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[766,1]  Osservo anche questo. Noi ci vantiamo con ragione della somma ricchezza, {copia,} varietà, potenza della nostra lingua, della sua pieghevolezza, trattabilità, attitudine a rivestirsi di tutte le forme, prender abito diversissimo secondo qualunque soggetto che in essa si voglia trattare, adattarsi a tutti gli stili; insomma della quasi moltiplicità di lingue contenute o possibili a contenersi nella nostra favella. Ma da che cosa stimiamo noi che sieno derivate in lei queste qualità? Forse dalla sua primitiva ed ingenita natura ed essenza? Così ordinariamente si dice, ma c'inganniamo di gran lunga. Le dette qualità, le lingue non  767 le hanno mai per origine nè per natura. Tutte a presso a poco sono disposte ad acquistarle, e possono non acquistarle mai, e restarsene poverissime e debolissime, e impotentissime, e uniformi, cioè senza nè ricchezza, nè copia, nè varietà. Tale sarebbe restata la lingua nostra, senza quello ch'io dirò. Tutte lo sono nei loro principii, e non intendo mica nei loro primissimi nascimenti, ma finattanto che non sono coltivate, e con molto studio ed impegno, e da molti, e assiduamente, e per molto tempo. Quello che proccura alle lingue le dette facoltà e buone qualità, è principalmente (lasciando l'estensione, il commercio, la mobilità, l'energia, la vivacità, {gli avvenimenti, le vicende, la civiltà, le cognizioni,} le circostanze politiche, morali, fisiche delle nazioni che le parlano) è, dico, principalmente e più stabilmente e durevolmente che qualunque altra cosa, la copia e la varietà degli scrittori che l'adoprano e coltivano. {v. p. 1202.} Questa siccome, per ragione della maggior durata, e di altre molte circostanze, fu maggiore nella grecia che nel Lazio, perciò la lingua greca possedè le dette  768 qualità, in maggior grado che la latina; ma non prima le possedè che fosse coltivata e adoperata da buon numero di scrittori, e sempre (come accade universalmente) in proporzione che il detto numero e la varietà o de' soggetti o degli stili o degl'ingegni degli scrittori, fu maggiore, e s'accrebbe. La lingua latina similmente non le possedè (sebben meno della greca, pure in alto grado) se non quando ebbe copia {e varietà} di scrittori. Tutte le lingue antiche e moderne che hanno mancato di questo mezzo, hanno anche mancato di queste qualità. Per portare un esempio (oltre le lingue Europee meno colte) la lingua Spagnuola nobilissima, e di genio al tutto classico, e somigliantissima poi alla nostra particolarmente, sì per lo genio, come per molti altri capi, {e sorella nostra non meno di ragione che di fatto, e di nascita che di sembianza, costume, indole,} non è inferiore alla nostra nelle dette qualità, se non perchè l'è inferiore principalmente nella copia e varietà degli scrittori. Se la lingua francese, non ostante la gran quantità degli scrittori, e degli  769 ottimi scrittori, si giudica ed è tuttavolta inferiore alla nostra ed alle antiche per questo verso, ciò è avvenuto per le ragioni particolari che ho più volte accennate. La riforma di essa lingua, la regolarità prescrittale, la figura datale, avendo uniformato tutti gli stili, la poesia alla prosa; impedita la varietà e moltiplicità della lingua, secondo i vari soggetti e i vari ingegni; tolta la libertà, e la facoltà inventiva agli scrittori, in questo particolare; tolto loro l'ardire, anzi rendutinegli affatto schivi e timidi ec. ec. la Francia è venuta a mancare della varietà degli scrittori, non ostante che n'abbia la copia, ed abbia la varietà de' soggetti, perchè tutti i soggetti da tutti gl'ingegni si trattano, possiamo dire, in un solo modo. E ciò deriva anche dalla natura e forza della eccessiva civiltà di quella nazione, e della influenza della società: così stretta e legata, che tutti gl'individui francesi fanno quasi un solo individuo. E laddove  770 nelle altre nazioni, si cerca ed è pregio il distinguersi, in quello è pregio e necessità il rassomigliarsi anzi l'uguagliarsi agli altri, e ciascuno a tutti e tutti a ciascuno. Queste ragioni rendendogli timidi dell'opinione del ridicolo ec. e scrupolosi osservatori delle norme prescritte e comuni nella vita, li rende anche superstiziosi, timidi, schivi affatto di novità nella lingua. Ma tutto ciò quanto {alle sole forme e} modi, perchè questi soli, sono stati fra loro determinati, e prescritti i termini (assai ristretti) dentro i quali convenga contenersi, e fuor de' quali sia interdetto ogni menomo passo. {+E così quanto allo stile uniforme si può dire in tutti, e in tutti i generi di scrittura, anche nelle traduzioni ec. tirate per forza allo stile comune francese, ancorchè dallo stile il più renitente e disperato; e quanto in somma all'unità del loro stile, e del loro linguaggio che ho notata altrove p. 321.} Ma non quanto alle parole, nelle quali, restata libera in francia la facoltà inventiva, e il derivare novellamente dalle proprie fonti, sempre aperte sinchè la lingua vive; la lingua francese cresce di parole ogni giorno e crescerà. Che se le cavassero sempre dalle proprie fonti, o con quei rispetti che si dovrebbe, non avrei luogo a riprenderli, come ho fatto altrove p. 50 pp. 110-11 p. 344, e della corruzione e dell'aridità a cui {vanno} portando la loro lingua.  771 La quale inoltre, da principio, era, come la nostra, attissima alla novità ed al bell'ardire, anche nei modi, secondo che ho detto altrove pp. 688-90 p. 758. La lingua tedesca, rimasa per tanti secoli impotente ed umile, ancorchè parlata da tanta e sì estesa moltitudine di popoli, non per altro che per avere avuto nell'ultimo secolo e ne' pochi anni di questo, immensa copia e varietà di scrittori, è sorta a si[sì] alto grado di facoltà e di ricchezza e potenza.

[805,1]   805 Alla p. 762. Per poco che si osservi facilmente si scuopre che tutte le lingue colte, da principio hanno avuto e adoperato estesamente la facoltà dei composti, come poi tutte, cred'io, (eccetto la greca che la conservò fino alla fine) l'hanno quale in maggiore quale in minor parte perduta. Tutte però hanno conservato o tutti, o maggiore o minor parte dei loro primi composti, divenuti bene spesso così familiari, che han preso come apparenza e opinione di radici, e forse così hanno servito di materia essi stessi a nuove composizioni. La lingua Spagnuola ha composti, e derivati da' composti (come pure le altre lingue, chè anche questi derivati sono un bellissimo e fecondissimo genere di parole): ed alcuni bellissimi e utilissimi {e felicissimi} altrettanto che arditi, come {tamaño,} demàs, e da questo {ademàs,} demasìa, demasiado, {demasiadamente, sinrazon, {+sinjusticia, sinsabor,} pordiosear cioè limosinare, e pordioseria mendicità,} ec. che sono di grande uso e servigio. Tutte le lingue colte hanno ancora avuto delle particelle destinate espressamente alla composizione e che non si trovano fuor de' composti. Così la greca, così la latina, così la francese, la spagnuola (des ec. ec.), l'inglese  806 (mis ec. ec.) ec. Ed è tanta la necessità de' composti che senza questi nessuna lingua sarebbe mai pervenuta a quello che si chiama o ricchezza, o coltura, o anche semplice potenza di discorrere di molte cose, o di alcune cose particolarmente e specificatamente. Perchè le radici converrebbe che fossero infinite per esprimere e tutte le cose occorrenti, e tutte le piccole gradazioni, e differenze e nuances {e accidenti} di una cosa, per ciascuna delle quali gradazioncelle si richiederebbe una diversa radice, altrimente il discorso non sarà mai nè espressivo nè proprio, e neanche chiaro, anzi per lo più equivoco, improprio, dubbio, oscuro, generico, indeterminato. Così appunto avviene alla lingua ebraica (la quale non par che si possa mettere fra le colte) perchè con bastanti radici e derivati, è priva di composti: {+o quasi priva: non avendo che fare i suoi suffissi ed affissi colla composizione, ma essendo come casi {o inflessioni} o accidenti {o affezioni(πάθη)} de' nomi e de' verbi, o segnacasi ec. e non variando punto il significato essenziale, nè la sostanza della parola; come presso noi batterlo, uccidermi, dargli, andarvi, uscirne ec. che non si chiamano, nè sono composti nel nostro senso.} Dal che segue ch'ella ed è soggetta alle dette difficoltà, e disordini; e resta poverissima; ed io dico che tale ci parrebbe eziandio quando anche in quella lingua esistessero altri libri, oltre la Bibbia, se però questi libri mancassero parimente de' composti. Ci vorrebbero, ho detto, infinite radici. Ora  807 una più che tanta moltitudine di radici, è difficilissima per natura, giacchè un composto subito s'intende, ma perchè una radice, sia subito e comunissimamente intesa (com'è necessario), e passi nell'uso universale, ci vuol ben altro. Perciò la invenzione delle radici in qualunque società d'uomini parlanti, o primitiva o no, è sempre naturalmente scarsa, e povera quella lingua che non può esprimersi senza radici, perch'ella non si esprimerà mai se non indefinitamente, ed ogni parola (come accade nell'Ebraico) avrà una quantità di significati. {+V. se vuoi, Soave, append. al Capo 1. Lib. 3. del Compendio di Locke, Venezia 3.za edizione 1794. t. 2. p. 12. fine - 13. e Scelta di opusc. interess. Milano 1775. Vol. 4. p. 54. e questi pensieri p. 1070. capoverso ult.} E se, volete vedere facilmente, perchè una lingua appena è cominciata a divenire un poco colta, e ad aver bisogno di esprimere molte cose, e {queste} specificatamente e chiaramente e distintamente e le loro differenze ec. perchè, dico, abbia subito avuto ricorso e trovati i composti, osservate. Che sarebbe l'aritmetica se ogni numero si dovesse significare con cifra diversa, e non colla diversa composizione di pochi elementi? Che sarebbe la scrittura se ogni parola dovesse esprimersi colla sua cifra o figura particolare, come dicono della scrittura Cinese? La stessa  808 facilità e semplicità di metodo, e nel tempo stesso fecondità anzi infinità di risultati e combinazioni, che deriva dall'uso degli elementi nella scrittura e nell'aritmetica, anzi in tutte le operazioni della vita umana, anzi pure della natura (giacchè, secondo i chimici tutto il mondo e tutti i {diversissimi} corpi si compongono di un certo tal numero di elementi diversamente combinati, e noi medesimi siamo così composti e fatti {anche nell'ordine morale come ho dimostrato in molti pensieri sulla semplicità del sistema dell'uomo p. 53 pp. 181-82 pp. 603. sgg. pp. 629. sgg. }); deriva anche dall'uso degli elementi nella lingua. Al che si ponga mente per giudicarne quanto sia necessario anche oggidì ritenere più che si possa, e nella nostra e in qualunque lingua, la facoltà de' nuovi composti, atteso l'immenso numero delle nuove cose bisognose di denominazione (massime nella lingua nostra); numero che ogni giorno necessariamente e naturalmente si accresce: e d'altra parte l'impossibilità della troppa moltiplicità delle radici, sì al fatto, o all'invenzione, sì all'uso, intelligenza, e diffusione, sì anche alle facoltà della memoria e dell'intelletto umano, {+ed alla chiarezza delle idee che debbono risultare dalla parola, chiarezza quasi incompatibile colle nuove radici (v. p. 951.), e compatibilissima coi nuovi composti; oltre alla mancanza di gusto che deriva dalle nuove radici, le quali sono sempre termini, come ho spiegato altrove pp. 109-111: non così i composti derivati dalla propria lingua.} Lo dico senza dubitare. La lingua più ricca sarà sempre quella che avrà conservata  809 più lungamente, e più largamente adoperata la facoltà dei composti, e oggidì quella che la conserverà maggiore, e maggiormente l'adoprerà. L'esempio della lingua greca, ricchissima fra quante furono sono e saranno, anzi sempre e anche oggi inesauribile, conferma abbondantemente col fatto questa mia sentenza, già sì evidente in ragione. E d'altra parte la mia teoria serve a spiegare il secreto e il fenomeno di una tal lingua sempre uguale alla copia qualunque delle cose. Se dunque vogliamo che una lingua sia veramente onnipotente quanto alle parole, conserviamole o rendiamole, e se è possibile, accresciamole la facoltà de' {nuovi} composti e derivati, cioè l'uso degli elementi ch'essa ha, e il modo, la facoltà di combinarli quanto più diversamente, e moltiplicemente si possa. Questo, e non la moltiplicità degli elementi forma la vera {e sostanziale} ricchezza {copia} e onnipotenza delle lingue (quanto alle parole) come la forma di tutte le altre cose umane e naturali. Generalizziamo un  810 poco le nostre idee, e facilmente ci persuaderemo di questo ch'io dico, e come, per natura universale delle cose umane, la detta facoltà sia non solo la principale e fondamentale, ma necessaria e indispensabile sorgente della ricchezza copia e potenza di qualunque lingua, e della proprietà, definitezza, e chiarezza dell'espressione: dico quanto alle parole. (18. Marzo 1821.).

[1024,3]  Alla p. 1021. Così che la presente corruzione della lingua italiana e parlata e scritta, aggiunge un nuovo e fortissimo ostacolo alla sua universalità. Giacchè gli stranieri non conoscono, {si può dire,} altra letteratura nè lingua italiana scritta, se non l'antica, non passando  1025 e non meritando di passare le alpi i nostri libri moderni, e non avendo noi propriamente letteratura (non dico scienze) moderna, e neppur lingua moderna stabilita, formata, {riconosciuta} e propria. D'altra parte non conoscono nè possono conoscere altra lingua italiana parlata, se non quella che oggi si parla, tanto diversa dall'antica e parlata e scritta, e dalla buona e vera {e propria} favella italiana. Lo stesso appresso a poco si può dire dello spagnuolo. (9. Maggio 1821.).

[1035,1]  Discorro allo stesso modo dello Spagnuolo e del francese. Se queste lingue {sono volgari, e} derivano dal latino, dunque dal latino parlato, e non dallo scritto; dunque dal latino volgare; dunque la lingua latina si stabilì nella Spagna e nella Francia come lingua parlata, e non solamente come lingua civile, governativa, letteraria (e così è infatti, e nella lingua francese restano pochissime parole Celtiche, nella spagnuola nessun vestigio dell'antica lingua di Spagna: Andrès, 2. 252.); dunque il volgare latino più o meno alterato da mescolanza straniera, si mantenne senza interruzione in Ispagna e in Francia (siccome in Valacchia) dalla sua prima introduzione, sino al nascimento delle lingue spagnuola e francese, e per mezzo di queste sino al dì d'oggi. Dell'antica origine della presente lingua spagnuola, e come i più vecchi monumenti che ne restano, siano, come quelli della lingua provenzale, francese ec. conformissimi al latino, v. un esempio recato in quella lingua dall'Andrès 2. 286. fine.

[1155,4]  Alla p. 1128. Da queste osservazioni apparisce che la desinenza italiana della prima persona {attiva} singolare del perfetto indicativo, dico la desinenza in ai, è la vera e primitiva desinenza latina di detta persona, conservatasi per tanti secoli {dopo sparita dalle scritture, o senza mai esservi ammessa,} mediante il volgare latino; e per tanti altri, mediante la nostra lingua che gli  1156 è succeduta. Desinenza conservatasi anche nella scrittura francese, nostra sorella, ma perduta nella pronunzia, conforme alla qual pronunzia gli spagnuoli (altri nostri fratelli) scrivono e dicono amè ec. Voce senza fallo derivata dall'antichissimo amai, mutato il dittongo ai nella lettera e, forse a cagione del commercio scambievole ch'ebbero i francesi e gli spagnuoli, e le lingue e poesie loro ne' principii di queste e di quelle: commercio notabilissimo, {lungo, vivo, e frequente;} e conosciuto dagli eruditi, (Andrès t. 2. p. 281. fine, e segg.) e che in ordine alla {forma di} molte parole e frasi è la sola cagione per cui la lingua spagnuola somiglia alla latina meno della nostra, quantunque in genere somigli {e la latina e la nostra} assai più della francese. Così nel futuro amarè ec. ec. somiglia alla lingua francese pronunziata.

[1499,2]  Dalla teoria che abbiamo dato dei sinonimi si deducono alcune osservazioni intorno alla  1500 diramazione e diversità delle lingue nate da una stessa madre, massime da una madre già formata, colta, ricca, letterata ec. Nata appoco appoco la sinonimia nella lingua madre, e quindi diffusa questa in diverse parti, non tutti i sinonimi passano a ciascuna lingua figlia, ma solamente alcuni a questa, altri a quella. E questa è pur una delle cagioni della maggior ricchezza e proprietà delle lingue antiche. Le lingue figlie di una madre già formata, per lo più sono meno ricche di lei. Il tempo dopo aver soppresso le differenze de' significati (sia prima della diffusione, e presso la nazione originariamente partecipe di quella lingua, sia molto più dopo, e presso le nazioni che sempre corrottamente la ricevono e sempre mancante e povera, per la ignoranza e la difficoltà d'imparare una lingua nuova, e l'impossibilità di ricevere e praticar tutta intera una {tal} lingua ricca ec. ec.), il tempo, dico, sopprime quindi naturalmente una buona parte de' sinonimi, conservandone solo uno o due per significato, che prevalendo appoco appoco nell'uso, fanno dimenticar gli altri ec. Così le lingue perdono  1501 appoco appoco necessariamente di ricchezza e di proprietà, a causa della sinonimia. Oltre che le lingue figlie, nascendo da corruzione, e dagli stessi danni che il tempo reca alla sostanza materna, non la possono mai di gran lunga ereditar tutta intera. {+E così il fondo delle lingue si va sempre scemando se per altra parte non si accresce, e le lingue che nascono sono sempre più povere di quelle che le producono, almeno nei principii.}

[1845,1]  Moltissime parole si trovano, comuni a più lingue, o perchè derivate da questa a quella, ed immedesimate con lei, o perchè venute da origine comune, le quali parole in una lingua sono eleganti, in un[un'] altra no; in una affatto nobili anzi sublimi, in un'altra affatto pedestri. Così dico delle frasi ec. Unica ragione è la differenza dell'uso, e delle assuefazioni. Noi italiani possiamo facilmente osservare  1846 nella lingua spagnuola, la più affine alla nostra che esista, e di maniera che tanta affinità e somiglianza non si trova forse fra due altre lingue colte; non poche parole e frasi {+o significazioni, o metafore ec.} proprie della sola poesia, che nella nostra son proprie della sola prosa, e viceversa: parte derivate dalla comune madre di ambe le lingue, parte dalla italiana alla spagnuola, parte viceversa. Così pure possiamo osservar noi, e possono pur gli spagnuoli, non poche altre notabilissime differenze di nobiltà di eleganza di gusto ec. in parole e frasi comuni ad ambe le lingue nella medesima significazione. Similmente discorrete dell'inglese e del tedesco, del francese rispetto alle tante lingue che han preso da lei, o rispetto alle due sue sorelle ec. del greco ancora rispetto al latino ec. (5. Ott. 1821.).

[1993,2]  La lingua francese ricevette una certa forma, e venne in onore prima dell'italiana, e forse anche della spagnuola, mercè de' poeti provenzali che la scrivevano ec. Onde sulla fine stessa del ducento, e principio di quel trecento che innalzò la lingua italiana su tutte le vive d'allora, si stimava in italia la parlatura francesca * esser la più dilettevole e comuna di tutti gli altri linguaggi parlati * ;  1994 si scriveva in quella piuttosto che nella nostra, stimandola più bella e migliore * ec. v. Perticari, del 300. p. 14-15. Ma la buona fortuna dell'italia volle che nel 300, cioè prima {assai} che in nessun'altra nazione, sorgessero in essa tre grandi scrittori, giudicati grandi anche poscia, indipendentemente dall'età in cui vissero, i quali applicarono la nostra lingua alla letteratura, togliendola dalle bocche della plebe, le diedero stabilità, regole, andamento, indole, tutte le modificazioni necessarie per farne una lingua non del tutto formata, ch'era impossibile a tre soli, ma pur tale che già bastasse ad esser grande scrittore adoperandola; la modellarono sulla già esistente letteratura latina ec. Questa circostanza, indipendente affatto dalla natura della lingua italiana, ha fatto e dovuto far sì che l'epoca di essa lingua si pigli necessariamente  1995 d'allora in poi, cioè da quando ell'ebbe tre sommi scrittori, che l'applicarono decisamente alla letteratura, {all'altissima poesia,} alle grandi e nobili cose, alla filosofia, alla teologia (ch'era allora il non plus ultra, e perciò Dante col suo magnanimo ardire, pigliando quella linguaccia greggia ed informe dalle bocche plebee, e volendo innalzarla fin dove si può mai giungere, si compiacque, anche in onta della convenienza e buon gusto poetico, di applicarla a ciò che allora si stimava la più sublime materia, cioè la teologia). Questa circostanza ha fatto che la lingua italiana contando oggi, a differenza di tutte le altre, cinque interi secoli di letteratura, sia la più ricca di tutte; questa che la sua formazione e la sua indole sia decisamente antica, cioè bellissima e liberissima, con gli altri infiniti vantaggi delle lingue antiche (giacchè i cinquecentisti che poi decisamente la formarono, oltre  1996 che sono antichi essi stessi, e che si modellarono sugli antichi classici latini e greci seguirono ed in ciò, e in ogni altra cosa il disegno e le parti di quella tal forma che la nostra lingua ricevette nel 300. e ch'essi solamente perfezionarono, compirono, e per ogni parte regolarono, uniformarono, ed armonizzarono); questa circostanza ha fatto che la nr̃a[nostra] lingua non abbia mai rinunziato alle parole, modi, forme antiche, ed all'autorità degli antichi dal 300 in poi, non potendo rinunziarvi se non rinunziando a se stessa, perchè d'allora in poi ell'assunse l'indole che la caratterizza, e fu splendidamente applicata alla vera letteratura. Questa circostanza è unica nella lingua italiana. La spagnuola le tenne dietro più presto che qualunqu'altra, ma solo due secoli dopo. Dal 500. dunque ella prende la sua epoca, ed ella è la più antica di fatto e d'indole, dopo  1997 l'italiana. La lingua francese non ebbe uno scrittore assolutamente grande e da riconoscersi per tale in tutti i secoli, prima del secolo di Luigi 14. o in quel torno. (Montagne nel 500. o non fu tale, o non bastò, o non era tale da formare e fissare bastantemente una lingua.) Quindi la sua epoca non va più in là, ella conta un secolo e mezzo al più, l'autorità degli antichi è e dev'esser nulla per lei. Dove comincia la vera e propria letteratura di una nazione quivi comincia l'autorità de' suoi scrittori in punto di lingua.

[2181,1]  La lingua greca rassomiglia certo alla latina (generalmente però e complessivamente parlando) più che all'italiana, com'è naturale di due sorelle. Ma sebbene  2182 di queste due sorelle la sola latina ci è madre, nondimeno l'italiana e la spagnola somigliano più alla greca che alla latina. Siccome la lingua francese benchè figlia della latina e sorella delle due sopraddette, somiglia più all'inglese, che a queste altre ec. ec. (28. Nov. 1821.).

[2221,2]  Non potui abreptum etc.?
Verum anceps pugnae fuerat fortuna.
Fuisset:
Quem metui moritura? *

Didone, Aen. 4. 600. 603. seg.
Fuerat qui significa espressamente sarebbe stata. {Puoi vedere p. 2321.} Fuera direbbero appunto gli spagnuoli. Quest'uso dell'indicativo preterito  2222 piucchè perfetto in luogo e in senso del piucchè perfetto dell'ottativo o soggiuntivo, è frequentissimo presso i latini massime allora quando esso va congiunto con altro più che perfetto del soggiuntivo, onde sarebbe stato bisogno il duplicar questo, come nel citato luogo, dove se in vece di fuerat poneste fuisset, raddoppiereste quel fuisset (fosse stata) che viene subito dopo. {V. anche Georg. 2. 132. 133. dove però si usa l'imperfetto indicativo {(v. p. 2348.)} V. pure Georg. 3. 563. seqq. e Oraz. l. 4. od. 6. v. 16-24. falleret per fefellisset.} Così in quell'altro di Virg. Aen. 2.:
Et si fata deum, si mens non laeva fuisset,
Impulerat
ec. *
{V. anche Oraz. Od. 17. l. 2. v. 28. seqq. {{e l. 3. 16. 3. seqq.}}}
Così in quel famoso perieram nisi periissem. *
Cioè sarei perito, se non fossi perito. Or da tali osservazioni io deduco due cose.

[2236,1]  Spessissimo anzi quasi sempre, dalle voci latine comincianti per ex noi abbiamo tolto la e, e il c, e cominciatele per s, specialmente, anzi propriamente allora quando la ex era seguita da consonante, sicchè la nostra s viene ad essere impura. Nel qual caso che cosa soglian fare gli spagnuoli e i francesi, l'ho detto altrove pp. 812-14 parlando della s iniziale impura. Parrà che costoro, solendo conservare la e, si accostino  2237 più di noi al latino, e nondimeno chi vuol vedere che l'antico volgare latino, ed anche gli scrittori più antichi, usavano di far nè più nè meno quel che facciamo noi, osservi il Forc. in Stinguo (e forse anche in molti altri luoghi), verbo che anche noi anticamente dicemmo per estinguo, e così stremo per estremo, {+sperimento, esperimento; sperto, esperto; spremere da exprimere da cui pure abbiamo esprimere, sclamare da exclamare, onde pure esclamare;} e così altre tali voci che hanno {{pur}} conservata la e, la perdono o a piacer dello scrittore, o nei nostri antichi, o nella bocca del popolo ec. E forse l'avere gli spagnoli e i francesi la e in tali parole, non è tanto conservazione, quanto maggiore {e doppia} corruzione; vale a dire che, secondo me, essi volgarmente da principio dissero come noi, cioè colla s impura iniziale, e poi per proprietà ed inclinazione de' loro organi, che mal la soffrivano, o a cui riusciva poco dolce ec. v'aggiunsero, non  2238 prendendola dal latino ma del loro, la e iniziale. Infatti essa si trova sempre o quasi sempre nelle parole che anche nel latino scritto, e dell'aureo secolo, e per loro natura ed etimologia ec. cominciano colla s impura, siccome pur fanno sempre in italiano. {{V. p. 2297.}}

[2325,1]  Volgus, volpes dicevano gli antichi latini ec. ec. e cento mila altre voci similmente, adoperando l'o in cambio dell'u. (v. il Forc.  2326 in O, U ec. ec.) Uso proprio del volgo, proprio dell'antichità, e perciò amato anche recentemente da quelli che affettavano antichità di lingua, come Frontone ec. Or quest'uso appunto eccovelo nell'italiano, solito a scambiare in o l'u latino dei buoni tempi, e restituir queste voci nella primitiva loro forma ch'ebbero fra gli antichi latini, e nelle vecchie scritture. È noto che tal costume è più proprio dell'italiano che dello spagnuolo, e più assai che del francese. ec. ec. (4. Gen. 1822.)

[2462,2]  Cagioni di questo vantaggio furono l'infinita capacità, acutezza e buon gusto d'infinite persone in quel secolo, e l'altre circostanze ch'ho notate altrove pp. 1659-60. Alle quali si può e si dee forse aggiungere che i suoni della lingua latina, e generalmente la pronunzia e l'uso di essa, sopra la cui ortografia si formava naturalmente la nostra, era molto meno diverso dall'uso e pronunzia nostra e spagnuola, di quel che sia dal francese.  2463 Quindi essendo tutte tre queste ortografie formate da principio egualmente sulla latina, le due prime che poco avevano da mutarla per conformarla all'uso loro, facilmente la corressero (massime l'italiana) e ve l'uniformarono; ma la francese che avrebbe dovuto quasi trovare una nuova maniera di scrivere (essendo nella pronunzia, come in ogni altra parte, la più degenere figlia della latina), ed anche trovare in parte un nuovo alfabeto (come per le e mute ec.), fu incorrigibile.

[2464,1]  Alla p. 2462. mezzo - non elementi dell'alfabeto inutili, o che esprimano più d'un suono indarno ec. come p. e. nello spagnuolo è inutile che il suono del j sia espresso anche nè più nè meno dal x avanti vocale, e dal g avanti l'e e l'i. E non solo inutile, ma in ispagnuolo produce ancor molta confusione e varietà biasimevole  2465 {e inutile} nel modo di scrivere una stessa parola, anche appresso un medesimo scrittore, in un medesimo libro: sebbene io credo che la moderna ortografia spagnuola (rettificata e resa più esatta, come tutte le altre, e come tutte le cose moderne) sia emendata in tutto o in parte di questi difetti, e di queste inutilità. Similmente la ç, o zedilla è un elemento inutile, e produce confusione, e varietà dannosa. ec. ec. (6. Giugno, dì del Corpus Domini. 1822.).

[2608,3]  La nazione spagnuola poetichissima per natura e per clima fra tutte l'Europee (non agguagliata in ciò che dall'italia e dalla grecia), e fornita di lingua poetichissima fra le lingue perfette (non inferiore in detta qualità se non all'italiana, e non agguagliata di gran lunga da nessun'altra) non ha mai prodotto un poeta nè un poema che sia o sia stato di celebrità veramente  2609 europea. Tanto prevagliono le istituzioni politiche alle qualità naturali: ῞Ημισυ γὰρ τ' ἀρετῆς ἀποαίνυται δούλων ἦμαρ * (Homer.). E questa osservazione può molto servire a quelli che sostengono la maggiore influenza del governo rispetto al clima. (18. Agosto. Domenica. 1822.).

[2783,1]  Credo eziandio che non poche voci venute dalla stessa lingua italiana (non dall'antica latina), e passate in francia; di là ci sieno tornate, e ci tornino tuttavia bene spesso come forestiere: o che quelle nostre sieno dimenticate, o che queste sieno alterate in modo che non si riconoscano essere originalmente tutt'une colle nostre ancora esistenti, e già preesistenti alle sopraddette francesi. {+(Quanto a molte voci e forme italiane passate anticamente fra' provenzali, ed ora credute provenzali di origine, o perchè si trovano nei loro scrittori, e non più presso noi; o perchè, alquanto mutate dalla prima figura e significazione, le ritolsero dai provenzali i nostri primi poeti o que' del 300, e i commerci di que' tempi, vedi Perticari Apologia capo 11. 12. p. 108-17. e capo 19. fine p. 176-7.).} Così dico di molte voci spagnuole ricevute nella nostra lingua durante il 500 e il 600, ne' quali secoli la letteratura spagnuola nata dall'italiana, modellavasi pur tutta sull'italiana, e quindi certo la loro lingua doveva abbondare, e abbondava, di parole e maniere provenutele dall'italiano.

[3066,1]  Che la lingua italiana mediante la letteratura sia stata per più secoli divulgatissima in europa, e più divulgata che niun'altra moderna a quei tempi, o certo per più lungo spazio (perchè la lingua spagnuola per un certo tempo lo fu forse altrettanto, e in italia nel 600 trovo stampate le Novelle di Cervantes in ispagnuolo, mentre oggi in tanta diffusione della lingua francese, che niuno è che non la intenda, è ben difficile che tra noi si ristampi un libro francese di letteratura o divertimento in lingua francese), raccogliesi da parecchi luoghi e notizie da me segnate qua e là p. 242 pp. 1581-83, e da molte altre che si possono facilmente raccorre. Vedi in particolare Andrès, Stor. della letterat. parte 2. l. 1. poesia inglese, ed. Ven. del Loschi, t. 4. p. 116. 117. 119., la Vita di Milton, l'Orazione di Alberto Lollio in lode della lingua toscana, nelle prose fiorentine, part. 2. vol. 6. ed. Ven. 1730-43. p. 38-39, dov'è un passo molto interessante a questo proposito. Ma si noti che in altre edizioni come in quella  3067 della Raccolta di prose ad uso delle regie scuole, ed. 3.a Torino, 1753. p. 309. questo passo, siccome tutta l'orazione, è notabilissimamente mutato; e veggasi la prefazione al citato vol. delle prose fior. p. X-XI. {#1. Veggasi ancora Speroni Oraz. in morte del Bembo nelle Orazioni stampate in Ven. 1596. p. 44-5.} La Canzone de' Gigli del Caro, mandata in Francia, e fatta apposta per colà, come anche il Commento alla medesima secondo che dice il Caro in una delle sue lettere al Varchi, il conto fattone in Francia ec. (v. la Vita del Caro); la Canzone del Filicaia per la liberazione di Vienna, mandata in Germania, e credo anche in Polonia, e colà molto lodata, come si vede nelle lettere del Redi; {#2. V. p. 3816.} i poemi dell'Alamanni fatti in Francia ad istanza di quei principi ec. e colà stampati (v. Mazzucchelli, Vita dell'Alamanni), siccome molti altri libri italiani originali o tradotti si pubblicavano allora o si ristampavano fuor d'Italia, nella quale certo niun libro francese, inglese, tedesco si pubblicava o ristampava originale, e ben pochissimi tradotti (francesi o spagnuoli); tutte queste cose, e cento altre simili {notizie e indizi} di cui son pieni  3068 i libri del 500, del 600, e anche de' principii del 700, dimostrano quanto la lingua italiana fosse divulgata. Nondimeno ella ha lasciato ben poche o niuna parola agli stranieri (eccetto alcune tecniche, militari, di belle arti ec. che spettano ad altro discorso) mentre la lingua francese tanti vocaboli e frasi e modi e forme ha comunicato e comunica a tutte le lingue colte d'europa, e in esse le {ha} radicate e naturalizzate per sempre, e continuamente ne radica e naturalizza. Segno che la letteratura è debol fonte e cagione e soggetto di universalità per una lingua, perocchè una lingua universale per la sola letteratura (e per questo lato fu veramente universale l'italiana a que' tempi, quanto mai lo sia stato alcun'altra fra le nazioni civili) non rende διγλώττους le nazioni in ch'ella si spande, e non è mai se non materia di studio e di erudizione (παιδείας). Quindi poco profonde radici mettono nell'altre lingue le sue parole: e terminata l'influenza della sua letteratura  3069 termina la sua universalità (non così, terminata l'influenza della nazion francese è terminata nè terminerà l'universalità della sua lingua, nè così della greca ec.), e si dimenticano e disusano ben presto quelle parole e modi che lo studio e l'imitazione della sua letteratura aveva forse introdotto nelle letterature straniere, ma non più oltre che nelle letterature. Quando in Francia a tempo di Caterina de' Medici, la nostra lingua si divulgò per altro che per la letteratura, allora l'italianismo nel francese non appartenne alla letteratura sola, e in questa medesima {eziandio} fu maggiore assai che negli altri tempi o circostanze, onde, non so qual degli Stefani, scrisse quel dialogo satirico del quale ho detto altrove più volte.

[3069,1]  Il Menagio, Regnier Desmarais, il Milton ec. che scrissero e poetarono in lingua italiana, sono esempi non rinnovatisi, cred'io, rispetto ad alcun'altra lingua {moderna,} se non dipoi rispetto alla francese, e certo non {dati nè} imitati mai dagl'italiani, se non appresso  3070 parimente quanto al francese. S'è vero che nel 500 v'avessero cattedre di lingua italiana tra' forestieri, come dice Alberto Lollio, esse erano, cred'io, le uniche dove s'insegnasse lingua moderna forestiera nè nazionale, nè mai vi fu cosa simile in italia per nessun'altra lingua moderna (eccetto forse in Propaganda di Roma) fino a questi ultimissimi tempi (v'è ora qualche cattedra di lingua moderna in italia? Dubito assai: di lingua italiana? dubito ancor più). È noto poi che la letteratura e lingua spagnuola nel suo secolo d'oro che fu il 500. come per noi, si modellò in gran parte sull'italiana, colla qual nazione la Spagna ebbe allora pur troppo che fare. (30. Luglio. 1823.)

[3074,3]  È da notare che la lingua spagnuola, per suo quasi perpetuo costume e regola, conserva ne' participii de' verbi {latini} della 2.da e 3.a maniera l'antica e regolare e piena forma della quale ho discorso altrove p. 1155, non ostante che nel latino conosciuto ella sia alterata, contratta, o anomala. Ne' quali casi la lingua italiana suol seguire ciecamente la latina ancorchè contro la regola e proprietà delle sue coniugazioni, e inflessioni, come ho detto altrove in proposito di arsare pp. 2688. sgg. P. e. 1. tenido, venido, e cento simili sono participii intieri, cioè tenitus, venitus,  3075 in luogo de' contratti che usa la lingua lat. conosciuta, cioè tentus, ventus ec. Noi in questo e in molti altri casi mutiamo bene spesso l'i in u (scambio che può essere anch'esso antichissimo) dicendo tenuto, venuto ec. I francesi cambiano sovente e comprendono nella lettera u tutte le lettere itus: tenu, venu da tenitus, venitus e così ordinariamente. 2. Corregido è participio intero e senza mutazione di lettera alcuna, cioè corregitus, dal qual regolare participio la lingua latina fece corregtus per contrazione, e indi mutato il g nell'affine palatina, correctus ch'è il solo participio rimasto nel lat. conosciuto, e nell'italiano. Similmente leido (se non che lo spagn. omette il g in tutto questo verbo) è il primitivo e regolare legitus (dimostrato da legitare) e da questo viene, non già da lectus, da cui il nostro letto. Anzi, perchè veggiate la differenza, da lectus sostant. lo spagnuolo non fa leido, ma lecho, {{(voce antica),}}  3076 equivalendo il ch spagn. assai spesso al ct latino. 3. Movido, nacido, conocido e cento simili sono participii e interi e irregolari, in luogo di contratti ed anomali. Movitus per motus. Nascitus (dimostrato, oltre l'analogia, da nasciturus, come altrove ho notato p. 3063) per natus ch'è solo oggi nel latino e nell'italiano e nel francese Cognoscitus, dimostrato, come altrove ho detto p. 1113 p. 1167 p. 2777 p. 2826, da noscito, per cognitus, ch'è unico nel latino, unico nel francese. Nell'italiano v'è cognitus e v'è anche cognoscitus, mutato al solito l'i in u, e dico mutato, perchè in conosciuto, l'i è accidentale della scrittura, non proprio della parola, e serve solamente a dinotar la pronunzia delle lettere sc, che poste avanti l'u senza l'intrapposizione della i, si profferirebbero in altro modo. {#1. Così l'h è accidentale in dich'io in giuochi ec. ec.} Del resto nacido ec. è proprio lo stesso che nascitus, omessa la s per proprietà moderna, perchè gli antichi la  3077 scrivevano, come pure in crecer (onde crecido - crescitus - cresciuto, per cretus - cru), condecender ec. ec. La lingua spagnuola suol essere regolarissima in questi {tali} participii, più {assai} dell'italiana, più della francese, e conservare più di ambedue l'antichità e primitiva proprietà latina, anzi conservarla si può dir, pienamente. E ciò non meno {nè in diverso modo} quando la latina conosciuta è irregolare o contratta, che quando ell'è regolare e semplice, come da habitus, havido o habido, che noi colla solita mutazione diciamo avuto. Ora questo havido nello spagn. ha la stessissima forma di tenido ec. Ma non così in latino, benchè teneo sia della stessa forma di habeo. {#1. Puoi vedere la p. 3544} {{V. p. 3572. fine.}}

[3324,1]   3324 In questo caso non si trovò forse mai nazione veruna (se non se oggidì la spagnuola quando ella intraprendesse di ristorare la sua quasi spenta letteratura). Ma questo appunto è il caso nel quale si trova oggi l'italia.

[3366,1]  La lingua latina s'introdusse, si piantò e rimase in quelle parti d'europa nelle quali entrò anticamente e si stabilì la civilizzazione. Ciò non fu che nella Spagna e nelle Gallie. Quella fino dagli antichi tempi produsse i Seneca, Quintiliano, Columella, Marziale ec. poi Merobaude, S. Isidoro ec. e altri moltissimi di mano in mano, i quali divennero letterati e scrittori latini, senza neppure uscire, come quei primi, dal loro paese, o quantunque in esso educati, e non, come quei primi, in Roma. Le Gallie produssero Petronio Arbitro, {Favorino ec.} poi Sidonio, S. Ireneo ec. La civiltà v'era già innanzi i romani stata introdotta da coloni greci. Di più la corte latina v'ebbe sede per alcun tempo. La Germania benchè soggiogata anch'essa da' Romani, e parte dell'impero latino, non diede mai adito a civiltà nè a lettere, nè a' buoni nè a' mediocri nè a' cattivi tempi di quell'impero. Ella fu sempre barbara. Non si conta fra gli scrittori latini di veruna latinità  3367 (se non dell'infimissima) niuno che avesse origine germanica o fosse nato in Germania, come si conta pur quasi di tutte l'altre provincie e parti dell'impero romano. Quindi è che la Germania benchè suddita latina, benchè vicina all'italia, anzi confinante, come la Francia, e più vicina assai che la Spagna, non ammise l'uso della lingua latina, e non parla latino {(cioè una lingua dal latino derivata),} ma conserva il suo antico idioma. (Forse anche fu cagione di ciò e delle cose sopraddette, che la Germania non fu mai intieramente soggiogata, nè suddita pacifica, come la Spagna e le Gallie, sì per la naturale ferocia della nazione, sì per esser ella sui confini delle romane conquiste, e prossima ai popoli d'europa non conquistati, e nemici de' romani, e sempre inquieti e ribellanti, onde ad essa ancora nasceva e la facilità, e lo stimolo, e l'occasione, e l'aiuto e il comodo di ribellare). Senza ciò la lingua latina avrebbe indubitatamente spento la teutonica, nè di essa resterebbe maggior notizia o vestigio che della celtica e dell'altre che la lingua latina spense affatto in Ispagna e in  3368 Francia. Delle quali la teutonica non doveva mica esser più dura nè più difficile a spegnere. Anzi la celtica doveva anticamente essere molto più colta e perfetta o formata che la teutonica, il che si rileva sì dalle notizie che s'hanno de' popoli che la parlarono, e delle loro istituzioni (come de' Druidi, de' Bardi, cioè poeti ec.), e della loro religione, costumi, cognizioni ec. sì da quello che avanza pur d'essa lingua celtica, e de' canti bardici in essa composti ec. L'inghilterra par che ricevesse fino a un certo segno l'uso della lingua latina, certo, se non altro, come lingua letterata e da scrivere. {Il latino si stabilì in Inghilterra a un di presso come il greco nell'alta Asia, e l'italiano in Dalmazia, nell'isole greche e siffatti dominii de' Veneziani: cioè come lingua di qualunque persona colta e della scrittura, ma non parlata dal popolo, benchè forse intesa. Così il turco in grecia ec.} Ella ha pure scrittori non solo dell'infima, ma anche della media latinità, come Beda ec. Ma era già troppo tardi, sì perchè la lingua latina era già corrotta e moribonda per tutto, anche in italia sua prima sede, sì perchè l'impero latino era nel caso stesso. Quindi i Sassoni facilmente distrussero la lingua latina in inghilterra, ancora inferma e mal piantata, propria solo dei dotti (com'io credo), e le sostituirono la  3369 teutonica, trionfando allo stesso tempo (almeno in molta parte dell'isola) anche dell'idioma nazionale, indigeno, ἐπιχώριος e volgare, cioè del celtico ec., al qual trionfo doveva pure aver già contribuito la lingua latina, soggiogata poi anch'essa, e più presto ed interamente dell'indigena, da quella de' conquistatori. Laddove nelle Gallie i Franchi non poterono mica introdurre la lingua loro, benchè conquistatori, nè estirpar la latina, ben radicata, e per lunghezza di tempo, e perchè insieme con essa erano penetrati e stabiliti nelle Gallie, i costumi, la civiltà, le lettere, la religione latina, e perchè {quivi} detta lingua non era già propria ai soli dotti, ma comune al volgo, ond'essi conquistatori l'appresero, e parlata ec. Così dicasi de' Goti, Longobardi ec. in italia; de' Vandali {ec.} in Ispagna. Che se la lingua latina in italia, in Francia, in ispagna, trionfò delle lingue germaniche benchè parlate da' conquistatori, può esser segno ch'ella ne avrebbe pur trionfato nella Germania ov'elle parlavansi da' conquistati, se non l'avessero impedito le cagioni dette di sopra. Perocchè si vede che la lingua latina trionfava  3370 dell'altre, non tanto come lingua di conquistatori e padroni, superante quella de' conquistati e de' servi, nè come lingua indigena o naturalizzata, superante le forestiere, avventizie e nuove; quanto come lingua colta e formata, superante le barbare, incolte, informi, incerte, imperfette, povere, insufficienti, indeterminate. Altrimenti non sarebbe stato, come fu, impossibile ai successivi conquistatori d'Italia, Francia, Spagna, il far quello che i latini ne' medesimi paesi, conquistandoli, avevano fatto; cioè l'introdurre le proprie lingue in luogo di quelle de' vinti. Nel mentre che i Sassoni in inghilterra, certo nè più civili nè più potenti de' Franchi, de' Goti, {de' mori,} ec., i Sassoni, dico, in inghilterra, e poscia i Normanni, trionfavano pur senza pena delle lingue indigene di quell'isola, perchè mal formate ancor esse, benchè non affatto barbare, ed {anzi} (p. e. la celtica) più colte ec. delle loro. Ma queste vittorie della lingua latina sì nell'introdursi fra' conquistati, e forestiera scacciare le lingue indigene; sì nel mantenersi malgrado i conquistatori, e in luogo di cedere, divenir propria anche di questi, si dovettero, come ho detto, in grandissima parte, alla civiltà dei  3371 costumi latini e alle lettere latine con essa lingue[lingua] introdotte o conservate: di modo che detta lingua non riportò tali vittorie, solamente come colta e perfetta per se, ma come congiunta ed appartenente ai colti e civili costumi, opinioni e lettere latine. Perocchè, come ho detto, sempre ch'ella ne fu disgiunta, cioè dovunque la civiltà e letteratura latina, e l'uso del viver latino, o non s'introdusse, o non si mantenne, o scarsamente s'introdusse o si conservò; nè anche s'introdusse la lingua latina, come in Germania, o non si mantenne, come accadde in Inghilterra. E ciò si vede non solo in queste parti d'europa, che non ammisero la civiltà latina per eccesso di barbarie, o che non ammettendola, restarono barbare; ma eziandio in quelle dove una civiltà ed una letteratura indigena escluse la forestiera, in quelle che non ammettendo i costumi nè le lettere latine, restarono però, quali erano, civili e letterate, cioè nelle nazioni greche. Le quali non ricevendo l'uso del viver latino, non ricevettero neppur la lingua, benchè la sede dell'  3372 impero romano, e Roma e il Lazio, per così dire, fossero trasportate e lunghissimi secoli dimorassero nel loro seno. Ma la Grecia contuttociò non parlò mai nè scrisse latino, ed ora non parla nè scrive che greco. Ed essa era pur la parte più civile d'europa, non esclusa la stessa Roma, al contrario appunto della Germania. Sicchè da opposte, ma analoghe e corrispondenti e ragguagliate e proporzionate, cagioni, nacque lo stesso effetto.

[3372,2]  Dialetti della lingua latina. Vedi Cic. pro Archia poeta, c. 10. fine, dove parla de' poeti di Cordova pingue quiddam sonantibus atque peregrinum. * Non avevano certamente questi poeti scritto nella lingua indigena di Spagna, che i romani mai non intesero, siccome niun'altro[niun altro] idioma forestiero, eccetto il greco; ma in un latino che sentiva di Spagnolismo, come quel di Livio parve  3373 sapere di Patavinità. E le parole di Cic., chi ben le consideri anche in se stesse, non possono significare altro. Perocchè era fuor di luogo la nota di peregrino se si fosse trattato di una lingua forestiera, che non in parte, o per qualche qualità, ma tutta è peregrina; nè questo in lei sarebbe stato difetto, e volendolo considerar come tale, soverchiamente leggiera e sproporzionata sarebbe stata quella semplice espressione che la lingua e lo stile di quei poeti sapeva di forestiero. Oltrechè l'una e l'altro sarebbero stati barbari, e per le orecchie romane affatto strani, rozzi, insolenti, insopportabili, non così solamente macchiati d'un non so che di pingue e di peregrino. Era in Cordova introdotta già (siccome in altre parti della Spagna già soggiogate, perchè quella provincia non fu sottomessa che appoco appoco, e con grandissimo intervallo una parte dopo l'altra, e, come osserva Velleio, {Vell. II. 90. 2. 3. Flor. II. 17. 5. Liv. 28. 12.} fu di tutte la più renitente, e tra le romane conquiste la più lunga e difficile e per lungo tempo incertissima); era, dico, introdotta già in Cordova la lingua e la letteratura latina, siccome  3374 dimostra l'aver essa poi potuto produrre i Seneca e Lucano, l'esempio dello stile de' quali, può (quanto allo stile) servire pur troppo di copioso commento alle parole di Cicerone, che, s'io non m'inganno, della lingua non meno che dello stile si debbono intendere. (6. Settem. 1823.).

[3543,3]  Intorno allo spagn. pintar ho detto altrove p. 1155 che il primitivo e regolare participio di pingo, tingo e simili, fu pingitus, tingitus ec. Poi pingtus, tingtus ec., poi pinctus, (e quindi pintar, quasi pinctare);  3544 e in questo {3.o} stato molti di tali participii rimasero, come tinctus, cinctus ec. Molti altri passarono a un quarto stato, ove si fermarono, come pictus, fictus. {ec.} Ma noi li conserviamo per lo più nel 3.o stato: pinto, finto. {#1. francese peint, feint. Abbiamo anche pitto, fitto, ma antichi o poett. ec.} Lo spagn. (regolarissimo ne' participii passivi sopra ogni altra sorella, e sopra la stessa latina ec. nel modo che altrove ho detto {#2. p. 3074. segg.}) conserva il primitivo fingitus in fingido. (28. Sett. 1823.).

[3572,1]  Alla p. 3077. È da notare che gli argomenti ch'io traggo da tali participii spagnuoli a dimostrare  3573 gli antichi participii latini regolari ec. (e così sempre che dallo spagnuolo io argomento all'antico latino, al volgare ec.), sono tanto più valevoli, quanto siccome la lingua francese è nell'estrinseco e nell'intrinseco, fra tutte le figlie della latina, la più remota e alterata dalla lingua madre (secondo ho detto altrove pp. 965. sgg. pp. 1499. sgg. pp. 2989-90 p. 3395), così la spagnuola è nell'estrinseco la più vicina, {#1. V. p. 3818.} mentre però nell'intrinseco lo è la italiana, come altrove ho distinto pp. 1499-504. Ma dell'intrinseco poco ha che fare il nostro discorso. La lingua spagnuola che per la forma esteriore delle parole ha più di tutte le sue sorelle ereditato dalla latina, e che più di tutte {le lingue,} a sentirla leggere o a vederla scritta, rappresenta l'esterna faccia e il suono della latina e può con essa esser confusa; dev'esser considerata come speciale e principale conservatrice dell'antichità, della latinità, del volgar latino ec. quanto alla material forma delle parole e alla proprietà delle loro inflessioni ec. che è quello che ora c'importa. La qual conformità particolare col latino si può notar nello spagnuolo da per tutto, ma nominatamente e singolarmente  3574 e forse più ch'altrove, nelle coniugazioni de' verbi, il che fa appunto al nostro caso. AMO, AMAS, AMAt, AMAMVS (lo spagn. muta l'u in o, e questa è la sola mutazione in tutto questo tempo), AMAtIS, AMANt. Leggansi le sole maiuscole, e s'avrà la coniugazione spagnuola. La quale in questo tempo è tutta latina, salvo l'omissione del t in tre soli luoghi, {#1. È naturale agli organi degli spagn. di non amare la pronunzia del t, onde nelle voci venute dal lat. spessissimo lo mutano in d ch'è più dolce (come fanno anche gl'italiani in alcuni luoghi intorno alle voci italiane), spessissimo lo tralasciano, come in questo nostro caso fanno, in parte anche gl'italiani e i francesi} e la mutazione dell'u in o in un luogo, mutazione pur tutta latina (vulgus - volgus ec. ec. ec.) e propria senz'alcun dubbio, {anche in questo caso,} o di tutto l'antico volgo che parlò latino, o di molte parti e dialetti di esso. Infatti tal mutazione non solo è propria e dell'italiano e del francese in questo medesimo caso sempre, ma ordinarissima e quasi perpetua (massime nell'italiano) in quasi tutti o nella più parte degli altri casi, sì nelle desinenze, sì nel mezzo delle parole o nel principio. V-u-lg-u-s - V-o-lg-o. {#2. Sicché amamos p. amamus non si dee neppure chiamar mutazione quanto allo spagnuolo, non essendo stata fatta da esso ma nel latino medesimo, anzi non essendo stata neppur in latino altro che un'[un] accidente, una qualità, una maniera di pronunzia. Insomma amamos è latino; e lo spagn. in questa voce è puro (ed antico e non men che moderno) latino conservato nel lat. volgare. ec.} La congiugazione italiana è ben più mutata, e molto più dell'italiana la francese. Basta a noi che le regole e le inflessioni della coniugazione latina sieno specialmente conservate nella spagnuola, ancorchè gli elementi del verbo che non toccano l'inflessione  3575 e la regola della coniugazione sieno alterati, o soppressi ec. Come leo è mutato da lego. Ma la coniugazione di quello essendo similissima alla coniugazione di questo, l'omissione del g, in cui consiste l'alterazione di quello, non indebolisce punto l'argomento che dal suo participio leido si cava a dimostrare il latino corrispondente legitus. E così discorrete degli altri casi e argomenti, o sieno dintorno a' participii, o a checchessia ch'appartenga alle forme generali della congiugazione o d'altro ec.

[3829,1]  Lo stato della letteratura spagnuola oggidì (e dal principio del 600 in poi), è lo stesso affatto che quello dell'italiana, eccetto alcuni vantaggi di questa, ed alcune diversità di circostanze, che non mutano la sostanza del caso. Come noi (al paro di tutti gli altri stranieri) non dubitiamo che la spagna non abbia nè lingua nè letteratura moderna propria, e dal 600. in poi non l'abbia mai avuta, così non dobbiamo dubitare che non sia altrettanto in italia, e ciò dal 600. in poi, come gli stranieri, e forse tra questi anche gli spagnuoli (che del fatto loro non converranno), punto non ne dubitano. Quello che noi vediamo chiaro in altrui e nel lontano, ci serva di specchio e di esempio per ben vedere, per accorgerci, per conoscere e concepire il fatto nostro, e quello ch'essendoci proprio e troppo vicino, non suol vedersi nè conoscersi mai bene, sì per l'inganno dell'amor proprio, sì perchè la stessa vicinanza nuoce alla vista, e l'abitudine di continuamente vedere impedisce o difficulta l'osservare, il notare, l'attendere, il por mente, l'avvedersi. L'opinione che abbiamo di quelli stranieri c'istruisca  3830 di quella che dobbiamo avere di noi, e le ragioni di quella si applichino al caso nostro, chè ben vi sono applicabili ec.

[3851,2]  Participii passivi di verbi attivi o neutri, in senso attivo o neutro ec. Ho detto altrove p. 3072 dello spagn. parida participio sovente (o sempre; v. i Diz.) attivo intransitivo di senso. Simili ne abbiamo ancor noi parecchi, e molto elegantemente gli usiamo, in luogo de' participii veramente attivi di forma, il cui uso è poco grato alla nostra lingua, non altrimenti che alla francese e spagnuola. Uomo considerato, avvertito, avvisato vagliono considerante, avvertente ec. cioè che considera ec. {veri} attivi di significato, benchè intransitivi. Simili credo che si trovino ancora nel francese e più nello spagnuolo che se ne servono parimente in luogo de' participii di forma attiva poco accetti a esse lingue {#1. Avisado per prudente, accorto, e anche dello spagn. ma dubito che in ispagn. avisar abbia quel tal senso attivo analogo a questo di accorto ec., il quale egli ha tra noi. V. p. 3899.} La detta sorta di participii passivi attivati, fatti da' verbi attivi ec. (ed infatti essi o sempre o per lo più, hanno ancora il proprio lor significato, cioè il passivo) è massimamente usata da' nostri antichi del 300. e del 500. che ne hanno in molto più copia che noi oggidì non sogliamo usare o punto, o solo in senso passivo. La nostra lingua somigliava anche in questo alla spagnuola la quale mi pare che anche oggidì conservi quest'uso più  3852 frequente che non facciam noi, accostatici ora ai francesi, a' quali esso è men frequente che agli altri, siccome esso pare singolarmente proprio della lingua spagnuola ec. ec. (10. Nov. 1823.).

[3855,1]  Tra le cagioni del mancar noi (e così gli spagnuoli) di lingua e letteratura moderna propria, si dee porre, e per prima di tutte, la nullità politica e militare in cui è caduta l'italia non men che la Spagna dal 600 in poi, epoca appunto da cui incomincia la decadenza ed estinzione delle lingue e letterature proprie in italia e in ispagna. Questa nullità si può considerare e come una delle cagioni del detto effetto, e come la cagione assoluta di esso. Come una delle cagioni, perocchè se noi manchiamo oggi affatto di voci moderne proprie italiane e spagnuole, politiche e militari, ciò viene perchè gl'italiani e spagnuoli non hanno più, dal 600 in poi, nè affari politici propri, nè milizia propria. Fino dall'estinzione dell'imperio romano, l'italia è stata serva, perchè divisa; ma sino a tutto il 500 la milizia italiana propria ha esistito, e le corti e repubbliche italiane hanno operato da se, benchè piccole e deboli. Il governo era in mano d'italiani, le dinastie erano italiane in assai maggior numero che poi non furono  3856 ed or non sono. Influiti e dominati da' governi e dagli eserciti stranieri, i governi e gli eserciti italiani, chè tali essi erano ancora, agivano tuttavia essi medesimi, ed avevano affari. Essi erano che si davano agli stranieri, quando a questo, quando a quello, che li chiamavano, che gli scacciavano, o contribuivano a ciò fare, che si alleavano cogli stranieri, o contro di loro, con altri stranieri, o con altri italiani, contro altri italiani, o a favore. L'amicizia de' governi italiani, ancorchè piccolissimi, delle stesse singolari città, era considerata e ricercata dagli stranieri, e la nemicizia temuta; e in qualunque modo i governi e le città italiane erano allora nemiche o amiche di questa o quella straniera potenza. Gl'italiani agivano per se presso o nelle corti straniere, e gli stranieri presso gl'italiani. {+V. p. 3887.} Quindi è che noi avevamo allora a dovizia voci politiche e militari; più a dovizia ancora delle altre nazioni, perchè la politica e il militare, ridotti ad arte e scienza tra noi, non lo erano presso gli altri. Negli storici, negli scrittori tecnici di politica o di milizia, o d'altre materie appartenenti, e generalmente negli scrittori italiani avanti il seicento, non troverete mai difficoltà veruna di esprimersi in checchessia che spetti agli affari pubblici, economia pubblica, diplomatica, negoziazioni, politica, e a qualsivoglia parte dell'arte militare; mai povertà; {e} mai li vedrete ricorrere a voci straniere, o che possano pur sospettarsi tali: al contrario li vedrete franchissimi  3857 nell'espressione di tali materie, anzi ricchissimi e abbondantissimi, esattissimi, provvisti di termini per ciascuna cosa e parte di essa, ed anche di più termini per ciascuna, voci tutte italianissime e tanto italiane quanto or sono francesi quelle di cui i francesi e noi ed anche altri in tali materie si servono; e queste voci e questi termini ben si vede che non erano inventati da quegli scrittori, nè debbonsi al loro ingegno, ma all'uso della favella italiana d'allora, e che erano fra noi (come anche fuori non poche[pochi]) comunissimi, notissimi, e di significato ben certo e determinato. La più parte di questi, dal 600. in poi, perduti nell'uso del favellare, {lo furono e lo sono} conseguentemente nelle scritture, di modo che le stesse cose ancora, che noi a que' tempi con parole italianissime, e con più parole eziandio, chiarissimamente e notissimamente esprimevamo, or non le sappiamo esprimere che con voci straniere affatto, o se queste ci mancano, e son troppo straniere per potersi introdurre, o non furono ancora introdotte, non possiamo esprimer quelle cose in verun modo. Moltissime di quelle voci, usandole, sarebbero intese fra noi anche oggidì nel lor proprio e perfetto senso, come allora, e non farebbero oscurità. Ma moltissime, sostituite alle straniere che or s'usano, riuscirebbero oscure, parte per la nuova assuefazione fatta a queste altre voci, perchè[parte] perchè il loro senso non sarebbe più inteso così determinatamente come  3858 allora. E il simile dico di molte voci con cui potremmo esprimer cose per cui non abbiamo nemmen voci straniere, o che a questi pur manchino, o che tra noi non sieno state ancora introdotte. Moltissime voci militari, civili e politiche sì del nostro 300, sì dello stesso 500, benchè significative di cose or notissime e comunissime, son tali che noi ora, leggendole negli antichi, o non le intendiamo, o non senza studio, o non avvertiamo, almen senza molta acutezza e attenzione, {o imperfettamente} la loro corrispondenza con quelle che oggi ne' medesimi casi comunemente usiamo. Altresì ci accade {non di rado} tale incertezza nelle voci significative di cose, or non più comuni, e spesso in queste ci accade più che nell'altre. Ecco come, mancati gli affari politici e la milizia in italia, la nostra nazione non ha nè può avere, nè ebbe dal 600 in poi, lingua moderna propria per significar le cose politiche e militari, non ch'ella mai non l'abbia avuta, anzi l'ebbe, ma l'ha perduta, o non l'ha se non antica. E nello stesso modo proporzionatamente e ragguagliatamente discorrasi della Spagna.

[3946,2]  La lingua greca appartiene veramente e propriamente alla nostra famiglia di lingue (latina, italiana, francese, spagnuola, e portoghese), non solo perch'ella non può appartenere ad alcun'altra, e farebbe famiglia da se o solo colla greca moderna; non solamente neppure per esser sorella o, come gli altri dicono, madre della latina (nel primo de' quali casi ella dovrebbe esser messa almeno colla latina, e nel secondo è chiaro ch'ella va posta nella nostra famiglia), ma specialmente e principalmente perchè la sua letteratura è veramente madre della latina, la qual è madre delle nostre, e quindi la letteratura greca è veramente l'origine delle nostre, le quali in grandissima parte non sarebbero onninamente quelle che sono e quali sono (se non se per un incontro affatto fortuito) s'elle non fossero venute di là. E come la letteratura è quella che dà forma e determina la maniera di essere delle lingue, e lingua formata e letteratura sono quasi la stessa cosa, o certo  3947 cose non separabili, e di qualità compagne e corrispondenti; e come per conseguenza la letteratura greca (oltre le tante voci e modi particolari) fu quella che diede veramente e principalmente forma alla lingua latina, e ne determinò la maniera di essere, il carattere e lo spirito, di modo che la lingua e letteratura latina, quando anche fossero nate, formate e cresciute senza la greca, non sarebbero certamente state quelle che furono, ma altre veramente, e in grandissima parte diverse per natura e per indole e forma, e per qualità generali e particolari, e sì nel tutto, sì nelle parti maggiori o minori, da quelle che furono; stante, dico, tutto questo, la letteratura greca (oltre lo studio immediato fattone da' formatori delle nostre lingue, come da quelli della latina) viene a esser veramente la madre e l'origine prima delle nostre lingue, come la latina n'è la madre immediata; le quali lingue (anche la francese che insieme colla sua letteratura è la più allontanata dalla sua origine, e dalla forma latina, e dall'indole della latina, e quindi eziandio della greca) non sarebbero assolutamente tali quali sono, ma altre e in grandissima parte diverse sì nello spirito, sì in cento e mille cose particolari, se non traessero primitivamente origine in grandissima parte dal greco per mezzo del latino. E veramente la lingua greca mediante la sua letteratura è prima (quanto si stende la nostra memoria dell'antichità) e vera ed efficacissima causa dell'esser sì la lingua e letteratura latina, sì le nostre lingue e letterature, anche la francese, tali quali elle sono,  3948 e non altre; chè per natura elle ben potrebbero essere diversissime in molte e molte cose, anche essenziali ed appartenenti allo spirito ed all'indole ec. e alquanto diverse più o meno in altre molte cose più o meno essenziali o non essenziali. E forse non mancano esempi di altre letterature e lingue antiche o moderne, anche meridionali ec., che non essendo venute dal greco, sono diversissime, anche per indole ec. e nel generale ec. non meno o poco meno che ne' particolari, dalla latina e dalle nostrali. E ne può esser prova il vedere quanto la francese si è allontanata, anche di spirito, dalla latina e dalla greca alle quali era pur conformissima nel 500 ec. (vedi la p. 3937.), senz'aver mutato clima ec. Certo i tempi nostri son diversissimi da quelli de' greci {e de' latini,} quando anche il clima sia conforme, diversissime sono state e sono le nostre nazioni, {#1. loro governi, opinioni, costumi, avvenimenti e condizioni qualunque,} sì tra loro, {#2. sì ciascuna di esse da se medesima in diversi tempi,} sì dalla greca, e dalla latina eziandio. Nondimeno le loro lingue e letterature sono state conformi, massime fino agli ultimi secoli, e tra loro, e tra' vari lor tempi, e colla greca e latina ec. Sicchè tal conformità non si deve attribuire nè solamente nè principalmente al clima, nè ad altre circostanze naturali o accidentali, ma all'accidente di esser derivate effettivamente dal greco e latino, chè ben potevano non derivar da nessuno, o derivare d'altronde ec. ec.

[3992,5]  Participio passato in senso neutro o attivo. Avvertito per avvisato, accorto, avvertente da avvertire in senso di por mente. Così advertido in ispagnuolo dove credo che advertir abbia pure questo senso come tra noi. {#1. Così è infatti: advertid que ec. D. Quijote.} Credo ancora che avvertito nel detto senso sia preso dallo spagnuolo {#2. al quale è più che mai proprio l'usare questi cotali participii passati in cotali sensi attivi o neutri ec..} Trovo advertido così preso nel >D. Quijote. Avisé. V. i Diz. Saputo, Saputello ec. V. la Crus. e gli spagn.  3993 (19. Dec. 1823.).

[3998,4]  Participii passivi in senso attivo o neutro ec. Agradecido  3999 per agradeciente, e lo trovo anche, nel D. Quijote, per piacevole, urbano, gentile, cortese. {#1. Altra volta ve lo trovo per benigno, favorevole (fue mas agradecida y liberal la natura que la fortuna). Desagradecido p. ingrato. D. Quij. Leido p. che ha letto, alletterato (ib. leido en cosas de Caballeria andantesca, cioè, che ha letto romanzi di Cavalleria, come quivi si vede).} Del resto questo participio è aggettivato e così tutti o quasi tutti gli altri tali participii così usati ec., come mi pare aver detto altrove p. 3851 p. 3992, ma ciò non toglie ec. ec. (24. Dec. 1823. Vigilia del Santo Natale).

[4005,5]  Participii passivi in senso att. o neut. ec. Apercibido per fatto inteso, che sta sull'avviso ec. (D. Quijote). Inteso per informato, intendente, ec. (entendido, entendu V. spagn. e franc.: se però in questo senso appartenesse al neut. pass. intendersi, entenderse ec. non spetterebbe  4006 al nostro proposito.). Discreto it. spagn. (di cui par che, almeno principalmente sia proprio) e franc. per discernente ec. V. il Gloss. ec. (29. Dec. 1823.). {Conocido, desconocido, per conoscente, cioè grato, e sconoscente, come diciamo noi l'uno e l'altro, come anche disconoscente. V. la crusca in disconosciuto esempio 2. dove vale che non conosce, ch'è privo di conoscimento, e nota ch'è di Guittone, cioè antichissimo.}

[4021,3]  Desapercebido per isprovvisto, imprudens. Cervant. D. Quij. par. 1. cap. 1. p. 4. ed. di Madrid. V. il detto altrove p. 4005 di apercebido. E simili altri participii s'intenda che hanno tali significazioni anche coll'aggiunta del des {ec.} privativo in ispagnuolo, dell'in ec. in italiano ec. ec. (22. Gen. 1824.).

[4022,4]  I participii passivi di verbi attivi o neutri usati nelle lingue moderne in senso att. o neutro, sono {quelli} per lo più o tutti {+e questi molte volte} nell'italiano, e massime nello spagn. ec. di senso non passato, ma presente o significante abitudine di quella tal cosa che è significata dal verbo. Così bien hablado (D. Quij. par. 2. cap. 7. principio) per buen hablador ec. Così errato, errado per errante, di cui altrove p. 4015. {#1. Sudato per sudante ec.} Così pesado per pesante. Così tanti altri participii {neutri,} massime spagnuoli, che per questa qualità di significazione presente o indicante abitudine ec. meritano di esser considerati, giacchè i participii passivi di verbi neutri in significazione passata, come caduto, morto ec. sono regolari e ordinarissimi e infiniti sì nello spagnuolo che nell'italiano e francese ec. (26. Gen. 1824.) {{, come dico altrove p. 3072.}}

[4040,7]  Inadvertido, inavveduto, desconocido per sconoscente, malaccorto e  4041 simili si aggiungano al detto altrove p. 3851 p. 3899 p. 3992 p. 4006 circa i participii avveduto ec. aggettivati ec. Condolido per condolente, participio vero e non in senso d'aggettivo. D. Quij. par. 2 cap. 21. {avanti il mezzo}. (4. Marzo 1824.)

[4053,6]  Discursos entretenidos per entretenientes, cioè di trattenimento, di passatempo. D. Quij. (26. Marzo. ultimo Venerdì. 1824.

[4054,4]  Dormido per dormiente (fors'anche durmido). Voz algo dormida * . D. Quij. E in altre maniere. Se però dormir non è anche neut. pass. (28. Marzo. Domenica quarta di Quaresima. 1824.).

[4062,4]  Il costume latino di servirsi de' participii in us de' verbi neutri e anche attivi in significato neutro o attivo, aggettivato, e ridotto anche a dinotar consuetudine e qualità abituale nel soggetto, come tacitus per qui tacet, cautus, qui solet cavere ec. ec., è se non altro una prova che il corrispondente costume tanto proprio della lingua spagnuola e frequente ancora nell'italiana, e non improprio forse della francese, ha esempio nella latina scritta, e quindi probabilmente viene affatto dal latino parlato e volgare, e di lui fu proprio e familiare. (8. Aprile 1824.).

[4067,1]  Bien o mal mirado per que bien o mal mira. Anche noi diciamo in simil senso riguardato, mal riguardato, poco riguardato, ec. e così pur gli spagnuoli altri tali participii in simil senso, notati altrove p. 3851 p. 3992 p. 4015 [p. 4022,4] pp. 4040-41. Così i latini circumspectus in senso att. o neut. da circumspicio, e cautus da caveo att. ec. (9. Aprile. 1824.).

[4068,1]   4068 Divertido cuento ec. per que divierte. (13. Apr. 1824.)

[4069,1]  Comidos y hebidos, como suele decirse. * D. Quij. par. 2. ed. Madrid. 1765. tom. 4. p. 169. cioè que han comido y bebido. (17. Aprile. Sabato Santo. 1824.).

[4076,1]  Cuerpo mal sustentado y peor comido. * D. Quij. ed. Madrid 1765. t. 4. p. 220. Muger parida * cioè que ha parido. ib. p. 226. (21. Apr. 1824.).

[4088,1]   4088 Bien razonado, cioè que razona bien. Cervantes Novelas exemplares. Milan. 1615. p. 2. (13. Maggio. 1824.).

[4099,1]  Pesado per pesante, que pesa, tanto nel proprio come nel figurato. (2. Giugno. 1824.).

[4103,4]  Experimentado per esperto, come noi sperimentato ed esperimentato, del che altrove p. 4017. Cervantes Novelas exemplares. Milan 1615. p. 354. {432}. (22. Giug. 1824.).

[4104,5]  Callado per tacente, come tacitus da taceo - itum, del  4105 che altrove p. 3970. Cervantes Novelas exemplares, Milan 1615. p. 431. (27. Giugno. 1824.).

[4111,2]  Diminutivi positivati. Myrtus, - mortella (se è però la stessa pianta). V. franc. spagn. ec. ec. (11. Luglio. Domenica. 1824.)

[4113,2]  Apercebido, di cui altrove p. 4005, notisi che non è participio di verbo neutro, ma attivo, ed è participio passivo. (17. Lugl. 1824.).

[4116,5]  Reconocido per riconoscente. Omisso per que omite, trascurato. {+Nota che il participio di omitir, se vi ha questo verbo in ispagnuolo, è omitido.} Idea de un Principe politico Christiano representada en cien empresas por Don Diego de Saavedra Faxardo. Amstelodami. Apud Joh. Janssonium iuniorem 1659. p. 115. lin. 23. Trascurato, straccurato ec. per che suol trascurare, negligente ec. (13. Agosto. 1824.).

[4118,1]   4118 Resabido, spagnuolo, saputo, saputello ec. per saccente, cioè sapiente, che sa, ec. V. la Crus. ec. (25. Agos. 1824.).

[4120,4]  Necessitado per bisognoso, que necessita. (22. Sett. 1824.).

[4121,5]  Presumido per presuntuoso. (28. Ott. 1824.).

[4122,4]  Abundado, voce antica spagnuola per abbondante. Saavedra Faxardo, Idea de un principe politico Christiano, Amsterdam 1659. in 16.mo p. 655. 663. bis. (20. Nov. 1824.)

[4123,6]  Pesado per pesante. E v. la Crus. in pesato. (3. Gen. 1825.)

[4126,9]  Porfiado per que porfia. Profuso per che profonde. V. Crus. Forc. spagn. fr. ingl.

[4134,1]  Sentido de la perdita per que siente (senziente, che si duole) la perdida. {Penato per penante. Crus. in penato e in penare es. ult.}

[4146,7]  Profusus per che profonde. (Sallust. {Catil. 5.} alieni appetens, sui profusus * ). V. Forcell. Ital. profuso. Spagn. profuso. Franc. antico profus, ap. Pougens, Archéologie française tom. 2. p. 152. art. profus. Inglese, profuse. Tutti nello stesso senso attivo. (Bologna. 23. Ott. Domenica. 1825.).

[4157,5]  Cansado per que cansa. Divertido per que divierte.

[4160,3]  Sentido per que siente, (così risentito ec.), e quindi sostantivato per sentimento, senso. Esclarecido. V. i Diz. spagn.

[4161,1]  Bebido per que ha bebido. Estar reñidos. Lucido per luciente, spagn.

[4245,2]  Melato, mellitus, per melleus o dulcis. {{Spedito, espedito, expeditus ec. Spigliato. Sforzato, sforzatamente (esforzado). Crusca.}}

[4246,5]  Preciado spagn. per prezioso, come noi pregiato. {{Continuato o continovato per continuo, e così continué ec.}}

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