (19. Agosto.
1824.).
[4121,6] Della pretesa αὐτοχθονία degli Ateniesi vedi Goguet
Origine ec. ed. di
Lucca 1761. p. 52. not. a. tom. 1.
(7. Novembre. Domenica. 1824.).
[4275,1]
Alla p.
4275[4245.] Un'altra cagione per
la quale io amo la μονοϕαγία è per non avere (come necessariamente avrei se
mangiassi in compagnia) dintorno alla mia tavola, assistenti al mio pasto,
d'importuns laquais, épiant nos
discours, critiquant tout bas nos maintiens, comptant nos morceaux d'un
oeil avide, s'amusant à nous faire attendre à boire, et murmurant d'un
trop long dîner.
*
(Rousseau, Émile.)
Disgraziatamente non mi è mai riuscito di assuefarmi a provar piacere in
presenza di persone che, di mia certa scienza, lo condannino, lo deridano, se ne
annoino; non ho mai potuto comprendere come gli altri sopportino anzi si
compiacciano, di siffatti testimonii, l'occupazione e i pensieri dei quali in
quel tempo, tutti sanno essere appunto quelli detti di sopra. Anche gli antichi
a tavola si faceano servire, ma da schiavi, cioè da genti che essi stimavano
meno che uomini, o certo, meno uomini che essi. Però aveano forse ragione di non
curarsi, e di non temere le loro railleries e
disapprovazioni. Ma i nostri servitori sono nostri uguali. Ed è bene strano che
noi, tanto sensibili sopra ogni menomo ridicolo, ogni menoma parola o pensiero
che noi possiamo sapere o sospettare in altrui a nostro disfavore; non ci diamo
cura alcuna di quelli dei servitori in quel tempo, i quali, non sospettiamo, ma
sappiamo ben certo quali sieno intorno di noi: e che mentre non potremmo senza
molestia starcene fermi e oziosi a sedere in un luogo dove fosse presente uno
che noi sapessimo che attualmente si trattenesse in dir male di noi ed in
ischernirci; possiamo poi, avendo molti dintorno di questa sorte, gustare
tranquillamente, e {pienamente senza disturbo alcuno,
i} piaceri della tavola. L'opinione che gli antichi avevano dei loro
schiavi, li giustifica anche per un altro verso, cioè del loro non curarsi
dell'incomodo, della noia, della rabbia che i loro servi dovevano
necessariamente provare nel tempo, e per cagione, di quei loro piaceri; e che
ciascun di noi proverebbe se si trovasse nel
4276 luogo
dei nostri servi quando assistono alle nostre tavole. In vero l'umanità e la
cordialità nostra possono essere un poco accusate, quando elle ci permettono
abitualmente di godere in presenza di persone che il nostro godimento fa patire,
e il cui patimento ci sta sotto gli occhi; e nondimeno godere senza il menomo
disturbo. Non è molto umano il divertirsi in una conversazione mentre il vostro
cocchiere sta esposto alla pioggia: ma in fine voi non lo vedete. Non è molto
umano lo stornar gli occhi dai patimenti degli altri per non esserne afflitto o
turbato, perchè quel pensiero non vi guasti i vostri diletti. Ma il dilettarsi
tranquillamente e a tutto suo agio, finchè n'è capace il corpo e lo spirito,
avendo, non lontane, ma presenti, non nel pensiero, ma negli occhi, persone
uguali a noi, che manifestamente (e con tutta ragione) soffrono, e non per altra
causa, ma pel nostro stesso godere, quanto sarà umano? Io confesso che non mi è
riuscito mai di provar piacere in cosa che io, non dico vedessi, non sapessi, ma
che pur sospettassi che fosse di molestia o di noia ad alcuno: perchè non mi è
mai riuscito di potermi in quel tempo cacciar quel pensiero dalla mente. E ciò,
quando anche non fosse ragionevole in quella tal persona il darsene quella
molestia. Perciò non voglio mangiare in compagnia, per non aver servitori
intorno: perchè appunto io voglio alla tavola provar piacere: e mangiando solo,
non voglio averne che mi assistano. Tanto più che io per bisogno, e con molta
ragione, voglio mangiare a grand'agio, e con lunghezza di tempo (non parendomi
anche che il tempo sia male impiegato in questo, come par che stimino molti, che
si affrettano d'ingoiare ogni cosa, e di levarsi su, quasi che questo momento
fosse il più bello del desinare); la qual lunghezza, con altrettanta ragione, da
chi mi servisse, sarebbe trovata estremamente fastidiosa e intollerabile.
(7. Apr. 1827.).
[4245,1]
Alla p. 4184.
Molte cose si trovano presso gli antichi, come sarebbe questa opinione
sopraddetta, che appartengono e fanno fede ad una squisita umanità, molto
superiore ad ogn'idea moderna. Di tal genere era l'uso di quegli ἔρανοι tanto
famosi presso i greci, e tanto usitati, fino a nascerne, come di ogni buona e
umana istituzione o usanza, abusi che oggi paiono stranissimi. Veggansi nel Casaubono, ad Ateneo libro
7. capo 5. fin.
{(v. p.
4469.)}
E veggansi pure nel medesimo, libro 6.
capo 19. {{princip.}} l'umanità con cui erano
trattati i servi, {cioè schiavi,} dagli Ateniesi, e gli
strani diritti che erano loro dati per le leggi di quella repubblica. {+V. la p.
4280, capoverso 3.}
(15. 1827.). {{V. p. 4286.}}
[4280,3] Presso gli Spagnuoli, i quali si dicono essere
quelli che {nelle colonie} meglio trattano gli schiavi,
i Neri {nell'isola di Cuba}
hanno diritto di forzar per giudizio i loro padroni a venderli ad altri, in caso
di mali trattamenti. V. il N. Ricoglitore,
loc. cit. qui sopra, p. 175. Così appunto gli schiavi aveano il
diritto τοῦ πρᾶσιν αἰτεῖν presso gli Ateniesi, dov'erano meglio trattati che in
alcun'altra parte di Grecia. V. Casaubon.
ad Athenae. l. 6. c. 19. init.
(Recanati. 15. Apr. dì di Pasqua.
1827.).
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