Tedeschi. Loro lingua, letteratura, carattere ec. ec.
Germans. Their language, literature, character, etc.
771 777 1010,2 1011,2 1013,1 1036 1244 1800,1 1895 1933-4 1946,1 1962,1 2009 2027 2063,1 2079,2-2093,2 2113 2122 2126,1 2134,1 2176,2 2177,1 2289-90 2449 2593-4 2845,1 2875,1 3196,1 3247,1 3337 3348-9 3366,1 3816,5 3865-6 4031,1 4191,4 4251 4261,2 4263 4291,2[766,1] Osservo anche questo. Noi ci vantiamo con ragione
della somma ricchezza, {copia,} varietà, potenza della
nostra lingua, della sua pieghevolezza, trattabilità, attitudine a rivestirsi di
tutte le forme, prender abito diversissimo secondo qualunque soggetto che in
essa si voglia trattare, adattarsi a tutti gli stili; insomma della quasi
moltiplicità di lingue contenute o possibili a contenersi nella nostra favella.
Ma da che cosa stimiamo noi che sieno derivate in lei queste qualità? Forse
dalla sua primitiva ed ingenita natura ed essenza? Così ordinariamente si dice,
ma c'inganniamo di gran lunga. Le dette qualità, le lingue non
767 le hanno mai per origine nè per natura. Tutte a presso a poco sono
disposte ad acquistarle, e possono non acquistarle mai, e restarsene poverissime
e debolissime, e impotentissime, e uniformi, cioè senza nè ricchezza, nè copia,
nè varietà. Tale sarebbe restata la lingua nostra, senza quello ch'io dirò.
Tutte lo sono nei loro principii, e non intendo mica nei loro primissimi
nascimenti, ma finattanto che non sono coltivate, e con molto studio ed impegno,
e da molti, e assiduamente, e per molto tempo. Quello che proccura alle lingue
le dette facoltà e buone qualità, è principalmente (lasciando l'estensione, il
commercio, la mobilità, l'energia, la vivacità, {gli
avvenimenti, le vicende, la civiltà, le cognizioni,} le circostanze
politiche, morali, fisiche delle nazioni che le parlano) è, dico, principalmente
e più stabilmente e durevolmente che qualunque altra cosa, la copia e la varietà
degli scrittori che l'adoprano e coltivano. {v. p.
1202.} Questa siccome, per ragione della maggior
durata, e di altre molte circostanze, fu maggiore nella
grecia che nel Lazio, perciò
la lingua greca possedè le dette
768 qualità, in maggior
grado che la latina; ma non prima le possedè che fosse coltivata e adoperata da
buon numero di scrittori, e sempre (come accade universalmente) in proporzione
che il detto numero e la varietà o de' soggetti o degli stili o degl'ingegni
degli scrittori, fu maggiore, e s'accrebbe. La lingua latina similmente non le
possedè (sebben meno della greca, pure in alto grado) se non quando ebbe copia
{e varietà} di scrittori. Tutte le lingue antiche e
moderne che hanno mancato di questo mezzo, hanno anche mancato di queste
qualità. Per portare un esempio (oltre le lingue Europee meno colte) la lingua
Spagnuola nobilissima, e di genio al tutto classico, e somigliantissima poi alla
nostra particolarmente, sì per lo genio, come per molti altri capi, {e sorella nostra non meno di ragione che di fatto, e di
nascita che di sembianza, costume, indole,} non è inferiore alla
nostra nelle dette qualità, se non perchè l'è inferiore principalmente nella
copia e varietà degli scrittori. Se la lingua francese, non ostante la gran
quantità degli scrittori, e degli
769 ottimi scrittori,
si giudica ed è tuttavolta inferiore alla nostra ed alle antiche per questo
verso, ciò è avvenuto per le ragioni particolari che ho più volte accennate. La
riforma di essa lingua, la regolarità prescrittale, la figura datale, avendo
uniformato tutti gli stili, la poesia alla prosa; impedita la varietà e
moltiplicità della lingua, secondo i vari soggetti e i vari ingegni; tolta la
libertà, e la facoltà inventiva agli scrittori, in questo particolare; tolto
loro l'ardire, anzi rendutinegli affatto schivi e timidi ec. ec. la
Francia è venuta a mancare della varietà degli
scrittori, non ostante che n'abbia la copia, ed abbia la varietà de' soggetti,
perchè tutti i soggetti da tutti gl'ingegni si trattano, possiamo dire, in un
solo modo. E ciò deriva anche dalla natura e forza della eccessiva civiltà di
quella nazione, e della influenza della società: così stretta e legata, che
tutti gl'individui francesi fanno quasi un solo individuo. E laddove
770 nelle altre nazioni, si cerca ed è pregio il
distinguersi, in quello è pregio e necessità il rassomigliarsi anzi
l'uguagliarsi agli altri, e ciascuno a tutti e tutti a ciascuno. Queste ragioni
rendendogli timidi dell'opinione del ridicolo ec. e scrupolosi osservatori delle
norme prescritte e comuni nella vita, li rende anche superstiziosi, timidi,
schivi affatto di novità nella lingua. Ma tutto ciò quanto {alle sole forme e} modi, perchè questi soli, sono stati fra loro
determinati, e prescritti i termini (assai ristretti) dentro i quali convenga
contenersi, e fuor de' quali sia interdetto ogni menomo passo. {+E così quanto allo stile uniforme si può
dire in tutti, e in tutti i generi di scrittura, anche nelle traduzioni ec.
tirate per forza allo stile comune francese, ancorchè dallo stile il più
renitente e disperato; e quanto in somma all'unità del loro stile, e del
loro linguaggio che ho notata altrove p.
321.} Ma non quanto alle parole, nelle quali, restata libera in
francia la facoltà inventiva, e il derivare
novellamente dalle proprie fonti, sempre aperte sinchè la lingua vive; la lingua
francese cresce di parole ogni giorno e crescerà. Che se le cavassero sempre
dalle proprie fonti, o con quei rispetti che si dovrebbe, non avrei luogo a
riprenderli, come ho fatto altrove p. 50
pp. 110-11
p. 344, e della corruzione e dell'aridità a cui {vanno} portando la loro lingua.
771 La quale
inoltre, da principio, era, come la nostra, attissima alla novità ed al
bell'ardire, anche nei modi, secondo che ho detto altrove pp. 688-90
p. 758. La lingua tedesca, rimasa per tanti secoli impotente ed
umile, ancorchè parlata da tanta e sì estesa moltitudine di popoli, non per
altro che per avere avuto nell'ultimo secolo e ne' pochi anni di questo, immensa
copia e varietà di scrittori, è sorta a si[sì]
alto grado di facoltà e di ricchezza e potenza.
[776,1] E prima di partire da questo soggetto della ricchezza
e copia e bontà generale e potenza delle lingue proccurata principalmente dalla
copia e varietà {ed ingegno} degli scrittori, osserverò
che quella medesima superiorità di circostanza ch'ebbe la lingua greca sulla
latina, e che fu seguita dall'effetto di restarle realmente e sempre superiore
nella sostanza, l'abbiamo noi pure sopra tutte le altre lingue viventi, e colte.
Perchè siccome la {coltura della} lingua greca, e gli
scrittori suoi, incominciati assai per tempo, abbracciarono lunghissimo spazio,
e il loro numero fu grande in ciascun tempo; e siccome in proporzione di questo
spazio e di questo numero, la ricchezza e varietà e potenza della lingua greca,
crebbe in modo che non potè mai essere agguagliata dalla latina: così la lingua
italiana
777 scritta già come ho detto da sei secoli in
qua, e, si può dire, in ciascun secolo, abbondãtissima[abbondantissima] di diversissimi scrittori e cultori, ha
su tutte le altre lingue moderne e colte quello stesso vantaggio di circostanza
ch'ebbe la greca sulla latina. Vantaggio che per nessuno ingegno e nessuno
sforzo e studio di nessuna nazione ci potrà mai esser levato, se noi non
vorremo. Ma ecco che noi siamo fermati, e la lingua nostra non fa più progressi.
La lingua francese infaticabilmente si accresce di tutte le parole che le
occorrono. La lingua tedesca avanza e precipita come un torrente, e guadagna
tuttogiorno vastissimi spazi, in ogni genere di accrescimento. Noi da qualche
tempo arrestati, neghittosi, ed immobili, manchiamo del bisognevole per
esprimere e per trattare la massima parte delle cognizioni e delle discipline e
dottrine moderne, ed usi e opinioni ec. ec. oggi più rapide nel crescere e
propagarsi, e variare ec. di quello che mai
778 fossero,
e in proporzione che la nostra indolenza e infingardaggine presente, è opposta
alla energia ed attività passata. Così la lingua italiana perde {il vantaggio dello} spazio che avea guadagnato per
valore de' suoi antichi e primi padri, sopra le altre lingue, e queste correndo
più velocemente che mai, fra tanto che la nostra {siede
e} dorme, riguadagneranno tutto lo spazio perduto per la inerzia de'
loro antichi, arriveranno ben presto la nostra e la passeranno. E la nostra non
solo non sarà più nè superiore nè uguale alle altre colte moderne, ma tanto
inferiore, che divenuta impotente, e buona sola a parlare o scrivere ai
bisavoli; o non saprà esprimer niente del bisognevole, nè parlare e scrivere in
nessun modo ai contemporanei; o lo farà (come già lo fa per quel poco che parla
e scrive delle cose e cognizioni moderne, o per quello che ne dice non del suo,
ma copiando o seguendo gli stranieri) invocando l'altrui soccorso, servendosi
degl'istrumenti e mezzi altrui, e quasi trasformandosi
779 in un'altra, o vogliamo dire, facendosi provincia e suddita di un regno
straniero (come i piccoli e deboli confederati de' grandi e potenti) essa ch'era
capo di tutte le lingue viventi. Laddove siccome le altre lingue (come anche le
altre letterature, e repubbliche scientifiche) raddoppiano l'energia e la
veemenza e gagliardia del loro corso, così che in breve riguadagneranno lo
spazio perduto da' loro maggiori in confronto nostro, e, se noi non ci moviamo,
ci pareggeranno finalmente ben presto, e poi ci passeranno (che in quanto a
moltissimi rami del sapere è già accaduto): così conviene che ancor noi
pareggiamo i nostri ai loro sforzi, e così non perdendo {il} vantaggio acquistato, restiamo {perpetuamente} superiori a tutti, se non nel presente valore, certo
pel detto vantaggio acquistato dagli avi, e mantenuto da noi.
[1010,2] Se i tedeschi oggidì hanno tanto a cuore, e stimano
così utile l'investigare e il conoscere fondatamente le origini della loro
lingua, e se il Morofio (Polyhist. lib. 4. cap. 4.) si lagnava che al suo tempo i
suoi tedeschi fossero trascurati nello studiare le dette origini; Dolendum
*
ec. v. Andrès, luogo cit. qui sopra, p. 249.
quanto più dobbiamo noi italiani studiare e mettere a profitto la lingua latina
(che sono le nostre origini); lingua così suscettibile di perfetta
1011 cognizione; lingua così ricca, così colta così
letterata ec. ec.; lingua così copiosa di monumenti d'ogni genere {e di tanto pregio}: laddove per lo contrario la lingua
teutonica originaria della tedesca (Andrès, ivi, p. 249. 251. 253. lin. 6. 14. 18. paragonando {anche} questi ultimi tre luoghi colla p. 266. lin.
9.) è difficilissima a conoscere con certezza, e impossibile a
conoscere se non in piccola parte, è lingua illetterata ed incolta, e
scarsissima di monumenti, e quelli che ne restano sono per se stessi di nessun
pregio (Andrès, 249-254.)
{+Aggiungete
che l'esser la lingua latina universalmente conosciuta, e stata in uso nel
mondo, ed ancora in uso in parecchie parti della vita civile, non solo giova
alla ricchezza della fonte ec. ma anche al poterne noi attingere con assai
più franchezza. Se la lingua teutonica fosse pure stata altrettanto grande e
ricca, ed a forza di studio si potesse pur tutta conoscere ec. che cosa si
potrebbe attingere da una lingua dimenticata, e nota ai soli dotti ec. ec.?
chi potrebbe intendere a prima giunta le parole che se ne prendessero? ec.
V. p. 3196.}
(4. Maggio 1821.).
[1011,2]
Alla p. 952.
Meno straniera è la lingua francese all'inglese (e perciò meno inetta ad esserle
fonte di vocaboli ec.) a cagione dell'affinità che questa seconda lingua prese
colla prima, dopo l'introduzione della lingua francese in
inghilterra, mediante la conquista fattane dai
Normanni (Andrès, luogo cit. di sopra, p.
252. fine, 255. fine-256. principio.
Annali di
Scienze e lettere. Milano. Gennaio 1811.
N.o 13. p. 30. fine.)
1012 Laddove la lingua
tedesca, secondo che il Tercier
ha ben ragione di asserire
*
, (Ac. des Inscr. tome 41.)
fra
tutte le lingue che attualmente parlansi in
europa, più d'ogni altra conserva i vestigi
della sua anzianità
*
(Andrès, ivi p. 251-252.); e più tenace e
costante di tutte le altre, ha saputo conservare dell'antica sua madre
maggior numero di vocaboli, maggior somiglianza nell'andamento, e
maggiore affinità nella costruzione.
*
(ivi. p. 253.
principio.)
(4. Maggio 1821.).
[1013,1]
Alla p. 999.
Così chi sapesse l'antica lingua teutonica, non intenderebbe perciò la tedesca,
senza espresso e fondato studio (Andrès, loco cit. di sopra, (p.
1010.) p. 253.); non ostante che la tedesca, secondo il Tercier, ec. v. p.
1014
1012. principio.
(5. Maggio 1821.).
[1035,2] Conchiudo. Se la lingua italiana, ch'è volgare, è
derivata dal latino, ella dunque non può essere
1036
derivata dal latino scritto sì diverso dal parlato, ma dirittamente viene
dall'antico volgare latino, ed è nella sostanza e nel suo fondo principale, lo
stesso che il detto volgare. E lo è per la circostanza della località (lasciando
ora le prove di fatto e di erudizione) più di quello che lo siano lo spagnuolo e
il francese. Questo ragionamento però vale per qualunque lingua derivata sì dal
latino, sì da qualunque altra lingua antica: e ciascuna lingua moderna derivata
da qualunque lingua antica, è derivata dal volgare di essa lingua, e non dallo
scritto. Che se la lingua tedesca, a detta del Tercier, è fra tutte ec. v. p. 1012. principio, questo accade perchè la lingua
antica teutonica scritta, come lingua incolta, o non bene determinata e formata
alla scrittura, come lingua illetterata ancorchè scritta, pochissimo o nulla
differiva dalla parlata e volgare. Ma altrettanta e forse maggiore uniformità si
vedrebbe fra l'italiano e l'antico volgare latino, se di questo si avesse
maggior notizia. E dico maggiore uniformità non senza ragione di fatto,
considerando la molta differenza che passa poi realmente fra l'odierno tedesco e
il teutonico (Andrès 2. 249. - 254.); e la
somma rassomiglianza che io in molti luoghi ho cercato di provare, fra
l'italiano,
1037 e il latino volgare antico. Così che
la lingua italiana in vece di essere la più moderna di tutte le viventi Europee,
come pretendono, (Andrès, 2. 256. e passim) si
verrebbe a conoscere o la più antica, o delle più antiche, perdendosi l'origine
di essa, e del suo uso, (non mai nel seguito interrotto, sebbene alterato) nella
oscurità delle origini dell'antichissimo e primo latino. A differenza dello
spagnuolo e del francese, perchè in queste nazioni l'uso del volgare latino, fu
certo molti e molti secoli più tardo che in italia.
(12. Maggio 1821.).
[1243,3] 1. Il non aver noi mai rinunziato alle nostre
1244 ricchezze di quantunque antico possesso, a
differenza della lingua francese, a cui non gioverebbe neppure l'avere avuta
altrettanta copia di scrittori e di secoli letterati, quanti noi. Neppure alla
varietà, ed anche a quella ricchezza che serve precisamente all'esatta
espressione delle cose, gioverebbe alla lingua francese l'avere avuto in questi
due secoli dopo la sua rigenerazione, tanti e più scrittori quanti noi in cinque
secoli. Non le gioverebbe dico, quanto giova alla nostra lingua la moltitudine
dei secoli, e quindi la maggior varietà degli scrittori, delle opinioni, de'
gusti, degli stili, delle materie da loro trattate; varietà che non si può
trovare nello stesso grado in due secoli soli, benchè fossero più copiosi di
scrittori, che questi 5. insieme: e varietà che serve infinitamente alla
ricchezza di una lingua, ed alla esattezza e minutezza del suo poter esprimere,
giacch'è stata applicata ad esprimere tanto più diverse cose, da tanto più
diversi ingegni, e più diversamente disposti; e in tanto più diversi modi.
Neppure la lingua tedesca ha rinunziato alle sue antiche ricchezze e
possedimenti, come si vede nel Verter, abbondante di studiati e
begli ed espressivi arcaismi.
[1800,1]
1800 La lingua tedesca si è veramente formata più
recentemente che la francese. Ma perch'ella non è stata formata da nessun
Accademia e da nessun Dizionario, perch'ella non ha quindi perduta la libertà
che è primitivamente propria di tutte le lingue, perciò ella acquistando il
moderno (come ha fatto il francese, e potrebbe far l'italiano), non ha perduto
l'antico (come ha fatto il francese); è divenuta propria alla filosofia, ed è
restata propria all'immaginazione; non si è impoverita nè intimidita {+nè fatta monotona,} (come la
francese, e la barbara italiana de' nostri tempi); e includendo nelle sue
facoltà il secolo presente non ha escluso i passati come la francese, nè
includendo i passati ha escluso il presente, come l'italiana. Grand'esempio per
noi, e conferma della possibilità di ciò ch'io propongo. (28. Sett.
1821.).
[1894,2] La lingua inglese in gran parte può porsi a paro
della francese. La letteratura e formazione
1895 della
lingua tedesca è l'ultima di tempo in europa (giacchè non
credo che si possano ancora considerare come formate, e fornite di letteratura
propria, la Russa, la Svedese ec.). Contuttociò ella non ha punto rinunziato
alle sue ricchezze antiche, diversissima essendo la circostanza della
Germania da quella della
francia. Dubito però che l'antico possa star così
bene nella lingua tedesca, formata e ridotta a letteratura ierlaltro, come
nell'italiana formata 6. secoli fa. Ed ella potrà benissimo perdere, e perderà
le sue ricchezze antiche, (che già non ponno esser molte, nè di grand'uso,
essendo anteriori alla formazione della lingua) senza corrompersi, nè sformarsi,
nè perdere la sua indole; al contrario dell'italiana.
[1932,2] La lode di se stesso la quale ho detto pp. 1740-41 non esser
altro che naturalissima all'uomo, e in tanto solo condannata nella società, e
divenuta oggetto di una certa ripugnanza all'individuo (che par naturale e non
è) in quanto l'uomo odia l'altro uomo; è sempre tanto più o meno in uso ec.
quanto la società è più o meno stretta, e la civiltà più
1933 o meno avanzata. Presso gli antichi ella non fu mai così deforme,
nè soggetta al ridicolo come oggi. Esempio di
Cicerone. Oggi la modestia
è tanto più minuziosa e scrupolosa nelle sue leggi quanto la nazione è più
civile e socievole. Quindi in Francia queste leggi sono
nell'apice del rigore, e in francia riescono
intollerabili gli antichi quando si lodano da se come Cic. e Orazio
(v. l'apologia che fa Thomas di Cic. in tal proposito; nell'Essai sur les
Éloges), ed è proibito sotto pena del più gran
ridicolo, a chi scrive e a chi parla il mostrare di far conto di se o delle cose
sue, il parlar di se senza grand'arte, il non affettar disprezzo di se e delle
proprie cose. ec. Questi effetti nelle altre nazioni sono proporzionati al più o
meno di francese che si trova ne' loro costumi, o in quelli de' loro individui.
(La Francia non ha differenza d'individui, essendo tutta
un individuo). I tedeschi
1934 che certo non sono
incivili, pur si vede ne' loro scrittori, che parlano volentieri di se, e danno
a se stessi, alle loro azioni, famiglie, casi, scritti ec. un certo peso, e in
un certo modo che riuscirebbe ridicolo in Francia ec.
(17. Ott. 1821.). {{Similmente possiamo
discorrere degl'italiani.}}
[1946,1] Ho detto pp. 244-45
p.
321
pp. 685-86
p. 766
pp.
1313-15 che la lingua italiana è suscettibile di tutti gli stili, e ho
detto pp. 1513-15 che la conversazione francese non si può mantenere in
italiano. Questa non è contraddizione. L'indole della nostra lingua è capace di
leggerezza, spirito, brio, rapidità ec. come di gravità ec. è capace di
esprimere tutte le nuances della vita sociale, ec. ma non è capace, come nessuna
lingua lo fu, di
1947 un'indole forestiera. Così
riguardo alle traduzioni. Ell'è capace di tutti i più disparati stili, ma
conservando la sua indole, non già mutandola; altrimenti la nostra lingua
converrebbe che mancasse d'indole propria, il che non sarebbe pregio ma difetto
sommo. L'originalità della nostra lingua (ch'è marcatissima) non deve soffrire,
applicandola a qualsivoglia stile o materia. Questo {appunto} è ciò di cui ella è capace, e non di perderla ed alterare il
suo carattere per prenderne un altro forestiero, del che non fu e non è capace
nessuna lingua senza corrompersi. E il pregio della lingua italiana consiste in
ciò che la sua indole, senza perdersi, si può adattare a ogni sorta di stili. Il
qual pregio non ha il tedesco, che ha la stessa adattabilità e forse maggiore,
non però conservando il suo proprio carattere. Or questo è ciò che potrebbero
fare tutte le lingue le più restie, perchè rinunziando alla propria indole, e in
somma corrompendosi, facilmente possono adattarsi a questo o quello stile
forestiero.
1948
L'art de traduire est
poussé plus loin en allemand que dans aucun autre dialecte européen.
Voss a
transporté dans sa langue les poëtes grecs et latins avec une étonnante
exactitude; et W. Schlegel les
poëtes anglais, italiens et espagnols, avec une vérité de coloris dont
il n'y avoit point d'exemple avant lui. Lorsque l'allemand se prête à la
traduction de l'anglais, il ne perd pas son caractère naturel, puisque
ces langues sont toutes deux d'origine germanique; mais quelque mérite
qu'il y ait dans la traduction d'Homère par Voss, elle fait de l'Iliade et
de l'Odyssée, des poëmes dont le style est grec, bien que
les mots soient allemands. La connoissance de l'antiquité y gagne;
l'originalité propre à l'idiome de chaque nation y perd nécessairement.
Il semble que c'est une contradiction d'accuser la langue allemande tout
à la fois de trop de flexibilité et de trop de rudesse; mais ce qui
1949 se concilie dans les caractères peut aussi
se concilier dans les langues; et souvent dans la même personne les
inconveniens de la rudesse n'empêchent pas ceux de la
flexibilité.
*
Mme la Baronne de Staël -
Holstein, De l'Allemagne t. 1. 2.de
part. ch. 9. p. 248. 3.me édit. Paris 1815.
[1962,1]
Un des grands avantages
des dialectes germaniques en
poésie, c'est la variété et la beauté de leurs épithètes. L'allemand
sous ce rapport aussi, peut se comparer au grec; l'on sent dans un seul
1963
mot plusieurs images, comme, dans la note fondamentale d'un
accord, on entend les autres sons dont il est composé, ou comme de
certains couleurs réveillent en nous la sensations de celles qui en
dépendent. L'on ne dit en français
que ce qu'on veut dire, et l'on ne voit point errer autour des
paroles ces nuages à mille formes, qui entourent la poésie des langues
du nord, et réveillent une foule de souvenirs. A la liberté de former une seule épithète de deux
ou trois, se joint celle d'animer le langage en faisant avec
les verbes des noms:
*
(proprietà egualmente del greco, dell'italiano, e dello spagnuolo) le vivre, le vouloir, le sentir, sont des expressions
moins abstraites que la vie, la volonté, le sentiment; et tout ce qui
tend à changer la pensée en action donne toujour plus de mouvement au
style. La facilité de renverser à son gré la construction
1964 de la phrase
*
(ho detto altrove
pp. 109-11
pp.
950-52
pp. 1226-28 che come le parole, così le frasi e costruzioni ec.
possono esser termini, e che quella
lingua che più abbonda di termini,
{in pregiudizio delle parole,} suole per
analogia esser matematica nella frase ec., e che la francese è tutta un gran
termine) est aussi très-favorable à la poésie, et permet d'exciter, par les
moyens variés de la versification, des impressions analogues à celles de la peinture et de la
musique
*
. (impressioni vaghe.) Enfin l'esprit général des dialectes teutoniques, c'est l'indépendance:
les écrivains cherchent avant tout à
transmettre ce qu'il sentent; ils diroient volontiers à la
poésie comme Héloïse à son amant: S'il
y a un mot plus vrai, plus tendre, plus profond encore pour exprimer
ce que j'éprouve, c'est celui-là que je veux choisir. Le
souvenir des convenances de société poursuit en
France le talent
*
1965
jusques dans ses émotions les plus intimes; et la
crainte du ridicule est l'épée de Damoclès, qu'aucune fête
de l'imagination ne peut faire oublier.
*
De l'Allemagne, tome 1. 2.de part. ch. 9.
vers la fin.
(21. Ott. 1821.).
[2007,1]
{Alla p.
1974.} La lingua latina è fra tutte quante la
meno adattabile alle cose moderne, perch'essendo di carattere antico, {e proprissimo, e
marcatissimo,} è priva di libertà, al contrario delle altre antiche, e
quindi incapace d'altro che dell'antico, e inadattabile al moderno, a differenza
della greca. Quindi venne e ch'ella
2008 si corrompesse
prestissimo a differenza pur della greca, e ch'ella dovesse cessare di esser
lingua universale, per intendersi scambievolmente, come oggi col francese, e
molto più di servire agli usi civili e diplomatici ec. ed essere adoperata dai
letterati e dai dotti in luogo delle parlate; dovesse dico cessare appena i
tempi presero uno spirito determinato e proprio, al quale il latino era
inadattabile. Ciò forse non sarebbe accaduto alla lingua greca, e s'ella ne'
bassi tempi fosse stata universale in europa, come lo fu
la latina, e com'essa l'era stata anticamente, e massime in
oriente, forse ella non avrebbe perduto ancora questa
qualità, e noi ci serviremmo ancora tra nazione e nazione di una lingua antica,
e in questa scriveremmo ec. Nel che saremmo in verità felicissimi per la
infinita capacità, potenza, e adattabilità di quella lingua,
2009 unite alla bellezza ec. che la fanno egualmente propria e
bastante e all'immaginazione e alla ragione di tutti i tempi. Così sarebbe
accaduto se l'armi greche avessero prevaluto in europa
alle latine. Ed infatti la lingua tedesca che è similissima alla greca ec. - v.
appresso un mio pensiero su questo particolare pp. 2176-77.
(28. Ott. 1821.)
[2026,1] Da ciò segue che la lingua latina
2027 come quella ch'essendo d'indole tutta e distintissimamente
antica, non ne ha punto la libertà, è del tutto inettissima alle cose moderne,
alle traduzioni degli scritti moderni ec. (e lo spirito umano avrebbe incontrato
un grandissimo ostacolo, e camminato con somma lentezza, se più a lungo, dopo il
risorgimento della civiltà, fosse durato negli scrittori, {negli affari ec.} l'uso e il bisogno di adoperar la lingua latina,
per la insufficienza delle volgari.) Le altre lingue antiche vi sono più o meno
adattabili, secondo che hanno maggiore o minor libertà, fra le quali tiene il
primo luogo la greca. (dico fra le lingue antiche ben colte e formate, giacchè
le altre sono adattabili a tutto, non
per virtù, ma per difetto, e così può forse dirsi della tedesca.)
Viceversa le moderne sono più o meno adattabili alle cose antiche, ed alle
traduzioni degli antichi, secondo che hanno maggiore o minor libertà, e che
tengono più o meno d'indole antica,
2028 o somigliante
o affine all'antica: fra le quali ha il primissimo luogo l'italiana, (intendo
sempre fra le colte) e l'ultimissimo possibile la francese, {o piuttosto} ella è fuori affatto di questo numero. (1. Nov. dì
d'Ognissanti. 1821.).
[2063,1] La circostanza dell'Italia e
della Germania è appunto quella della
grecia in questo particolare (eccetto solamente che i
nostri vernacoli non sono stati parzialmente adoperati da buoni scrittori, come
quelli delle {{provincie o città}} greche). La
Germania ne profitta per la libertà della sua lingua.
Noi non potremo, se prevarranno coloro che ci vogliono ristringere al toscano,
anzi al fiorentino. Cosa ridicola che in un paese privo affatto di unità, e dove
nessuna città, nessuna provincia sovrasta all'altra, si voglia introdurre questa
tirannia
2064 nella lingua, la quale essenzialmente non
può sussistere senza una simile uniformità di costumi ec. nella nazione, e senza
la tirannia della società, di cui l'italia manca affatto.
E che Firenze che non è stata mai il centro
dell'italia (e che ora è inferiore a molte altre
città negli studi, scrittori ec. e fino nella cognizione della colta favella)
debba esserlo della lingua, e della letteratura. E che si voglia imporre ad un
paese privo non solo di vasta capitale, non solo di capitale qualunque, e quindi
di società una e conforme, e d'ogni norma e modello di essa, ma privo affatto di
società, una soggezione (in fatto di lingua ch'è l'immagine d'ogni cosa umana)
più scrupolosa di quella stessa che una vastissima capitale, un deciso centro
{ed immagine e modello e tipo} di tutta la nazione,
ed una strettissima e uniformissima società, impone alla lingua e letteratura
francese. (6. Nov. 1821.). Certo se v'è nazione in
europa
2065 colla cui costituzione politica e morale e sociale
convenga meno una tal soggezione in fatto di lingua (e la lingua dipende in
tutto dalle condizioni sociali ec.), ell'è appunto
l'Italia, che pur troppo, a differenza della
Germania, non è neppure una nazione, nè una patria.
(7. Nov. 1821.).
[2112,1] Come anche le costruzioni, l'andamento, la struttura
ch'io chiamo naturale in una lingua, distinguendola dalla ragionevole, logica,
geometrica, abbia una proprietà universale, e sia da tutti più o meno facilmente
appresa (almeno dentro una stessa categoria di nazioni e di tempi), e come per
conseguenza la semplicissima e naturalissima (sebbene perciò appunto
figuratissima) struttura della lingua greca, dovesse facilitare la di lei
universalità; si può vedere in questo, che le scritture le più facili in
qualunque lingua per noi nuova o poco nota, sono quasi sempre e generalmente
2113 le più antiche e primitive, e quelle al cui tempo,
la lingua o si veniva formando, e non era ancor pienamente formata, o non
peranche era incominciata a formare. Così accade nello spagnuolo, così ne'
trecentisti italiani (i più facili scrittori nostri), così nella stessa
oscurissima lingua tedesca, i cui antichi romanzi (come di un certo Romanzo del 13.zo sec. intitolato Nibelung, dice espressamente la Staël) sono anche oggi assai più facili e
chiari ad intendersi, che i libri moderni. Accade insomma il contrario di quello
che a prima vista parrebbe, cioè che una lingua non formata, o non ben formata e
regolata, {e poco logica,} sia più facile della
perfettamente formata {, e logica.} (Eccetto le minuzie
degli arcaismi, che abbisognano di Dizionario per intenderli ec. difficoltà che
per lo straniero apprentif è nulla, e
non è sensibile se non al nazionale ec. ec. {+Eccetto ancora certi ardiri propri della natura, e
diversi secondo l'indole delle nazioni delle lingue, e degl'individui in
que' tempi, i quali ardiri piuttosto affaticano, di quello che impediscano
di capire. v. p. 2153.})
Parimente infatti
2114 i più antichi scrittori greci
sono i più facili e chiari, perchè i più semplici, e di costrutti e frasi le più
naturali, e lo studioso che intende benissimo Senofonte, Demostene, Isocrate ec. si
maraviglia di non intendere i sofisti, e Luciano, e Dion Cassio, e i
padri greci, e altri tali; e molto sbaglierebbe quel maestro che facesse
incominciare i suoi scolari dagli scrittori greci più moderni, credendo, come
può parere a prima giunta, che i più antichi, e più perfettamente greci, debbano
esser più difficili. Così pure accade nel latino, che i più antichi sono i più
facili, e di dizione più somigliante di gran lunga alla greca, che tale fu
infatti la letteratura latina ne' suoi principii, e la lingua latina, anche
prima della letteratura, e l'una e l'altra indipendentemente ancora
dall'imitazione e dallo studio degli esemplari e letteratura greca. Son più
facili gli antichi poeti latini, che i prosatori del secol d'oro. (18.
Nov. 1821.).
[2122,2] Quando il centro della lingua non è la capitale,
{+il che non può essere se non quando
capitale non v'è,} esso non può nè pretendere nè esercitare di fatto
una più che tanta influenza (quando anche le capitali n'esercitano poca, se poca
influenza hanno politica e sociale). Così accadde in
Grecia. Atene non esercitò nè
pretese più che tanto impero sulla lingua. In Germania
nessun paese l'esercita o lo pretende.
[2126,1] La gran libertà, varietà, ricchezza della lingua
greca, ed italiana, (siccome oggi della tedesca) qualità proprie del loro
carattere, oltre le altre cagioni assegnatene altrove pp. 2060-65 , riconosce come una delle
principali cause la circostanza contraria a quella che produsse le qualità
contrarie nella lingua latina e francese; cioè la mancanza di capitale, di
società nazionale, di unità politica, e di un centro di costumi, opinioni,
2127 spirito, letteratura e lingua nazionale. Omero e Dante (massime Dante) fecero
espressa professione di non volere restringere la lingua a veruna o città o
provincia d'italia, e per lingua cortigiana l'Alighieri, dichiarandosi di adottarla,
intese una lingua altrettanto varia, quante erano le corti e le repubbliche e
governi d'italia in que' tempi. Simile fu il caso d'Omero e della
Grecia a' suoi tempi e poi. Simile è quello
dell'italia anche oggi, e simile è stato da Dante in qua. Simile pertanto dev'essere
assolutamente la massima fondamentale d'ogni vero filosofo linguista italiano,
come lo è fra' tedeschi. (19. Nov. 1821.).
[2134,1] La perfezion della traduzione consiste in questo,
che l'autore tradotto, non sia p. e. greco in italiano, greco o francese in
tedesco, ma tale in italiano o in tedesco, quale egli è in greco o in francese.
Questo è il difficile, questo è ciò che non in
2135
tutte le lingue è possibile. In francese è impossibile, tanto il tradurre in
modo che p. e. un autore italiano resti italiano in francese, quanto in modo che
egli sia tale in francese qual è in italiano. In tedesco è facile il tradurre in
modo che l'autore sia greco, latino italiano francese in tedesco, ma non in modo
ch'egli sia tale in tedesco qual è nella sua lingua. Egli non può esser mai tale
nella lingua della traduzione, s'egli resta greco, francese ec. Ed allora la
traduzione per esatta che sia, non è traduzione, perchè l'autore non è quello,
cioè non pare p. e. ai tedeschi quale nè più nè meno parve ai greci, o pare ai
francesi, e non produce di gran lunga nei lettori tedeschi quel medesimo effetto
che produce l'originale nei lettori francesi ec.
[2176,2] La somiglianza del tedesco col greco, attribuita,
come abbiamo veduto pp. 2081.
sgg. , a cagioni storiche, apparisce dalle mie osservazioni, che non
ha bisogno d'altre ragioni se non delle naturali e universali, per cui qualunque
lingua meno affine alla greca, in circostanze ed epoche simili a quelle della
tedesca, si rassomiglierebbe egualmente
2177 alla
greca, come fa l'italiana le cui circostanze politiche, le cui epoche ec.
somigliano a quelle della tedesca. E queste circostanze hanno avuto tanta forza
che sebbene la lingua italiana è figlia di una lingua perfettamente formata (a
differenza della teutonica), e fu da' suoi primi scrittori (che non sapevano
sillaba di greco, o non {lo} credevano applicabile)
cercata di modellare sulla sola lingua e letteratura madre, soli modelli ch'essi
avessero in vista, nondimeno ella nelle stesse mani di questi scrittori è
divenuta assai più simile alla greca, che alla propria madre. (27. Nov.
1821.).
[2177,1] Del resto la libertà e indipendenza e la niuna unità
letteraria, di cui gode la Germania, supplisce alla
libertà, disunione ec. politica, in mezzo a cui fu formata la lingua italiana, e
rende antica per carattere l'epoca della
2178 lingua
{e letteratura} tedesca benchè moderna di tempo,
siccome quella dell'italiana, fu antica e di tempo e di carattere. (27.
Nov. 1821.).
[2288,1] La lingua latina così esatta, così regolata, e
definita, ha nondimeno moltissime frasi ec. che per la stessa natura loro, e del
linguaggio latino, sono di significato così vago, che a determinarlo, e renderlo
preciso non basta qualsivoglia scienza di latino, e non avrebbe bastato l'esser
nato latino, perocch'elle son vaghe per se medesime, e quella tal frase e la
vaghezza della significazione sono per essenza loro inseparabili, nè quella può
sussistere senza questa. Come Georg. 1. 44. et Zephyro putris se gleba
resolvit.
*
Quest'è una frase regolarissima, e
nondimeno regolarmente e gramaticalmente indefinita di significazione, perocchè
nessuno potrà dire se quel Zephyro significhi al zefiro, per lo zefiro,
2289
col zefiro ec. Così quell'altra: Sunt lacrimę
rerum
*
ec. della quale altrove ho parlato p.
1337. E cento mila di questa e simili nature, regolarissime,
latinissime, conformissime alla gramatica, e alla costruzione latina, prive o
affatto, o quasi affatto d'ogni figura di dizione, e tuttavolta vaghissime e
indefinibili di significato, non solo a noi, ma agli stessi latini. Di tali
frasi abbonda assai più la lingua greca. Vedete come dovevano esser poetiche le
lingue antiche: anche le più colte, raffinate, adoperate, regolate. Qual è la
lingua moderna, che abbia o possa ricevere non dico molte, ma qualche frasi ec.
di significato indefinibile, e per la sua propria natura vago, senz'alcuna
offesa ec. della gramatica? La italiana forse alcun poco, ma molto al di sotto
della latina. La tedesca credo che in questa facoltà vinca la nostra, e tutte le
altre moderne. Ma ciò solo perch'ella non
2290 è ancora
bastantemente o pienamente formata; perch'ella stessa non è definita, è capace
di locuzioni indefinite, anzi, volendo, non potrebbe mancarne. Così accade in
qualunque lingua, nè solo nelle locuzioni, ma nelle parole. La vaghezza di
queste va in ragion diretta della poca formazione, {+uniformità, unità ec.} della lingua, e questa,
della letteratura e conversazione, e queste, della nazione. Ho notato altrove
pp. 1953-57
pp. 2080. sgg.
pp. 2087-89
pp. 2177-78 come la letteratura tedesca non avendo alcuna unità, non
abbia forma, giacchè per confessione dei conoscitori, il di lei carattere è
appunto il non aver carattere. Non si può dunque dir nulla circa le facoltà del
tedesco, che non può esser formato nè definito, non essendo tale la letteratura,
(per vastissima ch'ella sia, e fosse anche il decuplo di quel che è) e mancando
affatto la conversazione. Quindi anche le loro parole e frasi denno per
necessità avere (come hanno) moltissimo d'indefinito.
2291
(26. Dic. 1821.).
[2448,1] La conclusione è che bisogna a tutti i patti, e
malgrado qualunque difficoltà, riassumer l'uso di spiegar le nuove idee col
comporre, derivare, e formare nuove parole dalle radici della propria lingua;
essendo questo, per natura delle cose (che tutto opera per modificazione degli
elementi, e non per aggiunzione di sempre nuovi elementi, {+per modificazione {o
composizione} e non per moltiplicazione}), l'unico, proprio,
ed assoluto mezzo di rendere una lingua sufficiente ed uguale a qualunque numero
d'idee, ed a qualunque novità d'idee; e renderla tale non accidentalmente ma per
propria essenza, e non per alcuni momenti, come può essere adesso p. e. la
francese, ma per sempre finch'ella conserva il suo carattere: come s'è veduto
manifestamente nella lingua greca che da' tempi antichissimi fino a oggidì, è
stata ed è eternamente capace di qualunque novità d'
2449 idee, antiche o moderne che sieno, e per diversissime che vogliano essere da
quelle che correvano quando la lingua greca era in fiore. E simile in ciò credo
che le sia la tedesca. Abbia cura di conservarsi tale.
[2592,3]
Alla p. 2581.
marg. Fra le lingue antiche, la greca non solo ebbe infiniti scrittori
prima della sua grammatica, ma prima ancora d'ogni grammatica conosciuta. Quindi
la sua inesauribile ricchezza, e la sua assoluta onnipotenza. La lingua latina
per
2593 verità non dico che avesse vocabolari (sebbene
ebbe forse parecchie nomenclature ec. come la greca col tempo ebbe i suoi libri
{detti} ᾽Αττικισταί ec. ec.), e certo ebbe parecchi
scrittori anteriori alla sua grammatica (fra' quali se vogliamo porre Cicerone, sarà certo che questi furono i
migliori), ma la grammatica essa già l'aveva in quella della lingua greca,
studiando la qual lingua per principii e nelle scuole ec. (cosa che i greci non
avevano mai fatto con altra lingua del mondo) necessariamente {i latini} imparavano le regole universali della
grammatica e l'analisi esatta del linguaggio, e applicavano tutto ciò alla
lingua loro: lasciando star gl'infiniti libri di grammatica greca che già
s'avevano dal tempo de' Tolomei in
giù. Quindi la lingua latina, per antica, riuscì meno libera e meno varia d'ogni
altra. Laddove la lingua italiana scritta primieramente da tanti che nulla
sapevano dell'analisi del linguaggio (poco o nulla studiando altra lingua {e grammatica,} come sarebbe {stata} la latina), venne, per lingua moderna, similissima di
ricchezza e d'onnipotenza alla greca. La lingua tedesca ha veramente
2594 grammatica, ma non so quanto sia rispettata dagli
scrittori tedeschi; ovvero le eccezioni superando le regole, queste vengono ad
essere illusorie, e il grammatico non può far altro ch'andar qua e là dietro chi
scrive, per vedere e notar come scrivono. Di più ella non ha vocabolario
riconosciuto per autorevole, e questo in una lingua moderna è una gran cosa
conducentissima alla ricchezza, potenza, libertà della lingua. (4. Agosto.
1822.).
[2845,1] Vantano che la lingua tedesca è di tale e tanta
capacità e potenza, che non solo può, sempre che vuole, imitare lo stile e la
maniera di parlare o di scrivere usata da qualsivoglia nazione, da qualsivoglia
autore, in qualsivoglia possibile genere di discorso o di scrittura; non solo
può imitare qualsivoglia lingua; ma può effettivamente trasformarsi in
qualsivoglia lingua. Mi spiego. I tedeschi hanno traduzioni dal greco, dal
latino, dall'italiano, dall'inglese, dal francese, {dallo
spagnuolo,} d'Omero, dell'Ariosto, di Shakespeare, di Lope, di Calderon ec. le
quali non solamente conservano (secondo che si dice) il carattere dell'autore e
del suo stile tutto intero, non solamente imitano, esprimono, rappresentano il
genio e l'indole della rispettiva lingua, ma rispondono verso per verso, parola
per parola, sillaba per sillaba, ai versi, alle costruzioni, all'ordine preciso
2846 delle parole, {al numero
delle medesime, al metro, {al numero e} al ritmo di
ciascun verso, membro di periodo,} all'armonia {imitativa,} alle cadenze, a tutte le possibili qualità estrinseche
come intrinseche, che si ritrovano nell'originale; di cui per conseguenza elle
non sono imitazioni, ma copie così compagne com'è la copia d'un quadro di tela
fatta in tavola, o d'una pittura a fresco fatta a olio, o la copia d'una pittura
fatta in mosaico, o tutt'al più in rame {inciso,} colle
medesimissime dimensioni del quadro.
[2875,1] Somiglianti cagioni dovettero certamente contribuire
a fare che le scritture inglese e tedesca siano riuscite meno conformi alle
pronunzie, e {queste} meno corrispondenti al valor
delle lettere ne' rispettivi alfabeti, {+e meno costanti nelle regole medesime loro (che hanno, almeno in francese,
tante eccezioni e sotteccezioni)} che non sono le scritture e
pronunzie italiana e spagnuola. Perocchè l'alfabeto inglese è il latino, e il
tedesco originariamente non è altro: laddove le loro lingue sono e
originariamente e presentemente tutt'altre che la latina. Di più essendo
pervenuta la letteratura e scrittura latina, e l'uso eziandio della medesima,
anche dove non pervenne l'uso di questa loquela, come in
inghilterra e in Germania,
anche i tedeschi e gl'inglesi regolarono primieramente o abbozzarono la loro
ortografia e scrittura col solo o quasi solo esempio della latina avanti gli
occhi. E dopo preso piede le prime regole o i primi abbozzi, non si è più in
caso di distruggerli, e
2876 neppur si è sempre in caso
di fare che il resto, sebbene ancor non sia fatto, o non abbia preso piede, non
gli corrisponda; almeno non sempre si può riuscire ad impedirlo perfettamente, o
a far che impeditolo, la macchina cammini bene e regolarmente, e senza imbarazzi
e contrapposizioni e disturbi ec. disordini, effetti contraddittorii ec.
(1. Luglio 1823.).
[3196,1]
Alla p. 1011. marg.
fine. Aggiungete ancora che la lingua latina è della italiana, madre
conosciuta e certa e fuori d'ogni controversia. Non così accade all'altre lingue
d'origine diversa. Si saprà per certo che la lingua tedesca è d'origine
teutonica, la svedese d'origine slava, ma quale delle antiche lingue teutoniche
o schiavone sia madre della tedesca e della svedese, non si potrà senza
moltissime controversie, nè senza grandi
3197
dubitazioni e incertezze, nè più che largamente e mal distintamente, determinare
ec. ec. (19. Agos. 1823.).
[3247,1]
3247 È cosa nota che le favelle degli uomini variano
secondo i climi. Cosa osservata dev'essere altresì che le differenze de'
caratteri delle favelle corrispondono alle differenze de' caratteri delle
pronunzie ossia del suono di ciascuna favella generalmente considerato: onde una
lingua di suono aspro ha un carattere e un genio austero, una lingua di suono
dolce ha un carattere e un genio molle e delicato; una lingua ancora rozza ha e
pronunzia ed andamento rozzo, e civilizzandosi, raddolcendosi e ripulendosi il
carattere della lingua e della dicitura, raffinandosi, divenendo regolare, e
perfezionandosi essa lingua, se ne dirozza e raddolcisce e mitigasi e si
ammollisce eziandio la generale pronunzia ed il suono. Dev'esser parimente
osservato, che siccome il carattere della lingua al carattere della pronunzia,
così i caratteri delle pronunzie corrispondono alle nature dei climi, e quindi
alle qualità fisiche degli uomini che vivono in essi climi, e alle lor qualità
morali che dalle fisiche procedono e lor corrispondono. Onde ne' climi
settentrionali, dove gli uomini indurati dal freddo, da' patimenti, e dalle
fatiche di provvedere a' propri bisogni in terre
3248
naturalmente sterili e sotto un cielo iniquo, e fortificati ancora dalla fredda
temperatura dell'aria, sono più che altrove robusti di corpo, e coraggiosi
d'animo, e pronti di mano, le pronunzie sono più che altrove forti ed energiche,
e richiedono un grande spirito, siccome è quella della lingua tedesca piena
d'aspirazioni, e che a pronunziarla par che richiegga tanto fiato quant'altri
può avere in petto, onde a noi italiani, udendola da' nazionali, par ch'e'
facciano grande fatica a parlarla, o gran forza di petto ci adoprino. Per lo
contrario accade nelle lingue de' climi meridionali, dove gli uomini sono per
natura molli e inchinati alla pigrizia e all'oziosità, e d'animo dolce, e vago
de' piaceri, e di corpo men vigoroso che mobile e vivido. Ond'egli è proprio
carattere della pronunzia non meno che della lingua p. e. tedesca, la forza, e
dell'italiana la dolcezza e delicatezza. E poste nelle lingue queste proprietà
rispettive dell'una lingua all'altra, ne segue che anche assolutamente, e
considerando ciascuna lingua da {se} nella lingua p. e.
italiana, sia pregio la delicatezza e dolcezza,
3249
onde lo scrittore {o il parlatore} italiano appo cui la
lingua {+(sia nello stile, sia nella
combinazione delle voci, sia nella pronunzia)} è più delicata e più
dolce che appo gli altri italiani (salvo che queste qualità non passino i
confini che in tutte le cose dividono il giusto dal troppo, sia per rispetto
alla stessa lingua in genere, sia in ordine alla materia trattata), più si loda
che gli altri {italiani}, appunto perocchè la lingua
italiana nella dolcezza e delicatezza avanza l'altre lingue. Ma per lo contrario
fra' tedeschi dovrà maggiormente lodarsi lo scrittore o il parlatore appo cui la
lingua riesca più forte che appo gli altri tedeschi, perocchè la lingua tedesca
supera l'altre nella forza, e suo carattere è la forza, non la dolcezza: nè la
dolcezza è pregio per se, neppur nella lingua italiana, ma in essa,
considerandola rispetto alle {altre} lingue, è qualità
non pregio, e nello scrittore o parlatore italiano è pregio, non in quanto
dolcezza, ma in quanto propria e caratteristica della lingua italiana. Così
civilizzandosi le nazioni, e divenendo, rispetto alle primitive, delicate di
corpo, divenne altresì pregio negl'individui umani la maggior
3250 delicatezza delle forme, non perchè la delicatezza sia pregio per
se; che anzi la rispettiva delicatezza delle forme era certamente biasimo, e
tenuto per difetto, o per {causa di} minor pregio {d'esse forme,} appo gli uomini primitivi; ma solo perchè
la delicatezza fisica oggidì, contro le leggi della natura, e contro il vero ben
essere e il destino dell'umana vita, è fatta propria e caratteristica delle
nazioni e persone civili. {#1. Puoi vedere le pagg. 3084-90.}
Laonde ben s'ingannarono quei tedeschi (ripresi da Mad. di Staël
nell'Alemagna) che cercarono di
raddolcire la loro lingua, credendo farsi {tanto più}
pregevoli degli altri {tedeschi} quanto più dolcemente
di loro la parlassero e scrivessero, e che la dolcezza, proccurandola alla
lingua tedesca, le avesse ad esser pregio, contro la natura, e contro il
carattere della lingua, il quale è la forza, e tanta forza richiede nello
scrittore e nel parlatore, quanta possa non varcare i confini prescritti dalla
qualità d'essa lingua, e da quella delle particolari materie in essa trattate;
ed esclude, colle medesime condizioni, la dolcezza, come vizio nella lingua
tedesca e non pregio, perchè opposta alla sua natura.
[3336,1]
{Puoi vedere il Dialogo Delle Lingue dello Speroni dalla p. 121. in poi,
cioè tutto il discorso tra il Lascari e il Peretto, sino alla fine del Dialogo.}
[3347,1] La stagione e il clima freddo dà maggior forza di
agire, e minor voglia di farlo, maggior contentezza del presente, inclinazione
all'ordine, al metodo, e fino all'uniformità. Il caldo scema le forze di agire,
e nel tempo stesso ne ispira ed infiamma il desiderio, rende suscettibilissimi
della {{noia,}} intolleranti dell'uniformità della vita,
vaghi di novità, malcontenti di se stessi e del presente. Sembra che il freddo
fortifichi il corpo e leghi l'animo: che il caldo addormenti e ammollisca e
illanguidisca e intorpidisca il corpo, eccitando e svegliando e sciogliendo
l'animo. L'attività del corpo è propria de' settentrionali, de' meridionali
quella dell'animo. {Nel freddo si ha la
forza di agire, ma non senza incomodo. La temperatura dell'aria che vi
circonda, opponendosi à ce que voi possiate uscir
di casa e di camera senza patimento, vi consiglia l'inazione e l'immobilità
nel tempo stesso che vi dà la forza dell'azione e del moto. Si può dir che
se ne sente la forza e la difficoltà nel tempo stesso. Nel caldo tutto
l'opposto. Si sente la facilità
dell'azione e del moto nel tempo stesso che se ne scarseggiano le forze.
L'uomo prova espressamente un senso di libertà fisica che viene
dall'amicizia dell'aria e della natura che lo circonda, un senso che lo
invita al movimento e all'azione, ch'egli talora confonde con quello della
forza, ma che n'è ben differente, come l'uomo si può avvedere, quando
cedendo all'inquietezza che quel senso gl'ispira, e dandosi all'azione, la
totale mancanza di forze che gli sopraggiunge, gli toglie quel senso di
libertà, e l'obbliga a desiderare e cercare il riposo. Anche per se medesima
la debolezza e il rilasciamento prodotto da causa non morbosa, come dal
caldo, dà una certa facilità di determinarsi all'azione al movimento al
travaglio, più che la tensione prodotta dal freddo. Può parere un paradosso,
ma l'esperienza anche individuale lo prova. Pare che il corpo rilasciato sia
più maneggiabile a se medesimo. Bensì la sua capacità di travagliare è poco
durevole. ec.} Ma il corpo non opera se non mosso dall'animo. Quindi è
che i settentrionali sebbene senza controversia sia lor propria l'attività e
laboriosità, pur sono veramente i più quieti popoli della terra; e i meridionali
i più inquieti, benchè sia lor propria l'infingardaggine. I settentrionali hanno
bisogno di grandissimo impulso a muoversi, a sollevarsi, a cercar novità: ma
3348 mossi che sieno, non sono facili a racquietare.
Vedesi nelle loro storie, nelle quali, massime nelle moderne, e massime in
quelle della Germania, pochissime rivoluzioni si
troveranno (specialmente a paragone di quelle de' meridionali) ma queste
lunghissime, come quella di religione mossa da Lutero, e convertita ben tosto in rivoluzione politica. Sopportano
facilmente la tirannia, finch'ella non gli spinge à
bout, come gli Svizzeri. Ubbidiscono volentieri, e comandati
travagliano (anche eccessivamente) più volentieri che se operassero
spontaneamente. Vedesi nella loro milizia. I meridionali sono facili e pronti e
frequenti a muoversi, rivoltosi, poco tolleranti della tirannide, poco amici
dell'ubbidire, ma facilissimi ancora a racquietare, facilissimi a ritornare in
riposo; mobili, volubili, instabili, vaghi di novità politiche, incapaci di
mantenerla[mantenerle]; vaghi di libertà,
incapaci di conservarla; al contrario de' settentrionali che di rado la cercano,
{poco} se ne curano; cercata o comunque acquistata,
lunghissimamente la conservano. Infatti essi, e in particolare i tedeschi o
teutoni, sono i soli in europa che serbino qualche
vestigio di libertà, qualche immagine
3349 delle
antiche repubbliche; i soli appo cui le repubbliche si veggano per esperienza
poter durare anche a' tempi moderni. Verbigrazia gli Svizzeri, le città libere
di Germania, le repubblichette de' Fratelli Moravi ec.
Nel mezzogiorno d'Europa non esiste più neppure un'ombra
di repubblica in alcun luogo, fuori di San-Marino. In
Germania ve n'ha non poche, ed alcuni piccoli
principati di colà si governano oggi, o per volontà del principe (come Saxe-Gotha) o per
costituzione, quasi a maniera di repubblica e stato franco.
[3366,1] La lingua latina s'introdusse, si piantò e rimase in
quelle parti d'europa nelle quali entrò anticamente e si
stabilì la civilizzazione. Ciò non fu che nella Spagna e
nelle Gallie. Quella fino dagli antichi tempi produsse i
Seneca, Quintiliano, Columella, Marziale ec. poi
Merobaude, S. Isidoro ec. e altri moltissimi di mano in mano, i
quali divennero letterati e scrittori latini, senza neppure uscire, come quei
primi, dal loro paese, o quantunque in esso educati, e non, come quei primi, in
Roma. Le Gallie produssero
Petronio Arbitro, {Favorino ec.}
poi Sidonio, S. Ireneo ec. La civiltà v'era già innanzi i romani
stata introdotta da coloni greci. Di più la corte latina v'ebbe sede per alcun
tempo. La Germania benchè soggiogata anch'essa da'
Romani, e parte dell'impero latino, non diede mai adito a
civiltà nè a lettere, nè a' buoni nè a' mediocri nè a' cattivi tempi di
quell'impero. Ella fu sempre barbara. Non si conta fra gli scrittori latini di
veruna latinità
3367 (se non dell'infimissima) niuno
che avesse origine germanica o fosse nato in Germania,
come si conta pur quasi di tutte l'altre provincie e parti
dell'impero romano. Quindi è che la
Germania benchè suddita latina, benchè vicina
all'italia, anzi confinante, come la
Francia, e più vicina assai che la
Spagna, non ammise l'uso della lingua latina, e non
parla latino {(cioè una lingua dal latino derivata),}
ma conserva il suo antico idioma. (Forse anche fu cagione di ciò e delle cose
sopraddette, che la Germania non fu mai intieramente
soggiogata, nè suddita pacifica, come la Spagna e
le Gallie, sì per la naturale ferocia della nazione,
sì per esser ella sui confini delle romane conquiste, e prossima ai popoli
d'europa non conquistati, e nemici de' romani, e
sempre inquieti e ribellanti, onde ad essa ancora nasceva e la facilità, e lo
stimolo, e l'occasione, e l'aiuto e il comodo di ribellare). Senza ciò la lingua
latina avrebbe indubitatamente spento la teutonica, nè di essa resterebbe
maggior notizia o vestigio che della celtica e dell'altre che la lingua latina
spense affatto in Ispagna e in
3368
Francia. Delle quali la teutonica non doveva mica esser
più dura nè più difficile a spegnere. Anzi la celtica doveva anticamente essere
molto più colta e perfetta o formata che la teutonica, il che si rileva sì dalle
notizie che s'hanno de' popoli che la parlarono, e delle loro istituzioni (come
de' Druidi, de' Bardi, cioè poeti ec.), e della loro religione, costumi,
cognizioni ec. sì da quello che avanza pur d'essa lingua celtica, e de' canti
bardici in essa composti ec. L'inghilterra par che
ricevesse fino a un certo segno l'uso della lingua latina, certo, se non altro,
come lingua letterata e da scrivere. {Il latino si stabilì in
Inghilterra a un di presso come il greco
nell'alta Asia, e l'italiano in Dalmazia, nell'isole
greche e siffatti dominii de' Veneziani: cioè come lingua di qualunque
persona colta e della scrittura, ma non parlata dal popolo, benchè forse
intesa. Così il turco in grecia ec.}
Ella ha pure scrittori non solo dell'infima, ma anche della media latinità, come
Beda ec. Ma era già troppo tardi,
sì perchè la lingua latina era già corrotta e moribonda per tutto, anche in
italia sua prima sede, sì perchè l'impero
latino era nel caso stesso. Quindi i Sassoni facilmente
distrussero la lingua latina in inghilterra, ancora
inferma e mal piantata, propria solo dei dotti (com'io credo), e le sostituirono
la
3369 teutonica, trionfando allo stesso tempo (almeno
in molta parte dell'isola) anche dell'idioma nazionale, indigeno, ἐπιχώριος e
volgare, cioè del celtico ec., al qual trionfo doveva pure aver già contribuito
la lingua latina, soggiogata poi anch'essa, e più presto ed interamente
dell'indigena, da quella de' conquistatori. Laddove nelle
Gallie i Franchi non poterono mica introdurre la
lingua loro, benchè conquistatori, nè estirpar la latina, ben radicata, e per
lunghezza di tempo, e perchè insieme con essa erano penetrati e stabiliti nelle
Gallie, i costumi, la civiltà, le lettere, la
religione latina, e perchè {quivi} detta lingua non era
già propria ai soli dotti, ma comune al volgo, ond'essi conquistatori
l'appresero, e parlata ec. Così dicasi de' Goti, Longobardi ec. in
italia; de' Vandali {ec.} in
Ispagna. Che se la lingua latina in
italia, in Francia, in
ispagna, trionfò delle lingue germaniche benchè
parlate da' conquistatori, può esser segno ch'ella ne avrebbe pur trionfato
nella Germania ov'elle parlavansi da' conquistati, se non
l'avessero impedito le cagioni dette di sopra. Perocchè si vede che la lingua
latina trionfava
3370 dell'altre, non tanto come lingua
di conquistatori e padroni, superante quella de' conquistati e de' servi, nè
come lingua indigena o naturalizzata, superante le forestiere, avventizie e
nuove; quanto come lingua colta e formata, superante le barbare, incolte,
informi, incerte, imperfette, povere, insufficienti, indeterminate. Altrimenti
non sarebbe stato, come fu, impossibile ai successivi conquistatori
d'Italia, Francia,
Spagna, il far quello che i latini ne' medesimi
paesi, conquistandoli, avevano fatto; cioè l'introdurre le proprie lingue in
luogo di quelle de' vinti. Nel mentre che i Sassoni in
inghilterra, certo nè più civili nè più potenti de'
Franchi, de' Goti, {de' mori,} ec., i Sassoni, dico, in
inghilterra, e poscia i Normanni, trionfavano pur
senza pena delle lingue indigene di quell'isola, perchè mal formate ancor esse,
benchè non affatto barbare, ed {anzi} (p. e. la
celtica) più colte ec. delle loro. Ma queste vittorie della lingua latina sì
nell'introdursi fra' conquistati, e forestiera scacciare le lingue indigene; sì
nel mantenersi malgrado i conquistatori, e in luogo di cedere, divenir propria
anche di questi, si dovettero, come ho detto, in grandissima parte, alla civiltà
dei
3371 costumi latini e alle lettere latine con essa
lingue[lingua] introdotte o conservate: di
modo che detta lingua non riportò tali vittorie, solamente come colta e perfetta
per se, ma come congiunta ed appartenente ai colti e civili costumi, opinioni e
lettere latine. Perocchè, come ho detto, sempre ch'ella ne fu disgiunta, cioè
dovunque la civiltà e letteratura latina, e l'uso del viver latino, o non
s'introdusse, o non si mantenne, o scarsamente s'introdusse o si conservò; nè
anche s'introdusse la lingua latina, come in Germania, o
non si mantenne, come accadde in Inghilterra. E ciò si
vede non solo in queste parti d'europa, che non ammisero
la civiltà latina per eccesso di barbarie, o che non ammettendola, restarono
barbare; ma eziandio in quelle dove una civiltà ed una letteratura indigena
escluse la forestiera, in quelle che non ammettendo i costumi nè le lettere
latine, restarono però, quali erano, civili e letterate, cioè nelle nazioni
greche. Le quali non ricevendo l'uso del viver latino, non ricevettero neppur la
lingua, benchè la sede dell'
3372
impero romano, e Roma e il
Lazio, per così dire, fossero trasportate e
lunghissimi secoli dimorassero nel loro seno. Ma la
Grecia contuttociò non parlò mai nè scrisse latino,
ed ora non parla nè scrive che greco. Ed essa era pur la parte più civile
d'europa, non esclusa la stessa
Roma, al contrario appunto della
Germania. Sicchè da opposte, ma analoghe e
corrispondenti e ragguagliate e proporzionate, cagioni, nacque lo stesso
effetto.
[3816,5]
Alla p. 3067.
Non altrimenti, al tempo di Voltaire e
in quei contorni (quando l'unica letteratura d'europa
era, si può dir, la francese, benchè già ben decaduta; essendo spenta l'italiana
e la spagnuola; la tedesca non ancor nata, o bambina, o tutta francese;
l'inglese quasi interrotta, o francese anch'essa, ma già priva de' capi di
quella scuola anglo - gallica, cioè Pope, Addisson, ec.: e
parlo qui della letteratura non delle scienze e filosofia, dove gl'inglesi anche
allora fiorivano), le epistole e poesie indirizzate o da Voltaire medesimo o dagli altri poeti francesi ai
principi di Svezia, di Russia,
d'Alemagna ec. o composte in loro lode, o {su} di loro, o sui loro affari, o sugli avvenimenti ec.
si leggevano, si applaudivano, si ricercavano, si diffondevano, davano materia
di discorso nelle rispettive corti e capitali, e nell'altre corti
d'europa ec. e da' rispettivi principi ec. (lasciando
anche da parte il re e la corte
3817 e capitale, e
quasi tutto il regno, di Prussia, ch'era tutta francese
ec.). Così anche l'altre opere in versi o in prosa, di francesi o scritte in
francese, di letteratura e di poesia, non che di filosofia ec. Sicchè la lingua
italiana occupava nel sopraddetto tempo il grado che la francese non solo occupa
presentemente, ma quello ancora che occupò quando essa letteratura francese era
unica; sì per universalità e diffusione, sì per riputazione, dignità, gusto e
cura diffusane generalmente ec. come si vede anche per questa somiglianza
d'esser ella in quei tempi così {e sopra tutte} gradita
nelle corti, come lo fu nel 700, oltre la lingua, che ancor lo è sopra tutte,
anche la letteratura francese, che or non lo è più se non di pari coll'altre moderne (dal qual numero l'italiana
{d'oggidì} è fuori niente meno che la spagnuola).
(2. Nov. dì de' morti. 1823.).
[3863,2] Accade nelle lingue come nella vita e ne' costumi; e
nel parlare come nell'operare, e trattare con gli uomini (e questa non è
similitudine, ma conseguenza.) Nei tempi e nelle nazioni dove la singolarità
dell'operare, de' costumi ec. non è tollerata, è ridicola ec. lo è similmente
anche quella del favellare. E a proporzione che la diversità dall'ordinario,
maggiore o minore, si tollera o piace, {ovvero} non
piace, non si tollera, è ridicola ec. più o meno; maggiore o minore o niuna
diversità piace, dispiace, si tollera o non si tollera nel favellare. Lasceremo
ora il comparare a questo proposito le lingue antiche colle moderne, e il
considerare come corrispondentemente
3864 alla diversa
natura dello stato e costume delle nazioni antiche e moderne, e dello spirito e
società umana antica e moderna, tutte le lingue antiche sieno o fossero più
ardite delle moderne, e sia proprio delle lingue antiche l'ardire, e quindi esse
sieno molto più delle moderne, per lor natura, atte alla poesia; perocchè tra
gli antichi, dove e quando più, dove e quando meno, ηὐδοκίμει la singolarità
dell'opere, delle maniere, de' costumi, de' caratteri, degl'istituti delle
persone, e quindi eziandio quella del lor favellare e scrivere. La nazion
francese, che di tutte l'altre sì antiche sì moderne, è quella che meno approva,
ammette e comporta, anzi che più riprende ed odia e rigetta e vieta, non pur la
singolarità, ma la nonconformità dell'operare e del conversare nella vita
civile, de' caratteri delle persone ec.; la nazion francese, dico, lasciando le
altre cose a ciò appartenenti, della sua lingua e del suo stile; manca affatto
di lingua poetica, e non può per sua natura averne, perocchè ella deve
naturalmente inimicare e odiare, ed odia infatti, come la singolarità delle
azioni ec. così la singolarità del favellare e scrivere. Ora il parlar poetico è
per sua natura diverso dal parlare ordinario. Dunque esso ripugna per sua natura
alla natura della società e della nazione francese. E di fatti la lingua
francese è incapace, non solo di quel peregrino che nasce dall'uso di voci,
modi, significati tratti da altre lingue,
3865 o dalla
sua medesima antichità, anche pochissimo remota, ma eziandio di quel peregrino e
quindi di quella eleganza che nasce dall'uso non ordinario delle voci e frasi
sue moderne e comuni, cioè di metafore non trite, di figure, sia di sentenza,
sia massimamente di dizione, di ardiri di ogni sorta, anche di quelli che non
pur nelle lingue antiche, ma in altre moderne, come p. e. nell'italiana,
sarebbero rispettivamente de' più leggeri, de' più comuni, e talvolta neppure
ardiri. Questa incapacità si attribuisce alla lingua; ella in verità è della
lingua, ma è acora della nazione, e non per altro è in quella, se non perch'ella
è in questa. Al contrario la nazion tedesca, che da una parte per la sua
divisione e costituzion politica, dall'altra pel carattere naturale de' suoi
individui, pe' lor costumi, usi ec. {+per
lo stato presente della lor civiltà, che siccome assai recente, non è in
generale così avanzata come in altri luoghi,} e finalmente per la
rigidità del clima che le rende naturalmente propria la vita casalinga, e
l'abitudine di questa, è forse di tutte le moderne nazioni civili la meno atta e
abituata alla società personale ed effettiva; sopportando perciò facilmente ed
anche approvando e celebrando, non pur la difformità, ma la singolarità delle
azioni, costumi, caratteri, modi ec. delle persone (la qual
singolata[singolarità] appo loro non ha
pochi nè leggeri esempi di fatto, anche in città e corpi interi, come in quello
de' fratelli moravi, e in altri molti istituti ec. ec. tedeschi, che per verità
non hanno
3866 punto del moderno, e parrebbero
impossibili a' tempi nostri, ed impropri affatto di essi), sopporta ancora, ed
ammette e loda ec. una grandissima singolarità d'ogni genere nel parlare e nello
scrivere, ed ha la lingua, non pur nel verso, ma nella prosa, più ardita {per sua natura} di tutte le moderne colte, e pari {in questo} eziandio alla più ardita delle antiche. La
qual lingua tedesca per conseguenza è poetichissima e {capace
e} ricca d'ogni varietà ec. (11. Nov. 1823.).
[4031,1]
4031 Certo le condizioni sociali e i governi e ogni
sorta di circostanze della vita influiscono sommamente e modificano il carattere
e i costumi delle varie nazioni, anche contro quello che porterebbe il
rispettivo loro clima e l'altre circostanze naturali, ma in tal caso quello
stato o non è durevole, o debole, o cattivo, o poco contrario al clima, o poco
esteso nella nazione, o ec. ec. E generalmente si vede che i principali
caratteri o costumi nazionali, anche quando paiono non aver niente a fare col
clima, o ne derivano, o quando anche non ne derivino, e vengano da cagioni
affatto diverse, pur corrispondono mirabilmente alla qualità d'esso clima o
dell'altre condizioni naturali d'essa nazione o popolo o cittadinanza ec. Per
es. io non dirò che il modo della vita sociale rispetto alla conversazione e
all'altre infinite cose che da questa dipendono o sono influite, proceda
assolutamente e sia determinato nelle varie nazioni
d'europa dal loro clima, ma certo ne' vari modi
tenuti da ciascuna, e propri di ciascuna quasi fin da quando furono ridotte a
precisa civiltà e distinta forma nazionale, ovvero da più o men tempo, si scopre
una curiosissima conformità {generale} col rispettivo
clima in generale considerato. Il clima d'italia e di
Spagna è clima da passeggiate e massime nelle lor
parti più meridionali. Ora queste nazioni non hanno conversazione affatto, nè se
ne dilettano: e quel poco che ve n'è in italia, è nella
sua parte più settentrionale, in Lombardia, dove certo si
conversa assai più che in Toscana, a
Napoli, nel Marchegiano, in
Romagna, dove si villeggia
4032 e si fanno tuttodì partite di piacere, ma non di conversazione, e
si chiacchiera assai, e si donneggia assaissimo, ma non si conversa; in
Roma ec. Il clima
d'Inghilterra e di Germania
chiude gli uomini in casa propria, quindi è loro nazionale e caratteristica la
vita domestica, con tutte l'altre infinite qualità di carattere e di costume e
di opinione, che nascono o sono modificate da tale abitudine. Pur vi si conversa
più assai che in italia e Spagna
(che son l'eccesso contrario alla conversazione) perchè il clima è per tale sua
natura meno nemico alla conversazione, poichè obbligandoli a vivere il più del
tempo sotto tetto e privandoli de' piaceri della natura, ispira loro il
desiderio di stare insieme, per supplire a quelli, e riparare al vôto del tempo
ec. Il clima della Francia ch'è il centro della
conversazione e la cui vita e carattere e costumi e opinioni è tutto
conversazione, tiene appunto il mezzo tra quelli d'Italia
e Spagna, Inghilterra e
Germania, non vietando il sortire, {e il trasferirsi da luogo a luogo,} e rendendo
aggradevole il soggiornare al coperto: siccome la vita
d'Inghilterra e Germania tiene
appunto il mezzo, massime {in quest'ultimi tempi,} per
rispetto alla conversazione, tra la vita d'Italia e
Spagna e quella di Francia, e
così il carattere ec. che ne dipende. E già in mille altre cose la
Francia, siccome il suo clima, tiene il mezzo fra'
meridionali e settentrionali, del che altrove in più luoghi pp.
1045-46
pp.
2989-90. Non parlo delle meno estrinseche e più spirituali influenze
del clima sulla complessione e abitudine del corpo e dello spirito, {+anche fin dalla nascita,} che pur
grandissimamente
4033 contribuiscono a cagionare e
determinare la varietà che si vede nella vita delle nazioni, popolazioni,
individui tutti partecipi (come son oggi) di una stessa sorta di civiltà, circa
il genio e l'uso della conversazione. (15. Feb. 1824.).
[4191,4] Altro è che una lingua sia pieghevole, adattabile,
duttile; altro ch'ella sia molle come una pasta. Quello è un pregio, questo non
può essere senza informità, voglio dire, senza che la lingua manchi di una forma
e di un carattere determinato, di compimento, di perfezione. Questa informe
mollezza pare che si debba necessariamente attribuire alla presente lingua
tedesca, se è vero, come per modo di elogio predicano gli alemanni, che ella
possa nelle traduzioni prendere tutte le possibili forme delle lingue e degli
autori i più disparati tra se, senza ricevere alcuna violenza. Ciò vuol dire
ch'ella è una pasta informe e senza consistenza alcuna; per conseguente, priva
di tutte le bellezze e di tutti i pregi che risultano dalla determinata
proprietà, e dall'indole e forma compiuta, naturale, nativa, caratteristica di
una lingua. La pieghevolezza, la duttilità, la elasticità (per così dire), non
escludono nè la forma determinata e compiuta nè la consistenza; ma certo non
ammettono i vantati miracoli delle traduzioni tedesche. La lingua italiana
possiede questa pieghevolezza in sommo grado fra le moderne colte. La greca non
possedeva quella vantata facoltà della tedesca.
(Bologna 26. Agosto. 1826.).
[4250,3] Parrebbe che tutta quella infinita cura che pose
Isocrate circa la collocazione
delle parole e la struttura della dizione, non ad altro l'avesse egli posta,
4251 fuorchè a proccurare la più perfetta, la più
squisita, la maggior possibile, la più singolare chiarezza. Questa dote non si
osserva negli altri autori che l'hanno, se non in quanto nel leggerli non si
patisce, vale a dir non si sentono impedimenti e difficoltà. In Isocrate ella si osserva, perchè non
solo non si patisce leggendolo, ma per essa si prova un certo piacere. Negli
altri ella è qualità negativa, in questo è positiva; ha un certo senso, un
sapore proprio. Quel piacere che dà in molti autori una temperata difficoltà che
si prova leggendoli, e superando facilmente quella difficoltà
ad ogni passo, quel medesimo dà nel leggere Isocrate la somma e straordinaria facilità. Par di sentirvi quel
gusto che si prova quando in buona disposizione di corpo, e volontà di far moto,
si cammina speditamente per una strada, non pur piana, ma lastricata. Io non
credo che si trovi autor così chiaro e facile in alcuna altra lingua, come è
Isocrate (e certo senza compagni)
nella greca. Esso è facilissimo anche ai principianti in quella lingua, che è
pur la più difficile (se non prevale in ciò la tedesca) di tutte le lingue del
mondo. Tanto più mirabile in questo, quanto che si sa bene con quanto studio
Isocrate cercasse gli altri pregi
della dicitura, e soprattutto fuggisse il concorso delle vocali; + [p.
4251,3] difficoltà certo {grandissima,} ed inceppamento; {come ognun
vedrebbe provandovisi;} il quale però non ha punto impedito quella
maravigliosa facilità. (7. Marzo. Mercordì di quattro tempora.
1827.).
[4261,2] Tutti siamo naturalmente inclinati a stimar noi
medesimi uguali a chi ci è superiore, superiori agli uguali, maggiori di ogni
comparazione cogl'inferiori; in somma ad innalzare il merito proprio sopra {quel degli altri fuor di modo e ragione.} Questo è
natura universale, e vien da una sorgente comune a tutti. Ma un'altra sorgente
d'orgoglio {e di disistima altrui,} sconosciuta affatto
a noi; divenuta, per l'assuefazione incominciata sin dall'infanzia, naturale e
propria; è ai Francesi e agl'Inglesi la stima della propria nazione. Tant'è: il
più umano e ben educato e spregiudicato francese o inglese, non può mai far che
trovandosi con forestieri, non si creda cordialmente e sinceramente di trovarsi
con un inferiore a se (qualunque si sieno le altre circostanze); che non
disprezzi più o meno le altre nazioni prese in grosso; e che in qualche modo,
più o meno, non dimostri {esteriormente} questa sua
opinione di superiorità. Questa è una molla, una fonte {ben
distinta} di orgoglio, e di stima di se in pregiudizio o abbassamento
d'altrui, della quale niun altro fra i popoli civili, se non gli uomini delle
dette nazioni, possono avere o formarsi una giusta idea. I Tedeschi che
potrebbero con altrettanto diritto aver lo stesso sentimento, ne sono impediti
dalla lor divisione, dal non esserci nazion tedesca. I Russi sentono di esser
mezzo barbari; gli Svedesi, i Danesi, gli Olandesi, di essere troppo piccoli, e
di poter poco. Gli Spagnuoli del tempo di Carlo quinto e di Filippo
secondo, ebbero certamente questo sentimento, come veggiamo dalle
storie, niente meno che i francesi e gl'inglesi di oggidì, e con diritto uguale;
forse, senza diritto alcuno, l'hanno anche oggi; e così i Portoghesi: ma chi
pone oggi in conto gli Spagnuoli e i Portoghesi, parlando di popoli civili?
Gl'italiani forse l'ebbero (e par veramente di sì) nei secoli 15.o e 16.o e
parte del precedente e del susseguente; per conto della lor civiltà, che essi
ben conoscevano, e gli altri riconoscevano, esser superiore a quella di tutto il
resto d'europa. Degl'italiani d'oggi non parlo; non so
ben se ve n'abbia.
[4262,3] Anco pare strana questa cosa, considerata la gran
sensibilità e paura che hanno i francesi del ridicolo. Perchè se quella lor
pretensione riesce ridicola a chi la stima giusta, e d'altronde utile e
lodevole, come sono io; quanto non dovrà parere a quei che non pensano più che
tanto, o che la stimano assolutamente vana, esagerata ec.? Il che dee
4263 naturalmente accadere con molti, ma con gl'inglesi
accade di necessità. {+E già ogni
pretension che si dimostra, ancorchè giusta, è soggetta a ridicolo, perchè
il mostrar pretensione è ridicolo.} E manco strano sarebbe che eglino
non si guardassero co' forestieri da questo ridicolo in casa propria; dove essi
sono i più forti, perchè l'opinion comune è per loro, la lor superiorità è
ricevuta come assioma, e l'uditorio è tutto dalla lor parte. Ma che non se ne
guardino (come non se ne guardano punto) in casa dei medesimi forestieri,
viaggiando tra loro, co' loro medesimi ospiti? Questo veramente è strano assai
ne' francesi; ma molto più strano, che alla fin de' fatti, essi viaggiano tra
noi trionfalmente, dimostrandoci il lor disprezzo, mettendoci in ridicolo in
faccia nostra propria e parlando a noi (non che tornati che sono a casa); e che
da noi non ricevono il menomo colpo, {il più piccolo
spruzzo,} di ridicolo nè in parole, quando noi trattiamo qui con loro,
nè in lettere, nè in istampa. Da che vien questo? da bontà degl'Italiani, o da
dabbenaggine, o da paura, o da che altro? (25. Marzo. 1827.).
[4291,2] Dice la Staël che la lingua tedesca è una scienza, e lo stesso si può, e con
più ragione ancora, dir della greca. Quindi è accaduto che siccome le scienze si
perfezionano, e i moderni sono in esse superiori agli antichi, per le più
numerose e accurate osservazioni, così e per lo stesso mezzo la notizia del
greco, dal rinascimento degli studi, si è accresciuta e si accresce tuttavia, e
che i moderni sono in essa d'assai superiori a quelli del 5 o del 4 cento, e
forse in alcune parti (come in quella delle etimologie, parte così favolosamente
trattata da Platone), agli stessi greci
antichi; anzi, che gli scolari di greco oggidì, ne sappiano più de' maestri de'
passati tempi. E come le scienze non hanno limiti conosciuti nè forse
arrivabili, e nessuno si può vantare di possederle intere; così appunto accade
della lingua greca, la cognizione della quale sempre si estende, nè si può
conoscere se e quando arriverà al non plus ultra, nè
4292 basta l'avere spesa tutta la vita in questo
studio, per potersi vantare di essere un grecista perfetto.
(Firenze. 20. Sett. 1827.)
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