5. Giugno, vigilia del Corpus Domini. 1822.
[2458,1]
Alla p. 1660.
mezzo. Non so bene se il Salviati o il Salvini sia
quel che dice dell'antica falsa, e latina ortografia
degl'italiani, e particolarmente dell'et non mai pronunziato se non e, o ed. Tutte le lingue nascono, com'è
naturale appoco appoco, e per lungo tempo non sono adattabili alla scrittura e
molto meno alla letteratura. Cominciando ad adattarle alla scrittura,
l'ortografia n'è incertissima, per l'ignoranza di quei primi scrittori o
scrivani, che non sanno bene applicare il segno al suono: massime quando si
servano, com'è il solito, di un alfabeto forestiero, quando è certo che ciascuna
nazione o lingua ha i suoi suoni particolari, che non corrispondono a quelli
significati dall'alfabeto di un'altra nazione. Venendo poi la letteratura,
l'ortografia piglia una certa consistenza, ed è prima cura de' letterati di
regolarla, di ridurla sotto principii fissi, e generali, e di darle stabilità.
Ma anche questa opera è sempre imperfettissima ne' suoi principii. Per lo più la
letteratura di una nazione deriva da quella di un'altra. Quindi anche
l'ortografia in quei principii
2459 segue la forma e la
stampa di quella che i letterati hanno sotto gli occhi, troppo deboli ancora per
essere originali, e per immaginar da se, e seguire {e
conoscer bene} la natura particolare de' loro propri suoni ec: le
quali cose non son proprie se non di quello ch'è già o perfezionato o vicino
alla perfezione. Nel nostro caso poi, questa lingua letterata, e di ortografia
già regolatissima e costante, sopra la cui letteratura s'andavano formando le
moderne, era anche immediatamente madre delle lingue moderne. E benchè queste
(massime la francese), avessero perduto molti de' suoi suoni, e sostituitone, o
aggiuntone molti altri, contuttociò la somiglianza fra la madre e le figlie era
tanta, e la loro derivazione da lei era così fresca, che cominciando a scrivere
e poi a coltivare queste lingue non mai ancora scritte o coltivate, non si pensò
di potersi servire d'altra ortografia che della latina. La quale ortografia già
esisteva, e la nostra s'avea da creare: ma nessuna cosa si crea in un momento,
massime che tante altre ve n'erano da creare allo
2460
stesso tempo, le quali occupavano tutta l'attenzioni[attenzione] di quei primi formatori delle favelle {moderne.} Uomini che ad una materia putrida (giacchè tutte erano
barbarissime corruzioni) aveano a dar vita, e splendore.
[2460,1] Quindi l'ortografia italiana del trecento, anche
quella dei primi letterati, era tutta barbaramente latina. Si può vedere il manoscritto della divina Commedia fatto di pugno del Bocc. e del Petrarca, e pubblicato quest'anno o il passato da una Biblioteca
di Roma. Quindi conservato l'h che niun italiano pronunziava più (se non colla g, e
c); quindi l'y, lettera inutile, avendo perduta la sua
antica pronunzia di u gallico; quindi il K, ec. ec. E
siccome per lunghissimo tempo, anche dopo stabilita la nostra letteratura, si
durò a credere che il volgare non fosse capace di scrittura e d'uso più che
tanto nobile e importante (e per molto tempo realmente non lo fu, perchè non
v'era applicata); così fino al cinquecento, e massimamente fino a tutta la sua
prima metà,
2461 si seguitò a scrivere {l'}italiano, con ortografia barbaramente latina, o non
credendolo capace d'ortografia propria, o non sapendogliela ancora trovare, e
ben regolare e comporre, o pedantescamente volendo ritornare il volgare al
latino quanto più si potesse. Vedi la
edizione della Coltivazione dell'Alamanni fatta in
Parigi 1546, da Rob. Stefano, sotto gli occhi dell'autore,
e ristampata colla stessa ortografia in Padova, Volpi 1718, e
Bologna 1746. e quella delle Api del Rucellai, Venez. 1539,
che fu la prima, (per Giananton. de'
Nicolini da Sabio) ristampata parimente ne' detti luoghi.
Dice il Volpi che quella maniera e di scrivere e di puntare che vedesi
all'Alamanni esser
piacciuta, è alquanto diversa non solo da quella che oggidì s'usa,
ma da quella eziandio che a tempi di lui universalmente si
costumava.
*
(G. A. V.[Volpi]
a' Lettori).
{Vedi
anche le lett. del Casa al Gualteruzzi, da un ms. originale, nelle sue
op. t. 2. Venez.
1752.} Io non so se sia vero, nè se quella del Rucellai p. e. se ne diversifichi
notabilmente: non mi par che l'edizioni italiane di que' tempi (come quella
delle Rime del Firenzuola
in Firenze, cit. nel Voc.)
2462 ne vadano molto lungi: ma se ciò fosse, verrebbe
dalla dimora dell'Alamanni in
Francia. {{V. p.
2466.}}

[2462,1] In somma la lingua italiana pericolava di stabilirsi
e radicarsi irreparabilmente in quella stessa imperfezione d'ortografia, in cui
si veniva formando, e poi per sempre si radicò la lingua francese.
Fortunatamente non accadde, anzi ell'ebbe la più perfetta ortografia moderna:
non lettere scritte, le quali non si pronunzino: non lettere che si pronunzino e
non si scrivano: ciascuna lettera scritta, pronunziata sempre e in ogni caso,
come si pronunzia recitando l'alfabeto ec. {{v. p.
2464.}}
[2462,2] Cagioni di questo vantaggio furono l'infinita
capacità, acutezza e buon gusto d'infinite persone in quel secolo, e l'altre
circostanze ch'ho notate altrove pp. 1659-60. Alle quali si può e si
dee forse aggiungere che i suoni della lingua latina, e generalmente la
pronunzia e l'uso di essa, sopra la cui ortografia si formava naturalmente la
nostra, era molto meno diverso dall'uso e pronunzia nostra e spagnuola, di quel
che sia dal francese.
2463 Quindi essendo tutte tre
queste ortografie formate da principio egualmente sulla latina, le due prime che
poco avevano da mutarla per conformarla all'uso loro, facilmente la corressero
(massime l'italiana) e ve l'uniformarono; ma la francese che avrebbe dovuto
quasi trovare una nuova maniera di scrivere (essendo nella pronunzia, come in
ogni altra parte, la più degenere figlia della latina), ed anche trovare in
parte un nuovo alfabeto (come per le e mute ec.), fu
incorrigibile.
[2463,1] Fra tanto queste osservazioni si debbono applicare a
dimostrar con un esempio recente, quanto debbano essere state alterate le
primitive lingue nell'applicarle alla scrittura e all'alfabeto o proprio o
forestiero, e nella creazione della loro ortografia, e quanto poco ci possiamo
fidare del modo in cui esse ci ponno essere pervenute, cioè pel solo mezzo della
scrittura. (5. Giugno, vigilia del Corpus Domini. 1822).