4-6. Aprile 1821.
[911,1] Analogo al
pensiero precedente è questo che segue.
912 È
cosa osservata dai filosofi e da' pubblicisti che la libertà vera e perfetta di
un popolo non si può mantenere, anzi non può sussistere senza l'uso della
schiavitù interna. (Così il Linguet, credo anche il Rousseau, Contrat social l.
3. ch. 15. ed altri. Puoi vedere anche l'Essai sur l'indifférence en
matière de Religion, ch. 10. nel passo dove cita in
nota il detto luogo di Rousseau
{insieme} con due righe di questo autore.)
Dal che deducono che l'abolizione della libertà {è}
derivata dall'abolizione della schiavitù, e che se non vi sono popoli liberi,
questo accade perchè non vi sono più schiavi. Cosa, che strettamente presa, è
falsa, perchè la libertà s'è perduta per ben altre ragioni, che tutti sanno, e
che ho toccate in cento luoghi. Con molto maggior verità si potrebbe dire che
l'abolizione della schiavitù è provenuta dall'abolizione della libertà; o
vogliamo, che tutte due son provenute dalle stesse cause, ma però in maniera che
questa ha preceduto quella e per ragione e per fatto.
[912,1] La conseguenza, dico, è falsa: ma il principio della
necessità della schiavitù ne' popoli precisamente liberi, è verissimo. Ecco in
ristretto il fondamento e la sostanza di questa proposizione.
[912,2] L'uomo nasce libero ed uguale agli altri, e tale egli
è per natura, e nello stato primitivo. Non così nello
913 stato di società. Perchè in quello di natura, ciascuno provvede a ciascuno
de' suoi bisogni e presta a se se medesimo quegli ufficii che gli occorrono, ma
nella società ch'è fatta pel ben comune, o ella non sussiste se non di nome, ed
è al tutto inutile che gli uomini si trovano insieme, ovvero conviene ch'essi si
prestino uffizi scambievoli, e provvedano mutuamente a' loro bisogni. Ma
ciascuno a ciascun bisogno degli altri non può provvedere: ovvero sarebbe cosa
ridicola, e inutile, che io {p. e.} pensassi
intieramente a te, tu intieramente a me, potendo nello stesso modo viver
separati, e far ciascuno per noi. Dunque segue la necessità delle diverse
professioni e mestieri, alcuni necessari alla vita assolutamente, ovvero tali
quali le[li] avrebbe esercitate[esercitati] l'individuo anche nella condizione naturale;
altri non necessari, ma derivati {appoco appoco} dalla
società e conducenti ai comodi e vantaggi che si godono (o si pretende godere)
nella vita sociale, e intendo anche quei comodi primi primi, che ora passano per
necessità; altri finalmente resi effettivamente necessari dalla stessa società,
come sono i mestieri che provvedono a cose divenuteci indispensabili per
l'assuefazione, quello di chi insegna, quello massimamente di chi provvede alle
cose pubbliche e veglia al bene e all'esistenza precisa di essa società; quello
delle persone che difendono il buono dal cattivo (giacchè nata
914 la società nasce il pericolo del debole rispetto al forte) e la
società istessa dalle altre società ec. ec. ec. In somma, o la società non
esiste assolutamente, o in essa esiste necessariamente la differenza dei
mestieri e dei gradi.
[914,1] Questo porterebbe le nazioni alle gerarchie, e così
accadde infatti da principio, e accade ne' popoli ancora non inciviliti, siccome
ne' civili. Ma corrotta appoco appoco la società, e introdotto l'abuso del
potere; e quindi i popoli avendo scosso il giogo e ripigliata la libertà
naturale, ripigliarono con ciò anche l'uguaglianza. Ed oltre che questa
naturalmente vien dietro alla libertà, ho dimostrato altrove pp. 567-70 che la vera e
precisa libertà non può mantenersi in una repubblica, senza tutta quella
uguaglianza di cui mai possa esser capace la società.
[914,2] Ma la libertà ed uguaglianza dell'uomo gli è {bensì} naturale nello stato primitivo; ma non conviene
nè si compatisce, massime nella sua stretta nazione, collo stato di società, per
le ragioni sopraddette. Restava dunque, che richiedendosi nella società che
l'uomo serva all'uomo, e questo opponendosi alla uguaglianza, l'uomo di una tal
società fosse servito da uomini di un'altra, {o di più
altre} società o nazioni, ovvero da una parte di quella medesima
società, posta fuori de' diritti, de' vantaggi, {delle
proprietà,} della uguaglianza, della libertà di questa, insomma
considerata come estranea alla
915 nazione, e quasi come
un'altra razza e natura di uomini dipendente, subalterna, e subordinata alla
razza libera e uguale. Ecco l'uso della schiavitù interna ne' popoli liberi e
uguali; uso tanto più inerente alla costituzione di un popolo, quanto egli è più
intollerante della propria servitù, come si è veduto negli antichi. In questo
modo la disuguaglianza in quel {tal} popolo libero
veniva ad esser minore che fosse possibile, essendo le fatiche giornaliere, i
servigi bassi, che avrebbero degradata l'uguaglianza dell'uomo libero, la
coltura della terra ec. destinata agli schiavi: e l'uomo libero, chiunque si
fosse, e per povero che fosse, restando padrone di se, per non essere obbligato
ai quotidiani servigi mercenarii, che vengono necessariamente a togliere in
sostanza la sua indipendenza e libertà; e non partecipando quasi, in benefizio
comune della società, se non della cura delle cose pubbliche, e del suo proprio
governo, {della conservazione o accrescimento della patria
col mezzo della guerra ec.} colle sole differenze che nascevano dal
merito individuale ec.
[915,1] Tale infatti era la schiavitù nelle antiche
repubbliche. Tale in grecia, tale quella degl'Iloti,
stirpe tutta schiava presso i Lacedemoni, oriunda di Elos
(῞Ελος) terra (oppidum) o città (così Strabone
presso il Cellar. 1. 967.)
del Peloponneso, presa a forza da' Lacedemoni nelle
guerre, credo, Messeniache, e ridottane tutta la popolazione in ischiavitù,
{sì essa come i suoi} discendenti in perpetuo. V. l'Encicloped. Antiquités, art. Ilotes, e il Cellario 1. 973. Tale la schiavitù presso i
Romani, della quale v. fra gli altri il Montesquieu,
916
Grandeur etc.
ch. 17. innanzi alla metà. Floro 3. 19. Terra frugum ferax,
*
(Sicilia) et quodammodo suburbana provincia, latifundiis
civium Romanorum tenebatur. Hic
ad cultum agri
frequentia ergastula,
catenatique cultores, materiam bello praebuere.
*
E quanta fosse la
moltitudine degli schiavi presso ai Romani si può congetturare dalla guerra
servile, e dal pericolo che ne risultò. Ne avevano i Romani, cred'io, d'ogni
genere di nazioni; e Floro l. c. nomina un servo
Siro cagione e capo della guerra servile; Frontone
nell'ultima epist. greca,
una serva Sira ec. ec. cose che si possono vedere in tutti gli
scrittori delle antichità Romane. {+V. il Pignorio
de Servis, e, se vuoi,
l'articolo originale del Cav. Hager nello
Spettatore di Milano 1. Aprile
1818. Quaderno 97. p. 244. fine - 245. principio, dove si tocca
questo argomento della gran moltitudine de' servi romani, e se ne adducono
alcuni esempi e prove, e si cita il detto Pignorio che dovrebbe trovarsi nel Grevio ec. Cibale schiava Affricana è
nominata nel Moretum.}
[916,1] E qual fosse l'idea {morale}
che gli antichi avevano degli schiavi, si può dedurre da cento altri scrittori e
luoghi, e fatti, e costumi degli antichi, ma segnatamente da questo luogo di Floro 3. 20. Enimvero
servilium armorum dedecus feras. Nam et ipsi per fortunam
in omnia obnoxii;
*
(scil. nobis)
tamen
quasi secundum hominum genus sunt, et in bona libertatis nostrae
adoptantur.
*
[916,2] Questa seconda razza di
uomini serviva dunque alla uguaglianza e libertà de' popoli antichi, in
proporzione di essa libertà ed uguaglianza, e delle forze rispettive di questo o
quel popolo, guerriere o pecunarie {ec.} per
917 fare o comperare degli schiavi. E l'antica
uguaglianza e libertà, si manteneva effettivamente coll'aiuto e l'appoggio della
schiavitù, ma della schiavitù di persone, che non avevano nulla di comune col
corpo e la repubblica e la società di quelli che formavano la nazione libera ed
uguale. Così che la libertà ed uguaglianza di una nazione, aveva bisogno, e
supponeva la disuguaglianza delle nazioni, e l'una non era indipendente {neppure} al di dentro, se non per la soggezione di
altre, o parti di altre ec.
[917,1] E la verità di tutte queste cose, e come l'uso o la
necessità della schiavitù {in un popolo libero} abbia
la sua ragione immediata non nella libertà, ma precisamente nella uguaglianza
{interna} di esso popolo, si può vedere
manifestamente per questa osservazione, la quale dà molta luce a questo
discorso. Arriano (Histor. Indica, cap. 10.
sect. 8 - 9. edit. Wetsten. cum
Expedit. Alexand.
Amstelaed. 1757. cura Georg. Raphelii, p. 571.) dice fra le cose che
si raccontavano degl'Indiani: Eἶναι δὲ (λέγεται) καὶ
τόδε μέγα ἐν τῇ ᾽Iνδῶν γῇ, πάντας ᾽Iνδους εἶναι ἐλευϑέρους, οὐδέ τινα
δοῦλον εἶναι ᾽Iνδόν∙ τοῦτο μὲν Λακεδαιμονίοισιν ἐς ταυτὸ συμβαίνει καὶ
᾽Iνδοῖσιν∙
*
(qua quidem in re Indis cum Lacedęmoniis convenit.
Interpres.) Λακεδαιμονίοις μὲν γε οἱ εἵλωτες δοῦλοί
εἰσιν, καὶ τὰ δοῦλων ἐγράζονται∙ ᾽Iνδοῖσι δέ, οὐδὲ ἄλλος δοῦλός ἐστι,
μήτοιγε ᾽Iνδῶν τις
*
(μήτοιγε nedum.
Index vocum)
918 Osservate subito che questa cosa pare ad Arriano maravigliosa e singolare. Poi
osservate, che gl'indiani erano liberi, cioè parte avevano monarchie, ma
somiglianti a quella primitiva di Roma ch'era una specie
di Repubblica, {e alle antichissime monarchie greche;}
parte erano πόλιες
αὐτόνομοι
*
città libere e indipendenti assolutamente. (Id. ibid. c. 12. sect. 6. {et
5.} p. 574.) Qual era dunque la cagione di questa singolarità?
Sebbene Arriano non l'osserva, ella
si trova però in quello ch'egli soggiunge immediatamente. Ed è questo:
Nενέμηνται δὲ οἱ πάντες ᾽Iνδοὶ ἐς ἑπτὰ μάλιστα
γενεάς
*
Distinguuntur autem Indi omnes in
septem potissimum genera hominum
*
(interpres.), ossia,
caste. (Id. ib. c. 11. sect. 1. p. 571.) La
prima de' sofisti {(σοϕισταί
*
),} la seconda degli agricoltori (γεωργοί
*
), la terza de' pastori e bifolchi (νομέες, οἱ ποιμένες τε καὶ βουκόλοι
*
), la 4.ta
opificum et
negotiatorum
*
(δημιουργικόν τε καὶ
καπηλικὸν γένος
*
), la quinta dei militari (οἱ πολεμισταί
*
) i quali non avevano che a far la guerra quando
bisognava, pensando gli altri a fornirli di armi, mantenerli, pagarli (tanto
in tempo di guerra che di pace) e prestar loro tutti quanti gli uffizi
castrensi, come custodire i cavalli, condurre gli elefanti, nettare le armi,
fornire e guidare i cocchi, sicchè non restava loro che le pure funzioni
guerriere; episcoporum sive
inquisitorum
*
(οἱ ἐπίσκοποι
καλεόμενοι
*
), specie d'ispettori di polizia, i quali non potevano
919 riferir niente di falso, e nessun indiano fu incolpato mai di
menzogna
*
οὐδέ τις ᾽Iνδῶν αἰτίην ἔσχε ψεύσασϑαι
*
(c. 12.
sect. 5. p. 574. fine); la settima finalmente οἱ ὑπὲρ
τῶν κοινῶν βουλευόμενοι ὁμοῦ τῷ βασιλεῖ, ἢ κατὰ πόλιας ὅσαι
αὐτόνομοι
*
, (liberae. interpres) σὺν τῇσιν
ἀρχῇσιν
*
: casta per sapienza e giustizia (σοϕίῃ καὶ δικαιότητι
*
) sopra tutti prestante, dalla quale si
sceglievano i magistrati, i
regionum praesides
*
(νομάρχαι
*
), i prefetti (ὕπαρχοι
*
), i
quęstores
*
(θησαυροϕύλακες
*
), i στρατοφύλακες
*
(copiarum duces
*
),
ναύαρχοί τε, καὶ ταμίαι, καὶ τῶν κατὰ γεωργίην
ἔργων ἐπιστάται
*
. (ib. c. 12.
sect. 6.-7.) Ecco dunque la ragione perchè gl'indiani non usavano
schiavitù. Perchè sebben liberi, non avevano l'uguaglianza.
[919,1] Ma come dunque senza l'uguaglianza conservavano la
libertà? Neppur questo l'osserva Arriano, ma {la cagione} si deduce da quello
ch'egli immediatamente soggiunge: (ib. sect. 8.-9.) Гαμέειν
δὲ ἐξ ἑτέρου γένεος, οὐ ϑέμις∙ οἷον τοῖσι γεωργοῖσιν ἐκ τοῦ
δημιουργικοῦ, ἢ ἔμπαλιν∙ οὐδὲ δύο τέχνας ἐπιτηδεύειν τὸν αύτόν, οὐδὲ
τοῦτο ϑέμις∙ οὐδὲ ἀμείβειν ἐξ ἑτέρου γένεος εἰς ἕτερον∙ οἷον γεωργικὸν
ἐκ νομέως γενέσϑαι, ἢ νομέα ἐκ δημιουργικοῦ. Mοῦνόν σϕισιν ἀνεῖται,
σοϕιστὴν ἐκ παντὸς γένεος γενέσϑαι∙ ὅτι οὐ μαλϑακὰ τοῖσι
σοφιστῇσιν[σοϕιστῇσίν]
εἰσὶ[εἰσι] τὰ πρήγματα, ἀλλὰ πάντων
ταλαιπωρότατα
*
(non mollis vita sed omnium laboriosissima.
interpres.)
[919,2] Questa costituzione, che si vede ancora sussistere fra
920 gl'indiani quanto alla distinzione in caste, e
al divieto di passare dall'una all'altra o per matrimonii, o comunque; {V.
The Monthly Repertory of english literature,
Paris, June 1811. no. 51, vol. 13. p.
317. 325. 326.} questa costituzione che sussiste,
credo, in parte anche nella Cina, dove il figlio è
obbligato ad esercitare la professione del padre, e dove i ranghi sono con molta
precisione distinti; questa costituzione, di cui, se ben ricordo, si trova
qualche traccia fra gli antichi Persiani nel
primo o ne' primi libri della Ciropedia; questa costituzione, di cui si trova pure qualche
indizio nel popolo Ebreo, dove una sola tribù era destinata esclusivamente al
Sacerdozio; questa costituzione che pare che in tutto o in parte, fosse comune,
fino dagli antichissimi tempi, ai popoli dell'Asia, e si
vede, se non erro, anche oggidì, in alcune nazioni delle coste
dell'Affrica; questa costituzione di cui forse si
potrebbero trovare molte somiglianze anche nelle altre conosciute, e massime
nelle più antiche, come nell'antica costituzione di Roma
ec.; questa costituzione, dico, è forse la migliore, forse l'unica capace di
conservare, quanto è possibile, la libertà senza l'uguaglianza.
[920,1] Perocchè, ponendo un freno e un limite all'ambizione,
e alla cupidigia degl'individui, e togliendo
921 loro la
facoltà di cangiare, e di avanzare più che tanto la loro condizione, viene a
togliere in gran parte la collisione dei poteri, e le discordie interne; viene a
conservare l'equilibrio, a mantenere lo stato primitivo della repubblica (che
dev'essere il principale scopo degl'istituti politici), a perpetuare l'ordine
stabilito ec. ec.
[921,1] Vero è però, anzi troppo vero, che in questa
costituzione io dubito che si possano trovare i grandi vantaggi della libertà.
Si troverà la quiete, e la {detta} costituzione sarà
adattata ad un popolo, che per qualunque cagione, sia capace di contentarsi di
questo vantaggio, e contenere i suoi desideri dentro i limiti del tranquillo e
libero ben essere, e ben vivere, senza curarsi del meglio che in verità è sempre
nemico del bene. Ma l'entusiasmo, la vita, le virtù splendide dei popoli liberi,
non pare che si possano compatire con questa costituzione. Tolte le due molle
dell'ambizione e della cupidigia, vale a dire dell'interesse proprio; {tolta quasi la molla della speranza, almeno della grande
speranza;} deve seguirne l'inattività, e il poco valore in tutto il
significato di questa parola, la poca forza {nazionale}
ec. L'interesse proprio non essendo legato con quello della patria, o per lo
meno, con quello del di lei avanzamento, giacchè questo avanzamento non sarebbe
922 legato, o certo poco legato, coll'avanzamento
individuale, e di quello stesso che avesse procurato l'avanzamento della patria;
di più non partecipando, se non pochissimi al governo, e quindi la moltitudine,
non sentendo intimamente di far parte della patria, e d'esser compatriota de'
suoi capi; l'amor patrio in questo tal popolo, o non deve formalmente e
sensibilmente esistere, o certo non dev'esser molto forte, nè cagione di grandi
effetti, nè capace di spingere l'individuo a grandi sacrifizi.
[922,1] Il fatto dimostra queste mie osservazioni. Perchè una
conseguenza immancabile di questa costituzione, dev'essere, secondo il mio
discorso, che un tal popolo, ancorchè libero, e quanto all'interno, durevole
nella sua libertà, e nel suo stato pubblico, tuttavia non possa essere
conquistatore. Ora ecco appunto che Arriano ci dice, come gl'indiani non solo non furono mai
conquistatori, ma per una parte, da Bacco e da Ercole in poi
era opinione οὐδένα
ἐμβαλεῖν ἐς γῆν τῶν ᾽Iνδῶν ἐπὶ πολέμῳ
*
, fino ad Alessandro (l. c. cap. 9. sect. 10.
p. 569.); ed ecco la cagione per cui anche senza troppa forza
nazionale, {ed interna,} il loro stato potè durare
lungamente: per l'altra parte era pure opinione {(sect. 12. p. cit.)}
οὐ μὲν δὴ οὐδὲ ᾽Iνδῶν τινα ἔξω τῆς οἰκείης σταλῆναι ἐπὶ
πολέμῳ, διὰ δικαιότητα
*
(ad bellum missum
923 esse. interpres). E altrove più brevemente: (c. 5. sect. 4. p. 558.) Oὗτος ὦν ὁ Mεγασϑένης λέγει, οὔτε ᾽Iνδοὺς ἐπιστρατεῦσαι οὐδαμοῖσιν
ἀνϑρώποισιν, οὔτε ᾽Iνδοῖσιν ἄλλους ἀνϑρώπους.
*
Cioè fino ad
Alessandro. {+Conseguenza naturale della detta costituzione, sebbene
Arriano lo riferisce
staccatamente, e come indipendente, e non vede la relazione che hanno queste
cose tra loro. V. p. 943. capoverso
2.}
[923,1] Il fatto sta che siccome nessuna nazione è così atta
alla qualità di conquistatrice, come una nazione libera, il che apparisce dal
fatto, e da quello che ho ragionato nel pensiero antecedente ec; così anche è
pur troppo vero che il maggior pericolo della libertà di un popolo nasce dalle
sue conquiste e da' suoi qualunque ingrandimenti, che distruggono appoco
l'uguaglianza, senza cui non c'è vera libertà, e cangiano i costumi, lo stato
primitivo, l'ordine della repubblica; sicchè finalmente la precipitano nella
obbedienza. Cosa anche questa dimostrata dal fatto. (4-6. Aprile.
1821.).