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Greca (lingua), se avesse tenuto e tenesse in Europa il luogo della latina, gran vantaggio ne seguirebbe.

Greek (language), it would be of great benefit had it taken and held the place of Latin in Europe.

1973,1 2025,1 2089 2170,1 2210,1 2212,1 2619,1 2635,1

Greca (lingua), forse più moderna della latina; certo di origini più difficili a rintracciarsi.

Greek (language), perhaps more modern than Latin; certainly of origins that are more difficult to trace.

Vedi Latina (lingua): osservazioni archeologiche ec. See Latin (language): archeological observations, etc. 2138,2 2307,1 2329,1 2369,1 2572,1 2771,23 2779,2 2812-3 2882,1 3284,2 3541,3 3762,2 3902,3 3938,4 3940,2 4007,4 4030,7 4040,3 4042,4 4045,1 4048,1.5 4050,4 4086,4 4089,2 4096,1 4123,1 4154,9 4155,1 4268,3

[1973,1]  Io credo possibile il tradurre le opere moderne o filosofiche o di qualunque argomento, in buon greco (massime le italiane o spagnuole o simili), come son certo che non si potrebbero mai tradurre in buon latino. Se le circostanze avessero portato che la lingua greca avesse nei nostri paesi prevaluto alla latina, e che quella in luogo di questa avesse servito ai dotti nel risorgimento degli studi, l'uso di una lingua morta, avrebbe forse potuto durare più lungo tempo, o almeno esser più felice (nè solo negli studi, ma in tutti gli altri usi in cui s'adoprò la lingua latina fino alla sufficiente formazione delle moderne europee); i nostri eleganti scrittori latini del 500. ec. avrebbero potuto esser quasi moderni, se avessero scritto in greco, laddove scrivendo in latino si assicurarono di non poter esser lodati se non dagli antichi, e di servire ai passati  1974 in luogo de' posteri, e di potersi piuttosto ricordare che sperare; e se la lingua che oggi si studia tuttavia da' fanciulli, e quella che molti, massime in italia, si ostinano a voler ancora adoperare in questa o quella occasione, fosse piuttosto la greca che la latina, essa servirebbe molto più alla vita moderna, faciliterebbe molto più il pensiero, e l'immaginazione ec. e sarebbe alquanto più possibile il farne un qualche uso pratico ec. (23. Ott. 1821.). {{V. p. 2007.}}

[2025,1]  Gli antichi poeti e proporzionatamente gli scrittori in prosa, non parlavano mai delle cose umane e della natura, se non per esaltarle, ingrandirle, quando anche parlassero delle miserie {+e di argomenti, e in istile malinconico.} ec. Così che la grandezza costituiva il loro modo di veder le cose, e lo spirito della loro poesia. Tutto al contrario accade ne' poeti, e negli  2026 scrittori moderni, i quali non parlano nè possono parlare delle cose umane e del mondo, che per deprimerne, impiccolirne, avvilirne l'idea. Quindi è che i linguaggi antichi sempre innalzano e ingrandiscono, massime quelli de' poeti, i moderni sempre impiccoliscono e abbassano {e annullano} anche quando sono poetici. {+Anzi appunto in ciò consiste lo spirito poetico d'oggidì (che ha sempre, e massime oggi, grandi rapporti col filosofico di ciascun tempo). Gli antichi si distinguevano dal volgo coll'inalzare le cose al di sopra dell'opinione comune; i moderni poeti col deprimerle al di sotto di essa. In ciò pure v'è grandezza, ma del contrario genere.} Onde avviene che gli scritti moderni tradotti p. e. in latino, o le cose moderne trattate in latino, suonano tutt'altro da quello che intendono, e ne segue un effetto discordante tra la grandezza e l'altezza del linguaggio, e la strettezza e bassezza delle idee, ancorchè fra noi poeticissime. (Come accaderebbe trasportando le nostre letterature in Oriente). E viceversa traducendo gli antichi negl'idiomi moderni, o trattando in questi le cose antiche.

[2088,1]  Ma prescindendo da ciò, quest'esempio di fatto prova e conferma quello che in diversi luoghi pp. 1478. sgg. pp. 1862-63 pp. 2008-2009 ho detto: 1. che  2089 le lingue d'indole antica sono capacissime della più sottile filosofia, e di esprimere ogni più riposta ed elementare idea umana; 2. che la lingua greca (simile alla tedesca) lo fu, e lo sarebbe anche oggi se vivesse, ed avrebbe potuto servire ai nostri tempi molto meglio della latina se ec. ec. ec. 3. che la lingua italiana essendo fra le lingue moderne formate la più antica di fatto e d'indole, la più libera ec. (tanto ch'ella vince in queste qualità la stessa latina sua madre) è sommamente capace di filosofia, per astrusa che possa essere, quando coloro che l'adoprano, sappiano conoscere e impiegare le sue qualità, e le immense sue forze, e le forme di cui è suscettibile per sua natura, e volerla applicare alle cose moderne ec. (14. Nov. 1821.).

[2170,1]  Il quale splendido esempio, e {fatto} notabilissimo per le sue circostanze, conferma quello ch'io dico della maggior filosoficità della lingua greca, maggior libertà, e indipendenza, maggior capacità delle idee sottili, maggiore adattabilità alle cose moderne; e com'ella avrebbe potuto assai più della latina servire alla rinata letteratura, e giovare anche oggi la sua {intima} cognizione (se non all'uso, ch'è impossibile) almeno al perfezionamento dell'intelletto  2171 filosofico moderno, {delle idee di ciascuno, e} {{della facoltà di pensare}} e delle stesse più colte lingue moderne. (26. Nov. 1821.).

[2210,1]  Se la lingua greca nel risorgimento delle lettere avesse prevaluto alla latina, quanto all'uso de' dotti, alle cose diplomatiche ec. ella sarebbe  2211 stata (oltre gli altri vantaggi) più facile a trattare e a scrivere anche elegantemente, e con quella perfezione con che in italia fu scritto il latino, e ciò non solo per la sua adattabilità alle cose moderne, ma per la maggior facilità assoluta della sua costituzione e proprietà, che resulta dalla sua naturalezza, semplicità di frase di andamento ec. E la minore anzi niuna somiglianza che avrebbe avuta col materiale delle lingue moderne e viventi, sarebbe stato uno scoglio di meno alla sua purità, ed eleganza, alla conservazione della sua vera indole, e in vece del latino barbaro, si sarebbe scritto un greco puro, e la barbarie non avrebbe dovuto esser cagione di abbandonarla, come la latina, barbara anche oggi negli scrittori tedeschi ec. che la usano.

[2212,1]  Non si pensa se non parlando. Quindi è certissimo che quanto la lingua di cui ci serviamo pensando, è più lenta, più bisognosa di parole e di circuito per esprimersi, ed esprimersi chiaramente, tanto (in proporzione però della rispettiva facoltà ed abitudine degl'intelletti individuali) è più lenta la nostra concezione, il nostro pensiero, ragionamento e discorso interiore, il nostro modo di concepire e d'intendere, di sentire e concludere una verità, conoscerla, il processo della nostra mente nel sillogizzare, e giungere alle conseguenze. Nella maniera appunto che una testa poco avvezza a ragionare, più lentamente tira da premesse evidenti e ben concepite, e legate ec. una conseguenza parimente manifesta (il che accade tuttodì negli uomini volgari, ed è cagione della loro poca ragionevolezza, della loro piccolezza, tardità nell'intendere le cose più ovvie, piccolezza, volgarità, oscurità di  2213 mente ec.); e nella maniera che la scienza e la pratica delle matematiche, del loro modo di procedere, e di giungere alle conseguenze, del loro linguaggio ec. aiuta infinitamente la facoltà intellettiva e ragionatrice dell'uomo, compendia le operazioni del suo intelletto, lo rende più pronto a concepire, più veloce {e spedito} nell'arrivare alla conclusione de' suoi pensieri, e dell'interno suo discorso; insomma per una parte assuefa, per l'altra facilita all'uomo l'uso della ragione ec. Quindi deducete quanto giovi la cognizione di molte lingue, giacchè ciascuna ha qualche proprietà e pregio particolare, questa è più spedita per un verso, quella per un altro, questa è più potente nella tal cosa, quella in tal altra, questa può facilmente esprimere la tale precisa idea, quella non può, o difficilmente. Egli è indubitato: la nuda cognizione di molte lingue  2214 accresce anche per se sola il numero delle idee, e ne feconda poi la mente, e ne facilita il più copioso e più pronto acquisto. Quello che ho detto della lentezza o speditezza delle lingue si deve estendere a tutte le altre loro proprietà; povertà o ricchezza, ec. ec. anche a quelle che spettano all'immaginazione, giacchè da queste è influita la fantasia, e la facoltà delle concezioni fantastiche (e ragionamenti fantastici) e la qualità di esse, come da quelle è influito l'intelletto e la facoltà del discorso. Vedete dunque s'io ho ragione nel dire che la pratica della lingua greca avrebbe giovato agl'intelletti più che non fece quella della latina (lingua non solo non filosofica nè logica, come non lo è neppur la greca, ma non adattabile, senza guastarla, alla filosofia sottile, ed all'esattezza precisa delle espressioni e delle idee, a differenza della greca.). V. la p. 2211. fine. E quello che dico della lingua greca, dico di  2215 ciascun'altra per la sua parte, massime di quelle ad essa più analoghe; lo dico dell'italiana, massime in ordine alla facoltà immaginativa, e concettiva del bello, del nobile, del grazioso ec. la qual facoltà da nessuna moderna lingua può tanto essere aiutata come dall'italiana, avendola ben conosciuta e familiare, o materna o no ch'ella ci sia. (3. Dic. dì di S. Franc. Saverio. 1821.)

[2619,1]   2619 È curioso l'osservare come l'universalità sia passata dalla lingua greca ch'è la più ricca, vasta, varia, libera, ardita, espressiva, potente, naturale di tutte le lingue colte, alla francese ch'è la più povera, limitata, uniforme, schiava, timida, languida, inefficace, artifiziale delle medesime. E più curioso che l'una e l'altra lingua abbiano servito all'universalità appunto perchè possedevano in sommo grado le predette qualità, che sono contrarie direttamente fra loro. E pur tant'è, ed anche oggidì dalla lingua francese in fuori, non v'è, e mancando la lingua francese, non vi sarebbe lingua meglio adattata all'universalità della greca, ancorchè morta, (2. Settem. 1822.) {{ed ancorch'ella sia precisamente l'estremo opposto alla lingua francese. (2. Sett. 1822.).}}

[2635,1]  La lingua greca ch'è la più antica delle colte ben conosciute, è anche fra tutte le lingue colte la più capace di significar l'idee e gli oggetti più propriamente moderni cioè i più difficili a significarsi e di supplire ai bisogni d'espressioni, prodotti dall'ampiezza, varietà e profondità delle nozioni moderne. E il fatto stesso lo dimostra, ricorrendosi tutto dì alla lingua greca ec. come ho detto altrove pp. 735-38 pp. 1843-45. (10. Ottobre. 1822.)

[2138,2]  2. Noi troviamo apere, ed aptus come si vede in una infinità di es. nel Forcell. è un evidente participio di un verbo significante alligare connectere ec. Questo medesimo participio non è primitivo, ma contratto (forse da apitus) come ho mostrato altrove pp. 1153-54. Da questo  2139 participio ridotto ad aptus, è venuto il verbo aptare, secondo gl'infiniti esempi che ho addotti, e nella maniera e andamento che ho dimostrato circa la formazione de' verbi in are da' participi in us di altri verbi.

[2307,1]  (Nel qual proposito osservo di passaggio. La n è radicale e caratteristica della negativa in latino, e così pure per conseguenza in italiano. Quindi non, ne, nec, neque {[v. il Forcell.]} nihil, nil, nemo, nullus cioè non ullus come pure si dice, nego, nefas, nequam, nepus cioè non purus, nolo, {nequeo, nequicquam, nedum,} nequaquam ec. de' quali v. il Forcell. ed osserva la forza {e l'uso} della particella ne in composizione. Non così nel linguaggio greco dei buoni secoli. Giacchè οὐ, οὐχ, οὐκ, μή, ἀ- ec. non hanno n.  2308 Eppure nell'antichissimo greco è chiaro per le sullodate testimonianze, e per l'uso di Omero ec. che la ν avea forza di negazione, privazione, ec. Ecco un'altra prova e della fraternità antichissima delle dette due lingue, e dell'esser forse qualche cosa passata piuttosto dal latino nel greco, che viceversa; o certo dell'avere la lingua latina conservate assai più della greca le sue antichissime ed originarie proprietà. E notate che trattandosi della caratteristica negativa, si tratta di cosa primitiva affatto, e di primissima necessità in qualunque lingua.)

[2329,1]   2329 Alla p. 1136 fine. Fra le molte prove che si potrebbero addurre di ciò, cavate dalla veramente profonda e non superficiale investigazione della più remota antichità, v'è anche questa. Noi diciamo che lo spirito denso dei greci fu bene spesso trasformato dai latini in una s. Ma il fatto sta che gli antichissimi monumenti greci hanno essi medesimi il sigma, dove poi si costumò di porre lo spirito denso, e forse anche in luogo del lene. V. Iscriz. antiche illustrate dall'Ab. Gaetano Marini, p. 184. e soprattutto il Lanzi, della lingua Etrusca. Questo che cosa dimostra? dimostra secondo me, che l'antichissima forma di quelle tali parole comuni {ab} antichissimo al greco e al latino, era infatti colla s in principio, e non collo spirito; che questo per indole di loro pronunzia fu coll'andar del tempo sostituito dai greci parlatori, e poi dagli scrittori, al sigma, e non viceversa la s allo spirito dai latini; che per conseguenza la forma latina è più antica della greca, la pronunzia cioè e la scrittura latina di tali parole; e che quindi in esse i latini hanno conservato l'antichità e il primitivo più dei  2330 greci. V. p. 2143. segg. {2307-8,} ed altri miei passi su questo punto di antichità. E quante altre simili osservazioni si potrebbono fare sulle antichissime parole, proprietà, ortografie ec. delle due lingue: osservazioni le quali mostrerebbero che quello che comunemente crediamo venuto dalla grecia nel Lazio, o è tutto al rovescio, o vien da origine comune; e che quelle differenze che in tali cose s'incontrano fra il greco e il latino, e che da noi sono attribuite a corruzione sofferta da quelle parole ec. passando nel Lazio, si debbono invece attribuire a corruzione sofferta in Grecia; e nel Lazio conservano la loro forma antichissima, e non differiscono dalla greca, se non perchè questa s'è allontanata essa stessa dal primitivo assai più della latina. (5. Gen. 1822.). {{V. p. 2351. fine. e 2384.}}

[2369,1]  Noi diciamo fare una cosa di buona gana, cioè alacriter. Presso gli spagnuoli gana vale alacritas. Gli scrittori latini non hanno parola da cui questa si possa derivare. E pure dove credete che rimonti la sua origine? Alle primissime sorgenti delle due lingue sorelle latina e greca. Γάνος in greco vuol dire lętitia, gaudium, voluptas. V. il Lessico co' suoi derivati. Come dunque questa voce nostra e spagnuola, volgarissima in ambo le lingue, anzi plebea, nè degna della scrittura sostenuta, può esser mai derivata dal greco? quando ne' tempi barbari in cui nacquero tali lingue,  2370 appena si sapeva in italia o in Ispagna che vi fosse al mondo una lingua greca? come può esser venuta questa voce se non dal volgare latino, e per mezzo di esso?

[2572,1]  Dire che la lingua latina è figlia della greca, perchè vi si trovano molte parole e modi greci introdottivi parte dalla letteratura, parte dal commercio e vicinanza delle colonie greco-italiane, parte dall'antico commercio avuto colla nazione greca sempre mercatrice, parte derivanti dalla stessa comune origine d'ambe le lingue, è lo stesso appunto che vedendo la nostra presente  2573 lingua italiana piena di francesismi, e modellata sulla francese, conchiudere che la lingua italiana è figlia della francese. Anzi v'ha più di francese nella presente lingua italiana (che è quasi una traduzione, e una scimia della francese) di quel che v'abbia di greco nella lingua latina, massime poi dell'antica. Del resto la parità va molto bene a proposito, perchè infatti le lingue italiana e francese sono appunto sorelle, come la greca e la latina. (20. Luglio 1822.).

[2771,3]  Come la lingua latina abbia conservato l'antichità più della greca, si dimostra ancora con queste considerazioni. 1. La lingua latina conserva nell'uso comune de' suoi buoni tempi e de' seguenti (non solo degli anteriori) i temi, o altre voci regolari di verbi che tra' greci, avendo le stesse radici che in latino, ma essendo però difettivi o anomali, non conservano i loro primi temi o quelle tali voci regolari, o non le usano se non di rarissimo,  2772 o talmente ch'essi temi ed esse voci non si trovano se non presso gli antichissimi autori, o presso i poeti soli, i quali in ciascuna lingua che ha favella poetica distinta, conservano sempre gran parte d'antichità per le ragioni che ho detto altrove pp. 2639. sgg. Dovechè la lingua latina usa essi temi ed esse voci universalmente sì nella prosa come nel verso, ed usale ne' secoli in ch'ella era già formata e piena, ed usale eziandio non come rare, nè come quasi licenze o arcaismi, ma tutto dì e regolarmente e come temi e voci proprie e debite di quei verbi a' quali appartengono. Per esempio il verbo do, si è il tema di δίδωμι (e nota che questo verbo in greco non è neppure anomalo nè difettivo, {+ma l'uso l'ha cangiato interamente dal suo primo stato, a differenza del verbo latino do.).} Il qual tema conservasi nel latino in tutti i composti d'esso verbo, come {credo, edo, trado,} addo, {subdo, prodo, vendo, perdo,} indo, condo, reddo, dedo, {ec.} {+(ne' quali per istraordinaria anomalia è mutata la coniugazione di do dalla prima nella terza: non così in circumdo as, venundo as, pessundo as ec.).} Ma in nessun composto del verbo δίδωμι comparisce nel greco il suo vero tema. ῎Eδω voce e tema di verbo anomalo o difettivo, non si troverà,  2773 credo, in greco se non presso i poeti, ma tra' latini edo e il suo composto comedo sono voci e verbi di tutti i secoli e di tutte le scritture. Eo ἔω tema da cui nascono in greco tanti verbi, non si trova nè fra' poeti greci nè fra' prosatori ma egli è comune e proprio ai latini, e ne nasce un verbo usitatissimo, co' suoi composti, che tutti conservano il tema intatto {e conservano altresì tutta la sua coniugazione perfettamente,} redeo, abeo, exeo, ineo, subeo, coeo, {adeo, circumeo, pereo, intereo, obeo, prodeo, introeo, veneo, prętereo, transeo,} ec. Nessun composto greco conserva il tema ἔω. Lateo è il medesimo che λήϑω, voce, {e} tempo ben raro negli scrittori greci, e verbo difettivo in greco, ma {tema} comune e usitatissimo, e verbo quasi perfetto e regolare in latino. {Il tema λήϑω trovasi espressamente in Senofon. Simpos. c. 4. §. 48.} I Dori e gli Eoli dicevano probabilmente λάϑω. Patior che sta in luogo dell'attivo patio (il quale pur si trova nell'antica latinità) è più vicino al πήϑω, (Dor. ed Eol. πάϑω) inusitato in greco, che non è l'usitato πάσχω. {Composti, per-petior ec.} Il verbo fero, s'io non m'inganno, ha più voci in latino che in greco. Del tema sto equivalente all'inusitato στάω, altrove pp. 2142. sgg. {+Il tema στάω non si trova, ch'io sappia in greco. Il verbo si trova, cioè ἔστην ἕστηκα στήσας, στάς ec. ma è difettivo. Il verbo sto è intero.}

[2779,2]  Che il proprio tema de' verbi ἱστάω, ἵστημι ἵσταμαι fosse στάω, come forse ho detto nella mia teoria de' continuativi pp. 2142-45 parlando di sisto, e che l'iota sia una giunta fatta al tema per proprietà di lingua, si conosce sì dalle molte voci di questi verbi che mancano di quell'ι paragogico, e da tutti i loro derivati che parimente  2780 ne mancano, sì dal verbo ἵπταμαι il quale colla medesima paragoge (ch'esso perde in molte voci) è fatto dall'inusitato πτάω (v. la Gramm. di Pad. p. 210.) {+o πετάω, onde πετάομαι, πέταμαι, πέτομαι che vagliono altresì volare, e che in origine non debbon esser altro che il verbo πετάω pando explico che ancora esiste, trasportato alla significazione del volare per lo spiegar delle ali ec. e vedi la pag. 2826.}

[2811,3]  Alla p. 2776 margine. Lo stesso discorso si può fare di βαΰζω, il quale è pur verbo esprimente un suono, e fatto per imitazione di questo suono; il qual suono come è similissimo a quello di βαΰω, così non ha niente che fare con βαΰζω. Ma questa e simili interposizioni della lettera  2812 ζ e d'altre tali, sono {state} fatte o per evitare l'iato o per altre diverse cagioni, nel processo della lingua, quando già non v'era più bisogno che il vocabolo per essere inteso, esprimesse e rappresentasse collo stesso suo suono l'oggetto significato, ma egli era già inteso generalmente per se, e non per virtù della sua origine; e quando già nella lingua si guardava più alla dolcezza ec. che alla necessità ec. ne' quali modi le parole in tutte le lingue si sono allontanate dalla forma primitiva e hanno spesso perduto affatto quel suono rappresentativo che prima avevano e sul quale furono modellati e creati, e nel quale da principio consisteva la ragione della loro significanza. I latini dal tema βαΰω o bauare fecero baubari, interponendo un b (il quale in questo caso è più adattato all'imitazione) invece del ζ. Noi baiare, che per verità potrebb'essere appunto quello stesso originale βαΰω ch'è affatto perduto nella lingua greca e nella latina scritta: e ben si potrebbe credere che fosse totalmente  2813 voce antica latina, conservata nel volgare; dal che si dedurrebbe, primo, che l'antico latino, e di poi il suo volgare perpetuamente conservò puro il verbo originale βαΰω (giacchè l'υ greco in latino {antico} ora risponde a un u, ora ad un i), {quantunque non si trovi nel latino scritto;} verbo inusitato affatto nell'antica e moderna grecità nota; secondo, che questo antichissimo verbo, perduto, o vogliamo dire alterato nel greco, perduto ossia alterato nel latino scritto, conservasi ancora purissimo e senz'alterazione alcuna nell'italiano, e vedi la pag. 2704. {+Si potrebbe anche credere che i primi latini e il volgo, invece di baubari dicessero bauari (appunto βαΰειν), e che la mutazione dell'u in i (vocali che spessissimo si scambiano, per esser le più esili, come ho detto altrove pp. 1277-83 p. 2153 p. 2824) seguisse nell'italiano e nel francese ec. Ovvero che gli antichi dicessero bauari, e poi il volgo baiari.} (24. Giugno 1823.).

[2882,1]   2882 È notabile come lo spagnuolo atar abbia conservato il proprio e primitivo significato di aptare cioè legare, significato che benchè proprio e primitivo, pur non è molto frequente negli autori latini, anzi un esempio che faccia veramente al caso non mi pare che sia se non quello d'Ammiano nel Forcell. v. aptatus. Ora Ammiano è pur di bassa latinità. Mostra che il volgo abbia sempre conservato il primo uso di questo verbo, più degli scrittori eleganti, che l'hanno {piuttosto} adoperato metaforicamente. Del resto se mai si potesse dubitare che il verbo aptare venisse da aptus, il cui proprio senso è legato ec. e che Festo dice essere participio di apo, lo spagnuolo atar {che vale legare congiungere,} finirebbe di mandare a terra qualunque dubbio. Il nostro {attare,} adattare, adapter ec. ha per proprio il significato metaforico ordinario di apto adapto ec. V. nel Forcell. esempi di coaptare, coaptatio, coaptatus, {(συνάπτειν)} in senso di collegato ec. tutti di S. Agostino, il quale certo non pigliava {questo} buono e primitivo uso di tali parole da' più antichi padri della scrittura latina, nè dagli scrittori aurei che non le usano, ma dal parlar del volgo, che tuttavia conservava quel significato, come ancora lo conserva in Ispagna. E così dite di Ammiano.  2883 E chi sa che aptare in questo senso, non sia l'origine di attaccare, attacher ec.? V. il Glossar. Cang. principalmente in attachiare cioè vincire ec. Ma siccome questa voce si trova massimamente usata nelle scritture latino-barbare d'inglesi e scozzesi così non voglio contrastare che la sua origine non possa probabilmente essere Teutonica ec. come si afferma nel medesimo Glossar. v. 2. Tasca. (3. Luglio 1823.). {{V. p. 2887.}}

[3284,2]  {Ciò per la varietà de'dialetti, o per altro, in modo però che le voci formate per tali alterazioni sono generalmente proprie degli scrittori greci o de' poeti; onde a noi partoriscono la stessa difficoltà, qual se ne fusse la cagione {e l'origine;} e quando questa pur fusse particolare, la difficultà che a noi ne viene è ordinaria e generale ec.} La lingua greca, secondo che si può vedere a pagg. 2774. - 2777 , e più largamente e distintamente per capi presso i grammatici, ebbe in costume di alterare notabilmente le sue radici, p. e. i temi de' suoi verbi, anche fuori affatto dei casi di derivazione e di composizione, e senza punto alterarne il significato, ma  3285 semplicemente la forma estrinseca e gli elementi del vocabolo. Onde i verbi in ω li trasmutavano in verbi in μι; {+dei temi} ad altri aggiungevano le lettere αν, e li facevano terminare in ανω, ad altri αιν, e li terminavano in αινω, ad altri σκ e li finivano in σκω (ma questi non erano sempre alterati dal tema, ma da un altro tempo del verbo: v. i Grammatici), {+ad altri duplicavano la prima conson., interponendo una vocale, come l'iota (πιπράσκω), ec. Spesso si mutava la desinenza, volgendola in ίζω ec. senza mutazione di significato: νεμεσάω-νεμεσίζω, βάπτω-βαπτίζω ec. ec..} {Da ὄϕλω o da ὀϕείλω, ὀϕλισκάνω, doppia alterazione.} E di questi verbi e temi così alterati materialmente senz'alcun'alterazione di significato, altri restarono soli, {venendo a mancare} il tema o verbo primitivo e incorrotto, altri {restarono} insieme con questo, altri insieme con altri verbi fatti per tali alterazioni dal medesimo tema ec. ec. Ed altri interi, altri difettivi, suppliti dal verbo primitivo in molte voci, anomali, regolari ec. ec. del che vedi i Grammatici. E queste alterazioni de' verbi primitivi e de' temi (e così dell'altre radici), alterazioni affatto diverse {+distinte e indipendenti} dalla derivazione e {dalla} composizione, che anche nelle altre lingue hanno luogo; alterazioni che per niun conto influivano nè modificavano il significato (come influisce e modifica, o suole per lo più e regolarmente fare, la composizione e la derivazione), non furono  3286 già nella lingua greca quasi casuali, rare, fuor di regola e di costume e d'ordine, quasi anomalie, aberrazioni, non proprie della lingua, ma frequentissime, ordinarie, usitate, {abituali,} e regolari, ossia fatte per regola, come apparisce dal gran numero di temi e verbi che si trovano alterati in questo o quello de' suddetti modi e degli altri che si potrebbero dire; onde i grammatici distinguono siffatte alterazioni o modificazioni affatto materiali in molti diversi generi, e sotto ciascun genere radunano un gran numero di verbi o temi, in quella tal guisa uniformemente alterati {dal primo loro essere.} Questa tal sorta di alterazione, questo modo di alterare le voci, indipendente e diverso affatto dal derivare e dal comporre, e del tutto scompagnato dalla mutazione o pur modificazione di senso, non si trova punto nel latino; certo non vi si trova per costume nè per regola, nè d'assai così frequente, nè così vario ec. Perlochè anche di qui si faccia ragione quanto più nel greco che nel latino sia difficile il rintracciare le origini, l'antichità, il primitivo o l'antico stato delle voci e della lingua e della  3287 grammatica, le radici, l'etimologie ec. Massime considerando che detta materialissima alterazione si fa non mica in uno o in due, ma in molti diversissimi modi, tutti però frequentissimi e usitatissimi; che {moltissimi} verbi o vocaboli così alterati hanno mandato in disuso i non alterati ec. {+che naturalmente moltissimi verbi così alterati, essendo perduti quelli della primitiva forma, saranno da noi creduti aver la forma primitiva, e pigliati per radici, quando non saranno che alterazioni di queste, più o men lontane, mediate o immediate, maggiori o minori ec. ec.}

[3541,3]  Monosillabi latini. Pes, {spes, {#1. V. p. 3571.} dies, nox, fax, nix,} res. Nótisi che questi e tutti gli altri monosillabi da me raccolti, sono radici (anche rex, lex ec. come ho mostrato pp. 1129-30). E che i nomi greci corrispondenti, bene spesso, oltre al non essere monosillabi, non sono radici: come ἥλιος (lat. sol monosillabo) si deriva da ἅλς  3542 ec. ec. e πρᾶγμα {(res)} viene da πράσσω indubitabilmente. Ed essendo verisimile che i nomi delle cose più necessarie e frequenti a nominarsi, più materiali ec., delle cose che sembrano dover essere state le prime nominate ec. (come sono, almeno in gran parte, quelle significate ne' monosillabi latini da me raccolti ec.) fossero radici, non meno che monosillabi; par che ne segua che in greco, ove tali nomi non sono radici, essi non siano i nomi primitivi greci delle dette cose, e che questi sieno perduti, e che il latino all'incontro gli abbia conservati; e così si confermi la maggior conservazione dell'antichità nel latino che nel greco. E probabilmente i detti nomi latini saranno stati una volta anche greci, {e saranno} venuti da quella lingua onde il greco e il latino scaturirono, ma il latino gli avrà sempre conservati, sino a trasmettergli alle lingue oggi viventi, e nel greco si saranno poi perduti o disusati ec. ec. (27. Sett. 1823.).

[3762,2]  Chi vorrà credere che apto ed ἅπτω (de' quali altrove pp. 2136-41 p. 2277 pp. 2784-86 pp. 2887-88) essendo gli stessissimi materialmente, e significando propriamente la stessissima cosa, non abbiano a far nulla tra loro per origine ec. converrà supporre un'assoluta casualità che troverà pochi fautori ec. (23. Ott. 1823.).

[3902,3]  Monosillabi latini. Lac: idea primitiva ec. Gr. γάλα γάλακτος, dalla qual voce gli etimologi derivano la latina. (24. Nov. 1823.)

[3938,4]  Monosillabi latini. Lux, idea primitiva. Gr. ϕάος, ϕῶς. (30. Nov. 1823.). Falx.

[3940,2]  Che titillo, come altrove dico p. 2811, {Puoi vedere la p. 3986.} sia duplicazione (nata nel Lazio, o fatta p. e. dagli Eoli o da altro greco dialetto, o propria dell'antica lingua madre del latino e del greco, o dell'antico greco comune ec. ec.) del greco τίλλω, fatta all'uso greco, lo conferma l'osservare che la vocale di tal duplicazione cioè l'i è quella appunto che il greco usa in tali duplicazioni, come in τιτρώσκω ec. {#1. V. p. 3979.} Laddove nell'altre duplicazioni latine, come in dedi, cecidi ec. la vocale della duplicazione è la e. E questo ancora è all'uso greco, che nella duplicazione de' perfetti usa la ε. E notisi che come questa, così quella e è breve, fuorchè in cecīdi che molti scrivono caecidi, dove forse non sarà breve per distinguerlo da cecĭdi. Del resto  3941 tal uso affatto conforme al greco ha luogo in molti verbi latini che non hanno a far niente con alcuna voce greca nota, ed è un uso antichissimo nel latino, e non introdottovi da' letterati. Il che conferma l'antica conformità dell'origine, e fratellanza tra il greco e latino. Dalla quale origine dovette venir quest'uso nell'una e nell'altra lingua, in quella più conservato e steso, in questa meno, e sì può dire, perduto, se non in certe voci determinate, di cui si conservò sempre la forma antica, senza però mai applicar tal forma ad altri verbi, o a' verbi di mano in mano introducentisi da quegli antichissimi tempi in poi. ec. Tal uso trovasi ancora nella lingua sascrita, come negli Annali di Scienze e lettere di Milano, altrove citati in proposito d'essa lingua ec. p. 929 (5. Dec. 1823.).

[4007,4]  Alle varie alterazioni de' verbi greci quanto alla forma (sia nel tema, sia altrove ec.) senz'alterar punto il significato, delle quali altrove [pp. 3284-87], aggiungi in ννύω o ννυμι, come κεράω, κεραννύω, κεράννυμι; χρώω, χρωννύω, χρώννυμι; che valgono tutti tre lo stesso, e sono un sol verbo. Lascio poi l'alterazione sì comune in μι, ch'è pur di tante forme, e sì di regola e proprietà dell'uso greco ec. ec. e che parimente non muta punto il significato, che moltissime volte ha fatto dimenticare, disusare, o anche ignorare affatto il vero tema in ω, che {in} molti verbi si congettura {o si dee congetturare,} benchè espressamente non si trovi, essere stata usata ec. (2. Gen. 1824.).

[4030,7]  Raddoppiamenti greci, del che altrove pp. 2774-75 p. 2811 p. 3940 p. 3979 p. 3994. ἐληλαμένος, ἐληλεγμένος, ὀρωρυγμένος, ἀληλειμμένος, ἀλήλειμμαι ec. ἄραρε ec. (14. Feb. 1824.).

[4040,3]  Φάω, ϕαείνω, ϕαείνομαι. Alterazione di desinenza collo stesso significato, del che altrove pp. 2774-75. (3. Marzo. Mercoledì delle S. Ceneri. 1824.).

[4042,4]  Mινύϑω-minuo, forse l'uno e l'altro da μινύω, alterato nel greco colla interposizione del θ, (cosa usata), conservato purissimo in latino, eziandio ne' composti: della qual conservazione dell'antichità appo i latini più che appo i greci, dico diffusamente altrove pp. 2351-54 pp. 2771-79. (8. Marzo 1824.).

[4045,1]  ᾽Eϑέλω ἐγρηγορέω - ϑέλω γρηγορέω possono essere esempi o di accrescimenti o di troncamenti fatti da' greci ai loro temi senz'alterazione di significato. Così λῶ per ἐϑέλω, o quella sia la radice, o un troncamento, del che altrove p. 2779 (12. Marzo 1824.).

[4050,4]  Θανέω o θάνω-θνήσκω. Qui l'alterazione non solo è nella desinenza, ma eziandio nella omissione dell'α, onde θνήσκω per θανήσκω dal fut. θανήσω donde si fanno questi verbi in σκω, secondo il Weller. (21. Marzo. 1824.).

[4086,4]  Il verbo stare, che ha tanta relazione al verbo esse per l'uso, pel significato, alcune volte sinonimo ec. che in italiano supplisce col suo participio al difetto del verbo essere, e spesso si usa altresì, come anche più nello spagnuolo, in luogo di questo verbo, ec. non ha tuttavia nessunissima relazione grammaticale con lui, senza la mia osservazione pp. 1120-21 pp. 2142-45 pp. 2780. sgg. che lo fa derivare da un antico participio o supino di sum. Similmente in greco ἵστημι, στάω, ec. che in se, e ne' loro composti e derivati, e nel lat. sisto che ne deriva, e suoi composti, come exsisto, subsisto, exsistentia ec. e nella voce ὑπόστασις (substantia, subsistentia ec.), ha tanta relazione col verbo essere, non ha alcuna attinenza grammaticale con lui, senza la mia osservazione che lo fa derivare dal latino sto, derivato da sum. Anche i composti e derivati di sto (come exsto, exstantia, substantia, substantivus, substo ec. ec.) manifestano nel significato ec. grandissima relazione col verbo essere. (4. Maggio. 1824.).

[4089,2]  Clepo is psi ptum - κλέπτω, quasi clepto as da cleptum di clepo. Il caso è al tutto simile a quel di apo-aptum-apto-ἅπτω, di cui lungamente altrove pp. 2136-40 , eccetto che clepto lat. non si conosce (è però ben verisimile), e viceversa clepo è più noto e certo di apo benchè parimente antiquato. Avvi anche clepso is, se è vero. V. Forcell. (17. Maggio. 1824.). {{V. pag. 4115.}}

[4096,1]  Sisto in vece di venire dal greco ἱστάω, come si crede e ho detto altrove pp. 2143-45 pp. 2779-80 , ben potrebbe venire da sto per duplicazione, non ignota neppure ai latini (come usitatissimo fra i greci), massime antichi, come ho mostrato altrove p. 2774 p. 2811 pp. 3940-41 coll'es. di titillo da τίλλω, e dei perf. cecidi ec. ec. E la mutazione della coniugazione dalla prima nella terza, sarebbe appunto come nei composti di do (del che pure altrove p. 2772) anch'esso monosillabo come sto. E quanto al significato e all'uso ec. chi non vede l'analogia fra sto e sisto? (1. Giugno. 1824.).

[4123,1]   4123 Kλείω - κλεΐζω, κληΐζω, κλῄζω.

[4154,9]  Juxta meam sententiam βρύω et βρύζω idem verbum est, ut βλύω et βλύζω, βύω βύζω, μύω μύζω, ϕλύω ϕλύζω et alia. * Ignatius Liebel ad Archilochi fragm. 5. p. 70. ed. Vindobon. 1818.

[4155,1]  (Taso era nome di un'isola aggiacente alla Tracia.) A questo frammento di Archiloco il Jacobs fa questa osservazione. Ὄνου ῥαχις. Propter montium iuga poeta sic appellasse videtur insulam. Plurimas partium corporis appellationes ad terrarum situm et conditionem significandam translatas diligenter collegit Eustath. ad. Il. p. 233. seqq. quaedam schol. Sophocl. in Oed. Col. 691. conf. Wesseling ad Herod. I. p. 35. 86. Promontorium Laconiae ὄνου γνάϑον appellatum commemorat Pausanias III. 22. p. 431. edit. Facii. Nec hoc ὄνου ῥάχις tam Archilocho proprium fuisse puto, quam potius montosarum regionum appellationem. * Jacobs, Animadverss. in Antholog. vol. 1. par. 1. p. 165. seq. ap. Liebel loc. cit. qui dietro, fragm. 9. p. 79. Or notisi il nostro schiena d'asino o a schiena d'asino, detto di strade ec. (Bologna 27. Nov. 1825. Domenica.).

[4268,3]  ϕλύω - vϕλύζω.