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30. Maggio 1822.

[2443,1]  Di ciò che ho notato altrove p. 741. sgg. pp. 805. sgg. pp. 1076-77 che l'uso di fabbricar nuovi composti, e di supplir così al bisogno di esprimer nuove idee, o nuove parti d'idee (ch'è tutt'uno, secondo le osservazioni della moderna ideologia), essendo stato così comune alle lingue antiche, e alle stesse moderne ne' loro principii, s'è poi quasi dimenticato, per utilissimo che sia; se ne possono dar, fra l'altre, le seguenti ragioni.
[2443,2]  1. Che tutte le lingue ne' loro principii sono per necessità più ardite che nel progresso, e le lingue antiche rispettivamente più ardite delle moderne. Or queste composizioni richiedono un certo ardire, massime trattandosi di farne un grand'uso, e d'applicar questa facoltà a quasi tutti i nuovi bisogni della lingua.
[2443,3]  2. Che nelle lingue antiche la necessità di far grand'uso de' composti, era molto ma molto  2444 maggiore che nelle moderne, a causa del tanto minor numero ch'esse avevano di parole originarie. Le radici, come ho detto altrove [pp. 805-809], e assegnatene le ragioni, son sempre scarsissime in una lingua nascente. Quindi l'assoluto bisogno della composizione, crescendo il numero delle cose da esprimersi, e volendosi perfezionar l'espressione delle cose, e distinguerla meglio; e arrivando gli uomini appoco appoco a staccare un'idea dall'altra, e a suddividerle (ch'è tutto il progresso dello spirito umano), e però avendo mestieri di nuove parole. E infatti si vede che l'incremento e il perfezionamento di qualunque lingua antica è stata ridotta a una certa perfezione, fu sempre compagno, o anch'effetto dell'uso di comporre più parole in una, arricchendo così la lingua: nel qual uso, e in quello dei derivativi (de' quali parimente intendo {qui} di ragionare) i greci e latini furono singolari maestri.
[2444,1]  Ma derivando le lingue moderne da lingue già perfezionate e letterate, la scarsezza delle radici non vi si osserva più, essendo divenute radicali, o in qualunque modo semplici e indipendenti per noi, quelle infinite parole  2445 che, p. e. in latino, sono evidentemente composte o derivate da altre, e che son rimaste in uso p. e. nell'italiano. Dove, quantunque la provenienza e dipendenza loro {ci} sia così manifesta e vicina, pur fanno offizio, ed hanno, relativamente alla lingua nostra, la vera natura di radicali 1. o perchè gli elementi di cui si compongono, separati che sieno, non significano niente in italiano, come significavano in latino, {+o quando anche l'un d'essi abbia qualche significato da se, l'altro, o gli altri, non l'hanno;} 2. o perchè corrotte e travisate in modo che la forma de' loro elementi è perduta affatto, quando anche essi elementi sussistano ancora per se stessi nell'italiano; 3. o perchè, essendo esse derivative in latino, non sussistono nell'italiano quelle voci latine da cui esse derivano; 4. o perchè, sussistendo anche queste voci, non sussiste più il costume di derivarne le altre parole in quei tali modi latini; e così le originarie e le derivate, quanto al latino, nella lingua nostra sono indipendenti l'une dall'altre, e rispetto alla nostra lingua, non hanno fra loro alcun'affinità (forse neanche di significato, per le solite alterazioni),  2446 ma l'une e l'altre quanto all'italiano, si debbono egualmente riconoscere per radicali.
[2446,1]  Da tutte le quali cose è seguito che abbondando noi sommamente di radicali, abbiamo intermesso, e poi lasciato, e finalmente quasi dimenticato l'uso delle derivazioni, e principalmente delle composizioni di {nuove} parole; {+e con ciò resolo assai difficile a chi voglia richiamarlo.} Il qual uso, sebbene non tanto quanto in greco e in latino, pur fu comune ai primi scrittori italiani, perciocchè la lingua era ancor povera di radici, come accade a tutte le lingue ne' loro principii, e quindi si ricorse necessariamente a questo mezzo, a cui tutte le lingue ricorrono col perfezionarsi. Ma impinguata poi la lingua sì con questo mezzo, sì coll'arricchirla d'infinite parole latine, che per noi, come ho detto, vengono ad esser tante radici, si dimenticò l'uso della derivazione e composizione, come suol pure accadere alle altre lingue per cagioni simili; p. e. alla lingua latina accadde quando ella s'impinguò strabocchevolmente di parole greche, le quali per lei divenivan tante radicali, e così cresciuto di moltissimo il numero delle sue radici, dimenticò o scemò l'uso di comporre o derivare nuove parole {+dalle già esistenti,} per li nuovi bisogni, come  2447 ho significato di proposito altrove pp. 740. sgg.
[2447,1]  Nè perciò la lingua latina ne divenne più potente che fosse prima: nè la lingua italiana similmente. Le radici, per quante vogliano essere, son sempre poche al bisogno, essendo infinite le idee, e la memoria e le facoltà degli uomini essendo limitatissime, e però incapaci di ritener precisamente tante parole quante sono le idee, e le parti e diversità loro; se queste parole sono affatto diverse e dissimili e indipendenti l'una dall'altra, come avverrebbe se tutte fossero radicali. E quindi l'uomo è incapace di possedere e di usare una lingua che abbia nel tempo stesso tante parole quante mai sono le cose da esprimersi, e che sia tutta composta di radici sole. La composizione e derivazione sono il mezzo più semplice e vero, riducendo infinite parole sotto pochi elementi, come ho spiegato altrove pp. 1128. sgg. paragonando questo mezzo alla scrittura nostra, e una lingua tutta composta di radici alla scrittura Cinese.
[2447,2]  Quindi non potendo mai bastar le radici, e avendo noi lasciato l'uso della derivazione e composizione di nuove parole dalle già esistenti, vediamo infatti che con tanto maggior numero di  2448 radici, la lingua nostra e[è] infinitamente meno ricca e potente, e meno esatta e propria nell'espressione delle minime diversità delle idee, di quel che fossero la latina e la greca con tanto meno radici.
[2448,1]  La conclusione è che bisogna a tutti i patti, e malgrado qualunque difficoltà, riassumer l'uso di spiegar le nuove idee col comporre, derivare, e formare nuove parole dalle radici della propria lingua; essendo questo, per natura delle cose (che tutto opera per modificazione degli elementi, e non per aggiunzione di sempre nuovi elementi, {+per modificazione {o composizione} e non per moltiplicazione}), l'unico, proprio, ed assoluto mezzo di rendere una lingua sufficiente ed uguale a qualunque numero d'idee, ed a qualunque novità d'idee; e renderla tale non accidentalmente ma per propria essenza, e non per alcuni momenti, come può essere adesso p. e. la francese, ma per sempre finch'ella conserva il suo carattere: come s'è veduto manifestamente nella lingua greca che da' tempi antichissimi fino a oggidì, è stata ed è eternamente capace di qualunque novità d'  2449 idee, antiche o moderne che sieno, e per diversissime che vogliano essere da quelle che correvano quando la lingua greca era in fiore. E simile in ciò credo che le sia la tedesca. Abbia cura di conservarsi tale.
[2449,1]  Perocchè tali son tutte ne' loro principii. Ma perfezionandosi, e però civilizzandosi, e pigliando commercio con lingue e letterature e nazioni straniere, e così impinguandosi di parole forestiere che per lei divengono radicali, dismette l'uso della composizione ec: e per pochi momenti supplisce bene a' suoi bisogni colle radici pigliate in prestito, ma di lì a poco, o diviene una stalla d'Augia a forza di stranierismi moltiplicati in infinito, o volendosi conservar pura, non può più parlare, perchè s'è lasciato cadere il solo istrumento che avesse per supplire alla novità delle idee conservandosi pura, cioè il coltivare e far fruttare le sue proprie radici. E forse perciò conservarono sempre i greci questa facoltà, perchè poco pigliarono da' forestieri, o non volendo prenderne per la nota loro superbia nazionale, o perchè realmente non si trovavano intorno altra nazione letterata e  2450 civile, dalla quale potessero prendere, sebbene con molte commerciarono, ma la letteratura le scienze e la civiltà de' greci, da' tempi noti in poi, furono sempre puramente greche.
[2450,1]  E così accadde cosa osservabilissima: cioè che la lingua greca per essersi conservata pura, divenne e si mantenne (ed ancora si mantiene) la più potente e ricca e capace di tutte le lingue occidentali. Non per altro se non perch'ella restringendosi in se sola, non lasciò mai di porre a frutto e a moltiplico il proprio capitale. E viceversa per esser divenuta così potente, si mantenne pura più lungo tempo di qualunqu'altra (ancor dopo ch'ebbe a fare con una nazione civile e signora sua, come la latina). Giacchè non ebbe alcun bisogno nè di parole nè di modi stranieri per esprimere qualunque cosa occorresse: e i greci avendo alle mani facile e pronto e spendibile il capitale proprio, non si curarono dell'altrui, il quale sarebbe stato loro più difficile a usare, e manco manuale del proprio. L'opposto di quello che avviene a noi per aver trasandato di porre a frutto il nostro bellissimo e vastissimo capitale, che benchè sia tale (oltre che la maggior parte ce n'è ignota), non basta  2451 nè potrà mai bastare al continuo e sempre nuovo bisogno della società favellante, se non lo faremo fruttare, come non solo concede amplissimamente, ma porta e vuole l'indole e la natura sua. (30. Maggio 1822.). {{V. p. 2455.}}