26. Agosto 1821.
[1563,1] La virtù, l'eroismo, la grandezza d'animo non può
trovarsi in grado eminente, splendido e capace di giovare al pubblico, se non
che in uno stato popolare, o dove la nazione è partecipe del potere. Ecco com'io
la discorro. Tutto al mondo è amor proprio. Non è mai nè forte, nè grande, nè
costante, nè ordinaria in un popolo la virtù, s'ella non giova per se medesima a
colui che la pratica. Ora i principali vantaggi che l'uomo può desiderare e
ottenere, si ottengon mediante i potenti, cioè quelli che hanno in mano il bene
e il male, le sostanze, gli onori, e tutto ciò che spetta alla nazione. Quindi
il piacere, il cattivarsi in qualunque modo, o da vicino o da lontano, i
potenti, è lo scopo più o meno degl'individui di ciascuna nazione generalmente
parlando. Ed è cosa già mille volte osservata che i potenti imprimono il loro
carattere, le loro inclinazioni ec. alle nazioni loro soggette.
1564 Perchè dunque la virtù, l'eroismo, la magnanimità
ec. siano praticate generalmente e in grado considerabile da una nazione,
bisognando che questo le sia utile, e l'utilità non derivando principalmente che
dal potere, bisogna che tutto ciò sia amato ec. da coloro che hanno in mano il
potere, e sia quindi un mezzo di far fortuna presso loro, che è quanto dire far
fortuna nel mondo.
[1564,1] Ora l'individuo, massime l'individuo potente, non è
mai virtuoso. Parlo sì del principe, come de' suoi ministri, i quali in un
governo dispotico, necessariamente son despoti, gravitano sopra i loro
subalterni, e questi sopra i loro ec. essendo questa una conseguenza universale
e immancabile del governo dispotico di un solo; cioè che il governo sia composto
di tanti despoti, non potendo il dispotismo essere esercitato dal solo monarca;
e che l'autorità di ciascuno de' suoi ministri, mediati o immediati, sia temuta
con una specie di spavento, adorata ec. da' subalterni ec. (come si può vedere
nel governo passato di Spagna) ed influisca quindi
1565 sommamente sulla nazione, e determini il suo
carattere, essendo dispotica (benchè dipendente) padrona del suo bene e del suo
male.
[1565,1] L'individuo, dico, o gl'individui potenti (siccome
gli altri) non sono nè possono essere virtuosi, se non a caso, cioè o quando la
virtù giovi loro, (cosa rara, perchè a chi ha in mano le cose altrui giova il
servirsene, e non l'astenersene ec. ec. ec.) o quando una straordinaria qualità
di carattere, di educazione ec. ve li porti, del che vedete quanto sieno
frequenti gli esempi nelle storie, massimamente moderne.
[1565,2] L'individuo non è virtuoso, la moltitudine sì, e
sempre, per le ragioni e nel senso che ho sviluppato altrove pp. 892.ff.. Quindi in uno
stato dove il potere o parte di esso sta in mano della nazione, la virtù ec.
giova, perchè la nazione (che tiene il potere) l'ama; e perchè giova, perciò è
praticata più o meno, secondo le circostanze, ma sempre assai più e più
generalmente che nello stato dispotico. {La virtù è utile al pubblico necessariamente. Dunque il pubblico è
necessariamente virtuoso o inclinato alla virtù, perchè necessariamente
ama se stesso e quindi la propria utilità. Ma la virtù non è sempre
utile all'individuo. Dunque l'individuo non è sempre virtuoso nè
necessariamente. Oltre ch'è ben più facile e ordinario ingannarsi un
individuo sulle sue vere utilità, che non la moltitudine. Ma in ogni
modo l'individuo cerca il suo proprio bene, il pubblico cerca il suo
(vero o falso, con mezzi acconci o sconci): questa è virtù sempre e in
qualunque caso, quello egoismo e vizio.} Parlo
principalmente delle virtù pubbliche, cioè di quelle virtù grandi,
1566 i cui effetti, o i cui esempi si stendono
largamente, in qualunque modo avvenga. Ma non intendo di escludere neppure le
virtù private e domestiche, alle quali quanto sia favorevole (massime alle virtù
forti e generose) lo stato popolare, e sfavorevole il dispotico, lo dicano per
me le storie antiche e moderne; lo dica fra le altre la storia della Francia
monarchica, e della Francia repubblicana, lo
dica l'inghilterra ec.
[1566,1] Quando l'utile non è se non ciò che piace
agl'individui, e questi non sono, e quasi non possono esser virtuosi, o lo sono
momentaneamente, o questo sì e quello no, e cento altri nò[no]; quando l'utilità insomma delle virtù dipende dal
carattere, dalle inclinazioni, dalle voglie, dai disegni degl'individui, e per
conseguenza la virtù, quando anche giovi talvolta, non giova costantemente ed
essenzialmente, ma per circostanze accidentali, non è possibile che quella tal
nazione sia abitualmente e generalmente virtuosa, e {che
gl'individui di lei} si allevino in quella virtù che da un momento
all'altro può divenir loro non solo inutile, ma anche dannosissima. La virtù
allora
1567 non sussistendo che nelle apparenze, quando
queste bisognino, non è virtù, ma calcolo, finzione, e quindi vizio. E bisogna
ch'ella sia {sempre} finta nei sudditi, perch'essi,
quando anche giovi oggi, non possono sapere se gioverà domani, dipendendo la sua
utilità non dalla sua natura, {+nè da
circostanze essenziali, e stabilmente fondate nella loro ragione,} ma
dall'essere amata o non amata da individui, che per lo più non l'amano, e che se
non altro, oggi possono amarla e domani no, amarla questo, e odiarla {quello, o} il suo successore. ec. ec.
[1567,1] Oltracciò quelle qualità che {si} esercitano per piacere ad una società molto estesa, come dire
alla nazione, sono quasi inseparabili {+(quando anche fossero finte, nel qual caso non giovano
costantemente)} da una certa grandezza d'animo; e contribuisce questa
circostanza a render gli uomini virtuosi ec. e veramente virtuosi. Anche lo
stesso far corte a una nazione {per ottenerne il
favore,} ingrandisce l'animo, ed è compatibile colla virtù. Il
soggettarsi alla nazione è piuttosto grandezza che bassezza. Dove che il far
corte all'individuo per cattivarsene la grazia, il soggettarsi ad un uomo uguale a voi, e nel quale non vedete
nessuna buona {e sublime} ragione di predominio,
nessuna
1568 bella illusione che nobiliti il vostro
abbassamento (come accade riguardo alla nazione, la cui moltitudine pone quasi
lo spettatore in una certa distanza, e la distanza dà pregio alle cose; alla
nazione dove sempre si suppongono grandi e buone qualità in massa); tutto questo
dico impiccolisce, avvilisce, abbassa, umilia l'animo, e gli fa ben sentire il
suo degradamento, laonde è incompatibile colla virtù; perchè chi ha forza di far
questo, ha perduto la stima di se stesso, fonte, guardia, e nutrice della virtù;
e chi ha perduto la stima di se, e consentito a perderla, {e
non se ne pente, nè cerca ricuperarla ec. {+o chi non l'ha mai posseduta nè
curata,}} non può assolutamente essere virtuoso. (26.
Agosto 1821.).