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Lingue, si stendono per piccolissimo tratto di paese.

Languages, are spread over a small area.

Vedi Dialetti See Dialects. 932,1 1020,1 1022,1 1053,1 1065,3 1459,1 1629,1 1755,1 1965,2 3254,1 3932,1

Lingue. Saperne molte aiuta il pensiero.

Languages. Knowing many helps to think.

94,1 1728,2 2212,1 2231,2

Maraviglioso una volta chi parlasse due lingue.

Someone who could speak two languages was once considered extraordinary.

4173,8

Lingue. Sono più facili a intendersi negli autori più antichi.

Languages. Are easier to understand in the very early authors.

2112,1

[932,1]  L'estensione reale strettamente considerata, della quale è capace una lingua, in quanto lingua  933 usuale, quotidiana, propria, e materna, è piccolissima; e molto minore che non si crede. Una stretta conformità di linguaggio, e per conseguenza una medesima lingua strettamente considerata, non è comune se non ad un numero ben piccolo di persone, e non occupa se non un piccolo tratto geografico.

[1020,1]  Alla p. 1013. {fine}. Si potrebbe dire che anche la lingua greca pativa lo stesso inconveniente, e ancor peggio, stante la moltiplicità de' suoi dialetti. Ma ne' dialetti era divisa anche la lingua latina, come tutte le lingue, massimamente molto estese e divulgate, {+e molto più, diffuse, come la latina, fra tanta diversità di nazioni e di lingue.} Il che apparisce non tanto dalla Patavinità rimproverata a Livio, (dalla quale sebbene altri lo difendono, pure apparisce che questa differenza di linguaggio, {o dialetto,} se non in lui, certo però esisteva); non tanto dalle diverse maniere {e idiotismi} degli scrittori latini di diverse nazioni e parti, (v. Fabric.  1021 B. G. l. 5. c. 1. §. 17. t. 5. p. 67. edit. vet. e il S. Ireneo del Massuet); {+le quali si possono anche inferire dalle diverse lingue nate dalla latina ne' diversi paesi, ed ancora viventi (che dimostrano una differenza d'inflessioni, di costrutti, di locuzioni ec. che se anticamente non fu tanta quanta oggidì, certo però è verisimile che fosse qualche cosa, e che appoco appoco sia cresciuta, derivando dalla differenza antica)} quanto da questo, che è nella natura degli uomini che una perfetta conformità di favella non {sussista mai} se non {fra} piccolissimo numero di persone. (v. p. 932. fine) Così che io non dubito che la lingua latina non fosse realmente distinta in più e più dialetti, come la greca, sebbene meno noti, e meno legittimati, e riconosciuti dagli scrittori, e applicati alla letteratura. {V. qui sotto.}

[1022,1]  Quanto la natura abbia proccurata la varietà, e l'uomo e l'arte l'uniformità, si può dedurre anche da quello che ho detto della naturale, necessaria e infinita varietà delle lingue, p. 952. segg. Varietà maggiore di quello che paia a prima vista, giacchè non solo produce p. e. al viaggiatore, una continua novità rispetto alla sola lingua, ma anche rispetto agli uomini, parendo diversissimi quelli che si esprimono diversamente; cosa favorevolissima alla immaginazione, considerandosi quasi come esseri di diversa specie quelli che non sono intesi da noi, nè c'intendono: perchè la lingua è una cosa somma, principalissima, caratteristica degli uomini, sotto tutti i rapporti della vita sociale. Per lo contrario, lasciando le altre cure degli uomini per uniformare, stabilire, regolare ed estendere le diverse lingue; oggi, in tanto e così vivo commercio di tutte, si può dir, le nazioni insieme, si è introdotta, ed è divenuta necessaria, una lingua comune, cioè la francese; la quale  1023 stante il detto commercio, e l'andamento presente della società, si può predire che non perderà più la sua universalità, nemmeno cessando l'influenza o politica, o letteraria, o civile, o morale ec. della sua nazione. E certo, se la stessa natura non lo impedisse, si otterrebbe appoco appoco che tutto il mondo parlasse quotidianamente il francese, e l'imparasse il fanciullo come lingua materna; e si verificherebbe il sogno di una lingua strettamente universale. (8. Maggio 1821.).

[1053,1]  Considerando per una parte quello che ho detto p. 937. seguenti , intorno alla naturale ristrettezza e povertà delle lingue, e come la natura avesse fortemente provveduto che l'uomo non facesse fuorchè picciolissimi progressi nel linguaggio, e che il linguaggio umano fosse limitato a pochissimi segni per servire alle sole necessità estrinseche e corporali della vita; e per l'altra parte considerando le verissime osservazioni del Soave (Appendice 1. al capo II. Lib. 3. del Saggio di Locke) e del Sulzer (Osservaz. intorno all'influenza reciproca della ragione sul linguaggio, e del linguaggio sulla ragione, nelle Memorie della R. Accadem. di Prussia, e nella Scelta di Opusc. interessanti, Milano 1775. vol. 4. p. 42 - 102.) intorno alla quasi impossibilità delle cognizioni senza il linguaggio, e proporzionatamente della estensione e perfezione ec. delle cognizioni, senza la perfezione, ricchezza ec. del linguaggio; considerando, dico, tutto ciò, si ottiene una nuova {e principalissima} prova, di quanto il nostro presente  1054 stato e le nostre cognizioni sieno direttamente e violentemente contrarie alla natura, e di quanti ostacoli la natura vi avesse posti. (15. Maggio 1821.).

[1065,3]  Dalle mie osservazioni sulla necessaria varietà delle lingue pp. 952. sgg. p. 955 p. 1022 p. 1045, risulta che non solo le lingue furono naturalmente molte e diverse anche da principio, per le  1066 impressioni che le medesime cose fanno ne' diversi uomini; le diverse facoltà imitative, o le diverse maniere d'imitazione usate da' primi creatori e inventori della favella; le diverse parti, forme, generi, accidenti di una medesima cosa, presi ad imitare e ad esprimere da' diversi uomini colla parola significante quella tal cosa; (v. Scelta di Opuscoli interessanti, Milano. Vol. 4. p. 56 - 57. e p. 44. nota) ma eziandio che introdotta e stabilita una medesima favella, cioè un medesimo sistema di suoni significativi, uniformi e comuni in una medesima società; questa favella ancora, inevitabilmente si diversifica e divide {appoco appoco} in differenti favelle. (19. Maggio 1821.).

[1459,1]  Quanto gli uomini sono meno inciviliti (come sono i selvaggi, com'erano gli Americani ec.) tanto maggiori e più frequenti varietà di lingue o dialetti si trovano in più piccolo spazio di paese, e minor quantità di gente. Cosa provata dalla storia, da' viaggi ec. e proporzionatamente dalla stessa osservazione de' popoli più o meno inciviliti, letterati ec. V. la p. 1386. fine. Dal che si vede quanto la natura contrasti all'uniformità de' linguaggi ec. come ho detto altrove pp. 937-40 p. 1022. (6. Agos. 1821.).

[1629,1]  Ho detto [p. 933] che dilatandosi le nazioni, le lingue si dividono. Ciò principalmente accade nel volgo, perchè il volgo di un luogo, poco o nessun commercio conserva con quello di un altro, benchè nazionale. Le altre classi ve lo conservano o immediato o mediato, per la civiltà che gli unisce, le scritture ec. ec. 1. Quanto più una nazione è nazione, {+e per ispirito e per istato politico,} {2.} quanto più il volgo è in commercio colle altre classi della stessa popolazione, 3. colle altre popolazioni {nazionali,} 4. quanto più una nazione, ed in essa il volgo, è civile, {+5. quanto più i costumi, i caratteri ec. sono per conseguenza conformi, sì nel volgo che nelle altre classi;} tanto i dialetti vernacoli sono minori di numero, e meno distinti di forma, ec. Applicate queste osservazioni all'Italia, alla Francia, Inghilterra, Germania ec.

[1755,1]  Ho detto altrove pp. 1301-302 che quasi ciascun individuo ha una lingua propria. Aggiungo che queste lingue individuali non solo si distinguono in certe parole o frasi abituali affatto proprie di questo o quel parlatore, ma anche nell'uso abituale di certe voci o frasi fra le molte o vere o false sinonime che ha una lingua (massime se ricca, come l'italiana) per esprimere una stessa cosa. La quale ogni volta che capita, eccoti il tal parlatore con quella tal parola o frase, e quell'altro con quell'altra diversissima, ciascuno secondo il suo costume. Così che il vocabolario di ciascun parlatore, è distinto dagli altri, come ho detto pp. 244-45 pp. 766-67 di quello degli scrittori greci e italiani individuali. Questi vocabolari composti  1756 sì di queste voci o frasi scelte invariabilmente fra le sinonime, sì di quelle che ho detto essere assolutamente proprie di questo o quell'individuo, si perpetuano nelle famiglie, perchè il figlio impara a parlare dal padre e dalla madre, e come ne imita i costumi e le maniere, molto più la lingua. Il qual effetto massimamente ha luogo nelle famiglie degli artigiani, de' poveri, ec. e molto più in quelle di campagna, come più separate dalla società non domestica. Ha luogo pur grandemente nelle famiglie delle classi elevate, che si tengono in un piede assai casalino, o dove i figli si educano in casa, dove poco si studia e si legge, e quindi poco s'ingrandisce la lingua abituale (la quale anche è poco soggetta all'influenza dello studio), dove poco si tratta ec. E se bene osserverete troverete sempre in queste tali famiglie un vocabolarietto proprio, composto ne' modi che ho detto. E potrete anche osservare in molte di queste,  1757 parecchie parole antichissime, e uscite dell'uso corrente, ma conservate e trasmesse di generazione in generazione in dette famiglie. Cosa che a me è successo più volte di osservare, e quelle parole o frasi non le ho mai sentite fuori o di quella {tal} famiglia, o di quella tal parentela. Negli altri generi di famiglie il detto effetto sarà minore, ma pur sempre avrà luogo proporzionatamente. Così le lingue si van dividendo appoco {appoco} nel seno di una stessa società, di uno stesso paese; il costume del padre si comunica al figlio, e si perpetua; il figlio pure inventa qualche parola ec. ec. e parimente la partecipa; le figlie le portano nelle famiglie in cui entrano; e la lingua umana si va tuttogiorno diversificando e cangiando faccia; e ciascuna famiglia viene a differire alquanto dalle altre nella significazione de' suoi pensieri. (o parlata o anche scritta). (21. Sett. 1821.).

[1965,2]  Alla p. 1938. En apprenant la prosodie d'une langue, on entre plus intimément dans l'esprit de la nation qui la parle que par quelque gente d'étude que ce puisse être. De là vient qu'il est amusant de prononcer des mots étrangers: on s'écoute comme si c'étoit un autre qui parlât: mais il  1966 n'y a rien de si délicat, de si difficile à saisir que l'accent: on apprend mille fois plus aisément les airs de musique le plus compliqués, que la prononciation d'une seule syllabe. Une longue suite d'années, ou les premières impressions de l'enfance, peuvent seules rendre capable d'imiter cette prononciation, qui appartient à ce qu'il y a de plus subtil et de plus indéfinissable dans l'imagination et dans le caractère national. * (Vedete qui 1. la gran varietà di tutto ciò ch'è opera ed effetto della natura, e non ha che far colla ragione. 2. l'immensa e inevitabile e naturale varietà che deve a ogni patto nascere ec. nella favella degli uomini, varietà ch'essendo così difficile a saisir, pone un grandissimo ostacolo a farsi scambievolmente intendere. E quante menome, ma egualmente indefinibili e inimitabili particolarità ha la pronunzia e l'accento di ciascun paese, o terra, o individuo! ec.)  1967 De l'Allemagne, t. 1. 2.de part. ch. 9. principio.

[3254,1]  Quello {poi} che ho detto che una lingua strettamente universale, dovrebbe di sua natura essere anzi un'ombra di lingua, che lingua propria, maggiormente anzi esattamente conviene a quella lingua caratteristica proposta fra gli altri dal nostro Soave (nelle Riflessioni intorno  3255 all'istituzione d'una lingua universale, opuscolo stampato in Roma, e poi dal med. autore rifuso nell'Appendice 2.a al capo II.o del Libro 3o del Saggio filosofico di Gio. Locke su l'umano intelletto compendiato dal D. Winne tradotto, e commentato da Francesco Soave C. R. S. tomo 2.do, intitolato Saggio sulla formazione di una Lingua Universale), la qual lingua o maniera di segni non avrebbe a rappresentar le parole, ma le idee, bensì alcune delle inflessioni d'esse parole (come quelle de' verbi), ma piuttosto come inflessioni o modificazioni delle idee che delle parole, e senza rapporto a niun suono {pronunziato,} nè significazione e dinotazione alcuna di esso. Questa non sarebbe lingua perchè la lingua non è che la significazione delle idee fatta per mezzo delle parole. Ella sarebbe una scrittura, anzi nemmeno questo, perchè la scrittura rappresenta le parole e la lingua, e dove non è lingua nè parole quivi non può essere scrittura. Ella sarebbe un terzo genere, siccome i gesti non sono nè lingua nè scrittura ma cosa diversa dall'una e dall'altra. Quest'algebra di linguaggio (così nominiamola)  3256 la quale giustamente si è riconosciuta per quella maniera di segni ch'è meno dell'altre impossibile ad essere strettamente universale, si può pur confidentemente e certamente credere che non sia per essere nè formata ed istituita, nè divulgata ed usata giammai. Dirò poi ancora, ch'ella in verità non sarebbe strettamente universale, perch'ella lascerebbe a tutte le nazioni le loro lingue, siccome ora la francese. Ella di più non sarebbe propria che dei dotti o colti. Ma di tutti i dotti e colti lo è pure oggidì la francese. Quale utilità dunque di quella lingua? la quale non sarebbe forse niente più facile ad essere generalmente nella fanciullezza imparata, di quello che sia la francese, che benissimo e comunissimamente nella fanciullezza s'impara. E tutti i vantaggi che si ricaverebbero da quella chimerica lingua, tutti, e molto più e maggiori, e forse con più facilità si caverebbero dalla lingua francese, divenendo, se pur bisogna, più comune e più studiata e coltivata di quel ch'ella già sia.

[3932,1]   3932 Verdaderamente yo tengo que ay muchos tiempos y años que ay gentes en estas Indias * (la America {meridional}), segun lo demuestran sus antiguedades y tierras tan anchas y grandes como han poblado; y aunque todos ellos son morenos lampiños y se parecen en tantas cosas unos a otros, ay tanta multitud de lenguas entre ellos que casi a cada legua y en cada parte ay nuevas lenguas. * Chronica del Peru, parte primera (della quale opera vedi la pag. 3795-6.) hoja 272. capitulo 116. principio. (28. Nov. 1823.).

[94,1]  Il posseder più lingue dona una certa maggior facilità e chiarezza di pensare seco stesso, perchè noi  95 pensiamo parlando. Ora nessuna lingua ha forse tante parole e modi da corrispondere ed esprimere tutti gl'infiniti particolari del pensiero. Il posseder più lingue e il potere perciò esprimere in una quello che non si può in un'altra, o almeno così acconciamente, o brevemente, o che non ci viene così tosto trovato da esprimere in un'altra lingua, ci dà una maggior facilità di spiegarci seco noi e d'intenderci noi medesimi, applicando la parola all'idea che senza questa applicazione rimarrebbe molto confusa nella nostra mente. Trovata la parola in qualunque lingua, siccome ne sappiamo il significato chiaro e già noto per l'uso altrui, così la nostra idea ne prende chiarezza e stabilità {e consistenza} e ci rimane ben definita e fissa nella mente {, e ben determinata e circoscritta.} Cosa ch'io ho provato molte volte, e si vede in questi stessi pensieri scritti a penna corrente, dove ho fissato le mie idee con parole greche francesi latine, secondo che mi rispondevano più precisamente alla cosa, e mi venivano più presto trovate. Perchè un'idea senza parola o modo di esprimerla, ci sfugge, o ci erra nel pensiero come indefinita e mal nota a noi medesimi che l'abbiamo concepita. {{Colla parola prende corpo, e quasi forma visibile, e sensibile, e circoscritta.}}

[1728,2]  Il me semble que nous avons tous besoin les uns des autres; la littérature de chaque pays découvre, à qui sait la connaître, une nouvelle sphère d'idées. C'est Charles-Quint lui-même qui a dit qu'un homme qui sait quatre langues vaut quatre hommes. Si ce grand génie politique en jugeait ainsi pour les affaires, combien cela n'est-il pas plus vrai pour les lettres? Les étrangers savent tous le français, ainsi leur point de vue est plus étendu que celui des Français qui ne savent pas les langues étrangères. Pourquoi  1729 ne se donnent-ils pas plus souvent la peine de les apprendre? Ils conserveraient ce qui les distingue, et découvriraient ainsi quelquefois ce qui peut leur manquer. * Corinne liv. 7. ch. 1. dernieres lignes. (18. Sett. 1821.).

[2212,1]  Non si pensa se non parlando. Quindi è certissimo che quanto la lingua di cui ci serviamo pensando, è più lenta, più bisognosa di parole e di circuito per esprimersi, ed esprimersi chiaramente, tanto (in proporzione però della rispettiva facoltà ed abitudine degl'intelletti individuali) è più lenta la nostra concezione, il nostro pensiero, ragionamento e discorso interiore, il nostro modo di concepire e d'intendere, di sentire e concludere una verità, conoscerla, il processo della nostra mente nel sillogizzare, e giungere alle conseguenze. Nella maniera appunto che una testa poco avvezza a ragionare, più lentamente tira da premesse evidenti e ben concepite, e legate ec. una conseguenza parimente manifesta (il che accade tuttodì negli uomini volgari, ed è cagione della loro poca ragionevolezza, della loro piccolezza, tardità nell'intendere le cose più ovvie, piccolezza, volgarità, oscurità di  2213 mente ec.); e nella maniera che la scienza e la pratica delle matematiche, del loro modo di procedere, e di giungere alle conseguenze, del loro linguaggio ec. aiuta infinitamente la facoltà intellettiva e ragionatrice dell'uomo, compendia le operazioni del suo intelletto, lo rende più pronto a concepire, più veloce {e spedito} nell'arrivare alla conclusione de' suoi pensieri, e dell'interno suo discorso; insomma per una parte assuefa, per l'altra facilita all'uomo l'uso della ragione ec. Quindi deducete quanto giovi la cognizione di molte lingue, giacchè ciascuna ha qualche proprietà e pregio particolare, questa è più spedita per un verso, quella per un altro, questa è più potente nella tal cosa, quella in tal altra, questa può facilmente esprimere la tale precisa idea, quella non può, o difficilmente. Egli è indubitato: la nuda cognizione di molte lingue  2214 accresce anche per se sola il numero delle idee, e ne feconda poi la mente, e ne facilita il più copioso e più pronto acquisto. Quello che ho detto della lentezza o speditezza delle lingue si deve estendere a tutte le altre loro proprietà; povertà o ricchezza, ec. ec. anche a quelle che spettano all'immaginazione, giacchè da queste è influita la fantasia, e la facoltà delle concezioni fantastiche (e ragionamenti fantastici) e la qualità di esse, come da quelle è influito l'intelletto e la facoltà del discorso. Vedete dunque s'io ho ragione nel dire che la pratica della lingua greca avrebbe giovato agl'intelletti più che non fece quella della latina (lingua non solo non filosofica nè logica, come non lo è neppur la greca, ma non adattabile, senza guastarla, alla filosofia sottile, ed all'esattezza precisa delle espressioni e delle idee, a differenza della greca.). V. la p. 2211. fine. E quello che dico della lingua greca, dico di  2215 ciascun'altra per la sua parte, massime di quelle ad essa più analoghe; lo dico dell'italiana, massime in ordine alla facoltà immaginativa, e concettiva del bello, del nobile, del grazioso ec. la qual facoltà da nessuna moderna lingua può tanto essere aiutata come dall'italiana, avendola ben conosciuta e familiare, o materna o no ch'ella ci sia. (3. Dic. dì di S. Franc. Saverio. 1821.)

[2231,2]  Di quante parole o frasi forestiere antiche o moderne, diciamo giornalmente fra noi stessi, o interrogati del loro valore, questa non si può esprimere in nostra lingua, il significato non ve lo posso precisamente spiegare. Che cosa sono esse? idee, o parti, o qualità e modificazioni d'idee, che quelle lingue e quelle nazioni hanno, e che la nostra non ha, benchè ne sia capacissima, perchè imparando quelle lingue, le comprende benissimo, e chiaramente. (6. Dic. 1821.)

[4173,8]  Magnum videlicet illis * (Athenaei) temporibus videbatur, duabus linguis posse loqui: quod in nescio quo habitum loco miraculi refert Galenus: δίγλωττóς τις, inquit, ἐλέγετο πάλαι, καὶ ϑαῦμα τοῦτ᾽ ἦν, ἄνϑρωπος εἷς, ἀκριβῶν διαλέκτους δύο * . Bilinguis olim quidam dicebatur: eratque res miraculo mortalibus, homo unus duas exacte linguas tenens. * Haec Galenus in secundo de Differentiis pulsuum. * Casaub. Animadv. in Athenae. lib. 1. cap. 2. (Bologna 14. Aprile. 1826.).

[2112,1]  Come anche le costruzioni, l'andamento, la struttura ch'io chiamo naturale in una lingua, distinguendola dalla ragionevole, logica, geometrica, abbia una proprietà universale, e sia da tutti più o meno facilmente appresa (almeno dentro una stessa categoria di nazioni e di tempi), e come per conseguenza la semplicissima e naturalissima (sebbene perciò appunto figuratissima) struttura della lingua greca, dovesse facilitare la di lei universalità; si può vedere in questo, che le scritture le più facili in qualunque lingua per noi nuova o poco nota, sono quasi sempre e generalmente  2113 le più antiche e primitive, e quelle al cui tempo, la lingua o si veniva formando, e non era ancor pienamente formata, o non peranche era incominciata a formare. Così accade nello spagnuolo, così ne' trecentisti italiani (i più facili scrittori nostri), così nella stessa oscurissima lingua tedesca, i cui antichi romanzi (come di un certo Romanzo del 13.zo sec. intitolato Nibelung, dice espressamente la Staël) sono anche oggi assai più facili e chiari ad intendersi, che i libri moderni. Accade insomma il contrario di quello che a prima vista parrebbe, cioè che una lingua non formata, o non ben formata e regolata, {e poco logica,} sia più facile della perfettamente formata {, e logica.} (Eccetto le minuzie degli arcaismi, che abbisognano di Dizionario per intenderli ec. difficoltà che per lo straniero apprentif è nulla, e non è sensibile se non al nazionale ec. ec. {+Eccetto ancora certi ardiri propri della natura, e diversi secondo l'indole delle nazioni delle lingue, e degl'individui in que' tempi, i quali ardiri piuttosto affaticano, di quello che impediscano di capire. v. p. 2153.}) Parimente infatti  2114 i più antichi scrittori greci sono i più facili e chiari, perchè i più semplici, e di costrutti e frasi le più naturali, e lo studioso che intende benissimo Senofonte, Demostene, Isocrate ec. si maraviglia di non intendere i sofisti, e Luciano, e Dion Cassio, e i padri greci, e altri tali; e molto sbaglierebbe quel maestro che facesse incominciare i suoi scolari dagli scrittori greci più moderni, credendo, come può parere a prima giunta, che i più antichi, e più perfettamente greci, debbano esser più difficili. Così pure accade nel latino, che i più antichi sono i più facili, e di dizione più somigliante di gran lunga alla greca, che tale fu infatti la letteratura latina ne' suoi principii, e la lingua latina, anche prima della letteratura, e l'una e l'altra indipendentemente ancora dall'imitazione e dallo studio degli esemplari e letteratura greca. Son più facili gli antichi poeti latini, che i prosatori del secol d'oro. (18. Nov. 1821.).