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[74,2]  Una delle cagioni del gran contrasto delle qualità degli abitanti del mezzogiorno notata dalla Staël, (Corinne liv. 6, ch. 2, p. 246 troisieme édition 1812.) (oltre quella, qu'ils ne perdent aucune force de l'ame dans la société * , com'ella dice ivi, onde la natura anche per questo capo resta più varia, e non così obbligata {e avvezzata} alla continua uniformità, come succede per lo spirito di società e d'eccessivo incivilimento in francia) è che il clima meridionale essendo  75 il più temperato, e la natura quivi (come dice la stessa più volte) in grande armonia, essa si trova più spedita, più dégagée, più sviluppata, onde siccome le circostanze della vita son diversissime, così trovandosi i caratteri meridionali per la detta cagione pieghevolissimi, e suscettibili d'ogni impressione, ne segue il contrasto delle qualità che si dimostrano nelle contrarie circostanze, e il rapido passaggio ec. Laddove negli altri climi la natura trovandosi meno mobile più inceppata e dura, il violento difficilmente mostra pacatezza, e l'indolente non divien quasi mai attivo, insomma la qualità dominante, domina più {assolutamente e tirannicamente} di quello che faccia nel mezzogiorno, dove non perciò si dee credere che manchino le qualità dominante[dominanti] nel tale e tale individuo, ma che in proporzione lascino più luogo alle altre qualità, alla varietà loro ec.

[172,1]  Da questa teoria del piacere deducete che la grandezza anche delle cose non piacevoli per se stesse, diviene un piacere per questo solo ch'è grandezza. E non attribuite questa cosa alla grandezza immaginaria della nostra natura. Posta la detta teoria, si viene a conoscere (quello ch'è veramente) che il desiderio del piacere diviene una pena, e una specie {di travaglio} abituale dell'anima. Quindi 1. un assopimento dell'anima è piacevole. I turchi se lo proccurano coll'oppio, ed è grato all'anima perchè in quei momenti non è affannata dal desiderio, perchè è come un riposo dal desiderio tormentoso, e impossibile a soddisfar pienamente; {un intervallo come il sonno nel quale se ben l'anima forse non lascia di pensare, tuttavia non se n'avvede.} 2. la vita continuamente occupata è la più felice, quando anche non sieno occupazioni e sensazioni vive, e varie. L'animo occupato è distratto da quel desiderio innato che non lo lascerebbe in pace, o lo rivolge a quei piccoli fini della giornata (il terminare un lavoro {il provvedere ai suoi bisogni ordinari ec.} ec. ec.) giacchè li considera allora come piaceri (essendo piacere tutto quello che l'anima desidera), e conseguitone uno, passa a un altro, così che è distratto da desideri maggiori, e non ha campo di affliggersi della vanità e del vuoto delle cose, e la speranza di quei  173 piccoli fini, e i {piccoli} disegni sulle occupazioni {avvenire} o sulle speranze di un esito {generale} lontano e desiderato, bastano a riempierlo, e a trattenerlo nel tempo del suo riposo, il quale non è troppo lungo perchè sottentri la noia; oltre che il riposo dalla fatica è un piacere per se. Questa dovea esser la vita dell'uomo, ed era quella dei primitivi, ed è quella dei selvaggi, {degli agricoltori ec.} e gli animali non per altra cagione se non per questa principalmente, vivono felici. Ed osservate come lo spettacolo della vita occupata laboriosa e domestica, sembri anche oggidì, a chi vive nel mondo, lo spettacolo della felicità, anche per la mancanza dei dolori, e delle cure e afflizioni reali. 3. il maraviglioso, lo straordinario è piacevole, quantunque la sua qualità particolare non appartenga a nessuna classe delle cose piacevoli. L'anima prova sempre piacere quando è piena (purchè non sia di dolore), e la distrazione viva ed intera è un piacere {rispetto a lei} assolutamente, come il riposo dalla fatica è piacere, perchè una tal distrazione è riposo dal desiderio. E come è piacevole lo stupore cagionato dall'oppio (anche relativamente alla dimenticanza dei mali positivi), così quello cagionato dalla maraviglia, dalla novità, e dalla singolarità. Quando anche la maraviglia non sia tanta che riempia l'anima, se non altro l'occupa sempre fortemente, ed è piacevole per questa parte. Notate che la natura aveva voluto che la maraviglia {1.} fosse cosa ordinarissima all'uomo, 2. fosse {spessissimo} intera, cioè capace di riempier tutta l'anima. Così accade ne' fanciulli, e accadeva ne' primitivi, e ora negl'ignoranti, ma non può accadere senza l'ignoranza, e l'ignoranza d'oggi non può mai esser come quella dell'uomo che non vive in società, perchè vivendo in società,  174 l'esperienza de' passati e de' presenti l'istruisce, più o meno, ma sempre l'istruisce, e la novità diventa rara. 4. anche l'immagine del dolore e delle cose terribili ec. è piacevole, come ne' drammi e poesie d'ogni sorta, spettacoli ec. Purchè l'uomo non tema o non si dolga per se, la forza della distrazione gli è sempre piacevole. Non è bisogno che quelle immagini siano di cose straordinarie: in questo caso cadrebbero sotto la categoria precedente. Ma la semplice immagine del dolore ec. è sufficiente a riempier l'animo e distrarlo. 5. la grandezza di ogni qualsivoglia genere (eccetto del proprio {male}) è piacevole. Naturalmente il grande occupa più spazio del piccolo, salvo se la piccolezza è straordinaria, nel qual caso occupa più della grandezza ordinaria. Questo ch'io dico della grandezza è un effetto materiale derivante dalla inclinazione dell'uomo al piacere, e non dalla inclinazione alla grandezza. Si potrebbe forse dir lo stesso del sublime, il quale è cosa diversa dal bello ch'è piacevole all'uomo per se stesso. In somma la noia non è altro che una mancanza del piacere che è l'elemento della nostra esistenza, e di cosa che ci distragga dal desiderarlo. Se non fosse la tendenza imperiosa dell'uomo al piacere sotto qualunque forma, la noia, quest'affezione tanto comune, tanto frequente, e tanto abborrita non esisterebbe. E infatti per che motivo l'uomo dovrebbe sentirsi male, quando non ha male nessuno? Poniamo un uomo isolato senza nessuna occupazione spirituale o corporale, e senza nessuna cura o afflizione o dolor positivo, o annoiato  175 dalla uniformità di una cosa non penosa nè dispiacevole per sua natura, e ditemi per che motivo quest'uomo deve soffrire. E pur vediamo che soffre, e si dispera, e preferirebbe qualunque travaglio a quello stato. (Anzi è famosa la risposta affermativa data dai medici consultati dal duca di Brancas, se la noia potesse uccidere: Lady Morgan France l. 8. notes) Non per altro se non per un desiderio ingenito e compagno inseparabile dell'esistenza, che in quel tempo non è soddisfatto, non ingannato, non mitigato, non addormentato. E la natura è certo che ha provveduto in tutti i modi contro questo male, all'orrore e ripugnanza del quale nell'uomo, si può paragonare quell'orrore del vuoto che gli antichi fisici supponevano nella natura, per ispiegare alcuni effetti naturali. Ha provveduto col dare all'uomo molti bisogni, e nella soddisfazione del bisogno (come della fame e della sete, {freddo, caldo ec.}) porre il piacere, quindi col volerlo occupato; colla gran varietà, {colla immaginazione che l'occupa anche del nulla,} ed anche col timore (il quale sebbene è un effetto naturale e spontaneo anch'esso dell'amor proprio, tuttavia bisogna considerare il sistema della natura in genere, e la mirabile armonia e corrispondenza di diversi effetti a questo o quello scopo), coi pericoli i quali affezionano maggiormente alla vita, e sciolgono la noia, {colle turbazioni degli elementi,} coi dolori e coi mali istessi, perchè è più dolce il guarir dai mali, che il vivere senza mali; {+e con tali altri disastri, che si considerano come mali, e quasi difetti della natura, scusandola col definirli per accidenti fuori dell'ordine; ma che forse essendo tali ciascuno, non lo sono tutti insieme; ed appartengono anch'essi al gran sistema universale.} In somma il sistema della natura rispetto all'uomo è sempre diretto ad allontanar da lui questo male formidabile della noia, che a detta di tutti i filosofi essendo così frequente all'uomo moderno, è quasi sconosciuto al primitivo (e così agli animali). E osservate come i fanciulli {anche} in una quasi perfetta inazione, pur di rado o {non} mai sentano  176 il vero tormento della noia, perchè ogni minima bagattella basta ad occuparli tutti interi, e la forza della loro immaginazione dà corpo e vita e azione ad ogni fantasia che si affacci loro alla mente ec. e trovano in somma in se stessi una sorgente inesauribile di occupazioni {e} sempre varie. Questo senza cognizioni, senza esperienze, senza viaggi, senz'aver veduto udito ec. in un mondo ristrettissimo {e uniforme.} E laddove parrebbe che quanto più questo mondo e questo campo si accresce {e diversifica,} tanto più {ampio e vario per} l'uomo dovesse essere il fondo delle occupazioni interne come son quelle dei fanciulli, {e la noia tanto più rara,} nondimeno vediamo accadere tutto il contrario. Gran lezione per chi non vuol riconoscere la natura come sorgente quasi unica di felicità, e l'alterazione di lei, come certa cagione d'infelicità. Del resto che la forza e fecondità dell'immaginazione 1. come rende facilissima l'azione, così spessissimo renda facile l'inazione, 2. sia cosa ben diversa dalla profondità della mente, la quale per lo contrario conduce all'infelicità, è manifesto per l'esempio de' popoli meridionali, segnatamente degl'italiani, rispetto ai settentrionali. Giacchè gl'italiani {1.} come una volta per il loro entusiasmo figlio di un'immaginazione viva e più ricca che profonda, erano attivissimi, così ora una delle cagioni per cui non si accorgono o {almeno} non si disperano affatto di una vita sempre uniforme, e di una perfetta inazione, è la stessa immaginazione ugualmente ricca e varia, e la soprabbondanza delle sensazioni che ne deriva, la quale gl'immerge senza che se n'avvedano in una specie di rêve, come i fanciulli quando son soli ec. cosa continuamente inculcata dalla Staël, {laddove i settentrionali non avendo tal sorgente di occupazione interna atta a consolarli, per necessità ricorrono all'esterna, e divengono attivissimi.} 2. la profondità della mente,  177 e la facoltà di penetrare nei più intimi recessi del vero dell'astratto ec. quantunque non sia loro ignota a cagione della loro sottigliezza, {prontezza e penetrazione, (che rende loro più facile il concepimento e la scoperta del vero, laddove agli altri bisogna più fatica, e perciò spesso sbagliano con tutta la profondità)} contuttociò non è il loro forte, e per lo contrario forma tutta l'occupazione e quindi l'infelicità dei settentrionali colti (osservate perciò la frequenza de' suicidi in inghilterra) i quali non hanno cosa che li distragga dalla considerazione del vero. E quantunque paia che l'immaginazione anche appresso loro sia caldissima originalissima ec. tuttavia quella è piuttosto filosofia e profondità, che immaginazione, e la loro poesia piuttosto metafisica che poesia, venendo più dal pensiero che dalle illusioni. {E il loro sentimentale è piuttosto disperazione che consolazione.} E la poesia antica perciò appunto non è stata mai fatta per loro; perciò appunto hanno gusti tutti differenti, e si compiacciono degli {enti} allegorici, delle astrazioni ec. (V. p. 154.) perciò appunto sarà sempre vero che la nostra è propriamente la patria della poesia, e la loro quella del pensiero. (v. p. 143-144.)

[274,1]  Alla p. 252 capoverso 1. Vedi in questo proposito la p. 114. pensiero ultimo, e considera la gran contrarietà di Catone ai progressi dello studio presso i Romani, i quali sono un vivissimo esempio di quello ch'io dico, cioè dell'esser gli studi, tanto ameni quanto seri e filosofici, favorevolissimi alla tirannia. V. anche Montesquieu Grandeur etc. ch. 10. principio. Certo la profonda filosofia di Seneca, di Lucano, di Trasea Peto, di Erennio Senecione, di Elvidio Prisco, di Aruleno Rustico, di Tacito ec. non impedì la tirannia, anzi laddove i Romani erano stati liberi senza filosofi, quando n'ebbero in buon numero, e così profondi come questi, e come non ne avevano avuti mai, furono schiavi. E come giovano tali studi alla tirannia, sebbene paiano suoi nemici, così scambievolmente la  275 tirannia giova loro, 1. perchè il tiranno ama e proccura che il popolo si diverta, o pensi (quando non si possa impedire) in vece che operi, 2. perchè l'inoperosità del suddito lo conduce naturalmente alla vita del pensiero, mancando quella dell'azione, 3. perchè l'uomo snervato e ammollito è più capace e più voglioso o di pensare, o di spassarsi coll'amenità ec. degli studi eleganti, che di operare, 4. perchè il peso, la infelicità, la monotonia, il sombre della tirannia fomenta e introduce la riflessione, la profondità del pensare, la sensibilità, lo scriver malinconico; l'eloquenza non più viva ed energica, ma lugubre, profonda, filosofica ec. 5. perchè la mancanza delle vive e grandi illusioni spegnendo l'immaginazione lieta aerea brillante e insomma naturale come l'antica, introduce la considerazione del vero, la cognizione della realtà delle cose, la meditazione ec. e dà anche luogo all'immaginazione tetra astratta metafisica, e derivante più dalle verità, dalla filosofia, dalla ragione, che dalla natura, e dalle vaghe idee proprie naturalmente della immaginazione primitiva. Come è quella de' settentrionali, massime oggidì, fra' quali la poca vita della natura, dà luogo all'immaginativa fondata sul pensiero,  276 sulla metafisica, sulle astrazioni, sulla filosofia, sulle scienze, sulla cognizione delle cose, sui dati esatti ec. Immaginativa che ha piuttosto che fare colla matematica sublime che colla poesia. (14. 8.bre 1820.).

[349,1]  L'Essai sur l'indifférence en matière de religion, {alquanto} dopo il principio del capo V. nel luogo dove tratta delle origini storiche del Deismo, dimostra i neri presentimenti che agitavano i Capi della Riforma intorno al futuro stato delle opinioni, della religione, e dei popoli. Buon Dio, qual tragedia, esclamava uno di essi, vedrà mai la posterità! Pur troppo bene. Essi cominciavano  350 a sentire e prevedere la febbre divorante e consuntiva della ragione, e della filosofia; la distruzione di tutto il bello il buono il grande, e di tutta la vita; l'opera micidiale e le stragi di quella ragione e filosofia che aveva avuto il primo impulso, e cominciò la sua trista devastazione in Germania, patria del pensiero, (come la chiama la Staël) non inducendo gli uomini da principio se non ad esaminar la religione, e negarne alcuni punti, per poi condurli alla scoperta di tutte le verità più dannose, e all'abbandono di tutti gli errori più vitali e necessari. I lumi cagionati dal risorgimento delle lettere, erano appunto allora giunti a quel grado che bastava per cominciare l'infelicità e il tormento di un popolo, al quale la natura era stata meno larga dei mezzi di felicità, che sono l'immaginazione ricca e varia, e le illusioni. Ne avevano naturalmente quanto bastava (e così gl'inglesi ai tempi di Ossian, come gli stessi germani ai tempi de' Bardi e di Tacito), ma non tanti, nè tanto forti da resistere ai lumi così lungamente, come i paesi meridionali, e soprattutto (la Spagna e) l'Italia, dove anche oggidì si vive poco, è vero, perchè manca il corpo e il pascolo materiale e sociale delle illusioni, ma si pensa anche ben poco. (23. Nov. 1820.) {{La Spagna s'è trovata finora nello stesso caso. Il suo clima, e la situazione geografica, e il governo ec.  351 proteggevano le illusioni come in italia, senza però lasciarnela profittare, nè proccurarsene punto di vita, massime esterna e sociale.}}

[620,1]  Floro IV. 12. verso la fine: Hic finis  621 Augusto bellicorum certaminum fuit: idem rebellandi finis Hispaniae. Certa mox fides et aeterna pax; cum ipsorum ingenio in pacis partes promtiore: tum consilio Caesaris. * Dopo aver letto tutto ciò che Floro dice delle virtù guerriere degli Spagnuoli II. 17. 18. III. 22. e in quel medesimo capo che ho citato, nelle cose che precedono immediatamente il riferito passo; (notate che Floro, si crede per congettura dai critici, oriundo Spagnuolo) considerando l'assedio famosissimo di Sagunto; ricordandosi di quel luogo di Velleio dove fra le altre {molte} cose del valore Spagnuolo, arriva a dire che la Spagna in tantum Sertorium armis extulit, ut per quinquennium dijudicari non potuerit, Hispanis Romanisne in armis plus esset roboris, et uter populus alteri pariturus foret; * (II. 90. sect. 3.) dopo, dico, tutto questo e le altre infinite prove che si hanno del singolar valore Spagnuolo antico e moderno, fa maraviglia che Floro chiami l'indole  622 e l'ingegno degli Spagnuoli, promtius in pacis partes. * Ma questa è appunto la proprietà dei popoli meridionali, famosa presso gli scrittori filosofici moderni, massime stranieri. Somma disposizione all'attività, ed al riposo: egualmente atti a guerreggiare valorosamente e disperatamente, ed a trovar piacevole e cara la pace, ed anche abusarne, ed esserne ridotti alla mollezza, e all'inerzia. Tante risorse trovano questi popoli nella loro immaginazione, nel loro clima, nella loro natura, che la loro vita è occupata internamente, ancorchè neghittosa e nulla all'esterno. Leur vie n'est qu'une[un] rêve * , dice la Staël. Tanta è l'attività della loro anima, che questa come è capacissima di condurli ad una somma attività nel corpo (anzi alla sola vera attività esterna, perchè la sola che abbia il suo principio nell'attività interiore, come si vede nel paragone fra i soldati meridionali, e i settentrionali, che sono operosi piuttosto come macchine {ubbidienti ad ogni impulso,} che come viventi) così anche li dispensa dall'attività del corpo, e ne li compensa, ogni volta che questa manca: trovando essi bastante vita nel  623 loro interno, nel loro individuo. Anzi questa proprietà, pregiudica bene spesso all'attività esterna, e per una soprabbondanza di vita interiore rende il mezzogiorno rêveur, indolente, insouciant (quantunque, offerta l'occasione, l'attività del corpo, ch'è l'effetto dell'entusiasmo e dell'immaginazione, o che allora è forte e viva, quando proviene da questi principii, prorompe vivamente; eccetto se l'assuefazione non ha di troppo intorpiditi certi popoli, come l'italiano). Ailleurs, c'est la vie qui, telle quelle est, ne suffit pas aux facultés de l'ame; ici, * (parla dei contorni di Napoli) ce sont les facultés de l'ame qui ne suffisent pas à la vie, et la surabondance des sensations inspire une rêveuse indolence dont on se rend à peine compte en l'éprouvant. * (Staël, Corinne l. II. ch. 1. Paris 1812. 5.me édit. t. 2. p. 176.) Così infatti vediamo accaduto negl'italiani terribili anticamente, ed anche modernamente nella guerra, e oziosissimi e negligentissimi, e nulla curanti di novità e di movimento nella pace. Così negli  624 Spagnuoli, popolo intieramente pacifico nell'ultimo secolo, e fortissimo guerriero e belligero nei due precedenti; e così anticamente bellicosissimo, o certo valorosissimo in difendersi fino ad Augusto; e da indi {in} poi, eternamente pacifico e fedele, come dice Floro: e similmente nel principio di questo secolo, passato in un'[un] attimo da un lunghissimo e profondissimo riposo, a una guerra possiamo dire spontanea, certo nazionale, e vivissima, e generale, ed atrocissima. Così nei francesi valorosi in guerra, ed effeminati e molli nella pace.

[931,2]  La stessa proporzionata disparità ch'è fra gli antichi e i moderni, in ordine al bello, alla immaginazione, alla letizia, alla felicità per l'una parte, e al vero, alla ragione, alla malinconia, alla infelicità per l'altra parte; la stessa, dico, si trova proporzionatamente in ciascheduna età antica o moderna, fra i popoli meridionali e i settentrionali. Sebbene l'antichità era il tempo del bello,  932 e della immaginazione, tuttavia anche allora la grecia e l'italia ne erano la patria, e il luogo. E quantunque non fossero quei tempi adattati alla profondità dell'intelletto, al vero, alla malinconia, contuttociò ne' Settentrionali si vede l'inclinazione loro naturale a queste qualità, e negl'inni, nei canti, nelle sentenze staccate dei Bardi, si nota, oltre alla famosa malinconia, una certa profondità di pensiero, e la osservazione di certe verità che anche oggi in tanto progresso della filosofia, non sono le più triviali. Insomma vi si nota un carattere di pensiero diversissimo nella profondità, da quello de' meridionali degli stessi tempi. (V. se vuoi, gli Annali di Scienze e Lettere, Milano. Vol. 6. N. 18. Giugno 1811. Memoria intorno ai Druidi e ai Bardi Britanni, p. 376-378. e 383 fine - 385. dove si riportano parecchi aforismi e documenti de' Bardi) Così per lo contrario, sebbene l'età moderna è il tempo del pensiero, nondimeno il settentrione ne è la patria, e l'italia conserva tuttavia qualche poco della sua naturale immaginazione, del suo bello, della sua naturale disposizione alla letizia ed alla felicità. In quello dunque che ho detto de' miei diversi stati pp. 143-44, rispetto alla immaginazione e alla filosofia, paragonandomi col successo de' tempi moderni agli antichi, si può anche aggiungere il paragone coi popoli meridionali e settentrionali. (12. Aprile 1821.).

[950,1]  Rassegnato e sommesso, perchè l'indole degli abitatori determinata dall'influenza del clima, è composta a un tempo di bontà e di trascuratezza, l'Indiano, dice l'Autore * (Collin di Bar, Storia dell'India antica e moderna, ossia l'Indostan considerato relativamente alle sue antichità ec. Parigi 1815.), è capace de' più magnanimi sforzi. I popoli del nord della penisola, meno ammolliti dalle voluttà e dal clima, sono da lungo tempo il terrore della compagnia inglese, e saranno {forse} col tempo i liberatori delle regioni gangetiche. * (Fra questi deve intender certo i Maratti). Spettatore di Milano, Quaderno 43. p. 113. Parte Straniera. 30 Dicemb. 1815. {+Dello stato e genio pacifico degli antichi Indiani v. p. 922. De' Cinesi parimente meridionali v. p. 943. capoverso ultimo.} (16. Aprile 1821.)

[986,2]  Dal confronto delle poesie di Ossian, vere naturali e indigene dell'inghilterra, colle poesie orientali, si può dedurre {(ironico)} quanto sia naturale all'inghilterra la sua presente poesia {(come quella di Lord Byron)} derivata in gran parte dall'oriente, * come dice il riputatissimo giornale dell'Edinburgh Review in proposito del Lalla Roca di Tommaso Moore (Londra 1817.) intitolato Romanzo orientale {(Spettatore di Milano. 1. Giugno 1818. Parte Straniera. Quaderno 101. p. 233. e puoi vederlo.)}

[1026,1]  Se i principi risuscitassero le illusioni, dessero vita e spirito ai popoli, e sentimento di se stessi; rianimassero con qualche sostanza, con qualche realtà gli errori e le immaginazioni costitutrici e fondamentali delle nazioni e delle società; se ci restituissero una patria; se il trionfo, se i concorsi pubblici, i giuochi, le feste patriotiche, gli onori renduti al merito, ed ai servigi prestati alla patria tornassero in usanza; tutte le nazioni certamente acquisterebbero, o piuttosto risorgerebbero a vita, e diverrebbero grandi e forti e formidabili. Ma le nazioni meridionali massimamente, e fra queste singolarmente l'italia e la grecia (purchè tornassero ad esser nazioni) diverrebbero un'altra volta invincibili. Ed allora  1027 si tornerebbe a conoscere la vera ed innata eminenza della natura meridionale sopra la settentrionale, eminenza che le nostre nazioni ebbero sempre, mentre non mancarono di forti, grandi, e generali illusioni, e de' motivi e dell'alimento di esse; eminenza che da gran tempo, ma specialmente oggi, sembra per lo contrario, con vergogna, dirò così, della natura, appartenere (e non solo nella guerra, ma in ogni genere di azione, di energia, e di vita) agli abitatori dei ghiacci e delle nebbie, alle regioni meno favorite, anzi quasi odiate dalla natura:
Quod latus mundi nebulae malusque
Juppiter urget.
*
.

[1045,2]  La Francia è per geografia la più settentrionale delle regioni {Europee} che si comprendono sotto la categoria delle meridionali. Così dunque la sua lingua partecipa di quella esattezza, di quella, per così dire, pazienza, {di quella monotonia, di quella regolarità,} di quella rigorosa ragionevolezza che forma parte del carattere settentrionale. E così pure la sua letteratura in gran parte filosofica, e generalmente il suo gusto letterario, sebben ciò derivi in gran parte dall'epoca della sua lingua e letteratura; epoca moderna, e per conseguenza epoca di ragione. Come per lo contrario l'inghilterra ch'è per carattere la regione meno settentrionale di tutte le settentrionali, {(v. p. 1043.)} ha una lingua delle  1046 più libere d'europa {colta} per indole; e per fatto la più libera di tutte (Andrès, t. 9. 290 - 291. 315 - 316.); e parimente la letteratura forse più libera d'europa, e il gusto letterario ec. Parlo della sua letteratura propria, {cioè della moderna, e dell'antica di Shakespeare ec.} e non di quella {intermedia} presa da lei in prestito dalla Francia. E parlo ancora delle letterature formate e stabilite {ed adulte;} e non delle informi o nascenti. (13. Maggio 1821.).

[1548,1]  Alla p. 1449. Vero è per altro che nè l'immaginazione de' vecchi sarà mai così feconda nè forte ec. come quella de' giovani, nè quella de' moderni, come quella degli antichi, nè la comandata come la spontanea. E quindi la poesia de' moderni cederà sempre all'antica quanto all'immaginazione. E si può ben comandare a questa, e renderla a viva forza anche più feconda e più gagliarda dell'antica, ma non si riuscirà mai in questo modo a dare a' suoi parti quella bellezza, quella grazia, quella vita che  1549 non ponno avere se non le sue produzioni spontanee. Saranno anche più energici, e non per tanto meno vivi, e men belli, anzi tanto meno quanto più energici, derivando quest'energia dalla forzatura, e dalla tortura a cui si mette la fantasia, per cavarne cose che facciano grand'effetto, e spirino originalità ec. Tali sono ordinariamente i parti delle fantasie settentrionali, parti la cui straordinaria forza non è vitale, ma come quella che si acquista coll'acqua vite, e benchè più forti assai delle invenzioni greche, sono ben lungi dall'aver la vita, e la sana complessione di queste.

[1831,1]  È notabile come cagioni dirittamente contrarie producano gli stessi effetti, e come la soprabbondanza di vita negli orientali, ravvicini la loro poesia, i loro pensieri, la loro filosofia, e buona parte della loro indole a quella de' settentrionali. Ond'è che la poesia orientale disprezzata nel mezzogiorno d'Europa fa fortuna nel Nord, e le fantasie del gelato {e buio} settentrione, rassomigliano assai più a quelle del più fervido {e brillante} mezzogiorno, che de' climi temperati. (3. Ott. 1821.). {{Vedi la p. 1859. fine.}}

[1848,1]  Alla p. 1840. principio. Eccovi infatti, contro quello che a prima vista parrebbe, che le nazioni le più distinte nell'immaginazione, i popoli meridionali insomma, dalle  1849 prime tracce che abbiamo della storia umana fino a' dì nostri, si trovano aver sempre primeggiato nella filosofia, e massime nelle grandi scoperte che le appartengono. Grecia, Egitto, India, poi Arabi, poi Italiani nel risorgimento. La profonda filosofia di Salomone e del figlio di Sirac, non era ella meridionale? L'Oriente non ha primeggiato in tutta l'antichità in ordine al pensiero, alla profondità, alle cognizioni le più metafisiche, alla morale ec.? Confucio non fu meridionale? Donde venne la filosofia tra' latini? dalla grecia. Chi si distinse in essa fra tutti gli scrittori latini {+per ciò che spetta alla profondità}? gli spagnuoli Seneca, Lucano, possiamo anche dir Quintiliano, ec. E nella teologia? gli Affricani Tertulliano, S. Agostino, ec. nella teologia e filosofia insieme? Arnobio Affricano, e Lattanzio (credo) parimente. Fra i greci quante sottigliezze, quante astrazioni, quante sette, quante dispute, quanti scritti acutissimi in materie teologiche dal principio della Chiesa fino agli ultimi secoli della  1850 Grecia. Si può dir che la teologia Cristiana sia tutta greca. E quell'opera profondissima del Cristianesimo donde venne? dalla Palestina. Mostratemi della filosofia antica in qualsivoglia parte settentrionale {+o antartica} dell'Asia, dell'Affrica, dell'europa. Quanto alle due prime mostratemi ancora, se potete, della filosofia moderna, ch'io ve ne mostrerò non poca nelle loro parti meridionali. Quello che dico della filosofia dico pur della teologia (inseparabile dalla metafisica), a qualunque credenza ella appartenga.

[2173,1]  Colla stessa proporzione si può discorrere dell'orientale o settentrionale, rispetto all'occidentale o meridionale.

[2928,1]  Queste considerazioni vanno applicate al carattere delle nazioni che vivono in diversi climi, di quelle che sogliono passare la più parte dell'anno al coperto e nell'uso della vita domestica e {{casalinga}} a causa del rigore del clima, e viceversa ec. (9. Luglio 1823.). {Veggasi la p. 3347-9. e 3296. marg. ec.}

[2989,1]  Alla p. 2870. Come la nazion francese è tra tutte quelle {europee} che si chiamano meridionali quella che più partecipa del settentrionale sì per clima, come per indole, costumi ec. {Si può vedere la p. 3252. sg. 3400. sgg.} così la lingua francese è di tutte le figlie della latina, {+o vogliamo dire delle meridionali colte,} quella che ha più del settentrionale sì per la natura, asprezza ec. dei suoni, come per  2990 la proprietà ed indole della dicitura, forma, struttura ec. E si può dire che per l'uno e per l'altro rispetto essa lingua, siccome la nazione che la parla tenga il mezzo, e sia quasi un grado e un anello fra le meridionali e le settentrionali europee colte. Dico per l'uno e per l'altro rispetto, cioè per li suoni e per l'indole. Le quali due cose sono sempre analoghe e corrispondenti fra loro, cioè tale è sempre l'indole di una lingua perfetta qual è quella de' suoni materiali ch'ella adopera. E la varietà medesima che si trova fra i suoni di due lingue d'una medesima classe, o di due lingue di classi diverse, o delle lingue di due classi (come settentrionale e meridionale), si troverà sempre fra i caratteri e i geni delle medesime lingue o classi, purch'elle sieno perfette, e ben corrispondenti all'indole della nazione, il che sempre accade quando una lingua è perfettamente sviluppata, e senza di che non può essere che una lingua, ancorchè  2991 colta, abbia perfettamente sviluppato, o conservi, il suo vero, conveniente, naturale e proprio carattere. (19. Luglio 1823.).

[3247,1]   3247 È cosa nota che le favelle degli uomini variano secondo i climi. Cosa osservata dev'essere altresì che le differenze de' caratteri delle favelle corrispondono alle differenze de' caratteri delle pronunzie ossia del suono di ciascuna favella generalmente considerato: onde una lingua di suono aspro ha un carattere e un genio austero, una lingua di suono dolce ha un carattere e un genio molle e delicato; una lingua ancora rozza ha e pronunzia ed andamento rozzo, e civilizzandosi, raddolcendosi e ripulendosi il carattere della lingua e della dicitura, raffinandosi, divenendo regolare, e perfezionandosi essa lingua, se ne dirozza e raddolcisce e mitigasi e si ammollisce eziandio la generale pronunzia ed il suono. Dev'esser parimente osservato, che siccome il carattere della lingua al carattere della pronunzia, così i caratteri delle pronunzie corrispondono alle nature dei climi, e quindi alle qualità fisiche degli uomini che vivono in essi climi, e alle lor qualità morali che dalle fisiche procedono e lor corrispondono. Onde ne' climi settentrionali, dove gli uomini indurati dal freddo, da' patimenti, e dalle fatiche di provvedere a' propri bisogni in terre  3248 naturalmente sterili e sotto un cielo iniquo, e fortificati ancora dalla fredda temperatura dell'aria, sono più che altrove robusti di corpo, e coraggiosi d'animo, e pronti di mano, le pronunzie sono più che altrove forti ed energiche, e richiedono un grande spirito, siccome è quella della lingua tedesca piena d'aspirazioni, e che a pronunziarla par che richiegga tanto fiato quant'altri può avere in petto, onde a noi italiani, udendola da' nazionali, par ch'e' facciano grande fatica a parlarla, o gran forza di petto ci adoprino. Per lo contrario accade nelle lingue de' climi meridionali, dove gli uomini sono per natura molli e inchinati alla pigrizia e all'oziosità, e d'animo dolce, e vago de' piaceri, e di corpo men vigoroso che mobile e vivido. Ond'egli è proprio carattere della pronunzia non meno che della lingua p. e. tedesca, la forza, e dell'italiana la dolcezza e delicatezza. E poste nelle lingue queste proprietà rispettive dell'una lingua all'altra, ne segue che anche assolutamente, e considerando ciascuna lingua da {se} nella lingua p. e. italiana, sia pregio la delicatezza e dolcezza,  3249 onde lo scrittore {o il parlatore} italiano appo cui la lingua {+(sia nello stile, sia nella combinazione delle voci, sia nella pronunzia)} è più delicata e più dolce che appo gli altri italiani (salvo che queste qualità non passino i confini che in tutte le cose dividono il giusto dal troppo, sia per rispetto alla stessa lingua in genere, sia in ordine alla materia trattata), più si loda che gli altri {italiani}, appunto perocchè la lingua italiana nella dolcezza e delicatezza avanza l'altre lingue. Ma per lo contrario fra' tedeschi dovrà maggiormente lodarsi lo scrittore o il parlatore appo cui la lingua riesca più forte che appo gli altri tedeschi, perocchè la lingua tedesca supera l'altre nella forza, e suo carattere è la forza, non la dolcezza: nè la dolcezza è pregio per se, neppur nella lingua italiana, ma in essa, considerandola rispetto alle {altre} lingue, è qualità non pregio, e nello scrittore o parlatore italiano è pregio, non in quanto dolcezza, ma in quanto propria e caratteristica della lingua italiana. Così civilizzandosi le nazioni, e divenendo, rispetto alle primitive, delicate di corpo, divenne altresì pregio negl'individui umani la maggior  3250 delicatezza delle forme, non perchè la delicatezza sia pregio per se; che anzi la rispettiva delicatezza delle forme era certamente biasimo, e tenuto per difetto, o per {causa di} minor pregio {d'esse forme,} appo gli uomini primitivi; ma solo perchè la delicatezza fisica oggidì, contro le leggi della natura, e contro il vero ben essere e il destino dell'umana vita, è fatta propria e caratteristica delle nazioni e persone civili. {#1. Puoi vedere le pagg. 3084-90.} Laonde ben s'ingannarono quei tedeschi (ripresi da Mad. di Staël nell'Alemagna) che cercarono di raddolcire la loro lingua, credendo farsi {tanto più} pregevoli degli altri {tedeschi} quanto più dolcemente di loro la parlassero e scrivessero, e che la dolcezza, proccurandola alla lingua tedesca, le avesse ad esser pregio, contro la natura, e contro il carattere della lingua, il quale è la forza, e tanta forza richiede nello scrittore e nel parlatore, quanta possa non varcare i confini prescritti dalla qualità d'essa lingua, e da quella delle particolari materie in essa trattate; ed esclude, colle medesime condizioni, la dolcezza, come vizio nella lingua tedesca e non pregio, perchè opposta alla sua natura.

[3347,1]  La stagione e il clima freddo dà maggior forza di agire, e minor voglia di farlo, maggior contentezza del presente, inclinazione all'ordine, al metodo, e fino all'uniformità. Il caldo scema le forze di agire, e nel tempo stesso ne ispira ed infiamma il desiderio, rende suscettibilissimi della {{noia,}} intolleranti dell'uniformità della vita, vaghi di novità, malcontenti di se stessi e del presente. Sembra che il freddo fortifichi il corpo e leghi l'animo: che il caldo addormenti e ammollisca e illanguidisca e intorpidisca il corpo, eccitando e svegliando e sciogliendo l'animo. L'attività del corpo è propria de' settentrionali, de' meridionali quella dell'animo. {Nel freddo si ha la forza di agire, ma non senza incomodo. La temperatura dell'aria che vi circonda, opponendosi à ce que voi possiate uscir di casa e di camera senza patimento, vi consiglia l'inazione e l'immobilità nel tempo stesso che vi dà la forza dell'azione e del moto. Si può dir che se ne sente la forza e la difficoltà nel tempo stesso. Nel caldo tutto l'opposto. Si sente la facilità dell'azione e del moto nel tempo stesso che se ne scarseggiano le forze. L'uomo prova espressamente un senso di libertà fisica che viene dall'amicizia dell'aria e della natura che lo circonda, un senso che lo invita al movimento e all'azione, ch'egli talora confonde con quello della forza, ma che n'è ben differente, come l'uomo si può avvedere, quando cedendo all'inquietezza che quel senso gl'ispira, e dandosi all'azione, la totale mancanza di forze che gli sopraggiunge, gli toglie quel senso di libertà, e l'obbliga a desiderare e cercare il riposo. Anche per se medesima la debolezza e il rilasciamento prodotto da causa non morbosa, come dal caldo, dà una certa facilità di determinarsi all'azione al movimento al travaglio, più che la tensione prodotta dal freddo. Può parere un paradosso, ma l'esperienza anche individuale lo prova. Pare che il corpo rilasciato sia più maneggiabile a se medesimo. Bensì la sua capacità di travagliare è poco durevole. ec.} Ma il corpo non opera se non mosso dall'animo. Quindi è che i settentrionali sebbene senza controversia sia lor propria l'attività e laboriosità, pur sono veramente i più quieti popoli della terra; e i meridionali i più inquieti, benchè sia lor propria l'infingardaggine. I settentrionali hanno bisogno di grandissimo impulso a muoversi, a sollevarsi, a cercar novità: ma  3348 mossi che sieno, non sono facili a racquietare. Vedesi nelle loro storie, nelle quali, massime nelle moderne, e massime in quelle della Germania, pochissime rivoluzioni si troveranno (specialmente a paragone di quelle de' meridionali) ma queste lunghissime, come quella di religione mossa da Lutero, e convertita ben tosto in rivoluzione politica. Sopportano facilmente la tirannia, finch'ella non gli spinge à bout, come gli Svizzeri. Ubbidiscono volentieri, e comandati travagliano (anche eccessivamente) più volentieri che se operassero spontaneamente. Vedesi nella loro milizia. I meridionali sono facili e pronti e frequenti a muoversi, rivoltosi, poco tolleranti della tirannide, poco amici dell'ubbidire, ma facilissimi ancora a racquietare, facilissimi a ritornare in riposo; mobili, volubili, instabili, vaghi di novità politiche, incapaci di mantenerla[mantenerle]; vaghi di libertà, incapaci di conservarla; al contrario de' settentrionali che di rado la cercano, {poco} se ne curano; cercata o comunque acquistata, lunghissimamente la conservano. Infatti essi, e in particolare i tedeschi o teutoni, sono i soli in europa che serbino qualche vestigio di libertà, qualche immagine  3349 delle antiche repubbliche; i soli appo cui le repubbliche si veggano per esperienza poter durare anche a' tempi moderni. Verbigrazia gli Svizzeri, le città libere di Germania, le repubblichette de' Fratelli Moravi ec. Nel mezzogiorno d'Europa non esiste più neppure un'ombra di repubblica in alcun luogo, fuori di San-Marino. In Germania ve n'ha non poche, ed alcuni piccoli principati di colà si governano oggi, o per volontà del principe (come Saxe-Gotha) o per costituzione, quasi a maniera di repubblica e stato franco.

[3400,1]  Lo stile e la letteratura spagnuola forma veramente (quanto alla sua indole) una sola famiglia collo stile e letteratura greca, latina e italiana. Lo stile e la letteratura francese per lo contrario appartengono a una famiglia ben distinta dalla suddetta. La letteratura francese insieme con quelle ch'essa ha prodotte, ciò sono la inglese del tempo della regina Anna, la Svedese, la russa, (e credo eziandio l'olandese), forma in europa, propriamente parlando, una terza distinta famiglia, un terzo genere di letteratura e di stile: intendendo per seconda famiglia di letterature  3401 europee quelle di carattere settentrionale, cioè l'inglese de' tempi d'Ossian e di quelli di Shakespeare, e la moderna ch'è una continuazione di questa, la tedesca, l'antica scandinava, {illirica,} e simili. (Sebbene il carattere scandinavo e illirico, sì delle nazioni, sì delle letterature, è distinto dal teutonico ec. Ma non esiste letteratura scandinava nè illirica, se non antica e mal nota, perchè la presente letteratura Svedese, Danese, russa ec. non è che francese. Staël nel principio dell'Alemagna). Come altrove ho detto della lingua, {#1. Veggasi la p. 2989.} così della letteratura e dello stile francese si deve dire. Essi tengono il mezzo tra il meridionale e il settentrionale, tra il classico e il romantico; essi formano una categoria propria, niente meno diversa e distinta da quella delle letterature e stili greco, latino, italiano classico, spagnuolo classico, e dall'indole {e spirito} loro, di quel ch'ella sia dalle letterature inglese moderna, tedesca, e loro affini o simiglianti. {{V. p. 3559.}}

[3578,1]  Or tornando al proposito, le dette circostanze si possono dividere in geografiche, naturali e storiche. Se guardiamo alle prime, il sito della Spagna ch'è in uno estremo d'europa, facendola poco frequentata dagli stranieri, rende la nazione poco soggetta a variarsi. Le seconde sono il clima, e il carattere nazionale in quanto alla parte fisica. Questo {+negli spagnuoli} è pigro e molle  3579 e vago del riposare e dello stare più che dell'azione e del movimento, o certo capace di contentarsi facilmente del riposo, per poco che l'operare gli sia impedito o reso difficile. Così suole ne' climi caldi e felici. La terra molle e lieta e dilettosa Simili a se gli abitator produce * (Tasso Gerus. 1. 62.) Le circostanze istoriche corrispondono alle suddette, e da esse sono influite e modificate ordinariamente, onde sono piuttosto da considerar com'effetti che come cagioni. Pur non lasciano talvolta di esser eziandio cagioni. Considerandole rispetto alla spagna, le troveremo essere or l'uno or l'altro, onde talvolta le troveremo come sorelle di quell'effetto di cui cerchiamo l'origine (dico della singolare conservazione della latinità), talvolta come madri.

[3676,1]   3676 Alla p. 3349. Non è da trascurare una differenza che si trova fra il carattere, {il costume ec.} degli antichi settentrionali e abitatori de' paesi freddi, e quel de' moderni; differenza maggior di quella che suol trovarsi generalmente dagli antichi ai moderni. Perocchè gli antichi settentrionali ci sono dipinti dagli storici per ferocissimi, inquietissimi, attivissimi non solo di carattere, ma di fatto, {+per impazienti del giogo, sempre vaghi di novità, sempre macchinanti, sempre ricalcitranti e insorgenti,} e per quasi assolutamente indomabili e indomiti. Germani, Sciti ec. I moderni al contrario sono così domabili, che certo niun popolo meridionale lo è altrettanto. E tanto son lungi dalla ferocia, che non v'ha gente più buona, più mansueta, più ubbidiente, più tollerante di loro. E se v'ha parte d'europa dove meno si macchini, e si ricalcitri al comando, e si desideri novità e si odi la soggezione, ciò è per l'appunto fra i popoli settentrionali. In questa tanta diversità di effetti hanno certamente gran parte da un lato la diversità de' governi antico e moderno, dall'altro la poca coltura del popolo nelle regioni settentrionali. Ma grandissima parte v'ha certamente ancora la differenza materiale della vita. Gli antichi  3677 settentrionali, mal difesi contra le inclemenze dell'aria dalle spelonche, proccurantisi il vitto colla caccia (Georg. 3. 370. sqq. etc.), alcuni anche erranti e senza tetto, come gli Sciti ec., erano anche più ὑπαίθριοι di vita, che non sono i meridionali oggidì. Introdotti gli usi e i comodi sociali, i popoli {civilizzati} del Nord divennero naturalmente i più casalinghi della terra. Niuna cosa rende maggiormente quiete e pacifiche sì le nazioni che gl'individui, niuna men cupidi, anzi più nemici di novità, che la vita casalinga e le abitudini domestiche, le quali affezionano al metodo, rendono contenti del presente ec. come ho detto ne' pensieri citati in quello a cui questo si riferisce pp. 2752-55 pp. 2926-28. Quindi è seguíto che non per sole circostanze passeggere e accidentali, come la maggiore o più divulgata e comune coltura di spirito ec. ma naturalmente e costantemente, nel sistema di vita sociale, e dopo resa la civiltà comune al nord come al sud, i popoli del mezzogiorno, come meno casalinghi, sieno stati, sieno, ed abbiano a essere più inquieti e più attivi di quelli del settentrione, sì d'animo, sì di fatti,  3678 al contrario di quello che porterebbe la pura natura degli uni e degli altri comparativamente considerata. Ond'è che i settentrionali moderni e civili sieno in verità molto più diversi e mutati da' loro antichi, che non sono i meridionali dagli antichi loro, sì di carattere, sì di usi, di azioni ec.

[3891,2]  Il carattere ec. ec. degli uomini è vario, e riceve notabili differenze non solo da clima a clima, ma eziandio da paese a paese, da territorio a territorio, da miglio a miglio; non parlando che delle sole differenze naturali. Ne' luoghi d'aria sottile, gl'ingegni sogliono esser {+maggiori e più svegliati e capaci, e particolarmente} più acuti e più portati e disposti alla furberia. I più furbi per abito e i più ingegnosi per natura di tutti gl'italiani, sono i marchegiani: il che senza dubbio ha relazione colla sottigliezza ec. della loro aria. Similmente gl'italiani in generale a paragone delle altre nazioni. Mettendo il piede ne' termini della Marca si riconosce visibilmente una fisonomia più viva, più animata, uno sguardo più penetrante e più arguto che non è quello de' convicini, nè de' romani stessi che pur vivono nella società e nell'uso di una gran capitale. Così discorrasi delle altre  3892 differenze ec. Gli abitatori de' monti differiscono notabilmente, se non di corpo, certo di spirito, carattere, inclinazione ec. da quelli degli stessi piani e valli lor sottoposte; i littorani da' mediterranei lor confinanti ec. ec. anche parlando delle sole differenze cagionate dalle diversità naturali de' luoghi ec. Infinito è il numero delle cagioni anche {semplicemente} naturali che producono differenze tra gli uomini, e queste, benchè or maggiori or minori, sempre notabili, e più notabili assai che in niun'altra specie di viventi, a causa dell'estrema conformabilità e modificabilità dell'uomo, e quindi suscettibilità di essere influito dalle cagioni anche menome di varietà, di alterazione ec. che in altri esseri o non producono niuna varietà, o piccolissima ec. Le dette cagioni di varietà s'incrociano per così dir tra loro, perchè il calor del clima produce un effetto, la grossezza dell'aria un altro contrario, e ambedue le dette cagioni s'incontrano bene spesso insieme; e così discorrendo. Esse si temperano, si modificano, si alterano, si diversificano, s'indeboliscono, si rinforzano scambievolmente in mille guise secondo le infinite diversità {loro, e} de' loro gradi, e delle loro combinazioni scambievoli ec. ec. e altrettante diversità, cioè infinite, e diversità di diversità, e tutte notabili, ne seguono ne' caratteri degli uomini. Queste osservazioni si applichino a quelle della p. 3806-10. e a quelle sopra le differenze vere p. 1553 pp. 1819-22 pp. 3197-206 pp. 3344-47 , cioè naturali, de' talenti, o innate, o acquisite e contratte  3893 naturalmente, e per cause {e circostanze} semplicemente naturali e indipendenti nell'esser loro dalle sociali, dagli avvenimenti ec. e che avrebbero operato ed operano per se stesse proporzionatamente anche negli uomini primitivi, ne' selvaggi ec. che operano ancora, benchè infinitamente meno, negli animali, piante ec. ec. {+a proporzione, e} secondo la loro suscettibilità, e la qualità e il grado e le combinazioni ec. d'esse cause e circostanze ec. ec. (18. Nov. 1823.)

[3922,1]  Ma oltre di tutto ciò, bisogna accuratamente distinguere la forza dell'animo dalla forza del corpo. L'amor proprio risiede nell'animo. L'uomo è tanto più infelice generalmente, quanto è più forte e viva in lui quella parte che si chiama animo. Che la parte detta corporale sia più forte, ciò per se medesimo non fa ch'egli sia più infelice, nè accresce il suo amor proprio, se non in quanto il maggiore o minor vigore del corpo è per certe parti {+e rispetti, e in certi modi,} legato e corrispondente e proporzionato a quello della parte chiamata animo. Ma nel totale e sotto il più de' rispetti, tanto è lungi che la maggior forza del corpo sia cagione di maggiore amor proprio e infelicità, che anzi questa e quello sono {naturalmente} in ragione inversa della forza propriamente corporale, sia abituale sia passeggera. L'amor proprio e quindi l'infelicità sono in proporzione diretta del sentimento della vita. Ora accade, generalmente e naturalmente parlando, che ne' più forti di corpo la vita sia bensì maggiore, ma il sentimento della vita minore, e tanto minore quanto maggiore si è e la somma della vita e la forza. Ne' più deboli {di corpo} viceversa. O volendoci esprimere in altro modo, e forse più chiaramente, ne' più forti  3923 di corpo la vita esterna e{è} maggiore, ma l'interna è minore; e al contrario ne' più deboli di corpo. Infatti è cosa osservata che generalmente, naturalmente, e in parità di altre circostanze, le nazioni e gl'individui più deboli di corpo sono più disposti e meno impediti a pensare, riflettere, ragionare, immaginare, che non sono i più forti; e un individuo medesimo lo è più in uno stato e tempo di debolezza corporale o di minor forza, che in istato di forza corporale, o di forza maggiore. Gli uomini sensibili, di cuore, di fantasia; insomma di animo mobile, suscettibile, e più vivo in una parola che gli altri, sono delicati e deboli di complessione, e ciò così ordinariamente, che il contrario, cioè molta e straordinaria sensibilità ec. in un corpo forte, sarebbe un fenomeno. {#2. V. p. 3945.} La vita è il sentimento dell'esistenza. Questo è tutto in quella parte dell'uomo, che noi chiamiamo spirituale. Dunque la maggiore o minor vita, e quindi amor proprio e infelicità, si dee misurare dalla maggior forza non del corpo ma dello spirito. E la maggior forza dello spirito consiste nella maggior delicatezza, finezza ec. degli organi che servono alle funzioni spirituali. Delicatezza d'organi difficilmente si trova in una complessione non delicata; e viceversa ec. La delicatezza del fisico interno corrisponde naturalmente ed è accompagnata da quella dell'esterno. Di più la forza del corpo rende l'uomo più materiale, e quindi propriamente parlando, men vivo, perchè la vita, cioè il sentimento dell'esistenza, è nello spirito e dello spirito. {+Così le passioni ed azioni, le sensazioni e piaceri {ec.} materiali, tanto più quanto sono più forti; {#1. (rispettivamente alla capacità ed agli abiti fisici e morali, ec. dell'individuo)}; le attuali attualmente, le abituali abitualmente.} Le sensazioni materiali in un corpo forte, o in un individuo che per esercizio o per altra  3924 cagione ha acquistato maggior forza corporale ch'ei non aveva per natura, o in un corpo debole che si trovi in passeggero stato di straordinaria forza, sono più forti, ma non perciò veramente più vive, anzi meno perchè più tengono del materiale, e la materia (cioè quella parte delle cose e dell'uomo che noi più peculiarmente chiamiamo materia) non vive, e il materiale non può esser vivo, e non ha che far colla vita, ma solo colla esistenza, la quale considerata senza vita, non è capace nè di amor proprio nè d'infelicità. Così la materia non è capace di vita, e una cosa, un'azione, una sensazione ec. quanto è più materiale, tanto è men viva. Insomma ciascuna specie di viventi rispetto all'altre, ciascuno individuo rispetto a' suoi simili, ciascuna nazione rispetto all'altre, ciascuno stato dell'individuo sia naturale, sia abituale, sia attuale e passeggero, rispetto agli altri suoi stati, quanto ha più del materiale, e meno dello spirituale, tanto è, propriamente parlando, men vivo, tanto meno partecipa della vita e per quantità e per intensità e grado, tanto ha minor somma e forza di amor proprio, e tanto è meno infelice. Quindi tra' viventi le specie meno organizzate, avendo un'esistenza più materiale, e meno di vita propriamente detta, sono meno infelici. Tra le nazioni {umane} le settentrionali, più forti di corpo, men vive di spirito, sono meno infelici delle meridionali. Tra gl'individui umani i più forti di corpo, men delicati di spirito, sono meno infelici. Tra' vari stati degl'individui, quello p. e. di ebbrietà, benchè più vivo quanto al corpo, essendo però men vivo quanto  3925 allo spirito (che in quel tempo è obruto dalla materia, e le sensazioni spirituali dalle materiali, e le azioni stesse dello spirito, {{benchè più forti ec,}} hanno allora più del materiale che all'ordinario), e quindi la vita essendo allora più materiale, e quindi propriamente men vita (come in tempo di sonno o letargo, benchè questo sia inerte, e l'ebbrietà più svegliata ancora e più attiva talvolta che lo stato sobrio), è meno infelice.

[3946,2]  La lingua greca appartiene veramente e propriamente alla nostra famiglia di lingue (latina, italiana, francese, spagnuola, e portoghese), non solo perch'ella non può appartenere ad alcun'altra, e farebbe famiglia da se o solo colla greca moderna; non solamente neppure per esser sorella o, come gli altri dicono, madre della latina (nel primo de' quali casi ella dovrebbe esser messa almeno colla latina, e nel secondo è chiaro ch'ella va posta nella nostra famiglia), ma specialmente e principalmente perchè la sua letteratura è veramente madre della latina, la qual è madre delle nostre, e quindi la letteratura greca è veramente l'origine delle nostre, le quali in grandissima parte non sarebbero onninamente quelle che sono e quali sono (se non se per un incontro affatto fortuito) s'elle non fossero venute di là. E come la letteratura è quella che dà forma e determina la maniera di essere delle lingue, e lingua formata e letteratura sono quasi la stessa cosa, o certo  3947 cose non separabili, e di qualità compagne e corrispondenti; e come per conseguenza la letteratura greca (oltre le tante voci e modi particolari) fu quella che diede veramente e principalmente forma alla lingua latina, e ne determinò la maniera di essere, il carattere e lo spirito, di modo che la lingua e letteratura latina, quando anche fossero nate, formate e cresciute senza la greca, non sarebbero certamente state quelle che furono, ma altre veramente, e in grandissima parte diverse per natura e per indole e forma, e per qualità generali e particolari, e sì nel tutto, sì nelle parti maggiori o minori, da quelle che furono; stante, dico, tutto questo, la letteratura greca (oltre lo studio immediato fattone da' formatori delle nostre lingue, come da quelli della latina) viene a esser veramente la madre e l'origine prima delle nostre lingue, come la latina n'è la madre immediata; le quali lingue (anche la francese che insieme colla sua letteratura è la più allontanata dalla sua origine, e dalla forma latina, e dall'indole della latina, e quindi eziandio della greca) non sarebbero assolutamente tali quali sono, ma altre e in grandissima parte diverse sì nello spirito, sì in cento e mille cose particolari, se non traessero primitivamente origine in grandissima parte dal greco per mezzo del latino. E veramente la lingua greca mediante la sua letteratura è prima (quanto si stende la nostra memoria dell'antichità) e vera ed efficacissima causa dell'esser sì la lingua e letteratura latina, sì le nostre lingue e letterature, anche la francese, tali quali elle sono,  3948 e non altre; chè per natura elle ben potrebbero essere diversissime in molte e molte cose, anche essenziali ed appartenenti allo spirito ed all'indole ec. e alquanto diverse più o meno in altre molte cose più o meno essenziali o non essenziali. E forse non mancano esempi di altre letterature e lingue antiche o moderne, anche meridionali ec., che non essendo venute dal greco, sono diversissime, anche per indole ec. e nel generale ec. non meno o poco meno che ne' particolari, dalla latina e dalle nostrali. E ne può esser prova il vedere quanto la francese si è allontanata, anche di spirito, dalla latina e dalla greca alle quali era pur conformissima nel 500 ec. (vedi la p. 3937.), senz'aver mutato clima ec. Certo i tempi nostri son diversissimi da quelli de' greci {e de' latini,} quando anche il clima sia conforme, diversissime sono state e sono le nostre nazioni, {#1. loro governi, opinioni, costumi, avvenimenti e condizioni qualunque,} sì tra loro, {#2. sì ciascuna di esse da se medesima in diversi tempi,} sì dalla greca, e dalla latina eziandio. Nondimeno le loro lingue e letterature sono state conformi, massime fino agli ultimi secoli, e tra loro, e tra' vari lor tempi, e colla greca e latina ec. Sicchè tal conformità non si deve attribuire nè solamente nè principalmente al clima, nè ad altre circostanze naturali o accidentali, ma all'accidente di esser derivate effettivamente dal greco e latino, chè ben potevano non derivar da nessuno, o derivare d'altronde ec. ec.

[4031,1]   4031 Certo le condizioni sociali e i governi e ogni sorta di circostanze della vita influiscono sommamente e modificano il carattere e i costumi delle varie nazioni, anche contro quello che porterebbe il rispettivo loro clima e l'altre circostanze naturali, ma in tal caso quello stato o non è durevole, o debole, o cattivo, o poco contrario al clima, o poco esteso nella nazione, o ec. ec. E generalmente si vede che i principali caratteri o costumi nazionali, anche quando paiono non aver niente a fare col clima, o ne derivano, o quando anche non ne derivino, e vengano da cagioni affatto diverse, pur corrispondono mirabilmente alla qualità d'esso clima o dell'altre condizioni naturali d'essa nazione o popolo o cittadinanza ec. Per es. io non dirò che il modo della vita sociale rispetto alla conversazione e all'altre infinite cose che da questa dipendono o sono influite, proceda assolutamente e sia determinato nelle varie nazioni d'europa dal loro clima, ma certo ne' vari modi tenuti da ciascuna, e propri di ciascuna quasi fin da quando furono ridotte a precisa civiltà e distinta forma nazionale, ovvero da più o men tempo, si scopre una curiosissima conformità {generale} col rispettivo clima in generale considerato. Il clima d'italia e di Spagna è clima da passeggiate e massime nelle lor parti più meridionali. Ora queste nazioni non hanno conversazione affatto, nè se ne dilettano: e quel poco che ve n'è in italia, è nella sua parte più settentrionale, in Lombardia, dove certo si conversa assai più che in Toscana, a Napoli, nel Marchegiano, in Romagna, dove si villeggia  4032 e si fanno tuttodì partite di piacere, ma non di conversazione, e si chiacchiera assai, e si donneggia assaissimo, ma non si conversa; in Roma ec. Il clima d'Inghilterra e di Germania chiude gli uomini in casa propria, quindi è loro nazionale e caratteristica la vita domestica, con tutte l'altre infinite qualità di carattere e di costume e di opinione, che nascono o sono modificate da tale abitudine. Pur vi si conversa più assai che in italia e Spagna (che son l'eccesso contrario alla conversazione) perchè il clima è per tale sua natura meno nemico alla conversazione, poichè obbligandoli a vivere il più del tempo sotto tetto e privandoli de' piaceri della natura, ispira loro il desiderio di stare insieme, per supplire a quelli, e riparare al vôto del tempo ec. Il clima della Francia ch'è il centro della conversazione e la cui vita e carattere e costumi e opinioni è tutto conversazione, tiene appunto il mezzo tra quelli d'Italia e Spagna, Inghilterra e Germania, non vietando il sortire, {e il trasferirsi da luogo a luogo,} e rendendo aggradevole il soggiornare al coperto: siccome la vita d'Inghilterra e Germania tiene appunto il mezzo, massime {in quest'ultimi tempi,} per rispetto alla conversazione, tra la vita d'Italia e Spagna e quella di Francia, e così il carattere ec. che ne dipende. E già in mille altre cose la Francia, siccome il suo clima, tiene il mezzo fra' meridionali e settentrionali, del che altrove in più luoghi pp. 1045-46 pp. 2989-90. Non parlo delle meno estrinseche e più spirituali influenze del clima sulla complessione e abitudine del corpo e dello spirito, {+anche fin dalla nascita,} che pur grandissimamente  4033 contribuiscono a cagionare e determinare la varietà che si vede nella vita delle nazioni, popolazioni, individui tutti partecipi (come son oggi) di una stessa sorta di civiltà, circa il genio e l'uso della conversazione. (15. Feb. 1824.).

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Francesi. (1827) (4)
Memorie della mia vita. (pnr) (4)
Inglesi. Loro poesia, letteratura, lingua, carattere ec. ec. (1827) (4)
Antichi. (1827) (4)
Lingua. Una in principio, poi divisa. Storia filosofica delle lingue. (1827) (3)
Orientali. (1827) (3)
. Bardi. (1827) (3)
Spagnuoli. (1827) (3)
Tedeschi. Loro lingua, letteratura, carattere ec. ec. (1827) (3)
Carattere, lingua ec. ec. (1827) (3)
Teorica delle arti, lettere ec. Parte pratica, storica ec. (pnr) (3)
Lingue. (pnr) (2)
Scienza e Ignoranza. (1827) (2)
L'indole de' suoni di una lingua corrisponde all'indole di essa lingua. (1827) (2)
Greci. Loro lingua, letteratura, carattere ec. ec. (1827) (2)
Inverno, estate. Questa più malcontenta ec. ec. quello più rassegnato ec. ec. (1827) (2)
Carattere degli uomini, vario secondo le arie, il paese ec., oltre il clima: e così l'ingegno. (1827) (2)
Romani. Latini. Loro lingua, carattere, costumi ec. (1827) (2)
Tedesca (filosofia). (1827) (1)
. (1827) (1)
Riforma di . (1827) (1)
Tirannia. (1827) (1)
Illusioni. (1827) (1)
Noia. (1827) (1)
Civiltà va dal sud al nord. (1827) (1)
. Suo stato, costumi ec. antichi e moderni. (1827) (1)
Della natura degli uomini e delle cose. (pnr) (1)
Teorica delle arti, lettere ec. Parte speculativa. (pnr) (1)
Conversazione ne' vari climi. (1827) (1)
Conversazione alla francese. Non si può fare in buono italiano. (1827) (1)
Loro lingua, letteratura ec. (1827) (1)
Ubbriachezza. (1827) (1)
Governi. (1827) (1)
Dolore delle sventure ec. è maggiore ne' corpi più vigorosi. (1827) (1)
Dolore. (1827) (1)
Manuale di filosofia pratica. (pnr) (1)
Assuefazione. Assuefattibilità e conformabilità dell'uomo. Attenzione. Imparare. Ingegno. Disposizioni naturali. Facoltà umane. (1827) (1)
Settentrionale e Meridionale (vita, immaginazione, spirito), antico e moderno. Superiorità moderna de' Settentrionali, accidente della civiltà. (1827) (1)
Monotonia. (1827) (1)
Civiltà. Incivilimento. (1827) (1)
Casalinga (vita). (1827) (1)
Francese (letteratura), non appartiene alla famiglia della greca, italiana, latina, spagnuola; ma ad un'altra. (1827) (1)
Delicatezza delle forme. (1827) (1)
Armonia, grazia ec. delle parole, delle pronunzie, de' versi ec. (1827) (1)
Solitudine. (1827) (1)
167. Varietà e contrasto delle qualità di ciascun individuo ne' popoli del mezzogiorno, e cagione d'essa varietà. (varia_filosofia) (1)