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[1486,1]  Consideriamo ora le conseguenze di questo effetto. Si riguardano i sinonimi come ricchezza di una lingua. Ma ella è ricchezza secondaria, e la principal ricchezza e varietà è quella che ho detto p. 1479. Ora la ricchezza dei sinonimi nuoce sommamente a questa. La lingua italiana ha più sinonimi assai che la latina. È ella perciò più ricca di lei? Figuriamoci che 30,m. voci latine, tutte  1487 distinte di significato, sieno passate nella lingua italiana, ma in modo che in vece di 30,000 cose, ne significhino solo 10,000: tre parole per significato. Che giova all'italiano il poter dire quelle 10,000 cose ciascuna in tre modi, se quelle altre ventimila che i latini significavano distintamente, egli non le può significare, o solo confusamente? Questa è povertà, non ricchezza. Non è ricco quegli il cui podere abbonda di vigna e di frutta, e manca di grano; nè quegli che abbonda del superfluo e manca del necessario.

[1499,2]  Dalla teoria che abbiamo dato dei sinonimi si deducono alcune osservazioni intorno alla  1500 diramazione e diversità delle lingue nate da una stessa madre, massime da una madre già formata, colta, ricca, letterata ec. Nata appoco appoco la sinonimia nella lingua madre, e quindi diffusa questa in diverse parti, non tutti i sinonimi passano a ciascuna lingua figlia, ma solamente alcuni a questa, altri a quella. E questa è pur una delle cagioni della maggior ricchezza e proprietà delle lingue antiche. Le lingue figlie di una madre già formata, per lo più sono meno ricche di lei. Il tempo dopo aver soppresso le differenze de' significati (sia prima della diffusione, e presso la nazione originariamente partecipe di quella lingua, sia molto più dopo, e presso le nazioni che sempre corrottamente la ricevono e sempre mancante e povera, per la ignoranza e la difficoltà d'imparare una lingua nuova, e l'impossibilità di ricevere e praticar tutta intera una {tal} lingua ricca ec. ec.), il tempo, dico, sopprime quindi naturalmente una buona parte de' sinonimi, conservandone solo uno o due per significato, che prevalendo appoco appoco nell'uso, fanno dimenticar gli altri ec. Così le lingue perdono  1501 appoco appoco necessariamente di ricchezza e di proprietà, a causa della sinonimia. Oltre che le lingue figlie, nascendo da corruzione, e dagli stessi danni che il tempo reca alla sostanza materna, non la possono mai di gran lunga ereditar tutta intera. {+E così il fondo delle lingue si va sempre scemando se per altra parte non si accresce, e le lingue che nascono sono sempre più povere di quelle che le producono, almeno nei principii.}

[1822,1]  Quanto una lingua è più ricca e vasta, tanto ha bisogno di meno parole per esprimersi, e viceversa quanto è più ristretta, tanto più le conviene largheggiare in parole per comporre un'espressione perfetta. Non si dà proprietà di parole e modi senza ricchezza e vastità di lingua, e non si dà brevità di espressione senza proprietà. Quindi la lingua francese che certo non può gloriarsi di vastità (altrimenti non sarebbe universale), si gloria indarno di brevità; quasi che la brevità de' periodi fosse lo stesso che la brevità dell'espressione, o che slegatura e  1823 e brevità fossero una cosa. V. il Sallustio di Dureau Delamalle. t. 1. p. CXIV. (1. Ott. 1821.).

[1969,1]  La lingua ebraica non è solamente povera riguardo a noi, per la scarsezza di scritture che abbiamo in quella lingua, ma è povera quanto a se stessa, povera nelle stesse scritture che abbiamo, e in proporzione della stessa loro scarsezza, nella qual proporzione potrebb'essere assai più ricca, anzi potrebb'essere in quella proporzione tanto ricca quanto le più ricche del mondo. Male pertanto si riferisce la sua povertà alla detta cagione, facendone una povertà relativa a noi soli. Le vere cagioni le dico altrove p. 806 pp. 1289-91 {+Bensì è vero che l'essere stata poco scritta ne' suoi buoni tempi, n'è la principale, ma non relativa, cagione.} (23.[22.] Ott. 1821.).

[1993,2]  La lingua francese ricevette una certa forma, e venne in onore prima dell'italiana, e forse anche della spagnuola, mercè de' poeti provenzali che la scrivevano ec. Onde sulla fine stessa del ducento, e principio di quel trecento che innalzò la lingua italiana su tutte le vive d'allora, si stimava in italia la parlatura francesca * esser la più dilettevole e comuna di tutti gli altri linguaggi parlati * ;  1994 si scriveva in quella piuttosto che nella nostra, stimandola più bella e migliore * ec. v. Perticari, del 300. p. 14-15. Ma la buona fortuna dell'italia volle che nel 300, cioè prima {assai} che in nessun'altra nazione, sorgessero in essa tre grandi scrittori, giudicati grandi anche poscia, indipendentemente dall'età in cui vissero, i quali applicarono la nostra lingua alla letteratura, togliendola dalle bocche della plebe, le diedero stabilità, regole, andamento, indole, tutte le modificazioni necessarie per farne una lingua non del tutto formata, ch'era impossibile a tre soli, ma pur tale che già bastasse ad esser grande scrittore adoperandola; la modellarono sulla già esistente letteratura latina ec. Questa circostanza, indipendente affatto dalla natura della lingua italiana, ha fatto e dovuto far sì che l'epoca di essa lingua si pigli necessariamente  1995 d'allora in poi, cioè da quando ell'ebbe tre sommi scrittori, che l'applicarono decisamente alla letteratura, {all'altissima poesia,} alle grandi e nobili cose, alla filosofia, alla teologia (ch'era allora il non plus ultra, e perciò Dante col suo magnanimo ardire, pigliando quella linguaccia greggia ed informe dalle bocche plebee, e volendo innalzarla fin dove si può mai giungere, si compiacque, anche in onta della convenienza e buon gusto poetico, di applicarla a ciò che allora si stimava la più sublime materia, cioè la teologia). Questa circostanza ha fatto che la lingua italiana contando oggi, a differenza di tutte le altre, cinque interi secoli di letteratura, sia la più ricca di tutte; questa che la sua formazione e la sua indole sia decisamente antica, cioè bellissima e liberissima, con gli altri infiniti vantaggi delle lingue antiche (giacchè i cinquecentisti che poi decisamente la formarono, oltre  1996 che sono antichi essi stessi, e che si modellarono sugli antichi classici latini e greci seguirono ed in ciò, e in ogni altra cosa il disegno e le parti di quella tal forma che la nostra lingua ricevette nel 300. e ch'essi solamente perfezionarono, compirono, e per ogni parte regolarono, uniformarono, ed armonizzarono); questa circostanza ha fatto che la nr̃a[nostra] lingua non abbia mai rinunziato alle parole, modi, forme antiche, ed all'autorità degli antichi dal 300 in poi, non potendo rinunziarvi se non rinunziando a se stessa, perchè d'allora in poi ell'assunse l'indole che la caratterizza, e fu splendidamente applicata alla vera letteratura. Questa circostanza è unica nella lingua italiana. La spagnuola le tenne dietro più presto che qualunqu'altra, ma solo due secoli dopo. Dal 500. dunque ella prende la sua epoca, ed ella è la più antica di fatto e d'indole, dopo  1997 l'italiana. La lingua francese non ebbe uno scrittore assolutamente grande e da riconoscersi per tale in tutti i secoli, prima del secolo di Luigi 14. o in quel torno. (Montagne nel 500. o non fu tale, o non bastò, o non era tale da formare e fissare bastantemente una lingua.) Quindi la sua epoca non va più in là, ella conta un secolo e mezzo al più, l'autorità degli antichi è e dev'esser nulla per lei. Dove comincia la vera e propria letteratura di una nazione quivi comincia l'autorità de' suoi scrittori in punto di lingua.

[2386,3]  La lingua italiana ha un'infinità di parole ma soprattutto di modi che nessuno ha peranche adoperati. - Ella si riproduce illimitatamente nelle sue parti. Ella è come coperta tutta di germogli, e per sua propria natura, pronta sempre a produrre nuove maniere di dire. - Tutti i classici o buoni scrittori crearono continuamente nove frasi. Il vocabolario ne contiene la menoma parte: e per verità il frasario di un solo  2387 di essi, massime de' più antichi ec. formerebbe da se un vocabolario. Laonde un vocabolario che comprenda tutti i modi di dire, ottimi e purissimi, adoperati da' classici italiani, e dagli stessi soli testi di lingua, sarebbe impossibile. Quanto più uno che comprendesse tutti gli altri egualmente buoni che sono stati usati, o che si possono usare in infinito! Usarli dico e crearli nuovamente, e nondimeno con sapore e natura tutta antica: anzi non la moderna, ma la sola antica lingua italiana possiede ed è capace di questa fecondità. - Deducete da ciò l'ignoranza di chi condanna quanto non trova nel Vocabolario. E concludete che la novità de' modi è così propria della lingua italiana, e così perennemente ed essenzialmente, ch'ella non può conservare la sua forma antica, senza conservare in atto la facoltà di nuove fogge. (5. Feb. 1822.).

[2397,2]  Il Vocab. della Crusca non ha interi due terzi delle voci, {o significati e vari usi loro,} e nè pure un decimo dei modi di quegli stessi autori e libri che registra nell'indice. E questi non sono appena una terza o quarta parte di quegli autori e libri italiani de' buoni secoli che secondo ogni ragione vanno considerati e sono autentici nella lingua, anche nella pura lingua antica. Aggiungeteci ora i libri moderni bene scritti, e le voci e modi che usati o non usati ancora da buoni scrittori, sono necessarissimi a chi vuole scriver  2398 (com'è dovere) delle cose presenti, e a' presenti o futuri, massime le spettanti alle scienze immateriali o materiali, e che tutti mancano al Vocabolario; si può far ragione che questo non contenga più d'una quarantesima parte della lingua italiana in genere (a dir molto); e non più d'una trentesima dell'antica in particolare, ossia di quella che s'ha per classica. Del che non si può far carico ai compilatori, se non quanto alle mancanze relative agli autori de' quali professano d'aver fatto spoglio e formatone il vocabolario. Perchè del resto nessuna lingua viva ha, nè può avere un vocabolario che la contenga tutta, massime quanto ai modi, che son sempre (finch'ella vive) all'arbitrio dello scrittore. E ciò tanto più nell'italiana (per indole sua). La quale molto meno può esser compresa in un vocabolario, quanto {ch'}ella è più vasta di tutte le viventi: mentre veggiamo che nè pur la greca ch'è morta, s'è potuta mai comprendere in un Vocabolario nè men quanto alle voci, che ogni nuovo scrittore, ne porta delle nuove.  2399 {+Molto meno quanto ai modi ne' quali ell'è infinita e a disposizione degli scrittori, come appunto la nostra, e ciascuno scrittor greco ne forma de' nuovi a suo piacere, e in gran numero.} Or non è cosa ridicolissima che mentre nessun'altra nazione stima che la sua lingua sia determinata e prescritta dal suo vocabolario, non ostante che questo sia molto meglio fatto, molto più esteso (relativamente) del nostro, e che la lingua loro possa più facilmente o meglio esser compresa in un vocabolario; noi la cui lingua è impossibile (sopra qualunque altra) che vi si possa comprendere, che di più, abbiamo un vocabolario inesattissimo nelle cose stesse che porta, molto più inferiore alla ricchezza della nostra lingua di quello che le convenga o se le debba perdonare di essere, fatto sopra un piano sopra cui nessun altro è fatto, cioè sopra il piano dell'antico, mentre noi siamo moderni, e della pura autorità quando la lingua è viva; noi dico vogliamo che un vocabolario così ridondante d'imperfezioni, e poco proprio della lingua nostra {(e d'ogni lingua viva),} abbia su di questa una virtù, {un'autorità} e un dominio, che i più perfetti vocabolari delle altre nazioni (anche nazioni unite come la francese e l'inglese) nè si arrogano, nè sognano, nè pensano che  2400 sia menomamente proprio dell'essenza loro, nè compatibile colla natura delle lingue vive, e che nessuno s'immagina mai di riconoscere in essi. (29. Marzo. Venerdì dell'Addolorata. 1822.).

[2415,3]  Una lingua non è bella se non è ardita, e in ultima analisi troverete che in fatto di lingue, bellezza è lo stesso che ardire. E che altro sarebb'ella? L'armonia ec. del suono delle parole? Quest'è una bellezza affatto esterna, e della quale poco o nulla si può convenire, essendo diversissime in questo genere le opinioni e i gusti, secondo le nazioni e i secoli. Per noi è bruttissimo il suono delle parole orientali, e per gli orientali altrettanto sarà delle nostre. E parlando esattamente che cosa intendiamo noi dell'armonia della lingua greca che pur chiamiamo bellissima? Che sentimento, che gusto  2416 ne proviamo noi, se non, per dir poco, incertissimo, confusissimo, e superficialissimo? Certo è che l'armonia della lingua nostra, qualunque ella sia, ed ancorchè asprissima, ci diletta, ed è sentita da noi molto più che quella della lingua greca, e quindi non avremmo alcuna ragione di preferir questa lingua per la bellezza, neppure alla tedesca, o alla russa. Forse la bellezza consisterà nella ricchezza? Ricchezza di frasi e di modi non si dà se non in una lingua ardita, perchè di forme esatte e matematiche, tutte le lingue ne sono o ne possono essere egualmente ricche nè più nè meno: e questa ricchezza non può molto stendersi, essendo limitatissima per natura sua: giacchè la dialettica poco può variare, anzi derivando da principii uniformi e semplicissimi, tende e produce naturalmente somma uniformità e semplicità di dicitura. La ricchezza poi di parole puramente, giova alla bellezza, ma non basta di gran lunga; ed anch'essa è una qualità quasi estrinseca, e senza quasi accidentale alla lingua, la quale senza punto punto alterarsi, o scomporsi in niun  2417 modo può essere ed è, oggi più abbondante di parole, domani meno, secondo le circostanze nazionali, commerciali, politiche, scientifiche ec. Infatti la lingua francese è in verità ricchissima di parole, massime in filosofia, scienze, conversazione, manifatture, e in ogni uso e materia di società, di commercio ec. ec. e non per questo è bella, nè più bella dell'italiana, e neanche della spagnuola. La vera e non accidentale, ma essenziale bellezza di una lingua, quella che non si può perdere, se la lingua non si corrompe formalmente, è una bellezza intrinseca, e spetta all'indole della lingua; e questa non può consistere in altro che nell'ardire. Or questo ardire che cos'è, fuorchè la libertà di non essere esatta e matematica? Giacchè quanto all'esattezza, torno a dire, tutte le lingue ne sono egualmente capaci, e tutte per mezzo suo posson divenire, e diverrebbero uniformi affatto nell'indole, essendo la ragione, una; e non trovandosi varietà se non se nella natura. Quindi se lingua bella è lingua ardita e libera, ella è parimente lingua non esatta, e non obbligata  2418 alle regole dialettiche delle frasi, delle forme, e generalmente del discorso. Osservate tutte le lingue chiamate belle, antiche e moderne, greca, latina, italiana, spagnuola: in tutte troverete non altra bellezza propriamente che ardire, e questo ardire non posto in altro che nelle cose sopraddette. Osservate anche gli scrittori chiamati belli ed eleganti in ciascuna di tali lingue, e paragonateli con quelli che non lo sono. Osservate per se, ciascuna frase, forma ec. chiamata bella ed elegante, e paragonatela ec. Non v'è lingua bella che non sia lingua poetica, cioè non solo capace, anzi posseditrice d'una lingua distintamente poetica (come l'hanno tutte le suddette, e come non l'ha la francese), ma poetiche, generalmente parlando, eziandio nella prosa, benchè senza affettazione; vale a dir poetiche in quanto lingue, e non quanto allo stile, come sono sconciamente, e discordantissimamente poetiche tutte le prose francesi. Or lingua poetica, è lingua non matematica,  2419 anzi contraria per indole allo spirito matematico. (La sascrita, riputata bellissima fra le orientali, è notatamente arditissima e poeticissima.)

[2507,1]  Cresciuta, formata, stabilita la lingua, e la letteratura {+di una nazione,} interviene le più volte, che introducendosi il commercio fra questa ed altre lingue e letterature, parte l'uso, e l'assuefazione di udire voci e modi forestieri, parte la necessità di riceverne insieme cogli oggetti coi libri coi gusti cogli usi colle idee che da' forestieri si ricevono, parte l'amor delle cose straniere e la sazietà delle proprie, ch'è naturale a tutti gli uomini sempre inclinati alla novità (v. Omero Odiss. 1. v. 351-2.), parte fors'anche altre cagioni riempiono la favella nazionale di voci e modi forestieri in guisa che appoco appoco, dimenticate o disusate le voci e maniere proprie, divien più facile il parlare e lo scrivere con quelle de' forestieri, che s'hanno più alla mano, e s'usano più giornalmente, e più familiarmente. Ed ecco un'altra volta introdotto il barbarismo nella lingua  2508 e letteratura nazionale, ma per tutt'altra cagione e fine, e con tutt'altro effetto che l'eleganza e l'arricchimento loro. Quanto all'arricchimento, questo è il punto in cui la lingua nazionale comincia a scadere e scemare sensibilmente, e impoverirsi, e indebolirsi fino al segno che dimenticate e antiquate la maggiore o certo grandissima parte delle sue voci e modi, e anche delle sue facoltà, ella non ha più forza nè capacità di supplire ai bisogni del linguaggio, e di fornire un discorso del suo, senza ricorrere al forestiero. {+(E la nostra lingua è già vicina a questo segno, non solo per le ricchezze proprie ch'avrebbe dovuto venire acquistando, e non l'ha fatto, ma anche per quelle infinite ch'aveva già, ed ha perdute, e molte irrecuperabilmente).} E così dico della letteratura.

[2581,1]  La ricchezza, il numero e l'estensione, ampiezza ec. delle facoltà di una lingua, è per lo più in proporzione del numero degli scrittori che la coltivarono prima delle regole esatte, {della grammatica,} e della formazione del Vocabolario. {+La lingua francese che ha rinunziato all'autorità di tutti gli scrittori propri anteriori alla sua grammatica e al suo Vocabolario (ch'erano anche pochi e di poco conto, e perciò hanno potuto essere scartati), è la meno ricca, e le sue facoltà son più ristrette che non son quelle di qualunqu'altra lingua del mondo. V. p. 2592.} (25. Luglio, dì di S. Giacomo, 1822).

[2630,2]  Ho detto p. 244 che gli scrittori greci hanno ciascuno un vocabolarietto a parte, dal quale  2631 non escono mai o quasi mai, e nella totalità del quale ciascun d'essi si distingue benissimo da ciascun altro, e ch'esso vocabolario, massime ne' più antichi è molto ristretto, e che la lingua greca ricchissima in genere, non è più che tanto ricca in veruno scrittore individuo; e tanto meno è ricca quanto lo scrittore è più antico e classico, e quindi i più antichi e classici si distinguono fra loro nelle parole e frasi più di quel che facciano parimente fra loro i più moderni, che son più ricchi assai, ed abbracciano ciascuno una maggior parte della lingua, onde debbono aver fra loro più di comune che gli antichi non hanno fra loro medesimi, come che le parole e frasi di ciascuno generalmente prese, sieno tutte ugualmente proprie della lingua.

[2633,1]   2633 Dalle suddette cose si può conoscere che l'immensa ricchezza della lingua greca, non pregiudicava alla facilità di scriverla, e quindi non s'opponeva alla sua universalità, non essendo necessaria più che tanta ricchezza (o usata o conosciuta e posseduta) non solo per iscrivere e parlar greco, ma eziandio per iscriverlo e parlarlo egregiamente; e bastando poche radici per questo; poichè restavano liberi i composti all'arbitrio dello scrittore, o quando anche non restassero liberi, infiniti composti e derivati portava seco ciascuna radice, onde lo scrittore pratico di poche radici veniva subito ad avere una lingua molto sufficiente a tutti i suoi bisogni. Il che scemava infinitamente la difficoltà che si prova nelle lingue, perchè un vocabolario sufficientissimo  2634 allo scrittore o parlatore si riduceva sotto pochi elementi, e procedeva da pochi principii ossia radici, e quindi era molto più facile ad impararlo ed impratichirsene, che se esso senza essere niente maggiore, avesse contenuto tutta la lingua, ma fosse proceduto da più numerose e diverse radici. Tutte queste circostanze siccome quelle notate nel pensiero precedente non si trovavano nella lingua latina, che meno ricca della greca, era però per la sua ricchezza più difficile a scrivere e a parlare che la greca non fu, perchè la ricchezza (ancorchè minore) della latina, bisognava averla tutta in contanti, a volere scrivere e parlar latino, e massimamente a farlo bene. E l'orecchie latine erano delicatissime come le francesi, circa il vero e  2635 proprio andamento {(e la purità)} della loro lingua, che rispetto alla greca era liberissimo, cioè sommamente vario, ed in gran parte ad arbitrio. (8. Ottobre. 1822.).

[2655,2]  Quin adeo de fin. I. 3. ausus est Cicero latinam quoque linguam dicere locupletiorem quam graecam, qua de re saepe se disseruisse confirmat. Sed contradicunt merito primum ipse Cicero tusc. II. 15. et apud Augustinum contra acad. II. 26; tum Lucretius I. 140. 831; Fronto apud Gellium II. 26. * Maius ad Cic. de repub. p. 67. not. (18. Dic. 1822.).

[2715,3]  Ho detto altrove pp. 787. sgg. che la lingua francese, povera di forme, è tuttavia ricchissima e sempre più si arricchisce di voci. Distinguo. La lingua francese è povera di sinonimi, ma ricchissima di voci denotanti ogni sorta di cose e di idee, e ogni menoma parte di ciascuna cosa e di ciascuna idea. Non può molto variare nella espressione d'una cosa medesima, ma può variamente esprimere le più varie e diverse cose. Il che non possiamo noi, benchè possiamo ridire  2716 in cento modi le cose dette. Ma certo è sempre varia quella scrittura che può esser sempre propria, perchè ad ogni nuova cosa che le occorre di significare, ha la sua parola diversa dalle altre per significarla. Anzi questa è la più vera, la più sostanziale, la più intima, la più importante, ed anche la più dilettevole varietà di lingua nelle scritture. E quelle scritte in una lingua soprabbondante di sinonimi, per lo più sono poco varie, perchè la troppa moltitudine delle voci fa che ciascheduno scrittore per significare ciaschedun oggetto, scelga fra le tante una sola o due parole al più, e questa si faccia familiare e l'adoperi ogni volta che le occorre di significare il medesimo oggetto; e così ciascheduno scrittore in quella lingua abbia il suo vocabolarietto diverso da quel degli altri, e limitato: come altrove ho detto pp. 244-45 pp. 2386-87 pp. 2397-400 pp. 2630-32 accadere agli scrittori greci ed italiani. E osservo che sebbene  2717 la lingua greca è molto più varia della latina, nondimeno per la detta ragione le scritture greche, massime quelle degli ottimi e originali, sono meno varie delle latine per ciò che spetta ai vocaboli e ai modi. (23. Maggio 1823.). {{V. p. 2755.}}

[2755,1]  Alla p. 2717. Dico che la lingua francese è più ricca dell'italiana quanto alle parole non sinonime. Intendo de' nomi e de' verbi. Nelle altre parti dell'orazione la ricchezza nostra è incomparabile non solo colla lingua francese, ma pur colla latina, e forse con ogni lingua viva. Questa ricchezza è utile, e reca alla nostra lingua un'immensa ed inesauribile fecondità di frasi  2756 e di forme, e allo scrittore italiano la facoltà di poterne sempre foggiar delle nuove, non solo conformi all'indole e proprietà della lingua, ma che non paiano neppur nuove (forse neanche allo stesso scrittore), perchè nascono come da se, dal fondo della lingua, chi ben lo conosce, e lo sa coltivare e scaturiscono dalla natura di essa. Da ciò deriva una incredibile varietà. Ma la sostanziale e necessaria ricchezza di una lingua non può consistere nelle particelle ec.: bensì ne potrebbe nascere, se queste si applicassero alla composizione delle parole, come fa la lingua greca, la quale è ricchissima di nomi e di verbi (che sono la sostanza e la principal ricchezza di una favella) non per altra cagione principalmente, se non per la estrema abbondanza di preposizioni e particelle d'ogni sorta, e per l'uso larghissimo ch'ella ne fa nella composizione d'ogni maniera di vocaboli. (5. Giugno. ottava del Corpus Domini. 1823.).

[3860,2]  Egli è costante, ed io in molti luoghi l'ho sostenuto pp. 754-56 pp. 780-83 [p. 794] [p. 795],  3861 che crescendo le cose, la lingua sempre si accresce e vegeta. Ma appunto per la stessa ragione, arrestandosi e mancando la vita, si ferma e impoverisce e quasi muore la lingua, com'è avvenuto infatti dal 600 in qua agli spagnuoli ed a noi, le cui lingue di ricchissime e potentissime che furono, si sono andate e si vanno di mano in mano continuatamente scemando, restringendo e impoverendo, e sempre più s'impoveriscono e perdono il loro esser proprio, e le ricchezze lor convenienti, cioè le proprie, perchè le altrui ch'esse acquistano, molto incapaci d'altronde di compensare le loro perdite, non sono di un genere che si convenga alla natura loro. Veramente le dette lingue vanno morendo. Perchè in fatti la spagna e l'italia, dal 600 in qua, e negli ultimi tempi massimamente, non ebbero e non hanno più vita, non solo nazionale, ch'elle già non sono nazioni, ma neanche privata. Senz'attività, senza industria, senza spirito di letteratura, d'arti ec. {senza spirito nè uso di società,} la vita degli spagnuoli e degl'italiani si riduce a una routine d'inazione, d'ozio, d'usanze vecchie e stabilite, di spettacoli e feste {regolate} dal Calendario, di abitudini ec. Mai niuna novità fra {loro} nè nel pubblico nè nel privato, di sorta nessuna che dimostri in alcun modo la vita. Tutto quello ch'e' possono fare si è di ricevere in elemosina un poco di novità sia di cose, sia di costumi, sia di pensieri, e quasi un fiato di falsa ed aliena vita, dagli stranieri. Questi sono che ci muovono  3862 quel pochissimo che noi siamo mossi. Se noi non siamo ancora dopo un sì rapido corso del resto d'europa allo stato e grado in cui era la civiltà umana due o tre secoli addietro, (e gli spagnuoli vi sono quasi ancora, e noi siam pure addietro delle altre nazioni), son gli stranieri soli che ci hanno portati avanti. Noi non abbiam fatto un passo nella carriera, nè abbiamo nulla contribuito all'avanzamento degli altri, come gli altri hanno fatto ciascuno per la sua parte. Noi non abbiam camminato, noi siamo stati trasportati e spinti. Noi siamo e fummo affatto passivi. Quindi è ben naturale che noi siam passivi nella lingua eziandio, la quale segue sempre e corrisponde perfettamente alle cose. Noi abbiam pochissima conversazione, ma questa pochissima è straniera; conversazione italiana non esiste; quindi è ben naturale che la conversazione d'Italia non sia fatta in lingua italiana, e tutto ciò che ad essa appartiene, {+e questo è moltissimo, e di generi assai moltiplice, e coerente con molte parti della vita, costumi, letteratura ec.} sia espresso in voci straniere, e non abbia in italiano parole nè modi che lo significhino. Noi non possiamo avere lingua propria moderna perchè oggi non viviamo in noi, ma quanto viviamo è in altri, e per altrui mezzo, e di vita altrui, ed anima e spirito e fuoco non nostro. Poichè la vita ci vien d'altronde, è ben naturale che di fuori e non altrimenti, ci venga la lingua che in questa vita usiamo. E così dico della letteratura. E quel che dico dell'italia, dico  3863 altresì della Spagna, la quale però dal 600 in poi (come anche al suo buon tempo) vive e ha vissuto men dell'italia, non per altro se non perchè meno communicando cogli stranieri, men vita ha ricevuto di fuori, {+non che per se stessa ell'abbia avuto molto men vita di noi,} e forse anche per suo carattere è meno atta a tal comunione, e a ricevere la vita altrui. E quindi la sua lingua e letteratura, isterilendosi, decrescendo, scemando, perdendo e riducendosi a nulla quanto la nostra ha fatto, si è forse contuttociò meno imbarbarita ec. della nostra: che non so se si debba contare per maggior male o bene ec. (10-11. Nov. 1823.).

[4050,7]  Povertà di parole nella lingua francese appetto all'italiana. V. il cit. tomo di Voltaire p. 207. nella nota, numero 3. (21 Marzo. 1824.).

[4052,1]  La ricchezza e varietà e potenza {e fecondità} della lingua italiana non solo s'ha a considerare nella copia de' suoi vocaboli e modi e nella gran facoltà di formarne, ma eziandio nella gran moltitudine e varietà di tipi per così dire o coni che ella ha per poter formare voci e modi di uno stesso genere di significazione. (formati già moltissimi, e da potersene formar con giudizio, sempre che si voglia e bisogni). Servano di esempio le tante desinenze frequentative o diminutive o disprezzative ec. de' verbi, da me annoverate altrove pp. 1116-17 pp. 1240-42 p. 3764. Le tante diminutive de' nomi ec. ec. Nella quale abbondanza di coni la lingua nostra vince d'assai, non che le lingue sorelle, ma la latina e la greca, e forse qualunque lingua del mondo antica o moderna. Nè questa abbondanza produce confusione nè indeterminazione, perchè detti coni sebbene sommamente moltiplici in ciascun genere, sono però di qualità e di valore ben determinato ed applicato e appropriato al suo genere di significazione. (21. Marzo. 1824.).

[4055,6]  La lingua spagnuola è già conformissima all'italiana per indole (oltre all'estrinseco) quanto possa esser lingua a lingua. Ma più conforme sarebbe, se ella fosse stata egualmente coltivata, formata e perfezionata, cioè avesse avuto ugual numero e varietà e capacità di  4056 scrittori che ebbe l'italiana. Dalla piega che ella prese effettivamente si raccoglie che quando avesse progredito, la forma e l'indole che avrebbe avuta in uno stato di perfezione non sarebbe stata punto diversa dall'italiana, alla quale per conseguenza la lingua spagnuola sarebbe stata tanta[tanto] più conforme che ora per la maggior conformità di grado e di perfezione, perchè ora la maggiore, anzi forse unica differenza che passi tra il genio {o piuttosto} la forma intrinseca di queste due lingue, si è che l'una è molto meno formata e perfezionata dell'altra, e anche men ricca, il che con la copia degli scrittori e delle materie non sarebbe stato. (1. Aprile. 1824.).

[4102,5]  Al detto altrove pp. 735-40 della somma facoltà e fecondità della lingua greca, non ancora esaurita nè spenta, aggiungi che oggidì chi vuol sostituire al suo proprio qualche nome finto espressivo di qualche cosa, o dar nome significativo a qualche personaggio immaginario, {+come Moliere nel Malato immaginario, nei nomi de' medici.} o nominar qualche nuovo essere allegorico, o nuovamente nominare i già consueti ec. ec. non ricorre ordinariamente ad altra lingua (qualunque sia la sua propria, in tutta l'europa e america civile) che alla greca. (15. Giugno. Festa di S. Vito Protettore di Recanati. 1824.).

[4202,1]  La ricchezza della lingua greca, e la decisa differenza di stili che ella ammetteva, differenza così grande, che faceva quasi di ciascuno stile una lingua diversa, si può conoscere anche dal veder che gli antichi ebbero dei lessici voluminosi dedicati a un qualche stile in particolare, come noi potremmo far lessici a parte per la nostra lingua poetica o prosaica (due divisioni che la nostra lingua ammette, ma la greca assai più). Eccovi in Fozio Bibliot. i capi o codici 146. 147. {Λεξικòν} τῆς καϑαρᾶς ἰδέας * (cioè styli simplicis o cosa simile). ᾽Aνεγνώσϑη λεξικὸν κατὰ στοιχεῖον καϑαρᾶς ἰδέας. μέγα καὶ πολύστιχον τὸ βιβλίον· μᾶλλον δὲ πολύβιβλoς ἡ πραγματεία. καὶ χρήσιμον, εἴπερ τι ἄλλο, τoῖς τòν χαρακτῆρα μεταχειριζομένοις τῆς τοιαύτης ἰδέας. 147. Λεξικòν σεμνῆς ιδέας. ᾽Aνεγνώσϑη λεξικòν σεμνῆς ἰδέας. εἰς μέγεϑoς ἐξετείνετο τὸ τεῦχος, ὡς ἄμεινον εἶναι δυσὶ μᾶλλον τεύχεσιν ἢ τρισὶ τoῖς ἀναγινώσκoυσι τὸ ϕιλοπóνημα * (solemnis Photio vox hoc sensu) περιέχεσϑαι. κaτὰ στοιχεῖον δὲ ἡ πραγματεία. καὶ δῆλον ὡς χρησίμη τoῖς εἰς μέγεϑoς καὶ ὄγκoν ἐπαίρειν τoὺς λόγους αὐτῶν ἐν τῷ συγγράϕειν ἐϑέλουσιν. * 146. Lexicon Purae Ideę. Lexicon legi Ideę purę litterarum ordine. Magnus est hic liber, ut multi potius, quam unus esse videatur. Utilis autem, si quis alius, iis est, qui hanc Ideam tractant. 147. Lexicon Gravis styli. Legi Ideae gravioris Lexicon, quod ipsum quoque in immensum crevit, ut legentibus aptius fore arbitrer, si in duos opus illud, aut tres tomos distribuatur. Digestum item est litterarum ordine, patetque utile esse iis, qui sublimi tumidoque dicendi genere excellere studio habent * (Schotti versio.) (Bologna. 22. Settembre. 1826.).

[4291,2]  Dice la Staël che la lingua tedesca è una scienza, e lo stesso si può, e con più ragione ancora, dir della greca. Quindi è accaduto che siccome le scienze si perfezionano, e i moderni sono in esse superiori agli antichi, per le più numerose e accurate osservazioni, così e per lo stesso mezzo la notizia del greco, dal rinascimento degli studi, si è accresciuta e si accresce tuttavia, e che i moderni sono in essa d'assai superiori a quelli del 5 o del 4 cento, e forse in alcune parti (come in quella delle etimologie, parte così favolosamente trattata da Platone), agli stessi greci antichi; anzi, che gli scolari di greco oggidì, ne sappiano più de' maestri de' passati tempi. E come le scienze non hanno limiti conosciuti nè forse arrivabili, e nessuno si può vantare di possederle intere; così appunto accade della lingua greca, la cognizione della quale sempre si estende, nè si può conoscere se e quando arriverà al non plus ultra, nè  4292 basta l'avere spesa tutta la vita in questo studio, per potersi vantare di essere un grecista perfetto. (Firenze. 20. Sett. 1827.)

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