Inglesi. Loro poesia, letteratura, lingua, carattere ec. ec.
The English. Their poetry, literature, language, character, etc.
Vedi Ossian. Byron. Celtica (lingua). See Ossian. Byron. Celtic (language). 986,2 1011,2 1028,5 1043,1 1045,2 1048 1420,1 1850 1954-5-6 2062,1 2084 2399 2875,1 3366,1 3400,1 3816,5 4031,1 4183 4261,2Curioso esempio del modo inglese di pronunziare il latino.
Interesting example of the English way of pronouncing Latin.
4273,2[986,2] Dal confronto delle poesie di Ossian, vere naturali e indigene
dell'inghilterra, colle poesie orientali, si può
dedurre {(ironico)} quanto sia naturale
all'inghilterra la sua presente poesia {(come quella di Lord
Byron)}
derivata in gran parte
dall'oriente,
*
come dice il riputatissimo giornale
dell'Edinburgh Review in proposito del Lalla Roca di Tommaso Moore
(Londra 1817.) intitolato Romanzo orientale
{(Spettatore di Milano. 1.
Giugno 1818. Parte Straniera. Quaderno 101. p. 233. e puoi
vederlo.)}
[1011,2]
Alla p. 952.
Meno straniera è la lingua francese all'inglese (e perciò meno inetta ad esserle
fonte di vocaboli ec.) a cagione dell'affinità che questa seconda lingua prese
colla prima, dopo l'introduzione della lingua francese in
inghilterra, mediante la conquista fattane dai
Normanni (Andrès, luogo cit. di sopra, p.
252. fine, 255. fine-256. principio.
Annali di
Scienze e lettere. Milano. Gennaio 1811.
N.o 13. p. 30. fine.)
1012 Laddove la lingua
tedesca, secondo che il Tercier
ha ben ragione di asserire
*
, (Ac. des Inscr. tome 41.)
fra
tutte le lingue che attualmente parlansi in
europa, più d'ogni altra conserva i vestigi
della sua anzianità
*
(Andrès, ivi p. 251-252.); e più tenace e
costante di tutte le altre, ha saputo conservare dell'antica sua madre
maggior numero di vocaboli, maggior somiglianza nell'andamento, e
maggiore affinità nella costruzione.
*
(ivi. p. 253.
principio.)
(4. Maggio 1821.).
[1028,5] Se la universalità di una lingua dipendesse dalla
diffusione di coloro a' quali essa è naturale, nessuna lingua avrebbe oggi
questa proprietà più dell'inglese, giacchè gli stabilimenti inglesi occupano più
gran parte del mondo, e {sono} più numerosi di quelli
d'ogni altra nazione europea; e la nazione inglese è la più viaggiatrice del
mondo. (11. Maggio 1821.).
[1043,1]
L'inghilterra in dispetto del suo clima, della sua
posizione geografica, credo anche dell'origine de' suoi abitanti, appartiene
oggi piuttosto al sistema meridionale che al settentrionale. Essa ha del
settentrionale tutto il buono (l'attività, il coraggio, la profondità del pensiero e dell'immaginazione, {l'indipendenza,} ec. ec.) senz'averne il cattivo. E così del
meridionale ha la vivacità, {la politezza, la sottigliezza
(attribuita già a' Greci: v. Montesquieu
Grandeur etc. ch. 22. p. 264.} raffinatezza
di civilizzazione e di carattere (a cui non si trova simile se non in
Francia o in italia), ed anche
bastante amenità e fecondità d'immaginazione, e simili buone qualità,
senz'averne il torpore, la inclinazione all'ozio o alla inerte voluttà, la
mollezza, l'effeminatezza, {la corruzione debole, sibaritica,
vile, francese;} il genio pacifico ec. ec. Basta paragonare un soldato
inglese a un soldato tedesco o russo ec. per conoscere l'enorme differenza che
passa fra il carattere inglese e il settentrionale. E siccome
l'italia non ha milizia, e la
spagna non la sa più adoperare, ec. non v'è milizia
in europa più somigliante alla francese dell'inglese, più
competente colla francese, per l'ardore e la vita individuale, la forza morale,
1044 la suscettibilità ec. del soldato, e non la
semplice forza materiale, come quella de' tedeschi, de' russi ec. {{V. p. 1046.}}
[1045,2] La Francia è per geografia la
più settentrionale delle regioni {Europee} che si
comprendono sotto la categoria delle meridionali. Così dunque la sua lingua
partecipa di quella esattezza, di quella, per così dire, pazienza, {di quella monotonia, di quella regolarità,} di quella
rigorosa ragionevolezza che forma parte del carattere settentrionale. E così
pure la sua letteratura in gran parte filosofica, e generalmente il suo gusto
letterario, sebben ciò derivi in gran parte dall'epoca della sua lingua e
letteratura; epoca moderna, e per conseguenza epoca di ragione. Come per lo
contrario l'inghilterra ch'è per carattere la regione
meno settentrionale di tutte le settentrionali, {(v. p. 1043.)} ha una
lingua delle
1046 più libere
d'europa
{colta} per indole; e per fatto la più libera di tutte
(Andrès, t. 9. 290 - 291. 315 - 316.); e
parimente la letteratura forse più libera d'europa, e il
gusto letterario ec. Parlo della sua letteratura propria, {cioè della moderna, e dell'antica di Shakespeare ec.} e non di quella {intermedia} presa da lei in prestito dalla
Francia. E parlo ancora delle letterature formate e
stabilite {ed adulte;} e non delle informi o nascenti.
(13. Maggio 1821.).
[1048,2] Parlando dunque delle lingue {dopo che sono} perfettamente formate, io trovo rispetto alla libertà,
tre generi di lingue. Altre libere per natura e per fatto, come l'inglese. Altre
libere per natura, ma non in fatto, come si vuole oggi ridurre la nostra lingua
da' pedanti, non per altro se non perchè i pedanti non possono mai conoscere
fuorchè la superficie delle cose, e susseguentemente non hanno mai conosciuto nè
conosceranno l'indole della lingua italiana. Una
1049
tal lingua, malgrado la libertà primitiva e propria della sua formazione, e del
suo carattere formato, è soggetta
niente meno a corrompersi, non usando nel fatto, di questa libertà, secondo il
genio proprio suo; ed a perdere la prima e nativa libertà, per usurparne poi
necessariamente una spuria ed impropria ed aliena dal suo carattere, come oggi
ci accade. E già nel 500. si era cominciata a dimenticare da alcuni (come dal
Castelvetro ec.) questa qualità
della nostra lingua, dico la libertà, cosa veramente accaduta a quasi tutte le
lingue, e spesso ne' loro migliori secoli, appena vi s'è cominciata a
introdurre, la sterile e nuda arte gramaticale, in luogo del gusto, del tatto,
del giudizio, del sentimento naturale e dell'orecchio ec.
[1420,1] Siccome gl'inglesi hanno una patria, però sono
accusati come i francesi di non trovar bello nè buono se non ciò ch'è inglese, e
di un gusto esclusivo per le cose loro. (30. Luglio 1821.).
[1850,1]
{+Fra' moderni,} i tedeschi, certo
abilissimi nelle materie astratte, sembrano fare eccezione al mio sistema, e son
tutto il fondamento del sistema contrario; giacchè gl'inglesi per indole
spettano piuttosto al mezzodì, come altrove ho detto pp. 1043-44. Ma questi tedeschi ne' quali
l'immaginazione e il sentimento (parlando in genere) è tanto più falso, e
forzato, e innaturale e debole per se stesso, quanto apparisce più vivo ed
estremo (giacchè questa estremità deriva in essi manifestamente da cagione
1851 contraria che negli orientali, il cui clima è
l'{estremo} opposto del loro); questi tedeschi
{il cui spirito} come dice la Staël, (De l'Allem.
{{tom. 1.}} 1. part. ch. 9. 3.me édit. p. 79.)
est presque nul à la
superficie, a besoin d'approfondir pour comprendre, ne saisit rien
au vol
*
; questi tedeschi sempre bisognosi di
analisi, di discussione, di esattezza; questi tedeschi sì generalmente e sì
profondamente applicati da circa due secoli alle meditazioni astratte, e queste
quasi esclusivamente, hanno certo sviluppato delle verità non poche, scoperte da
altri; hanno recato chiarezza a molte cose oscure; hanno trovato non piccole e
non poche verità secondarie; hanno insomma giovato sommamente ai progressi della
metafisica, e delle scienze esatte materiali o no; ma qual grande scoperta,
specialmente in metafisica, è finora uscita dalle tante scuole tedesche ec. ec.?
Quando ha {mai} un tedesco gettato sul gran sistema
delle cose un'occhiata onnipotente che gli abbia rivelato un grande e veramente
1852 fecondo segreto della natura, o un grande ed
universale errore? (giacchè la scoperta delle verità non è ordinariamente altro
che la riconoscenza degli errori.) Il colpo d'occhio de' tedeschi nelle stesse
materie astratte non è mai sicuro, benchè sia liberissimo, (e tale infatti non
può essere senza gran forza d'immaginare, di sentire, e senza una naturale
padronanza della natura, che non hanno se non le grand'anime.) La minuta e
squisita analisi, non è un colpo d'occhio: essa non iscuopre mai un gran punto
della natura; il centro di un gran sistema; la chiave, la molla, il complesso
totale di una gran macchina. Quindi è che i tedeschi son ottimi per mettere in
tutto il loro giorno, estendere, ripulire, perfezionare, applicare ec. le verità
già scoperte (ed è questa una gran parte dell'opera del filosofo); ma poco
valgono a ritrovar da loro nuove e grandi verità. Essi errano anche bene spesso,
malgrado il più fino ragionamento, come chi analizza senza intimamente sentire,
nè quindi perfettamente conoscere, giacchè grandissima
1853 e principalissima parte della natura non si può conoscere senza
sentirla, anzi conoscerla non è che sentirla. Oltrechè a chi manca il colpo
d'occhio non può veder molti nè grandi rapporti, e chi non vede molti e grandi
rapporti, erra per necessità bene spesso, con tutta la possibile esattezza.
L'immaginazione de' tedeschi (parlo in genere) essendo poco naturale, poco
propria {loro,} ed in certo modo artefatta e fattizia,
e quindi falsa benchè vivissima, non ha quella spontanea corrispondenza ed
armonia colla natura che è propria delle immaginazioni derivanti e fabbricate
dalla stessa natura. (Altrettanto dico del sentimento). Perciò essa li fa
travedere e sognare. E quando un tedesco vuole speculare e parlare in grande,
architettare da se stesso un gran sistema, fare una grande innovazione in
filosofia, o in qualche parte speciale di essa, ardisco dire ch'egli
ordinariamente delira. L'esattezza è buona per le parti, ma non per il tutto.
Ella costituisce lo spirito
1854 de' tedeschi; or ella
o non è buona o non basta alle grandi scoperte. Quando delle parti le più
minutamente ma separatamente considerate si vuol comporre un gran tutto, si
trovano mille difficoltà, contraddizioni, ripugnanze, assurdità, dissonanze e
disarmonie; segno certo ed effetto necessario della mancanza del colpo d'occhio
che scuopre in un tratto le cose contenute in un vasto campo, e i loro
scambievoli rapporti. È cosa ordinarissima anche negli oggetti materiali e in
mille accidenti della vita, che quello che si verifica o pare assolutamente vero
e dimostrato nelle piccole parti, non si verifica nel tutto; e bene spesso si
compone un sistema falsissimo di parti verissime, o che tali col più squisito
ragionamento si dimostrano, considerandole segregatamente. Questo effetto deriva
dall'ignoranza de' rapporti, parte principale della filosofia, ma che non si
ponno ben conoscere senza una padronanza sulla natura, una padronanza ch'essa
stessa vi dia, sollevandovi sopra di se, una forza di colpo d'occhio, tutte le
1855 quali cose non possono stare e non derivano,
se non dall'immaginazione e da ciò che si chiama genio in tutta l'estensione del
termine. I tedeschi si strisciano sempre intorno e appiedi alla verità; di rado
l'afferrano con mano robusta: la seguono indefessamente per tutti gli
andirivieni di questo laberinto della natura, mentre l'uomo caldo di entusiasmo,
di sentimento, di fantasia, di genio, e fino di grandi illusioni, situato su di
una eminenza, scorge d'un'occhiata tutto il laberinto, e la verità che sebben
fuggente non se gli può nascondere. Dopo ch'egli ha comunicato i suoi lumi e le
sue notizie a de' filosofi come i tedeschi, questi l'aiutano potentemente a
descrivere e perfezionare il disegno del laberinto, considerandolo ben bene
palmo per palmo. Quante grandissime verità si presentano sotto l'aspetto delle
illusioni, {e} in forza di grandi illusioni; e l'uomo
non le riceve se non in grazia di queste, e come riceverebbe una grande
illusione! Quante grandi illusioni concepite in un momento
1856 o di entusiasmo, o di disperazione o insomma di esaltamento, sono
in effetto le più reali e sublimi verità, o precursore di queste, e rivelano
all'uomo come per un lampo improvviso, i misteri più nascosti, gli abissi più
cupi della natura, i rapporti più lontani o segreti, le cagioni più inaspettate
e remote, le astrazioni le più sublimi; dietro alle quali cose il filosofo
esatto, paziente, geometrico, si affatica indarno tutta la vita a forza di
analisi e di sintesi. Chi non sa quali altissime verità sia capace di scoprire e
manifestare il vero poeta lirico, vale a dire l'uomo infiammato del più pazzo
fuoco, l'uomo la cui anima è in totale disordine, l'uomo posto in uno stato di
vigor febbrile, {+e straordinario
(principalmente, anzi quasi indispensabilmente corporale),} e quasi di
ubbriachezza? Pindaro ne può essere un
esempio: ed anche alcuni lirici tedeschi ed inglesi abbandonati veramente che di
rado avviene, all'impeto di una viva fantasia e sentimento. {{V. p. 1961.
capoverso ult.}}
[2062,1] Le discussioni parlamentarie, se hanno bastato in
Inghilterra a dare alla lingua quelque chose
d'expressif
*
(les débats
parlementaires et l'énergie naturelle à la nation ont donnè à l'anglais
quelque chose d'expressif qui supplée à la prosodie de la
langue.
*
Staël. Allemagne. t. 1. 2.de part. ch. 9. p.
2063 246.) non hanno potuto bastare a toglier la libertà
alla lingua {{e letteratura}} di un popolo libero per
genio naturale, e che non ha punto di società, anzi non par fatto per lei, nè
per parlare, ma per tacere; e dove la società non ha veruna influenza sulla
letteratura, e poca sullo spirito pubblico, costumi ec. {{V. p.
2106.}}
[2083,1] L'antico teutonico dunque non si può diversificare
dal moderno tedesco, nè considerar questo e quello come due individui, ma come
un solo, anticamente fanciullo, oggi adulto. Dove che l'italiano p. e. e il
latino sono due individui parimente maturi, e diversi l'uno dall'altro. Tutto
ciò non prova l'adattabilità e conformabilità particolare della lingua tedesca,
ma la conformabilità comune a tutte le
2084 lingue non
mai state formate, e la fecondità comune a tutte le lingue la cui origine non si
può fissare a cinque o sei secoli addietro, come dell'italiana, ma si perde
nella caligine dei tempi. Perciò la lingua tedesca ha ancora e potrà avere,
finchè non riceverà perfetta forma, indole tanto moderna quanto antica, o
piuttosto nè l'una nè l'altra; a differenza dell'inglese che è pur sua sorella
carnale, ma che per diverse circostanze, ha ricevuto maggior forma e
determinazione, e proprietà. La lingua
ebraica se oggi si continuasse a scrivere, sarebbe nel caso della tedesca, e ci
fu veramente negli scritti de' rabbini, i quali sono veramente ebraici, sebbene
tanto abbiano affare coll'antico ebraico, quanto il tedesco coll'antico
teutonico, il quale appena si conosce. Laddove nè gli scritti latini de' bassi
tempi, nè gl'italiani, sono o furono latini perchè il latino ricevè una forma
certa e determinata,
2085 fuor della quale non v'è
latinità. Ma v'è sempre teutonicità ed ebraicità fuor dell'antico teutonico ed
ebraico, che non furono mai formati nè circoscritti, in modo che si potesse
dire, questa frase ec. non è teutonica. Così proporzionatamente discorrete del
greco, la cui libertà a differenza del latino, nacque indubitatamente dalla
differenza delle circostanze sociali e politiche, e dalla molta maggior quantità
di tempo in cui la lingua greca fiorì per iscrittori ottimi e sommi, non come
linguisti, ma come scrittori. (13. Nov. 1821.).
[2397,2] Il Vocab. della
Crusca non ha interi due terzi delle voci, {o significati e vari usi loro,} e nè pure un decimo dei
modi di quegli stessi autori e libri che registra nell'indice. E questi non sono
appena una terza o quarta parte di quegli autori e libri italiani de' buoni
secoli che secondo ogni ragione vanno considerati e sono autentici nella lingua,
anche nella pura lingua antica. Aggiungeteci ora i libri moderni bene scritti, e
le voci e modi che usati o non usati ancora da buoni scrittori, sono
necessarissimi a chi vuole scriver
2398 (com'è dovere)
delle cose presenti, e a' presenti o futuri, massime le spettanti alle scienze
immateriali o materiali, e che tutti mancano al Vocabolario; si
può far ragione che questo non contenga più d'una quarantesima parte della
lingua italiana in genere (a dir molto); e non più d'una trentesima dell'antica
in particolare, ossia di quella che s'ha per classica. Del che non si può far
carico ai compilatori, se non quanto alle mancanze relative agli autori de'
quali professano d'aver fatto spoglio e formatone il vocabolario. Perchè del
resto nessuna lingua viva ha, nè può avere un vocabolario che la contenga tutta,
massime quanto ai modi, che son sempre (finch'ella vive) all'arbitrio dello
scrittore. E ciò tanto più nell'italiana (per indole sua). La quale molto meno
può esser compresa in un vocabolario, quanto {ch'}ella
è più vasta di tutte le viventi: mentre veggiamo che nè pur la greca ch'è morta,
s'è potuta mai comprendere in un Vocabolario nè men quanto alle voci, che ogni
nuovo scrittore, ne porta delle nuove.
2399
{+Molto meno quanto ai modi ne' quali
ell'è infinita e a disposizione degli scrittori, come appunto la nostra, e
ciascuno scrittor greco ne forma de' nuovi a suo piacere, e in gran
numero.} Or non è cosa ridicolissima che mentre nessun'altra nazione
stima che la sua lingua sia determinata e prescritta dal suo vocabolario, non
ostante che questo sia molto meglio fatto, molto più esteso (relativamente) del
nostro, e che la lingua loro possa più facilmente o meglio esser compresa in un
vocabolario; noi la cui lingua è impossibile (sopra qualunque altra) che vi si
possa comprendere, che di più, abbiamo un vocabolario inesattissimo nelle cose
stesse che porta, molto più inferiore alla ricchezza della nostra lingua di
quello che le convenga o se le debba perdonare di essere, fatto sopra un piano
sopra cui nessun altro è fatto, cioè sopra il piano dell'antico, mentre noi
siamo moderni, e della pura autorità quando la lingua è viva; noi dico vogliamo
che un vocabolario così ridondante d'imperfezioni, e poco proprio della lingua
nostra {(e d'ogni lingua viva),} abbia su di questa una
virtù, {un'autorità} e un dominio, che i più perfetti
vocabolari delle altre nazioni (anche nazioni unite come la francese e
l'inglese) nè si arrogano, nè sognano, nè pensano che
2400 sia menomamente proprio dell'essenza loro, nè compatibile colla
natura delle lingue vive, e che nessuno s'immagina mai di riconoscere in essi.
(29. Marzo. Venerdì dell'Addolorata. 1822.).
[2875,1] Somiglianti cagioni dovettero certamente contribuire
a fare che le scritture inglese e tedesca siano riuscite meno conformi alle
pronunzie, e {queste} meno corrispondenti al valor
delle lettere ne' rispettivi alfabeti, {+e meno costanti nelle regole medesime loro (che hanno, almeno in francese,
tante eccezioni e sotteccezioni)} che non sono le scritture e
pronunzie italiana e spagnuola. Perocchè l'alfabeto inglese è il latino, e il
tedesco originariamente non è altro: laddove le loro lingue sono e
originariamente e presentemente tutt'altre che la latina. Di più essendo
pervenuta la letteratura e scrittura latina, e l'uso eziandio della medesima,
anche dove non pervenne l'uso di questa loquela, come in
inghilterra e in Germania,
anche i tedeschi e gl'inglesi regolarono primieramente o abbozzarono la loro
ortografia e scrittura col solo o quasi solo esempio della latina avanti gli
occhi. E dopo preso piede le prime regole o i primi abbozzi, non si è più in
caso di distruggerli, e
2876 neppur si è sempre in caso
di fare che il resto, sebbene ancor non sia fatto, o non abbia preso piede, non
gli corrisponda; almeno non sempre si può riuscire ad impedirlo perfettamente, o
a far che impeditolo, la macchina cammini bene e regolarmente, e senza imbarazzi
e contrapposizioni e disturbi ec. disordini, effetti contraddittorii ec.
(1. Luglio 1823.).
[3366,1] La lingua latina s'introdusse, si piantò e rimase in
quelle parti d'europa nelle quali entrò anticamente e si
stabilì la civilizzazione. Ciò non fu che nella Spagna e
nelle Gallie. Quella fino dagli antichi tempi produsse i
Seneca, Quintiliano, Columella, Marziale ec. poi
Merobaude, S. Isidoro ec. e altri moltissimi di mano in mano, i
quali divennero letterati e scrittori latini, senza neppure uscire, come quei
primi, dal loro paese, o quantunque in esso educati, e non, come quei primi, in
Roma. Le Gallie produssero
Petronio Arbitro, {Favorino ec.}
poi Sidonio, S. Ireneo ec. La civiltà v'era già innanzi i romani
stata introdotta da coloni greci. Di più la corte latina v'ebbe sede per alcun
tempo. La Germania benchè soggiogata anch'essa da'
Romani, e parte dell'impero latino, non diede mai adito a
civiltà nè a lettere, nè a' buoni nè a' mediocri nè a' cattivi tempi di
quell'impero. Ella fu sempre barbara. Non si conta fra gli scrittori latini di
veruna latinità
3367 (se non dell'infimissima) niuno
che avesse origine germanica o fosse nato in Germania,
come si conta pur quasi di tutte l'altre provincie e parti
dell'impero romano. Quindi è che la
Germania benchè suddita latina, benchè vicina
all'italia, anzi confinante, come la
Francia, e più vicina assai che la
Spagna, non ammise l'uso della lingua latina, e non
parla latino {(cioè una lingua dal latino derivata),}
ma conserva il suo antico idioma. (Forse anche fu cagione di ciò e delle cose
sopraddette, che la Germania non fu mai intieramente
soggiogata, nè suddita pacifica, come la Spagna e
le Gallie, sì per la naturale ferocia della nazione,
sì per esser ella sui confini delle romane conquiste, e prossima ai popoli
d'europa non conquistati, e nemici de' romani, e
sempre inquieti e ribellanti, onde ad essa ancora nasceva e la facilità, e lo
stimolo, e l'occasione, e l'aiuto e il comodo di ribellare). Senza ciò la lingua
latina avrebbe indubitatamente spento la teutonica, nè di essa resterebbe
maggior notizia o vestigio che della celtica e dell'altre che la lingua latina
spense affatto in Ispagna e in
3368
Francia. Delle quali la teutonica non doveva mica esser
più dura nè più difficile a spegnere. Anzi la celtica doveva anticamente essere
molto più colta e perfetta o formata che la teutonica, il che si rileva sì dalle
notizie che s'hanno de' popoli che la parlarono, e delle loro istituzioni (come
de' Druidi, de' Bardi, cioè poeti ec.), e della loro religione, costumi,
cognizioni ec. sì da quello che avanza pur d'essa lingua celtica, e de' canti
bardici in essa composti ec. L'inghilterra par che
ricevesse fino a un certo segno l'uso della lingua latina, certo, se non altro,
come lingua letterata e da scrivere. {Il latino si stabilì in
Inghilterra a un di presso come il greco
nell'alta Asia, e l'italiano in Dalmazia, nell'isole
greche e siffatti dominii de' Veneziani: cioè come lingua di qualunque
persona colta e della scrittura, ma non parlata dal popolo, benchè forse
intesa. Così il turco in grecia ec.}
Ella ha pure scrittori non solo dell'infima, ma anche della media latinità, come
Beda ec. Ma era già troppo tardi,
sì perchè la lingua latina era già corrotta e moribonda per tutto, anche in
italia sua prima sede, sì perchè l'impero
latino era nel caso stesso. Quindi i Sassoni facilmente
distrussero la lingua latina in inghilterra, ancora
inferma e mal piantata, propria solo dei dotti (com'io credo), e le sostituirono
la
3369 teutonica, trionfando allo stesso tempo (almeno
in molta parte dell'isola) anche dell'idioma nazionale, indigeno, ἐπιχώριος e
volgare, cioè del celtico ec., al qual trionfo doveva pure aver già contribuito
la lingua latina, soggiogata poi anch'essa, e più presto ed interamente
dell'indigena, da quella de' conquistatori. Laddove nelle
Gallie i Franchi non poterono mica introdurre la
lingua loro, benchè conquistatori, nè estirpar la latina, ben radicata, e per
lunghezza di tempo, e perchè insieme con essa erano penetrati e stabiliti nelle
Gallie, i costumi, la civiltà, le lettere, la
religione latina, e perchè {quivi} detta lingua non era
già propria ai soli dotti, ma comune al volgo, ond'essi conquistatori
l'appresero, e parlata ec. Così dicasi de' Goti, Longobardi ec. in
italia; de' Vandali {ec.} in
Ispagna. Che se la lingua latina in
italia, in Francia, in
ispagna, trionfò delle lingue germaniche benchè
parlate da' conquistatori, può esser segno ch'ella ne avrebbe pur trionfato
nella Germania ov'elle parlavansi da' conquistati, se non
l'avessero impedito le cagioni dette di sopra. Perocchè si vede che la lingua
latina trionfava
3370 dell'altre, non tanto come lingua
di conquistatori e padroni, superante quella de' conquistati e de' servi, nè
come lingua indigena o naturalizzata, superante le forestiere, avventizie e
nuove; quanto come lingua colta e formata, superante le barbare, incolte,
informi, incerte, imperfette, povere, insufficienti, indeterminate. Altrimenti
non sarebbe stato, come fu, impossibile ai successivi conquistatori
d'Italia, Francia,
Spagna, il far quello che i latini ne' medesimi
paesi, conquistandoli, avevano fatto; cioè l'introdurre le proprie lingue in
luogo di quelle de' vinti. Nel mentre che i Sassoni in
inghilterra, certo nè più civili nè più potenti de'
Franchi, de' Goti, {de' mori,} ec., i Sassoni, dico, in
inghilterra, e poscia i Normanni, trionfavano pur
senza pena delle lingue indigene di quell'isola, perchè mal formate ancor esse,
benchè non affatto barbare, ed {anzi} (p. e. la
celtica) più colte ec. delle loro. Ma queste vittorie della lingua latina sì
nell'introdursi fra' conquistati, e forestiera scacciare le lingue indigene; sì
nel mantenersi malgrado i conquistatori, e in luogo di cedere, divenir propria
anche di questi, si dovettero, come ho detto, in grandissima parte, alla civiltà
dei
3371 costumi latini e alle lettere latine con essa
lingue[lingua] introdotte o conservate: di
modo che detta lingua non riportò tali vittorie, solamente come colta e perfetta
per se, ma come congiunta ed appartenente ai colti e civili costumi, opinioni e
lettere latine. Perocchè, come ho detto, sempre ch'ella ne fu disgiunta, cioè
dovunque la civiltà e letteratura latina, e l'uso del viver latino, o non
s'introdusse, o non si mantenne, o scarsamente s'introdusse o si conservò; nè
anche s'introdusse la lingua latina, come in Germania, o
non si mantenne, come accadde in Inghilterra. E ciò si
vede non solo in queste parti d'europa, che non ammisero
la civiltà latina per eccesso di barbarie, o che non ammettendola, restarono
barbare; ma eziandio in quelle dove una civiltà ed una letteratura indigena
escluse la forestiera, in quelle che non ammettendo i costumi nè le lettere
latine, restarono però, quali erano, civili e letterate, cioè nelle nazioni
greche. Le quali non ricevendo l'uso del viver latino, non ricevettero neppur la
lingua, benchè la sede dell'
3372
impero romano, e Roma e il
Lazio, per così dire, fossero trasportate e
lunghissimi secoli dimorassero nel loro seno. Ma la
Grecia contuttociò non parlò mai nè scrisse latino,
ed ora non parla nè scrive che greco. Ed essa era pur la parte più civile
d'europa, non esclusa la stessa
Roma, al contrario appunto della
Germania. Sicchè da opposte, ma analoghe e
corrispondenti e ragguagliate e proporzionate, cagioni, nacque lo stesso
effetto.
[3400,1] Lo stile e la letteratura spagnuola forma veramente
(quanto alla sua indole) una sola famiglia collo stile e letteratura greca,
latina e italiana. Lo stile e la letteratura francese per lo contrario
appartengono a una famiglia ben distinta dalla suddetta. La letteratura francese
insieme con quelle ch'essa ha prodotte, ciò sono la inglese del tempo della regina Anna, la
Svedese, la russa, (e credo eziandio l'olandese), forma in
europa, propriamente parlando, una terza distinta
famiglia, un terzo genere di letteratura e di stile: intendendo per seconda
famiglia di letterature
3401 europee quelle di
carattere settentrionale, cioè l'inglese de' tempi d'Ossian e di quelli di Shakespeare, e la moderna ch'è una continuazione di
questa, la tedesca, l'antica scandinava, {illirica,} e
simili. (Sebbene il carattere scandinavo e illirico, sì delle nazioni, sì delle
letterature, è distinto dal teutonico ec. Ma non esiste letteratura scandinava
nè illirica, se non antica e mal nota, perchè la presente letteratura Svedese,
Danese, russa ec. non è che francese. Staël nel principio dell'Alemagna). Come altrove ho
detto della lingua, {#1. Veggasi la
p. 2989.} così della letteratura e dello stile
francese si deve dire. Essi tengono il mezzo tra il meridionale e il
settentrionale, tra il classico e il romantico; essi formano una categoria
propria, niente meno diversa e distinta da quella delle letterature e stili
greco, latino, italiano classico, spagnuolo classico, e dall'indole {e spirito} loro, di quel ch'ella sia dalle letterature
inglese moderna, tedesca, e loro affini o simiglianti. {{V. p.
3559.}}
[3816,5]
Alla p. 3067.
Non altrimenti, al tempo di Voltaire e
in quei contorni (quando l'unica letteratura d'europa
era, si può dir, la francese, benchè già ben decaduta; essendo spenta l'italiana
e la spagnuola; la tedesca non ancor nata, o bambina, o tutta francese;
l'inglese quasi interrotta, o francese anch'essa, ma già priva de' capi di
quella scuola anglo - gallica, cioè Pope, Addisson, ec.: e
parlo qui della letteratura non delle scienze e filosofia, dove gl'inglesi anche
allora fiorivano), le epistole e poesie indirizzate o da Voltaire medesimo o dagli altri poeti francesi ai
principi di Svezia, di Russia,
d'Alemagna ec. o composte in loro lode, o {su} di loro, o sui loro affari, o sugli avvenimenti ec.
si leggevano, si applaudivano, si ricercavano, si diffondevano, davano materia
di discorso nelle rispettive corti e capitali, e nell'altre corti
d'europa ec. e da' rispettivi principi ec. (lasciando
anche da parte il re e la corte
3817 e capitale, e
quasi tutto il regno, di Prussia, ch'era tutta francese
ec.). Così anche l'altre opere in versi o in prosa, di francesi o scritte in
francese, di letteratura e di poesia, non che di filosofia ec. Sicchè la lingua
italiana occupava nel sopraddetto tempo il grado che la francese non solo occupa
presentemente, ma quello ancora che occupò quando essa letteratura francese era
unica; sì per universalità e diffusione, sì per riputazione, dignità, gusto e
cura diffusane generalmente ec. come si vede anche per questa somiglianza
d'esser ella in quei tempi così {e sopra tutte} gradita
nelle corti, come lo fu nel 700, oltre la lingua, che ancor lo è sopra tutte,
anche la letteratura francese, che or non lo è più se non di pari coll'altre moderne (dal qual numero l'italiana
{d'oggidì} è fuori niente meno che la spagnuola).
(2. Nov. dì de' morti. 1823.).
[4031,1]
4031 Certo le condizioni sociali e i governi e ogni
sorta di circostanze della vita influiscono sommamente e modificano il carattere
e i costumi delle varie nazioni, anche contro quello che porterebbe il
rispettivo loro clima e l'altre circostanze naturali, ma in tal caso quello
stato o non è durevole, o debole, o cattivo, o poco contrario al clima, o poco
esteso nella nazione, o ec. ec. E generalmente si vede che i principali
caratteri o costumi nazionali, anche quando paiono non aver niente a fare col
clima, o ne derivano, o quando anche non ne derivino, e vengano da cagioni
affatto diverse, pur corrispondono mirabilmente alla qualità d'esso clima o
dell'altre condizioni naturali d'essa nazione o popolo o cittadinanza ec. Per
es. io non dirò che il modo della vita sociale rispetto alla conversazione e
all'altre infinite cose che da questa dipendono o sono influite, proceda
assolutamente e sia determinato nelle varie nazioni
d'europa dal loro clima, ma certo ne' vari modi
tenuti da ciascuna, e propri di ciascuna quasi fin da quando furono ridotte a
precisa civiltà e distinta forma nazionale, ovvero da più o men tempo, si scopre
una curiosissima conformità {generale} col rispettivo
clima in generale considerato. Il clima d'italia e di
Spagna è clima da passeggiate e massime nelle lor
parti più meridionali. Ora queste nazioni non hanno conversazione affatto, nè se
ne dilettano: e quel poco che ve n'è in italia, è nella
sua parte più settentrionale, in Lombardia, dove certo si
conversa assai più che in Toscana, a
Napoli, nel Marchegiano, in
Romagna, dove si villeggia
4032 e si fanno tuttodì partite di piacere, ma non di conversazione, e
si chiacchiera assai, e si donneggia assaissimo, ma non si conversa; in
Roma ec. Il clima
d'Inghilterra e di Germania
chiude gli uomini in casa propria, quindi è loro nazionale e caratteristica la
vita domestica, con tutte l'altre infinite qualità di carattere e di costume e
di opinione, che nascono o sono modificate da tale abitudine. Pur vi si conversa
più assai che in italia e Spagna
(che son l'eccesso contrario alla conversazione) perchè il clima è per tale sua
natura meno nemico alla conversazione, poichè obbligandoli a vivere il più del
tempo sotto tetto e privandoli de' piaceri della natura, ispira loro il
desiderio di stare insieme, per supplire a quelli, e riparare al vôto del tempo
ec. Il clima della Francia ch'è il centro della
conversazione e la cui vita e carattere e costumi e opinioni è tutto
conversazione, tiene appunto il mezzo tra quelli d'Italia
e Spagna, Inghilterra e
Germania, non vietando il sortire, {e il trasferirsi da luogo a luogo,} e rendendo
aggradevole il soggiornare al coperto: siccome la vita
d'Inghilterra e Germania tiene
appunto il mezzo, massime {in quest'ultimi tempi,} per
rispetto alla conversazione, tra la vita d'Italia e
Spagna e quella di Francia, e
così il carattere ec. che ne dipende. E già in mille altre cose la
Francia, siccome il suo clima, tiene il mezzo fra'
meridionali e settentrionali, del che altrove in più luoghi pp.
1045-46
pp.
2989-90. Non parlo delle meno estrinseche e più spirituali influenze
del clima sulla complessione e abitudine del corpo e dello spirito, {+anche fin dalla nascita,} che pur
grandissimamente
4033 contribuiscono a cagionare e
determinare la varietà che si vede nella vita delle nazioni, popolazioni,
individui tutti partecipi (come son oggi) di una stessa sorta di civiltà, circa
il genio e l'uso della conversazione. (15. Feb. 1824.).
[4183,2] Il mangiar soli, τὸ μονοϕαγεῖν, era infame presso i
greci e i latini, e stimato inhumanum, e il titolo di
μονοϕάγος si dava ad alcuno per vituperio, come quello di τοιχωρύχoς, cioè di
ladro. V. Casaub. ad Athenae. l. 2. c. 8. {+e gli Addenda a quel
luogo.} Io avrei meritata quest'infamia presso gli antichi.
(Bologna. 6. Luglio. 1826.). Gli
antichi però avevano ragione, perchè essi non conversavano insieme a tavola, se
non dopo mangiato, e nel tempo del simposio propriamente detto, cioè della
comessazione, ossia di una compotazione, usata da loro dopo il mangiare, come
oggi dagl'inglesi, e accompagnata al più da uno spilluzzicare di qualche poco di
cibo per destar la voglia del bere. Quello è il tempo in cui si avrebbe più
allegria, più brio, più spirito, {più buon umore,} e
più voglia di conversare {e di ciarlare.}
{#(1.) Così appunto la pensavano gli antichi. V. Casaub.
ib. l. 8. c. 14. init.} Ma nel tempo delle
vivande tacevano, o parlavano assai poco. Noi abbiamo dismesso l'uso
naturalissimo e allegrissimo della compotazione, e parliamo mangiando. Ora io
non posso mettermi nella testa che quell'unica ora
4184
del giorno in cui si ha la bocca impedita, in cui gli organi esteriori della
favella hanno un'altra occupazione (occupazione interessantissima, e la quale
importa moltissimo che sia fatta bene, perchè dalla buona digestione dipende in
massima parte il ben essere, il buono stato corporale, e quindi anche mentale e
morale dell'uomo, e la digestione non può esser buona se non è ben cominciata
nella bocca, secondo il noto proverbio o aforismo medico), abbia da esser
quell'ora appunto in cui più che mai si debba favellare; giacchè molti si
trovano, che dando allo studio o al ritiro per qualunque causa tutto il resto
del giorno, non conversano che a tavola, e sarebbero bien
fachés[fâchés] di
trovarsi soli e di tacere in quell'ora. Ma io che ho a cuore la buona
digestione, non credo di essere inumano se in
quell'ora voglio parlare meno che mai, e se però pranzo solo. Tanto più che
voglio potere smaltire il mio cibo in bocca secondo il mio bisogno, e non
secondo quello degli altri, che spesso divorano e non fanno altro che imboccare
e ingoiare. Del che se il loro stomaco si contenta, non segue che il mio se ne
debba contentare, come pur bisognerebbe, mangiando in compagnia, per non fare
aspettare, e per osservar le bienséances che gli
antichi non credo curassero troppo in questo caso; altra ragione per cui essi
facevano molto bene a mangiare in compagnia, come io credo fare ottimamente a
mangiar da me. (Bologna. 6. Luglio. 1826.).
{{V. p. 4245. 4248. 4275.}}
[4261,2] Tutti siamo naturalmente inclinati a stimar noi
medesimi uguali a chi ci è superiore, superiori agli uguali, maggiori di ogni
comparazione cogl'inferiori; in somma ad innalzare il merito proprio sopra {quel degli altri fuor di modo e ragione.} Questo è
natura universale, e vien da una sorgente comune a tutti. Ma un'altra sorgente
d'orgoglio {e di disistima altrui,} sconosciuta affatto
a noi; divenuta, per l'assuefazione incominciata sin dall'infanzia, naturale e
propria; è ai Francesi e agl'Inglesi la stima della propria nazione. Tant'è: il
più umano e ben educato e spregiudicato francese o inglese, non può mai far che
trovandosi con forestieri, non si creda cordialmente e sinceramente di trovarsi
con un inferiore a se (qualunque si sieno le altre circostanze); che non
disprezzi più o meno le altre nazioni prese in grosso; e che in qualche modo,
più o meno, non dimostri {esteriormente} questa sua
opinione di superiorità. Questa è una molla, una fonte {ben
distinta} di orgoglio, e di stima di se in pregiudizio o abbassamento
d'altrui, della quale niun altro fra i popoli civili, se non gli uomini delle
dette nazioni, possono avere o formarsi una giusta idea. I Tedeschi che
potrebbero con altrettanto diritto aver lo stesso sentimento, ne sono impediti
dalla lor divisione, dal non esserci nazion tedesca. I Russi sentono di esser
mezzo barbari; gli Svedesi, i Danesi, gli Olandesi, di essere troppo piccoli, e
di poter poco. Gli Spagnuoli del tempo di Carlo quinto e di Filippo
secondo, ebbero certamente questo sentimento, come veggiamo dalle
storie, niente meno che i francesi e gl'inglesi di oggidì, e con diritto uguale;
forse, senza diritto alcuno, l'hanno anche oggi; e così i Portoghesi: ma chi
pone oggi in conto gli Spagnuoli e i Portoghesi, parlando di popoli civili?
Gl'italiani forse l'ebbero (e par veramente di sì) nei secoli 15.o e 16.o e
parte del precedente e del susseguente; per conto della lor civiltà, che essi
ben conoscevano, e gli altri riconoscevano, esser superiore a quella di tutto il
resto d'europa. Degl'italiani d'oggi non parlo; non so
ben se ve n'abbia.
[4273,2]
Nella version latina di quel passaggio del
Riccio rapito di Pope (Canto 1.) che contiene la descrizione della
toilette, fatta dal Dr. Parnell (versione assai bizzarra, e che
parrebbe piuttosto fatta nell'ottavo secolo che nel decimottavo, poichè
consiste di versi dei quali ogni mezzo verso rima coll'altro mezzo, p. e.
Et nunc dilectum speculum, pro
more retectum, Emicat in mensa, quae splendet pyxide
densa,
*
che sono i primi), trovo questi due versi, di
séguito: Induit arma ergo Veneris
pulcherrima virgo: Pulchrior in praesens tempus de tempore
crescens,
*
dove, come si vede, ergo fa rima con virgo, e
praesens con crescens.
Che dicono gl'italiani di questa pronunzia?
(Recanati. 5. Aprile. 1827.). {{V. p.
4497.}}
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