Spagnuoli. Loro lingua, letteratura ec.
Spaniards. Their language, literature, etc.
768 805 1024,3 1035 1156 1499,2 1845,1 1993,2 2181,1 2221,2 2236,1 2326 2462,2 2464,1 2608,3 2783 3066 3070 3074,3 3324,1 3366,1 3372,2 3544 3572,1 3829,1 3851,2 3855,21 3946,2 3992,5 3998,4 4005,5 4021,3 4022,4 4040,7 4046,1.6 4053,6 4054,4 4062,4 4067,1 4068,1 4069,1 4076,1 4088,1 4099,1 4101,4.10 4103,4 4104,5 4111,12 4112,4.8 4113,2 4116,5 4118,1 4120,4 4121,5 4122,4 4123,6 4126,9 4127,1.3.8 4134,1 4146,7 4157,5 4160,3 4161,1 4163,1.4.6 4164,1.4.9 4245,2 4246,5[766,1] Osservo anche questo. Noi ci vantiamo con ragione
della somma ricchezza, {copia,} varietà, potenza della
nostra lingua, della sua pieghevolezza, trattabilità, attitudine a rivestirsi di
tutte le forme, prender abito diversissimo secondo qualunque soggetto che in
essa si voglia trattare, adattarsi a tutti gli stili; insomma della quasi
moltiplicità di lingue contenute o possibili a contenersi nella nostra favella.
Ma da che cosa stimiamo noi che sieno derivate in lei queste qualità? Forse
dalla sua primitiva ed ingenita natura ed essenza? Così ordinariamente si dice,
ma c'inganniamo di gran lunga. Le dette qualità, le lingue non
767 le hanno mai per origine nè per natura. Tutte a presso a poco sono
disposte ad acquistarle, e possono non acquistarle mai, e restarsene poverissime
e debolissime, e impotentissime, e uniformi, cioè senza nè ricchezza, nè copia,
nè varietà. Tale sarebbe restata la lingua nostra, senza quello ch'io dirò.
Tutte lo sono nei loro principii, e non intendo mica nei loro primissimi
nascimenti, ma finattanto che non sono coltivate, e con molto studio ed impegno,
e da molti, e assiduamente, e per molto tempo. Quello che proccura alle lingue
le dette facoltà e buone qualità, è principalmente (lasciando l'estensione, il
commercio, la mobilità, l'energia, la vivacità, {gli
avvenimenti, le vicende, la civiltà, le cognizioni,} le circostanze
politiche, morali, fisiche delle nazioni che le parlano) è, dico, principalmente
e più stabilmente e durevolmente che qualunque altra cosa, la copia e la varietà
degli scrittori che l'adoprano e coltivano. {v. p.
1202.} Questa siccome, per ragione della maggior
durata, e di altre molte circostanze, fu maggiore nella
grecia che nel Lazio, perciò
la lingua greca possedè le dette
768 qualità, in maggior
grado che la latina; ma non prima le possedè che fosse coltivata e adoperata da
buon numero di scrittori, e sempre (come accade universalmente) in proporzione
che il detto numero e la varietà o de' soggetti o degli stili o degl'ingegni
degli scrittori, fu maggiore, e s'accrebbe. La lingua latina similmente non le
possedè (sebben meno della greca, pure in alto grado) se non quando ebbe copia
{e varietà} di scrittori. Tutte le lingue antiche e
moderne che hanno mancato di questo mezzo, hanno anche mancato di queste
qualità. Per portare un esempio (oltre le lingue Europee meno colte) la lingua
Spagnuola nobilissima, e di genio al tutto classico, e somigliantissima poi alla
nostra particolarmente, sì per lo genio, come per molti altri capi, {e sorella nostra non meno di ragione che di fatto, e di
nascita che di sembianza, costume, indole,} non è inferiore alla
nostra nelle dette qualità, se non perchè l'è inferiore principalmente nella
copia e varietà degli scrittori. Se la lingua francese, non ostante la gran
quantità degli scrittori, e degli
769 ottimi scrittori,
si giudica ed è tuttavolta inferiore alla nostra ed alle antiche per questo
verso, ciò è avvenuto per le ragioni particolari che ho più volte accennate. La
riforma di essa lingua, la regolarità prescrittale, la figura datale, avendo
uniformato tutti gli stili, la poesia alla prosa; impedita la varietà e
moltiplicità della lingua, secondo i vari soggetti e i vari ingegni; tolta la
libertà, e la facoltà inventiva agli scrittori, in questo particolare; tolto
loro l'ardire, anzi rendutinegli affatto schivi e timidi ec. ec. la
Francia è venuta a mancare della varietà degli
scrittori, non ostante che n'abbia la copia, ed abbia la varietà de' soggetti,
perchè tutti i soggetti da tutti gl'ingegni si trattano, possiamo dire, in un
solo modo. E ciò deriva anche dalla natura e forza della eccessiva civiltà di
quella nazione, e della influenza della società: così stretta e legata, che
tutti gl'individui francesi fanno quasi un solo individuo. E laddove
770 nelle altre nazioni, si cerca ed è pregio il
distinguersi, in quello è pregio e necessità il rassomigliarsi anzi
l'uguagliarsi agli altri, e ciascuno a tutti e tutti a ciascuno. Queste ragioni
rendendogli timidi dell'opinione del ridicolo ec. e scrupolosi osservatori delle
norme prescritte e comuni nella vita, li rende anche superstiziosi, timidi,
schivi affatto di novità nella lingua. Ma tutto ciò quanto {alle sole forme e} modi, perchè questi soli, sono stati fra loro
determinati, e prescritti i termini (assai ristretti) dentro i quali convenga
contenersi, e fuor de' quali sia interdetto ogni menomo passo. {+E così quanto allo stile uniforme si può
dire in tutti, e in tutti i generi di scrittura, anche nelle traduzioni ec.
tirate per forza allo stile comune francese, ancorchè dallo stile il più
renitente e disperato; e quanto in somma all'unità del loro stile, e del
loro linguaggio che ho notata altrove p.
321.} Ma non quanto alle parole, nelle quali, restata libera in
francia la facoltà inventiva, e il derivare
novellamente dalle proprie fonti, sempre aperte sinchè la lingua vive; la lingua
francese cresce di parole ogni giorno e crescerà. Che se le cavassero sempre
dalle proprie fonti, o con quei rispetti che si dovrebbe, non avrei luogo a
riprenderli, come ho fatto altrove p. 50
pp. 110-11
p. 344, e della corruzione e dell'aridità a cui {vanno} portando la loro lingua.
771 La quale
inoltre, da principio, era, come la nostra, attissima alla novità ed al
bell'ardire, anche nei modi, secondo che ho detto altrove pp. 688-90
p. 758. La lingua tedesca, rimasa per tanti secoli impotente ed
umile, ancorchè parlata da tanta e sì estesa moltitudine di popoli, non per
altro che per avere avuto nell'ultimo secolo e ne' pochi anni di questo, immensa
copia e varietà di scrittori, è sorta a si[sì]
alto grado di facoltà e di ricchezza e potenza.
[805,1]
805
Alla p. 762.
Per poco che si osservi facilmente si scuopre che tutte le lingue colte, da
principio hanno avuto e adoperato estesamente la facoltà dei composti, come poi
tutte, cred'io, (eccetto la greca che la conservò fino alla fine) l'hanno quale
in maggiore quale in minor parte perduta. Tutte però hanno conservato o tutti, o
maggiore o minor parte dei loro primi composti, divenuti bene spesso così
familiari, che han preso come apparenza e opinione di radici, e forse così hanno
servito di materia essi stessi a nuove composizioni. La lingua Spagnuola ha
composti, e derivati da' composti (come pure le altre lingue, chè anche questi
derivati sono un bellissimo e fecondissimo genere di parole): ed alcuni
bellissimi e utilissimi {e felicissimi} altrettanto che
arditi, come {tamaño,}
demàs, e da questo {ademàs,}
demasìa, demasiado, {demasiadamente, sinrazon, {+sinjusticia, sinsabor,}
pordiosear cioè limosinare, e pordioseria mendicità,} ec. che
sono di grande uso e servigio. Tutte le lingue colte hanno ancora avuto delle
particelle destinate espressamente alla composizione e che non si trovano fuor
de' composti. Così la greca, così la latina, così la francese, la spagnuola (des ec. ec.), l'inglese
806
(mis ec. ec.) ec. Ed è tanta la necessità de'
composti che senza questi nessuna lingua sarebbe mai pervenuta a quello che si
chiama o ricchezza, o coltura, o anche semplice potenza di discorrere di molte
cose, o di alcune cose particolarmente e specificatamente. Perchè le radici
converrebbe che fossero infinite per esprimere e tutte le cose occorrenti, e
tutte le piccole gradazioni, e differenze e nuances
{e accidenti} di una cosa, per ciascuna delle quali
gradazioncelle si richiederebbe una diversa radice, altrimente il discorso non
sarà mai nè espressivo nè proprio, e neanche chiaro, anzi per lo più equivoco,
improprio, dubbio, oscuro, generico, indeterminato. Così appunto avviene alla
lingua ebraica (la quale non par che si possa mettere fra le colte) perchè con
bastanti radici e derivati, è priva di composti: {+o quasi priva: non avendo che fare i
suoi suffissi ed affissi colla composizione, ma essendo come casi {o inflessioni} o accidenti {o
affezioni(πάθη)} de' nomi e de' verbi, o segnacasi ec. e non
variando punto il significato essenziale, nè la sostanza della parola;
come presso noi batterlo, uccidermi, dargli,
andarvi, uscirne ec. che non si chiamano, nè sono composti nel
nostro senso.} Dal che segue ch'ella ed è soggetta alle
dette difficoltà, e disordini; e resta poverissima; ed io dico che tale ci
parrebbe eziandio quando anche in quella lingua esistessero altri libri, oltre
la Bibbia, se però questi libri mancassero parimente de'
composti. Ci vorrebbero, ho detto, infinite radici. Ora
807 una più che tanta moltitudine di radici, è difficilissima per
natura, giacchè un composto subito s'intende, ma perchè una radice, sia subito e
comunissimamente intesa (com'è necessario), e passi nell'uso universale, ci vuol
ben altro. Perciò la invenzione delle radici in qualunque società d'uomini
parlanti, o primitiva o no, è sempre naturalmente scarsa, e povera quella lingua
che non può esprimersi senza radici, perch'ella non si esprimerà mai se non
indefinitamente, ed ogni parola (come accade nell'Ebraico) avrà una quantità di
significati. {+V. se vuoi, Soave, append. al Capo 1. Lib. 3. del
Compendio di Locke, Venezia 3.za edizione 1794.
t. 2. p. 12. fine - 13. e Scelta di opusc. interess.
Milano 1775. Vol. 4. p. 54. e questi
pensieri p. 1070. capoverso
ult.} E se, volete vedere facilmente, perchè una
lingua appena è cominciata a divenire un poco colta, e ad aver bisogno di
esprimere molte cose, e {queste} specificatamente e
chiaramente e distintamente e le loro differenze ec. perchè, dico, abbia subito
avuto ricorso e trovati i composti, osservate. Che sarebbe l'aritmetica se ogni
numero si dovesse significare con cifra diversa, e non colla diversa
composizione di pochi elementi? Che sarebbe la scrittura se ogni parola dovesse
esprimersi colla sua cifra o figura particolare, come dicono della scrittura
Cinese? La stessa
808 facilità e semplicità di metodo, e
nel tempo stesso fecondità anzi infinità di risultati e combinazioni, che deriva
dall'uso degli elementi nella scrittura e nell'aritmetica, anzi in tutte le
operazioni della vita umana, anzi pure della natura (giacchè, secondo i chimici
tutto il mondo e tutti i {diversissimi} corpi si
compongono di un certo tal numero di elementi diversamente combinati, e noi
medesimi siamo così composti e fatti {anche nell'ordine morale come ho dimostrato in molti pensieri
sulla semplicità del sistema dell'uomo p. 53
pp. 181-82
pp. 603. sgg.
pp. 629. sgg.
}); deriva anche dall'uso degli elementi nella lingua. Al che si ponga
mente per giudicarne quanto sia necessario anche oggidì ritenere più che si
possa, e nella nostra e in qualunque lingua, la facoltà de' nuovi composti,
atteso l'immenso numero delle nuove cose bisognose di denominazione (massime
nella lingua nostra); numero che ogni giorno necessariamente e naturalmente si
accresce: e d'altra parte l'impossibilità della troppa moltiplicità delle
radici, sì al fatto, o all'invenzione, sì all'uso, intelligenza, e diffusione,
sì anche alle facoltà della memoria e dell'intelletto umano, {+ed alla chiarezza delle
idee che debbono risultare dalla parola, chiarezza quasi incompatibile
colle nuove radici (v. p.
951.), e compatibilissima coi nuovi composti; oltre alla
mancanza di gusto che deriva
dalle nuove radici, le quali sono sempre termini, come ho spiegato altrove pp. 109-111: non così i composti derivati
dalla propria lingua.} Lo dico senza dubitare. La lingua
più ricca sarà sempre quella che avrà conservata
809 più
lungamente, e più largamente adoperata la facoltà dei composti, e oggidì quella
che la conserverà maggiore, e maggiormente l'adoprerà. L'esempio della lingua
greca, ricchissima fra quante furono sono e saranno, anzi sempre e anche oggi
inesauribile, conferma abbondantemente col fatto questa mia sentenza, già sì
evidente in ragione. E d'altra parte la mia teoria serve a spiegare il secreto e
il fenomeno di una tal lingua sempre uguale alla copia qualunque delle cose. Se
dunque vogliamo che una lingua sia veramente onnipotente quanto alle parole,
conserviamole o rendiamole, e se è possibile, accresciamole la facoltà de' {nuovi} composti e derivati, cioè l'uso degli elementi
ch'essa ha, e il modo, la facoltà di combinarli quanto più diversamente, e
moltiplicemente si possa. Questo, e non la moltiplicità degli elementi forma la
vera {e sostanziale} ricchezza {copia} e onnipotenza delle lingue (quanto alle parole) come la forma
di tutte le altre cose umane e naturali. Generalizziamo un
810 poco le nostre idee, e facilmente ci persuaderemo di questo ch'io
dico, e come, per natura universale delle cose umane, la detta facoltà sia non
solo la principale e fondamentale, ma necessaria e indispensabile sorgente della
ricchezza copia e potenza di qualunque lingua, e della proprietà, definitezza, e
chiarezza dell'espressione: dico quanto alle parole. (18. Marzo
1821.).
[1024,3]
Alla p. 1021.
Così che la presente corruzione della lingua italiana e parlata e scritta,
aggiunge un nuovo e fortissimo ostacolo alla sua universalità. Giacchè gli
stranieri non conoscono, {si può dire,} altra
letteratura nè lingua italiana scritta, se non l'antica, non passando
1025 e non meritando di passare le
alpi i nostri libri moderni, e non avendo noi propriamente
letteratura (non dico scienze) moderna, e neppur lingua moderna stabilita,
formata, {riconosciuta} e propria. D'altra parte non
conoscono nè possono conoscere altra lingua italiana parlata, se non quella che
oggi si parla, tanto diversa dall'antica e parlata e scritta, e dalla buona e
vera {e propria} favella italiana. Lo stesso appresso a
poco si può dire dello spagnuolo. (9. Maggio 1821.).
[1035,1] Discorro allo stesso modo dello Spagnuolo e del
francese. Se queste lingue {sono volgari, e} derivano
dal latino, dunque dal latino parlato, e non dallo scritto; dunque dal latino
volgare; dunque la lingua latina si stabilì nella Spagna
e nella Francia come lingua parlata, e non solamente come
lingua civile, governativa, letteraria (e così è infatti, e nella lingua
francese restano pochissime parole Celtiche, nella spagnuola nessun vestigio
dell'antica lingua di Spagna: Andrès, 2. 252.); dunque il volgare latino più o meno
alterato da mescolanza straniera, si mantenne senza interruzione in
Ispagna e in Francia (siccome
in Valacchia) dalla sua prima introduzione, sino al
nascimento delle lingue spagnuola e francese, e per mezzo di queste sino al dì
d'oggi. Dell'antica origine della presente lingua spagnuola, e come i più vecchi
monumenti che ne restano, siano, come quelli della lingua provenzale, francese
ec. conformissimi al latino, v. un esempio recato in quella lingua dall'Andrès 2. 286. fine.
[1155,4]
Alla p. 1128.
Da queste osservazioni apparisce che la desinenza italiana della prima persona
{attiva} singolare del perfetto indicativo, dico la
desinenza in ai, è la vera e primitiva desinenza
latina di detta persona, conservatasi per tanti secoli {dopo
sparita dalle scritture, o senza mai esservi ammessa,} mediante il
volgare latino; e per tanti altri, mediante la nostra lingua che gli
1156 è succeduta. Desinenza conservatasi anche nella
scrittura francese, nostra sorella, ma perduta nella pronunzia, conforme alla
qual pronunzia gli spagnuoli (altri nostri fratelli) scrivono e dicono amè ec. Voce senza fallo derivata dall'antichissimo
amai, mutato il dittongo ai nella lettera e, forse a cagione del
commercio scambievole ch'ebbero i francesi e gli spagnuoli, e le lingue e poesie
loro ne' principii di queste e di quelle: commercio notabilissimo, {lungo, vivo, e frequente;} e conosciuto dagli eruditi,
(Andrès t. 2. p. 281. fine, e segg.) e che
in ordine alla {forma di} molte parole e frasi è la
sola cagione per cui la lingua spagnuola somiglia alla latina meno della nostra,
quantunque in genere somigli {e la latina e la nostra}
assai più della francese. Così nel futuro amarè ec.
ec. somiglia alla lingua francese pronunziata.
[1499,2] Dalla teoria che abbiamo dato dei sinonimi si
deducono alcune osservazioni intorno alla
1500
diramazione e diversità delle lingue nate da una stessa madre, massime da una
madre già formata, colta, ricca, letterata ec. Nata appoco appoco la sinonimia
nella lingua madre, e quindi diffusa questa in diverse parti, non tutti i
sinonimi passano a ciascuna lingua figlia, ma solamente alcuni a questa, altri a
quella. E questa è pur una delle cagioni della maggior ricchezza e proprietà
delle lingue antiche. Le lingue figlie di una madre già formata, per lo più sono
meno ricche di lei. Il tempo dopo aver soppresso le differenze de' significati
(sia prima della diffusione, e presso la nazione originariamente partecipe di
quella lingua, sia molto più dopo, e presso le nazioni che sempre corrottamente
la ricevono e sempre mancante e povera, per la ignoranza e la difficoltà
d'imparare una lingua nuova, e l'impossibilità di ricevere e praticar tutta
intera una {tal} lingua ricca ec. ec.), il tempo, dico,
sopprime quindi naturalmente una buona parte de' sinonimi, conservandone solo
uno o due per significato, che prevalendo appoco appoco nell'uso, fanno
dimenticar gli altri ec. Così le lingue perdono
1501
appoco appoco necessariamente di ricchezza e di proprietà, a causa della
sinonimia. Oltre che le lingue figlie, nascendo da corruzione, e dagli stessi
danni che il tempo reca alla sostanza materna, non la possono mai di gran lunga
ereditar tutta intera. {+E così il fondo
delle lingue si va sempre scemando se per altra parte non si accresce, e le
lingue che nascono sono sempre più povere di
quelle che le producono, almeno nei principii.}
[1845,1] Moltissime parole si trovano, comuni a più lingue, o
perchè derivate da questa a quella, ed immedesimate con lei, o perchè venute da
origine comune, le quali parole in una lingua sono eleganti, in
un[un'] altra no; in una affatto nobili anzi
sublimi, in un'altra affatto pedestri. Così dico delle frasi ec. Unica ragione è
la differenza dell'uso, e delle assuefazioni. Noi italiani possiamo facilmente
osservare
1846 nella lingua spagnuola, la più affine
alla nostra che esista, e di maniera che tanta affinità e somiglianza non si
trova forse fra due altre lingue colte; non poche parole e frasi {+o significazioni, o metafore ec.}
proprie della sola poesia, che nella nostra son proprie della sola prosa, e
viceversa: parte derivate dalla comune madre di ambe le lingue, parte dalla
italiana alla spagnuola, parte viceversa. Così pure possiamo osservar noi, e
possono pur gli spagnuoli, non poche altre notabilissime differenze di nobiltà
di eleganza di gusto ec. in parole e frasi comuni ad ambe le lingue nella
medesima significazione. Similmente discorrete dell'inglese e del tedesco, del
francese rispetto alle tante lingue che han preso da lei, o rispetto alle due
sue sorelle ec. del greco ancora rispetto al latino ec. (5. Ott.
1821.).
[1993,2] La lingua francese ricevette una certa forma, e
venne in onore prima dell'italiana, e forse anche della spagnuola, mercè de'
poeti provenzali che la scrivevano ec. Onde sulla fine stessa del ducento, e
principio di quel trecento che innalzò la lingua italiana su tutte le vive
d'allora, si stimava in italia
la
parlatura francesca
*
esser la più dilettevole e comuna di tutti gli altri
linguaggi parlati
*
;
1994
si scriveva in quella piuttosto che nella nostra, stimandola più bella e
migliore
*
ec. v. Perticari, del 300. p.
14-15. Ma la buona fortuna dell'italia volle
che nel 300, cioè prima {assai} che in nessun'altra
nazione, sorgessero in essa tre grandi scrittori, giudicati grandi anche poscia,
indipendentemente dall'età in cui vissero, i quali applicarono la nostra lingua
alla letteratura, togliendola dalle bocche della plebe, le diedero stabilità,
regole, andamento, indole, tutte le modificazioni necessarie per farne una
lingua non del tutto formata, ch'era impossibile a tre soli, ma pur tale che già
bastasse ad esser grande scrittore adoperandola; la modellarono sulla già
esistente letteratura latina ec. Questa circostanza, indipendente affatto dalla
natura della lingua italiana, ha fatto e dovuto far sì che l'epoca di essa
lingua si pigli necessariamente
1995 d'allora in poi,
cioè da quando ell'ebbe tre sommi scrittori, che l'applicarono decisamente alla
letteratura, {all'altissima poesia,} alle grandi e
nobili cose, alla filosofia, alla teologia (ch'era allora il non plus ultra, e
perciò Dante col suo magnanimo ardire,
pigliando quella linguaccia greggia ed informe dalle bocche plebee, e volendo
innalzarla fin dove si può mai giungere, si compiacque, anche in onta della
convenienza e buon gusto poetico, di applicarla a ciò che allora si stimava la
più sublime materia, cioè la teologia). Questa circostanza ha fatto che la
lingua italiana contando oggi, a differenza di tutte le altre, cinque interi
secoli di letteratura, sia la più ricca
di tutte; questa che la sua formazione e la sua indole sia decisamente antica,
cioè bellissima e liberissima, con gli altri infiniti vantaggi delle lingue
antiche (giacchè i cinquecentisti che poi decisamente la formarono, oltre
1996 che sono antichi essi stessi, e che si modellarono
sugli antichi classici latini e greci seguirono ed in ciò, e in ogni altra cosa
il disegno e le parti di quella tal forma che la nostra lingua ricevette nel
300. e ch'essi solamente perfezionarono, compirono, e per ogni parte regolarono,
uniformarono, ed armonizzarono); questa circostanza ha fatto che la
nr̃a[nostra] lingua non abbia mai
rinunziato alle parole, modi, forme antiche, ed all'autorità degli antichi dal
300 in poi, non potendo rinunziarvi se non rinunziando a se stessa, perchè
d'allora in poi ell'assunse l'indole che la caratterizza, e fu splendidamente
applicata alla vera letteratura. Questa circostanza è unica nella lingua
italiana. La spagnuola le tenne dietro più presto che qualunqu'altra, ma solo
due secoli dopo. Dal 500. dunque ella prende la sua epoca, ed ella è la più
antica di fatto e d'indole, dopo
1997 l'italiana. La
lingua francese non ebbe uno scrittore assolutamente grande e da riconoscersi
per tale in tutti i secoli, prima del secolo di Luigi 14. o in quel torno. (Montagne nel 500. o non fu tale, o non bastò, o non
era tale da formare e fissare bastantemente una lingua.) Quindi la sua epoca non
va più in là, ella conta un secolo e mezzo al più, l'autorità degli antichi è e
dev'esser nulla per lei. Dove comincia la vera e propria letteratura di una
nazione quivi comincia l'autorità de' suoi scrittori in punto di lingua.
[2181,1] La lingua greca rassomiglia certo alla latina
(generalmente però e complessivamente parlando) più che all'italiana, com'è
naturale di due sorelle. Ma sebbene
2182 di queste due
sorelle la sola latina ci è madre, nondimeno l'italiana e la spagnola somigliano
più alla greca che alla latina. Siccome la lingua francese benchè figlia della
latina e sorella delle due sopraddette, somiglia più all'inglese, che a queste
altre ec. ec. (28. Nov. 1821.).
[2221,2]
Non
potui abreptum etc.?
Verum anceps pugnae fuerat fortuna.
Fuisset:
Quem metui moritura? *
Didone, Aen. 4. 600. 603. seg. Fuerat qui significa espressamente sarebbe stata. {Puoi vedere p. 2321.} Fuera direbbero appunto gli spagnuoli. Quest'uso dell'indicativo preterito 2222 piucchè perfetto in luogo e in senso del piucchè perfetto dell'ottativo o soggiuntivo, è frequentissimo presso i latini massime allora quando esso va congiunto con altro più che perfetto del soggiuntivo, onde sarebbe stato bisogno il duplicar questo, come nel citato luogo, dove se in vece di fuerat poneste fuisset, raddoppiereste quel fuisset (fosse stata) che viene subito dopo. {V. anche Georg. 2. 132. 133. dove però si usa l'imperfetto indicativo {(v. p. 2348.)} V. pure Georg. 3. 563. seqq. e Oraz. l. 4. od. 6. v. 16-24. falleret per fefellisset.} Così in quell'altro di Virg. Aen. 2.:
Et si fata deum, si mens non laeva fuisset,
Impulerat ec. * {V. anche Oraz. Od. 17. l. 2. v. 28. seqq. {{e l. 3. 16. 3. seqq.}}}
Così in quel famoso perieram nisi periissem. * Cioè sarei perito, se non fossi perito. Or da tali osservazioni io deduco due cose.
Verum anceps pugnae fuerat fortuna.
Fuisset:
Quem metui moritura? *
Didone, Aen. 4. 600. 603. seg. Fuerat qui significa espressamente sarebbe stata. {Puoi vedere p. 2321.} Fuera direbbero appunto gli spagnuoli. Quest'uso dell'indicativo preterito 2222 piucchè perfetto in luogo e in senso del piucchè perfetto dell'ottativo o soggiuntivo, è frequentissimo presso i latini massime allora quando esso va congiunto con altro più che perfetto del soggiuntivo, onde sarebbe stato bisogno il duplicar questo, come nel citato luogo, dove se in vece di fuerat poneste fuisset, raddoppiereste quel fuisset (fosse stata) che viene subito dopo. {V. anche Georg. 2. 132. 133. dove però si usa l'imperfetto indicativo {(v. p. 2348.)} V. pure Georg. 3. 563. seqq. e Oraz. l. 4. od. 6. v. 16-24. falleret per fefellisset.} Così in quell'altro di Virg. Aen. 2.:
Et si fata deum, si mens non laeva fuisset,
Impulerat ec. * {V. anche Oraz. Od. 17. l. 2. v. 28. seqq. {{e l. 3. 16. 3. seqq.}}}
Così in quel famoso perieram nisi periissem. * Cioè sarei perito, se non fossi perito. Or da tali osservazioni io deduco due cose.
[2236,1] Spessissimo anzi quasi sempre, dalle voci latine
comincianti per ex noi abbiamo tolto la e, e il c, e cominciatele
per s, specialmente, anzi propriamente allora quando
la ex era seguita da consonante, sicchè la nostra s
viene ad essere impura. Nel qual caso che cosa soglian fare gli spagnuoli e i
francesi, l'ho detto altrove pp. 812-14 parlando della s iniziale impura. Parrà che costoro, solendo
conservare la e, si accostino
2237 più di noi al latino, e nondimeno chi vuol vedere che l'antico
volgare latino, ed anche gli scrittori più antichi, usavano di far nè più nè
meno quel che facciamo noi, osservi il Forc. in Stinguo (e forse
anche in molti altri luoghi), verbo che anche noi anticamente dicemmo per estinguo, e così stremo per
estremo,
{+sperimento,
esperimento; sperto, esperto; spremere da
exprimere da cui pure abbiamo esprimere, sclamare da exclamare, onde pure esclamare;} e
così altre tali voci che hanno {{pur}} conservata la e, la perdono o a piacer dello scrittore, o nei nostri
antichi, o nella bocca del popolo ec. E forse l'avere gli spagnoli e i francesi
la e in tali parole, non è tanto conservazione, quanto
maggiore {e doppia} corruzione; vale a dire che,
secondo me, essi volgarmente da principio dissero come noi, cioè colla s impura iniziale, e poi per proprietà ed inclinazione
de' loro organi, che mal la soffrivano, o a cui riusciva poco dolce ec.
v'aggiunsero, non
2238 prendendola dal latino ma del
loro, la e iniziale. Infatti essa si trova sempre o
quasi sempre nelle parole che anche nel latino scritto, e dell'aureo secolo, e
per loro natura ed etimologia ec. cominciano colla s
impura, siccome pur fanno sempre in italiano. {{V. p.
2297.}}
[2325,1]
Volgus, volpes dicevano gli antichi latini ec. ec. e
cento mila altre voci similmente, adoperando l'o in
cambio dell'u. (v. il Forc.
2326 in O, U ec.
ec.) Uso proprio del volgo, proprio dell'antichità, e perciò amato
anche recentemente da quelli che affettavano antichità di lingua, come Frontone ec. Or quest'uso appunto
eccovelo nell'italiano, solito a scambiare in o l'u latino dei buoni tempi, e restituir queste voci
nella primitiva loro forma ch'ebbero fra gli antichi latini, e nelle vecchie
scritture. È noto che tal costume è più proprio dell'italiano che dello
spagnuolo, e più assai che del francese. ec. ec. (4. Gen.
1822.)
[2462,2] Cagioni di questo vantaggio furono l'infinita
capacità, acutezza e buon gusto d'infinite persone in quel secolo, e l'altre
circostanze ch'ho notate altrove pp. 1659-60. Alle quali si può e si
dee forse aggiungere che i suoni della lingua latina, e generalmente la
pronunzia e l'uso di essa, sopra la cui ortografia si formava naturalmente la
nostra, era molto meno diverso dall'uso e pronunzia nostra e spagnuola, di quel
che sia dal francese.
2463 Quindi essendo tutte tre
queste ortografie formate da principio egualmente sulla latina, le due prime che
poco avevano da mutarla per conformarla all'uso loro, facilmente la corressero
(massime l'italiana) e ve l'uniformarono; ma la francese che avrebbe dovuto
quasi trovare una nuova maniera di scrivere (essendo nella pronunzia, come in
ogni altra parte, la più degenere figlia della latina), ed anche trovare in
parte un nuovo alfabeto (come per le e mute ec.), fu
incorrigibile.
[2464,1]
Alla p. 2462.
mezzo - non elementi dell'alfabeto inutili, o che esprimano più d'un
suono indarno ec. come p. e. nello spagnuolo è inutile che il suono del j sia
espresso anche nè più nè meno dal x avanti vocale, e
dal g avanti l'e e l'i. E non solo inutile, ma in ispagnuolo produce ancor
molta confusione e varietà biasimevole
2465
{e inutile} nel modo di scrivere una stessa parola,
anche appresso un medesimo scrittore, in un medesimo libro: sebbene io credo che
la moderna ortografia spagnuola (rettificata e resa più esatta, come tutte le
altre, e come tutte le cose moderne) sia emendata in tutto o in parte di questi
difetti, e di queste inutilità. Similmente la ç, o zedilla è un elemento inutile, e produce confusione, e
varietà dannosa. ec. ec. (6. Giugno, dì del Corpus
Domini. 1822.).
[2608,3] La nazione spagnuola poetichissima per natura e per
clima fra tutte l'Europee (non agguagliata in ciò che
dall'italia e dalla grecia), e
fornita di lingua poetichissima fra le
lingue perfette (non inferiore in detta qualità se non all'italiana, e
non agguagliata di gran lunga da nessun'altra) non ha mai prodotto un poeta nè
un poema che sia o sia stato di celebrità veramente
2609 europea. Tanto prevagliono le istituzioni politiche alle qualità naturali:
῞Ημισυ γὰρ τ' ἀρετῆς
ἀποαίνυται δούλων ἦμαρ
*
(Homer.). E questa osservazione può molto servire a quelli
che sostengono la maggiore influenza del governo rispetto al clima. (18.
Agosto. Domenica. 1822.).
[2783,1] Credo eziandio che non poche voci venute dalla
stessa lingua italiana (non dall'antica latina), e passate in
francia; di là ci sieno tornate, e ci tornino
tuttavia bene spesso come forestiere: o che quelle nostre sieno dimenticate, o
che queste sieno alterate in modo che non si riconoscano essere originalmente
tutt'une colle nostre ancora esistenti, e già preesistenti alle sopraddette
francesi. {+(Quanto a molte voci e forme
italiane passate anticamente fra' provenzali, ed ora credute provenzali
di origine, o perchè si trovano nei loro scrittori, e non più presso
noi; o perchè, alquanto mutate dalla prima figura e significazione, le
ritolsero dai provenzali i nostri primi poeti o que' del 300, e i
commerci di que' tempi, vedi Perticari
Apologia capo 11. 12. p. 108-17. e capo 19. fine p.
176-7.).} Così dico di molte voci spagnuole
ricevute nella nostra lingua durante il 500 e il 600, ne' quali secoli la
letteratura spagnuola nata dall'italiana, modellavasi pur tutta sull'italiana, e
quindi certo la loro lingua doveva abbondare, e abbondava, di parole e maniere
provenutele dall'italiano.
[3066,1] Che la lingua italiana mediante la letteratura sia
stata per più secoli divulgatissima in europa, e più
divulgata che niun'altra moderna a quei tempi, o certo per più lungo spazio
(perchè la lingua spagnuola per un certo tempo lo fu forse altrettanto, e in
italia nel 600 trovo stampate le
Novelle di Cervantes
in ispagnuolo, mentre oggi in tanta diffusione della lingua francese, che niuno
è che non la intenda, è ben difficile che tra noi si ristampi un libro francese
di letteratura o divertimento in lingua francese), raccogliesi da parecchi
luoghi e notizie da me segnate qua e là p. 242
pp. 1581-83, e da molte altre che si possono facilmente raccorre.
Vedi in particolare
Andrès, Stor. della letterat. parte
2. l. 1. poesia inglese, ed. Ven. del Loschi, t. 4. p. 116. 117.
119., la Vita di Milton, l'Orazione di Alberto Lollio in lode della lingua toscana, nelle
prose
fiorentine, part. 2. vol. 6. ed. Ven.
1730-43. p. 38-39, dov'è un passo molto interessante a questo
proposito. Ma si noti che in altre edizioni come in quella
3067 della Raccolta di prose ad uso delle regie
scuole, ed. 3.a Torino, 1753. p. 309. questo
passo, siccome tutta l'orazione, è notabilissimamente mutato; e
veggasi la prefazione al citato vol. delle
prose fior. p. X-XI.
{#1. Veggasi ancora Speroni Oraz. in morte del Bembo nelle Orazioni stampate in
Ven. 1596. p. 44-5.}
La
Canzone de' Gigli del Caro, mandata in Francia, e fatta
apposta per colà, come anche il Commento alla medesima secondo che
dice il Caro in una delle sue lettere al Varchi, il conto fattone in
Francia ec. (v. la Vita del Caro); la
Canzone del Filicaia per la liberazione di
Vienna, mandata in
Germania, e credo anche in
Polonia, e colà molto lodata, come si vede nelle lettere del Redi; {#2. V. p.
3816.}
i poemi dell'Alamanni fatti in
Francia ad istanza di quei principi ec. e colà
stampati (v. Mazzucchelli, Vita
dell'Alamanni), siccome molti altri libri italiani
originali o tradotti si pubblicavano allora o si ristampavano fuor
d'Italia, nella quale certo niun libro francese,
inglese, tedesco si pubblicava o ristampava originale, e ben pochissimi tradotti
(francesi o spagnuoli); tutte queste cose, e cento altre simili {notizie e indizi} di cui son pieni
3068 i libri del 500, del 600, e anche de' principii del 700,
dimostrano quanto la lingua italiana fosse divulgata. Nondimeno ella ha lasciato
ben poche o niuna parola agli stranieri (eccetto alcune tecniche, militari, di
belle arti ec. che spettano ad altro discorso) mentre la lingua francese tanti
vocaboli e frasi e modi e forme ha comunicato e comunica a tutte le lingue colte
d'europa, e in esse le {ha}
radicate e naturalizzate per sempre, e continuamente ne radica e naturalizza.
Segno che la letteratura è debol fonte e cagione e soggetto di universalità per
una lingua, perocchè una lingua universale per la sola letteratura (e per questo
lato fu veramente universale l'italiana a que' tempi, quanto mai lo sia stato
alcun'altra fra le nazioni civili) non rende διγλώττους le nazioni in ch'ella si spande, e non è mai se non materia
di studio e di erudizione (παιδείας). Quindi poco profonde radici mettono
nell'altre lingue le sue parole: e terminata l'influenza della sua letteratura
3069 termina la sua universalità (non così,
terminata l'influenza della nazion francese è terminata nè terminerà
l'universalità della sua lingua, nè così della greca ec.), e si dimenticano e
disusano ben presto quelle parole e modi che lo studio e l'imitazione della sua
letteratura aveva forse introdotto nelle letterature straniere, ma non più oltre
che nelle letterature. Quando in Francia a tempo di Caterina de' Medici, la nostra lingua
si divulgò per altro che per la letteratura, allora l'italianismo nel francese
non appartenne alla letteratura sola, e in questa medesima {eziandio} fu maggiore assai che negli altri tempi o circostanze,
onde, non so qual degli Stefani,
scrisse quel dialogo satirico del quale ho detto altrove più volte.
[3069,1] Il Menagio, Regnier Desmarais, il
Milton ec. che scrissero e
poetarono in lingua italiana, sono esempi non rinnovatisi, cred'io, rispetto ad
alcun'altra lingua {moderna,} se non dipoi rispetto
alla francese, e certo non {dati nè} imitati mai
dagl'italiani, se non appresso
3070 parimente quanto al
francese. S'è vero che nel 500 v'avessero cattedre di lingua italiana tra'
forestieri, come dice Alberto
Lollio, esse erano, cred'io, le uniche dove s'insegnasse lingua moderna
forestiera nè nazionale, nè mai vi fu cosa simile in
italia per nessun'altra lingua moderna (eccetto forse
in Propaganda di Roma) fino a
questi ultimissimi tempi (v'è ora qualche cattedra di lingua moderna in
italia? Dubito assai: di lingua italiana? dubito
ancor più). È noto poi che la letteratura e lingua spagnuola nel suo secolo
d'oro che fu il 500. come per noi, si modellò in gran parte sull'italiana, colla
qual nazione la Spagna ebbe allora pur troppo che fare.
(30. Luglio. 1823.)
[3074,3] È da notare che la lingua spagnuola, per suo quasi
perpetuo costume e regola, conserva ne' participii de' verbi {latini} della 2.da e 3.a maniera l'antica e regolare e piena forma
della quale ho discorso altrove p. 1155, non ostante che nel
latino conosciuto ella sia alterata, contratta, o anomala. Ne' quali casi la
lingua italiana suol seguire ciecamente la latina ancorchè contro la regola e
proprietà delle sue coniugazioni, e inflessioni, come ho detto altrove in
proposito di arsare
pp.
2688. sgg. P. e. 1. tenido, venido, e cento simili sono participii intieri, cioè
tenitus, venitus,
3075 in luogo de' contratti che usa la lingua lat.
conosciuta, cioè tentus, ventus ec. Noi in questo e in molti altri casi mutiamo bene spesso
l'i in u (scambio che
può essere anch'esso antichissimo) dicendo tenuto, venuto ec. I francesi cambiano sovente e comprendono
nella lettera u tutte le lettere itus: tenu, venu
da tenitus, venitus e così
ordinariamente. 2. Corregido è participio intero e
senza mutazione di lettera alcuna, cioè corregitus,
dal qual regolare participio la lingua latina fece corregtus per contrazione, e indi mutato il g
nell'affine palatina, correctus ch'è il solo
participio rimasto nel lat. conosciuto, e nell'italiano. Similmente leido (se non che lo spagn. omette il g in tutto questo verbo) è il primitivo e regolare legitus (dimostrato da legitare) e da questo viene, non già da lectus, da cui il nostro letto. Anzi, perchè
veggiate la differenza, da lectus sostant. lo
spagnuolo non fa leido, ma lecho, {{(voce antica),}}
3076 equivalendo il ch spagn.
assai spesso al ct latino. 3. Movido, nacido, conocido e cento simili sono participii e interi e irregolari, in
luogo di contratti ed anomali. Movitus per motus. Nascitus (dimostrato,
oltre l'analogia, da nasciturus, come altrove ho
notato p. 3063) per natus ch'è solo oggi nel
latino e nell'italiano e nel francese Cognoscitus,
dimostrato, come altrove ho detto p. 1113
p.
1167
p.
2777
p.
2826, da noscito, per cognitus, ch'è unico nel latino, unico nel francese. Nell'italiano v'è
cognitus e v'è anche cognoscitus, mutato al solito l'i in u, e dico mutato, perchè in conosciuto, l'i è accidentale della
scrittura, non proprio della parola, e serve solamente a dinotar la pronunzia
delle lettere sc, che poste avanti l'u senza l'intrapposizione della i, si profferirebbero in altro modo. {#1. Così l'h è accidentale in dich'io in giuochi
ec. ec.} Del resto nacido ec. è
proprio lo stesso che nascitus, omessa la s per proprietà moderna, perchè gli antichi la
3077 scrivevano, come pure in crecer (onde crecido - crescitus - cresciuto, per cretus - cru), condecender ec. ec. La lingua spagnuola suol essere
regolarissima in questi {tali} participii, più {assai} dell'italiana, più della francese, e conservare
più di ambedue l'antichità e primitiva proprietà latina, anzi conservarla si può
dir, pienamente. E ciò non meno {nè in diverso modo}
quando la latina conosciuta è irregolare o contratta, che quando ell'è regolare
e semplice, come da habitus, havido o habido, che noi colla solita
mutazione diciamo avuto. Ora questo havido nello spagn. ha la stessissima forma di tenido ec. Ma non così in latino, benchè teneo sia della stessa forma di habeo. {#1. Puoi vedere la p. 3544}
{{V. p. 3572.
fine.}}
[3324,1]
3324 In questo caso non si trovò forse mai nazione
veruna (se non se oggidì la spagnuola quando ella intraprendesse di ristorare la
sua quasi spenta letteratura). Ma questo appunto è il caso nel quale si trova
oggi l'italia.
[3366,1] La lingua latina s'introdusse, si piantò e rimase in
quelle parti d'europa nelle quali entrò anticamente e si
stabilì la civilizzazione. Ciò non fu che nella Spagna e
nelle Gallie. Quella fino dagli antichi tempi produsse i
Seneca, Quintiliano, Columella, Marziale ec. poi
Merobaude, S. Isidoro ec. e altri moltissimi di mano in mano, i
quali divennero letterati e scrittori latini, senza neppure uscire, come quei
primi, dal loro paese, o quantunque in esso educati, e non, come quei primi, in
Roma. Le Gallie produssero
Petronio Arbitro, {Favorino ec.}
poi Sidonio, S. Ireneo ec. La civiltà v'era già innanzi i romani
stata introdotta da coloni greci. Di più la corte latina v'ebbe sede per alcun
tempo. La Germania benchè soggiogata anch'essa da'
Romani, e parte dell'impero latino, non diede mai adito a
civiltà nè a lettere, nè a' buoni nè a' mediocri nè a' cattivi tempi di
quell'impero. Ella fu sempre barbara. Non si conta fra gli scrittori latini di
veruna latinità
3367 (se non dell'infimissima) niuno
che avesse origine germanica o fosse nato in Germania,
come si conta pur quasi di tutte l'altre provincie e parti
dell'impero romano. Quindi è che la
Germania benchè suddita latina, benchè vicina
all'italia, anzi confinante, come la
Francia, e più vicina assai che la
Spagna, non ammise l'uso della lingua latina, e non
parla latino {(cioè una lingua dal latino derivata),}
ma conserva il suo antico idioma. (Forse anche fu cagione di ciò e delle cose
sopraddette, che la Germania non fu mai intieramente
soggiogata, nè suddita pacifica, come la Spagna e
le Gallie, sì per la naturale ferocia della nazione,
sì per esser ella sui confini delle romane conquiste, e prossima ai popoli
d'europa non conquistati, e nemici de' romani, e
sempre inquieti e ribellanti, onde ad essa ancora nasceva e la facilità, e lo
stimolo, e l'occasione, e l'aiuto e il comodo di ribellare). Senza ciò la lingua
latina avrebbe indubitatamente spento la teutonica, nè di essa resterebbe
maggior notizia o vestigio che della celtica e dell'altre che la lingua latina
spense affatto in Ispagna e in
3368
Francia. Delle quali la teutonica non doveva mica esser
più dura nè più difficile a spegnere. Anzi la celtica doveva anticamente essere
molto più colta e perfetta o formata che la teutonica, il che si rileva sì dalle
notizie che s'hanno de' popoli che la parlarono, e delle loro istituzioni (come
de' Druidi, de' Bardi, cioè poeti ec.), e della loro religione, costumi,
cognizioni ec. sì da quello che avanza pur d'essa lingua celtica, e de' canti
bardici in essa composti ec. L'inghilterra par che
ricevesse fino a un certo segno l'uso della lingua latina, certo, se non altro,
come lingua letterata e da scrivere. {Il latino si stabilì in
Inghilterra a un di presso come il greco
nell'alta Asia, e l'italiano in Dalmazia, nell'isole
greche e siffatti dominii de' Veneziani: cioè come lingua di qualunque
persona colta e della scrittura, ma non parlata dal popolo, benchè forse
intesa. Così il turco in grecia ec.}
Ella ha pure scrittori non solo dell'infima, ma anche della media latinità, come
Beda ec. Ma era già troppo tardi,
sì perchè la lingua latina era già corrotta e moribonda per tutto, anche in
italia sua prima sede, sì perchè l'impero
latino era nel caso stesso. Quindi i Sassoni facilmente
distrussero la lingua latina in inghilterra, ancora
inferma e mal piantata, propria solo dei dotti (com'io credo), e le sostituirono
la
3369 teutonica, trionfando allo stesso tempo (almeno
in molta parte dell'isola) anche dell'idioma nazionale, indigeno, ἐπιχώριος e
volgare, cioè del celtico ec., al qual trionfo doveva pure aver già contribuito
la lingua latina, soggiogata poi anch'essa, e più presto ed interamente
dell'indigena, da quella de' conquistatori. Laddove nelle
Gallie i Franchi non poterono mica introdurre la
lingua loro, benchè conquistatori, nè estirpar la latina, ben radicata, e per
lunghezza di tempo, e perchè insieme con essa erano penetrati e stabiliti nelle
Gallie, i costumi, la civiltà, le lettere, la
religione latina, e perchè {quivi} detta lingua non era
già propria ai soli dotti, ma comune al volgo, ond'essi conquistatori
l'appresero, e parlata ec. Così dicasi de' Goti, Longobardi ec. in
italia; de' Vandali {ec.} in
Ispagna. Che se la lingua latina in
italia, in Francia, in
ispagna, trionfò delle lingue germaniche benchè
parlate da' conquistatori, può esser segno ch'ella ne avrebbe pur trionfato
nella Germania ov'elle parlavansi da' conquistati, se non
l'avessero impedito le cagioni dette di sopra. Perocchè si vede che la lingua
latina trionfava
3370 dell'altre, non tanto come lingua
di conquistatori e padroni, superante quella de' conquistati e de' servi, nè
come lingua indigena o naturalizzata, superante le forestiere, avventizie e
nuove; quanto come lingua colta e formata, superante le barbare, incolte,
informi, incerte, imperfette, povere, insufficienti, indeterminate. Altrimenti
non sarebbe stato, come fu, impossibile ai successivi conquistatori
d'Italia, Francia,
Spagna, il far quello che i latini ne' medesimi
paesi, conquistandoli, avevano fatto; cioè l'introdurre le proprie lingue in
luogo di quelle de' vinti. Nel mentre che i Sassoni in
inghilterra, certo nè più civili nè più potenti de'
Franchi, de' Goti, {de' mori,} ec., i Sassoni, dico, in
inghilterra, e poscia i Normanni, trionfavano pur
senza pena delle lingue indigene di quell'isola, perchè mal formate ancor esse,
benchè non affatto barbare, ed {anzi} (p. e. la
celtica) più colte ec. delle loro. Ma queste vittorie della lingua latina sì
nell'introdursi fra' conquistati, e forestiera scacciare le lingue indigene; sì
nel mantenersi malgrado i conquistatori, e in luogo di cedere, divenir propria
anche di questi, si dovettero, come ho detto, in grandissima parte, alla civiltà
dei
3371 costumi latini e alle lettere latine con essa
lingue[lingua] introdotte o conservate: di
modo che detta lingua non riportò tali vittorie, solamente come colta e perfetta
per se, ma come congiunta ed appartenente ai colti e civili costumi, opinioni e
lettere latine. Perocchè, come ho detto, sempre ch'ella ne fu disgiunta, cioè
dovunque la civiltà e letteratura latina, e l'uso del viver latino, o non
s'introdusse, o non si mantenne, o scarsamente s'introdusse o si conservò; nè
anche s'introdusse la lingua latina, come in Germania, o
non si mantenne, come accadde in Inghilterra. E ciò si
vede non solo in queste parti d'europa, che non ammisero
la civiltà latina per eccesso di barbarie, o che non ammettendola, restarono
barbare; ma eziandio in quelle dove una civiltà ed una letteratura indigena
escluse la forestiera, in quelle che non ammettendo i costumi nè le lettere
latine, restarono però, quali erano, civili e letterate, cioè nelle nazioni
greche. Le quali non ricevendo l'uso del viver latino, non ricevettero neppur la
lingua, benchè la sede dell'
3372
impero romano, e Roma e il
Lazio, per così dire, fossero trasportate e
lunghissimi secoli dimorassero nel loro seno. Ma la
Grecia contuttociò non parlò mai nè scrisse latino,
ed ora non parla nè scrive che greco. Ed essa era pur la parte più civile
d'europa, non esclusa la stessa
Roma, al contrario appunto della
Germania. Sicchè da opposte, ma analoghe e
corrispondenti e ragguagliate e proporzionate, cagioni, nacque lo stesso
effetto.
[3372,2] Dialetti della lingua latina. Vedi Cic.
pro Archia poeta, c. 10. fine, dove parla
de' poeti di Cordova
pingue quiddam sonantibus atque
peregrinum.
*
Non avevano certamente questi poeti
scritto nella lingua indigena di Spagna, che i romani mai
non intesero, siccome niun'altro[niun altro]
idioma forestiero, eccetto il greco; ma in un latino che sentiva di Spagnolismo,
come quel di Livio parve
3373 sapere di Patavinità. E le parole di Cic., chi ben le consideri anche in se
stesse, non possono significare altro. Perocchè era fuor di luogo la nota di peregrino se si fosse trattato di una
lingua forestiera, che non in parte, o per qualche qualità, ma tutta è
peregrina; nè questo in lei sarebbe stato difetto, e volendolo considerar come
tale, soverchiamente leggiera e sproporzionata sarebbe stata quella semplice
espressione che la lingua e lo stile di quei poeti sapeva di forestiero.
Oltrechè l'una e l'altro sarebbero stati barbari, e per le orecchie romane
affatto strani, rozzi, insolenti, insopportabili, non così solamente macchiati
d'un non so che di pingue e di peregrino. Era in Cordova
introdotta già (siccome in altre parti della Spagna già
soggiogate, perchè quella provincia non fu sottomessa che appoco appoco, e con
grandissimo intervallo una parte dopo l'altra, e, come osserva Velleio, {Vell. II. 90. 2. 3.
Flor. II. 17. 5.
Liv. 28. 12.} fu di tutte la più renitente, e tra
le romane conquiste la più lunga e difficile e per lungo tempo incertissima);
era, dico, introdotta già in Cordova la lingua e la
letteratura latina, siccome
3374 dimostra l'aver essa
poi potuto produrre i Seneca e Lucano, l'esempio dello stile de'
quali, può (quanto allo stile) servire pur troppo di copioso commento alle
parole di Cicerone, che, s'io non
m'inganno, della lingua non meno che dello stile si debbono intendere. (6.
Settem. 1823.).
[3543,3] Intorno allo spagn. pintar
ho detto altrove p. 1155 che il primitivo e regolare participio di
pingo, tingo e simili,
fu pingitus, tingitus ec.
Poi pingtus, tingtus ec.,
poi pinctus, (e quindi pintar, quasi pinctare);
3544 e in questo {3.o} stato molti di tali
participii rimasero, come tinctus, cinctus ec. Molti altri passarono a un quarto stato,
ove si fermarono, come pictus, fictus. {ec.} Ma noi li conserviamo per lo
più nel 3.o stato: pinto, finto. {#1. francese peint, feint. Abbiamo
anche pitto, fitto, ma
antichi o poett. ec.} Lo spagn. (regolarissimo ne' participii passivi
sopra ogni altra sorella, e sopra la stessa latina ec. nel modo che altrove ho
detto {#2. p. 3074.
segg.}) conserva il primitivo fingitus in fingido. (28. Sett.
1823.).
[3572,1]
Alla p. 3077.
È da notare che gli argomenti ch'io traggo da tali participii spagnuoli a
dimostrare
3573 gli antichi participii latini regolari
ec. (e così sempre che dallo spagnuolo io argomento all'antico latino, al
volgare ec.), sono tanto più valevoli, quanto siccome la lingua francese è
nell'estrinseco e nell'intrinseco, fra tutte le figlie della latina, la più
remota e alterata dalla lingua madre (secondo ho detto altrove pp. 965.
sgg.
pp. 1499. sgg.
pp. 2989-90
p. 3395), così la spagnuola è nell'estrinseco la più vicina, {#1. V. p. 3818.} mentre però nell'intrinseco lo è la italiana,
come altrove ho distinto pp.
1499-504. Ma dell'intrinseco poco ha che fare il nostro discorso. La
lingua spagnuola che per la forma esteriore delle parole ha più di tutte le sue
sorelle ereditato dalla latina, e che più di tutte {le
lingue,} a sentirla leggere o a vederla scritta, rappresenta l'esterna
faccia e il suono della latina e può con essa esser confusa; dev'esser
considerata come speciale e principale conservatrice dell'antichità, della
latinità, del volgar latino ec. quanto alla material forma delle parole e alla
proprietà delle loro inflessioni ec. che è quello che ora c'importa. La qual
conformità particolare col latino si può notar nello spagnuolo da per tutto, ma
nominatamente e singolarmente
3574 e forse più
ch'altrove, nelle coniugazioni de' verbi, il che fa appunto al nostro caso. AMO,
AMAS, AMAt, AMAMVS (lo spagn. muta l'u in o, e questa è la sola mutazione in tutto questo tempo), AMAtIS, AMANt.
Leggansi le sole maiuscole, e s'avrà la coniugazione spagnuola. La quale in
questo tempo è tutta latina, salvo l'omissione del t
in tre soli luoghi, {#1. È naturale agli
organi degli spagn. di non amare la pronunzia del t, onde nelle voci venute dal lat. spessissimo lo mutano in d ch'è più dolce (come fanno anche gl'italiani in
alcuni luoghi intorno alle voci italiane), spessissimo lo tralasciano, come
in questo nostro caso fanno, in parte anche gl'italiani e i francesi}
e la mutazione dell'u in o
in un luogo, mutazione pur tutta latina (vulgus -
volgus ec. ec. ec.) e propria senz'alcun dubbio, {anche in questo caso,} o di tutto l'antico volgo che parlò latino, o
di molte parti e dialetti di esso. Infatti tal mutazione non solo è propria e
dell'italiano e del francese in questo medesimo caso sempre, ma ordinarissima e
quasi perpetua (massime nell'italiano) in quasi tutti o nella più parte degli
altri casi, sì nelle desinenze, sì nel mezzo delle parole o nel principio. V-u-lg-u-s - V-o-lg-o. {#2. Sicché amamos p. amamus non si
dee neppure chiamar mutazione quanto allo spagnuolo, non essendo stata fatta
da esso ma nel latino medesimo, anzi non essendo stata neppur in latino
altro che un'[un] accidente, una qualità,
una maniera di pronunzia. Insomma amamos è latino;
e lo spagn. in questa voce è puro (ed antico e non men che moderno) latino
conservato nel lat. volgare. ec.} La congiugazione italiana è ben più
mutata, e molto più dell'italiana la francese. Basta a noi che le regole e le
inflessioni della coniugazione latina sieno specialmente conservate nella
spagnuola, ancorchè gli elementi del verbo che non toccano l'inflessione
3575 e la regola della coniugazione sieno alterati, o
soppressi ec. Come leo è mutato da lego. Ma la coniugazione di quello essendo similissima
alla coniugazione di questo, l'omissione del g, in cui
consiste l'alterazione di quello, non indebolisce punto l'argomento che dal suo
participio leido si cava a dimostrare il latino
corrispondente legitus. E così discorrete degli altri
casi e argomenti, o sieno dintorno a' participii, o a checchessia ch'appartenga
alle forme generali della congiugazione o d'altro ec.
[3829,1] Lo stato della letteratura spagnuola oggidì (e dal
principio del 600 in poi), è lo stesso affatto che quello dell'italiana, eccetto
alcuni vantaggi di questa, ed alcune diversità di circostanze, che non mutano la
sostanza del caso. Come noi (al paro di tutti gli altri stranieri) non dubitiamo
che la spagna non abbia nè lingua nè letteratura moderna
propria, e dal 600. in poi non l'abbia mai avuta, così non dobbiamo dubitare che
non sia altrettanto in italia, e ciò dal 600. in poi,
come gli stranieri, e forse tra questi anche gli spagnuoli (che del fatto loro
non converranno), punto non ne dubitano. Quello che noi vediamo chiaro in altrui
e nel lontano, ci serva di specchio e di esempio per ben vedere, per accorgerci,
per conoscere e concepire il fatto nostro, e quello ch'essendoci proprio e
troppo vicino, non suol vedersi nè conoscersi mai bene, sì per l'inganno
dell'amor proprio, sì perchè la stessa vicinanza nuoce alla vista, e l'abitudine
di continuamente vedere impedisce o difficulta l'osservare, il notare,
l'attendere, il por mente, l'avvedersi. L'opinione che abbiamo di quelli
stranieri c'istruisca
3830 di quella che dobbiamo avere
di noi, e le ragioni di quella si applichino al caso nostro, chè ben vi sono
applicabili ec.
[3851,2] Participii passivi di verbi attivi o neutri, in
senso attivo o neutro ec. Ho detto altrove p. 3072 dello
spagn. parida participio sovente (o sempre; v. i Diz.)
attivo intransitivo di senso. Simili ne abbiamo ancor noi parecchi, e molto
elegantemente gli usiamo, in luogo de' participii veramente attivi di forma, il
cui uso è poco grato alla nostra lingua, non altrimenti che alla francese e
spagnuola. Uomo considerato, avvertito, avvisato vagliono considerante, avvertente ec.
cioè che considera ec. {veri}
attivi di significato, benchè intransitivi. Simili credo che si trovino ancora
nel francese e più nello spagnuolo che se ne servono parimente in luogo de'
participii di forma attiva poco accetti a esse lingue {#1. Avisado per prudente,
accorto, e anche dello spagn. ma dubito che in ispagn. avisar abbia quel tal senso attivo analogo a questo di accorto
ec., il quale egli ha tra noi. V. p.
3899.} La detta sorta di participii passivi attivati, fatti
da' verbi attivi ec. (ed infatti essi o sempre o per lo più, hanno ancora il
proprio lor significato, cioè il passivo) è massimamente usata da' nostri
antichi del 300. e del 500. che ne hanno in molto più copia che noi oggidì non
sogliamo usare o punto, o solo in senso passivo. La nostra lingua somigliava
anche in questo alla spagnuola la quale mi pare che anche oggidì conservi quest'uso più
3852 frequente che non facciam noi, accostatici ora ai
francesi, a' quali esso è men frequente che agli altri, siccome esso pare
singolarmente proprio della lingua spagnuola ec. ec. (10. Nov.
1823.).
[3855,1] Tra le cagioni del mancar noi (e così gli spagnuoli)
di lingua e letteratura moderna propria, si dee porre, e per prima di tutte, la
nullità politica e militare in cui è caduta l'italia non
men che la Spagna dal 600 in poi, epoca appunto da cui
incomincia la decadenza ed estinzione delle lingue e letterature proprie in
italia e in ispagna. Questa
nullità si può considerare e come una delle cagioni del detto effetto, e come la
cagione assoluta di esso. Come una delle cagioni, perocchè se noi manchiamo oggi
affatto di voci moderne proprie italiane e spagnuole, politiche e militari, ciò
viene perchè gl'italiani e spagnuoli non hanno più, dal 600 in poi, nè affari
politici propri, nè milizia propria. Fino dall'estinzione
dell'imperio romano, l'italia
è stata serva, perchè divisa; ma sino a tutto il 500 la milizia italiana propria
ha esistito, e le corti e repubbliche italiane hanno operato da se, benchè
piccole e deboli. Il governo era in mano d'italiani, le dinastie erano italiane
in assai maggior numero che poi non furono
3856 ed or
non sono. Influiti e dominati da' governi e dagli eserciti stranieri, i governi
e gli eserciti italiani, chè tali essi erano ancora, agivano tuttavia essi
medesimi, ed avevano affari. Essi erano che si davano agli stranieri, quando a
questo, quando a quello, che li chiamavano, che gli scacciavano, o contribuivano
a ciò fare, che si alleavano cogli stranieri, o contro di loro, con altri
stranieri, o con altri italiani, contro altri italiani, o a favore. L'amicizia
de' governi italiani, ancorchè piccolissimi, delle stesse singolari città, era
considerata e ricercata dagli stranieri, e la nemicizia temuta; e in qualunque
modo i governi e le città italiane erano allora nemiche o amiche di questa o
quella straniera potenza. Gl'italiani agivano per se presso o nelle corti
straniere, e gli stranieri presso gl'italiani. {+V. p.
3887.} Quindi è che noi avevamo allora a dovizia voci politiche
e militari; più a dovizia ancora delle altre nazioni, perchè la politica e il
militare, ridotti ad arte e scienza tra noi, non lo erano presso gli altri.
Negli storici, negli scrittori tecnici di politica o di milizia, o d'altre
materie appartenenti, e generalmente negli scrittori italiani avanti il
seicento, non troverete mai difficoltà veruna di esprimersi in checchessia che
spetti agli affari pubblici, economia pubblica, diplomatica, negoziazioni,
politica, e a qualsivoglia parte dell'arte militare; mai povertà; {e} mai li vedrete ricorrere a voci straniere, o che
possano pur sospettarsi tali: al contrario li vedrete franchissimi
3857 nell'espressione di tali materie, anzi ricchissimi
e abbondantissimi, esattissimi, provvisti di termini per ciascuna cosa e parte
di essa, ed anche di più termini per ciascuna, voci tutte italianissime e tanto
italiane quanto or sono francesi quelle di cui i francesi e noi ed anche altri
in tali materie si servono; e queste voci e questi termini ben si vede che non
erano inventati da quegli scrittori, nè debbonsi al loro ingegno, ma all'uso
della favella italiana d'allora, e che erano fra noi (come anche fuori non
poche[pochi]) comunissimi, notissimi, e di
significato ben certo e determinato. La più parte di questi, dal 600. in poi,
perduti nell'uso del favellare, {lo furono e lo sono}
conseguentemente nelle scritture, di modo che le stesse cose ancora, che noi a
que' tempi con parole italianissime, e con più parole eziandio, chiarissimamente
e notissimamente esprimevamo, or non le sappiamo esprimere che con voci
straniere affatto, o se queste ci mancano, e son troppo straniere per potersi
introdurre, o non furono ancora introdotte, non possiamo esprimer quelle cose in
verun modo. Moltissime di quelle voci, usandole, sarebbero intese fra noi anche
oggidì nel lor proprio e perfetto senso, come allora, e non farebbero oscurità.
Ma moltissime, sostituite alle straniere che or s'usano, riuscirebbero oscure,
parte per la nuova assuefazione fatta a queste altre voci,
perchè[parte] perchè il loro senso non
sarebbe più inteso così determinatamente come
3858
allora. E il simile dico di molte voci con cui potremmo esprimer cose per cui
non abbiamo nemmen voci straniere, o che a questi pur manchino, o che tra noi
non sieno state ancora introdotte. Moltissime voci militari, civili e politiche
sì del nostro 300, sì dello stesso 500, benchè significative di cose or
notissime e comunissime, son tali che noi ora, leggendole negli antichi, o non
le intendiamo, o non senza studio, o non avvertiamo, almen senza molta acutezza
e attenzione, {o imperfettamente} la loro
corrispondenza con quelle che oggi ne' medesimi casi comunemente usiamo. Altresì
ci accade {non di rado} tale incertezza nelle voci
significative di cose, or non più comuni, e spesso in queste ci accade più che
nell'altre. Ecco come, mancati gli affari politici e la milizia in
italia, la nostra nazione non ha nè può avere, nè
ebbe dal 600 in poi, lingua moderna propria per significar le cose politiche e
militari, non ch'ella mai non l'abbia avuta, anzi l'ebbe, ma l'ha perduta, o non
l'ha se non antica. E nello stesso modo proporzionatamente e ragguagliatamente
discorrasi della Spagna.
[3946,2] La lingua greca appartiene veramente e propriamente
alla nostra famiglia di lingue (latina, italiana, francese, spagnuola, e
portoghese), non solo perch'ella non può appartenere ad alcun'altra, e farebbe
famiglia da se o solo colla greca moderna; non solamente neppure per esser
sorella o, come gli altri dicono, madre della latina (nel primo de' quali casi
ella dovrebbe esser messa almeno colla latina, e nel secondo è chiaro ch'ella va
posta nella nostra famiglia), ma specialmente e principalmente perchè la sua
letteratura è veramente madre della latina, la qual è madre delle nostre, e
quindi la letteratura greca è veramente l'origine delle nostre, le quali in
grandissima parte non sarebbero onninamente quelle che sono e quali sono (se non
se per un incontro affatto fortuito) s'elle non fossero venute di là. E come la
letteratura è quella che dà forma e determina la maniera di essere delle lingue,
e lingua formata e letteratura sono quasi la stessa cosa, o certo
3947 cose non separabili, e di qualità compagne e
corrispondenti; e come per conseguenza la letteratura greca (oltre le tante voci
e modi particolari) fu quella che diede veramente e principalmente forma alla
lingua latina, e ne determinò la maniera di essere, il carattere e lo spirito,
di modo che la lingua e letteratura latina, quando anche fossero nate, formate e
cresciute senza la greca, non sarebbero certamente state quelle che furono, ma
altre veramente, e in grandissima parte diverse per natura e per indole e forma,
e per qualità generali e particolari, e sì nel tutto, sì nelle parti maggiori o
minori, da quelle che furono; stante, dico, tutto questo, la letteratura greca
(oltre lo studio immediato fattone da' formatori delle nostre lingue, come da
quelli della latina) viene a esser veramente la madre e l'origine prima delle
nostre lingue, come la latina n'è la madre immediata; le quali lingue (anche la
francese che insieme colla sua letteratura è la più allontanata dalla sua
origine, e dalla forma latina, e dall'indole della latina, e quindi eziandio
della greca) non sarebbero assolutamente tali quali sono, ma altre e in
grandissima parte diverse sì nello spirito, sì in cento e mille cose
particolari, se non traessero primitivamente origine in grandissima parte dal
greco per mezzo del latino. E veramente la lingua greca mediante la sua
letteratura è prima (quanto si stende la nostra memoria dell'antichità) e vera
ed efficacissima causa dell'esser sì la lingua e letteratura latina, sì le
nostre lingue e letterature, anche la francese, tali quali elle sono,
3948 e non altre; chè per natura elle ben potrebbero
essere diversissime in molte e molte cose, anche essenziali ed appartenenti allo
spirito ed all'indole ec. e alquanto diverse più o meno in altre molte cose più
o meno essenziali o non essenziali. E forse non mancano esempi di altre
letterature e lingue antiche o moderne, anche meridionali ec., che non essendo
venute dal greco, sono diversissime, anche per indole ec. e nel generale ec. non
meno o poco meno che ne' particolari, dalla latina e dalle nostrali. E ne può
esser prova il vedere quanto la francese si è allontanata, anche di spirito,
dalla latina e dalla greca alle quali era pur conformissima nel 500 ec. (vedi la
p. 3937.), senz'aver mutato
clima ec. Certo i tempi nostri son diversissimi da quelli de' greci {e de' latini,} quando anche il clima sia conforme,
diversissime sono state e sono le nostre nazioni, {#1. loro governi, opinioni, costumi, avvenimenti e
condizioni qualunque,} sì tra loro, {#2. sì ciascuna di esse da se medesima in diversi
tempi,} sì dalla greca, e dalla latina eziandio. Nondimeno le loro
lingue e letterature sono state conformi, massime fino agli ultimi secoli, e tra
loro, e tra' vari lor tempi, e colla greca e latina ec. Sicchè tal conformità
non si deve attribuire nè solamente nè principalmente al clima, nè ad altre
circostanze naturali o accidentali, ma all'accidente di esser derivate
effettivamente dal greco e latino, chè ben potevano non derivar da nessuno, o
derivare d'altronde ec. ec.
[3992,5] Participio passato in senso neutro o attivo. Avvertito per avvisato, accorto, avvertente da avvertire in senso di por
mente. Così advertido in ispagnuolo dove
credo che advertir abbia pure questo senso come tra
noi. {#1. Così è infatti: advertid que ec. D. Quijote.}
Credo ancora che avvertito nel detto senso sia preso
dallo spagnuolo {#2. al quale è più che mai
proprio l'usare questi cotali participii passati in cotali sensi attivi o
neutri ec..} Trovo advertido così preso nel
>D.
Quijote.
Avisé. V. i Diz. Saputo, Saputello ec. V.
la Crus. e gli spagn.
3993
(19. Dec. 1823.).
[3998,4] Participii passivi in senso attivo o neutro ec. Agradecido
3999 per agradeciente, e lo
trovo anche, nel D.
Quijote, per piacevole, urbano,
gentile, cortese. {#1. Altra volta
ve lo trovo per benigno, favorevole (fue mas agradecida y liberal la natura que la
fortuna). Desagradecido p. ingrato. D. Quij.
Leido p. che ha letto,
alletterato (ib.
leido en cosas de Caballeria andantesca, cioè, che ha letto romanzi di Cavalleria, come quivi si
vede).} Del resto questo participio è aggettivato e così tutti o quasi
tutti gli altri tali participii così usati ec., come mi pare aver detto altrove
p. 3851
p. 3992, ma ciò non toglie ec. ec. (24. Dec. 1823. Vigilia del
Santo Natale).
[4005,5] Participii passivi in senso att. o neut. ec. Apercibido per fatto inteso,
che sta sull'avviso ec. (D. Quijote). Inteso per informato, intendente, ec. (entendido,
entendu V. spagn. e franc.: se però in questo
senso appartenesse al neut. pass. intendersi, entenderse ec. non spetterebbe
4006 al nostro proposito.). Discreto it.
spagn. (di cui par che, almeno principalmente sia proprio) e franc. per discernente ec. V. il Gloss. ec. (29. Dec.
1823.). {Conocido, desconocido, per conoscente, cioè grato,
e sconoscente, come diciamo noi l'uno e l'altro,
come anche disconoscente. V. la crusca in disconosciuto esempio 2. dove vale che non conosce, ch'è privo di
conoscimento, e nota ch'è di Guittone, cioè antichissimo.}
[4021,3]
Desapercebido per isprovvisto, imprudens. Cervant.
D. Quij. par. 1. cap. 1. p. 4. ed. di
Madrid. V. il detto altrove p.
4005 di apercebido. E simili altri
participii s'intenda che hanno tali significazioni anche coll'aggiunta del des
{ec.} privativo in ispagnuolo, dell'in ec. in italiano ec. ec. (22. Gen.
1824.).
[4022,4] I participii passivi di verbi attivi o neutri usati
nelle lingue moderne in senso att. o neutro, sono {quelli} per lo più o tutti {+e
questi molte volte} nell'italiano, e massime nello spagn. ec. di senso
non passato, ma presente o significante abitudine di quella tal cosa che è
significata dal verbo. Così bien hablado
(D. Quij. par. 2.
cap. 7. principio) per buen hablador ec.
Così errato, errado per errante, di cui altrove p. 4015. {#1. Sudato per sudante ec.} Così pesado per pesante. Così tanti altri
participii {neutri,} massime spagnuoli, che per questa
qualità di significazione presente o indicante abitudine ec. meritano di esser
considerati, giacchè i participii passivi di verbi neutri in significazione
passata, come caduto, morto
ec. sono regolari e ordinarissimi e infiniti sì nello spagnuolo che
nell'italiano e francese ec. (26. Gen. 1824.)
{{, come dico altrove p.
3072.}}
[4040,7]
Inadvertido, inavveduto, desconocido per sconoscente,
malaccorto e
4041 simili
si aggiungano al detto altrove p. 3851
p.
3899
p.
3992
p.
4006 circa i participii avveduto ec.
aggettivati ec. Condolido per condolente, participio vero e non in senso d'aggettivo. D. Quij. par. 2 cap.
21. {avanti il mezzo}. (4. Marzo
1824.)
[4053,6]
Discursos
entretenidos per entretenientes, cioè di trattenimento, di passatempo. D. Quij.
(26. Marzo. ultimo Venerdì. 1824.
[4054,4]
Dormido per dormiente
(fors'anche durmido). Voz algo
dormida
*
. D. Quij. E in
altre maniere. Se però dormir non è anche neut. pass.
(28. Marzo. Domenica quarta di Quaresima. 1824.).
[4062,4] Il costume latino di servirsi de' participii in us de' verbi neutri e anche attivi in significato
neutro o attivo, aggettivato, e ridotto anche a dinotar consuetudine e qualità
abituale nel soggetto, come tacitus per qui tacet, cautus, qui solet cavere ec. ec., è se non altro una prova che
il corrispondente costume tanto proprio della lingua spagnuola e frequente
ancora nell'italiana, e non improprio forse della francese, ha esempio nella
latina scritta, e quindi probabilmente viene affatto dal latino parlato e
volgare, e di lui fu proprio e familiare. (8. Aprile 1824.).
[4067,1]
Bien o mal mirado per que bien o mal mira. Anche
noi diciamo in simil senso riguardato, mal riguardato, poco
riguardato, ec. e così pur gli spagnuoli altri tali participii in simil
senso, notati altrove p. 3851
p.
3992
p.
4015
[p. 4022,4]
pp.
4040-41. Così i latini circumspectus in
senso att. o neut. da circumspicio, e cautus da caveo att. ec.
(9. Aprile. 1824.).
[4068,1]
4068
Divertido
cuento ec. per que divierte.
(13. Apr. 1824.)
[4069,1]
Comidos
y hebidos, como suele decirse.
*
D. Quij. par. 2. ed.
Madrid. 1765. tom. 4. p. 169. cioè que han comido y bebido. (17. Aprile. Sabato
Santo. 1824.).
[4076,1]
Cuerpo
mal sustentado y peor comido.
*
D. Quij. ed. Madrid
1765. t. 4. p. 220. Muger parida
*
cioè que ha parido. ib.
p. 226. (21. Apr. 1824.).
[4088,1]
4088
Bien razonado, cioè que razona
bien. Cervantes
Novelas exemplares.
Milan. 1615. p. 2.
(13. Maggio. 1824.).
[4099,1]
Pesado per pesante, que pesa, tanto nel proprio come nel figurato.
(2. Giugno. 1824.).
[4103,4]
Experimentado per esperto,
come noi sperimentato ed esperimentato, del che
altrove p. 4017. Cervantes
Novelas exemplares.
Milan 1615. p. 354. {432}. (22. Giug. 1824.).
[4104,5]
Callado per tacente, come
tacitus da taceo - itum, del
4105 che altrove
p.
3970. Cervantes
Novelas exemplares,
Milan 1615. p. 431. (27. Giugno.
1824.).
[4111,2] Diminutivi positivati. Myrtus, - mortella (se è però la stessa
pianta). V. franc. spagn. ec. ec. (11. Luglio. Domenica. 1824.)
[4113,2]
Apercebido, di cui altrove p. 4005, notisi
che non è participio di verbo neutro, ma attivo, ed è participio passivo.
(17. Lugl. 1824.).
[4116,5]
Reconocido per riconoscente.
Omisso per que omite,
trascurato. {+Nota che il participio di omitir, se vi ha questo verbo in ispagnuolo, è omitido.}
Idea de un
Principe politico Christiano representada en cien empresas por
Don Diego de Saavedra
Faxardo. Amstelodami. Apud Joh. Janssonium iuniorem
1659. p. 115. lin. 23.
Trascurato, straccurato ec.
per che suol trascurare, negligente ec. (13. Agosto. 1824.).
[4118,1]
4118
Resabido, spagnuolo, saputo,
saputello ec. per saccente, cioè sapiente, che sa,
ec. V. la
Crus. ec. (25. Agos. 1824.).
[4120,4]
Necessitado per bisognoso,
que necessita. (22. Sett. 1824.).
[4121,5]
Presumido per presuntuoso.
(28. Ott. 1824.).
[4122,4]
Abundado, voce antica spagnuola per abbondante. Saavedra Faxardo, Idea de un principe politico Christiano,
Amsterdam 1659. in 16.mo p. 655. 663. bis.
(20. Nov. 1824.)
[4123,6]
Pesado per pesante. E v. la Crus.
in pesato. (3. Gen. 1825.)
[4126,9]
Porfiado per que porfia. Profuso per che profonde.
V. Crus. Forc. spagn. fr. ingl.
[4134,1]
Sentido de la perdita per que
siente (senziente, che si duole) la perdida.
{Penato per penante. Crus. in penato e in penare es. ult.}
[4146,7]
Profusus per che profonde.
(Sallust.
{Catil. 5.}
alieni appetens, sui profusus
*
). V. Forcell. Ital. profuso. Spagn. profuso. Franc. antico profus, ap. Pougens, Archéologie française tom. 2. p. 152. art. profus. Inglese, profuse. Tutti
nello stesso senso attivo. (Bologna. 23. Ott.
Domenica. 1825.).
[4157,5]
Cansado per que cansa. Divertido per que
divierte.
[4160,3]
Sentido per que siente,
(così risentito ec.), e quindi sostantivato per sentimento, senso. Esclarecido. V. i Diz. spagn.
[4161,1]
Bebido per que ha bebido.
Estar reñidos. Lucido
per luciente, spagn.
[4245,2] Melato, mellitus, per melleus o dulcis. {{Spedito, espedito, expeditus ec. Spigliato. Sforzato,
sforzatamente (esforzado). Crusca.}}
[4246,5]
Preciado spagn. per prezioso, come noi pregiato. {{Continuato o continovato per continuo, e così continué ec.}}
Related Themes
Spagnuoli. (1827) (63)
Participii ec. (1827) (41)
Participii in de' verbi attivi o neutri. (1827) (21)
Participii usati per aggettivi. (1827) (20)
Francesi. (1827) (10)
Lingue. (pnr) (11)
Carattere, lingua ec. ec. (1827) (8)
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Cinquecentisti. Trecentisti, ec. (1827) (4)
Latina (lingua). (1827) (4)
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Eleganza nelle scritture. (1827) (1)
Ricchezza delle lingue. (1827) (2)
. (1827) (1)
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Despotismo. (1827) (1)
Epopea. (1827) (1)
Caratteri meridionali e settentrionali. (1827) (1)
. Suo stato, costumi ec. antichi e moderni. (1827) (1)
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Dialetti latini. (1827) (1)
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Celtica (lingua ec.). (1827) (1)
Universalità delle lingue. (1827) (2)
Governi. (1827) (1)
Romanticismo. (1827) (1)