Greca (lingua), se avesse tenuto e tenesse in Europa il luogo della latina, gran vantaggio ne seguirebbe.
Greek (language), it would be of great benefit had it taken and held the place of Latin in Europe.
1973,1 2025,1 2089 2170,1 2210,1 2212,1 2619,1 2635,1Greca (lingua), forse più moderna della latina; certo di origini più difficili a rintracciarsi.
Greek (language), perhaps more modern than Latin; certainly of origins that are more difficult to trace.
Vedi Latina (lingua): osservazioni archeologiche ec. See Latin (language): archeological observations, etc. 2138,2 2307,1 2329,1 2369,1 2572,1 2771,23 2779,2 2812-3 2882,1 3284,2 3541,3 3762,2 3902,3 3938,4 3940,2 4007,4 4030,7 4040,3 4042,4 4045,1 4048,1.5 4050,4 4086,4 4089,2 4096,1 4123,1 4154,9 4155,1 4268,3[1973,1] Io credo possibile il tradurre le opere moderne o
filosofiche o di qualunque argomento, in buon greco (massime le italiane o
spagnuole o simili), come son certo che non si potrebbero mai tradurre in buon
latino. Se le circostanze avessero portato che la lingua greca avesse nei nostri
paesi prevaluto alla latina, e che quella in luogo di questa avesse servito ai
dotti nel risorgimento degli studi, l'uso di una lingua morta, avrebbe forse
potuto durare più lungo tempo, o almeno esser più felice (nè solo negli studi,
ma in tutti gli altri usi in cui s'adoprò la lingua latina fino alla sufficiente
formazione delle moderne europee); i nostri eleganti scrittori latini del 500.
ec. avrebbero potuto esser quasi moderni, se avessero scritto in greco, laddove
scrivendo in latino si assicurarono di non poter esser lodati se non dagli
antichi, e di servire ai passati
1974 in luogo de'
posteri, e di potersi piuttosto ricordare che sperare; e se la lingua che oggi
si studia tuttavia da' fanciulli, e quella che molti, massime in
italia, si ostinano a voler ancora adoperare in
questa o quella occasione, fosse piuttosto la greca che la latina, essa
servirebbe molto più alla vita moderna, faciliterebbe molto più il pensiero, e l'immaginazione ec. e sarebbe
alquanto più possibile il farne un qualche uso pratico ec. (23. Ott.
1821.). {{V. p.
2007.}}
[2025,1] Gli antichi poeti e proporzionatamente gli scrittori
in prosa, non parlavano mai delle cose umane e della natura, se non per
esaltarle, ingrandirle, quando anche parlassero delle miserie {+e di argomenti, e in istile
malinconico.} ec. Così che la grandezza costituiva il loro modo di
veder le cose, e lo spirito della loro poesia. Tutto al contrario accade ne'
poeti, e negli
2026 scrittori moderni, i quali non
parlano nè possono parlare delle cose umane e del mondo, che per deprimerne,
impiccolirne, avvilirne l'idea. Quindi è che i linguaggi antichi sempre
innalzano e ingrandiscono, massime quelli de' poeti, i moderni sempre
impiccoliscono e abbassano {e annullano} anche quando
sono poetici. {+Anzi appunto in ciò
consiste lo spirito poetico d'oggidì (che ha sempre, e massime oggi, grandi
rapporti col filosofico di ciascun tempo). Gli antichi si distinguevano dal
volgo coll'inalzare le cose al di sopra dell'opinione comune; i moderni
poeti col deprimerle al di sotto di essa. In ciò pure v'è grandezza, ma del
contrario genere.} Onde avviene che gli scritti moderni tradotti p. e.
in latino, o le cose moderne trattate in latino, suonano tutt'altro da quello
che intendono, e ne segue un effetto discordante tra la grandezza e l'altezza
del linguaggio, e la strettezza e bassezza delle idee, ancorchè fra noi
poeticissime. (Come accaderebbe trasportando le nostre letterature in
Oriente). E viceversa traducendo gli antichi
negl'idiomi moderni, o trattando in questi le cose antiche.
[2088,1] Ma prescindendo da ciò, quest'esempio di fatto prova
e conferma quello che in diversi luoghi pp. 1478. sgg.
pp.
1862-63
pp. 2008-2009 ho detto: 1. che
2089 le
lingue d'indole antica sono capacissime della più sottile filosofia, e di
esprimere ogni più riposta ed elementare idea umana; 2. che la lingua greca
(simile alla tedesca) lo fu, e lo sarebbe anche oggi se vivesse, ed avrebbe
potuto servire ai nostri tempi molto meglio della latina se ec. ec. ec. 3. che
la lingua italiana essendo fra le lingue moderne formate la più antica di fatto
e d'indole, la più libera ec. (tanto ch'ella vince in queste qualità la stessa
latina sua madre) è sommamente capace di filosofia, per astrusa che possa
essere, quando coloro che l'adoprano, sappiano conoscere e impiegare le sue
qualità, e le immense sue forze, e le forme di cui è suscettibile per sua
natura, e volerla applicare alle cose moderne ec. (14. Nov.
1821.).
[2170,1] Il quale splendido esempio, e {fatto} notabilissimo per le sue circostanze, conferma quello ch'io
dico della maggior filosoficità della lingua greca, maggior libertà, e
indipendenza, maggior capacità delle idee sottili, maggiore adattabilità alle
cose moderne; e com'ella avrebbe potuto assai più della latina servire alla
rinata letteratura, e giovare anche oggi la
sua {intima} cognizione (se non all'uso, ch'è
impossibile) almeno al perfezionamento dell'intelletto
2171
filosofico moderno, {delle idee di ciascuno, e}
{{della facoltà di pensare}} e delle stesse più
colte lingue moderne. (26. Nov. 1821.).
[2210,1] Se la lingua greca nel risorgimento delle lettere
avesse prevaluto alla latina, quanto all'uso de' dotti, alle cose diplomatiche
ec. ella sarebbe
2211 stata (oltre gli altri vantaggi)
più facile a trattare e a scrivere anche elegantemente, e con quella perfezione
con che in italia fu scritto il latino, e ciò non solo
per la sua adattabilità alle cose moderne, ma per la maggior facilità assoluta
della sua costituzione e proprietà, che resulta dalla sua naturalezza,
semplicità di frase di andamento ec. E la minore anzi niuna somiglianza che
avrebbe avuta col materiale delle lingue moderne e viventi, sarebbe stato uno
scoglio di meno alla sua purità, ed eleganza, alla conservazione della sua vera
indole, e in vece del latino barbaro, si sarebbe scritto un greco puro, e la
barbarie non avrebbe dovuto esser cagione di abbandonarla, come la latina,
barbara anche oggi negli scrittori tedeschi ec. che la usano.
[2212,1] Non si pensa se non parlando. Quindi è certissimo
che quanto la lingua di cui ci serviamo pensando, è più lenta, più bisognosa di
parole e di circuito per esprimersi, ed esprimersi chiaramente, tanto (in
proporzione però della rispettiva facoltà ed abitudine degl'intelletti
individuali) è più lenta la nostra concezione, il nostro pensiero, ragionamento
e discorso interiore, il nostro modo di concepire e d'intendere, di sentire e
concludere una verità, conoscerla, il processo della nostra mente nel
sillogizzare, e giungere alle conseguenze. Nella maniera appunto che una testa
poco avvezza a ragionare, più lentamente tira da premesse evidenti e ben
concepite, e legate ec. una conseguenza parimente manifesta (il che accade
tuttodì negli uomini volgari, ed è cagione della loro poca ragionevolezza, della
loro piccolezza, tardità nell'intendere le cose più ovvie, piccolezza,
volgarità, oscurità di
2213 mente ec.); e nella maniera
che la scienza e la pratica delle matematiche, del loro modo di procedere, e di
giungere alle conseguenze, del loro linguaggio ec. aiuta infinitamente la
facoltà intellettiva e ragionatrice dell'uomo, compendia le operazioni del suo
intelletto, lo rende più pronto a concepire, più veloce {e
spedito} nell'arrivare alla conclusione de' suoi pensieri, e
dell'interno suo discorso; insomma per una parte assuefa, per l'altra facilita
all'uomo l'uso della ragione ec. Quindi deducete quanto giovi la cognizione di
molte lingue, giacchè ciascuna ha qualche proprietà e pregio particolare, questa
è più spedita per un verso, quella per un altro, questa è più potente nella tal
cosa, quella in tal altra, questa può facilmente esprimere la tale precisa idea,
quella non può, o difficilmente. Egli è indubitato: la nuda cognizione di molte
lingue
2214 accresce anche per se sola il numero delle
idee, e ne feconda poi la mente, e ne facilita il più copioso e più pronto
acquisto. Quello che ho detto della lentezza o speditezza delle lingue si deve
estendere a tutte le altre loro proprietà; povertà o ricchezza, ec. ec. anche a
quelle che spettano all'immaginazione, giacchè da queste è influita la fantasia,
e la facoltà delle concezioni fantastiche (e ragionamenti fantastici) e la
qualità di esse, come da quelle è influito l'intelletto e la facoltà del
discorso. Vedete dunque s'io ho ragione nel dire che la pratica della lingua
greca avrebbe giovato agl'intelletti più che non fece quella della latina
(lingua non solo non filosofica nè logica, come non lo è neppur la greca, ma non
adattabile, senza guastarla, alla filosofia sottile, ed all'esattezza precisa
delle espressioni e delle idee, a differenza della greca.). V. la p. 2211. fine. E quello che dico
della lingua greca, dico di
2215 ciascun'altra per la
sua parte, massime di quelle ad essa più analoghe; lo dico dell'italiana,
massime in ordine alla facoltà immaginativa, e concettiva del bello, del nobile,
del grazioso ec. la qual facoltà da nessuna moderna lingua può tanto essere
aiutata come dall'italiana, avendola ben conosciuta e familiare, o materna o no
ch'ella ci sia. (3. Dic. dì di S. Franc. Saverio. 1821.)
[2619,1]
2619 È curioso l'osservare come l'universalità sia
passata dalla lingua greca ch'è la più ricca, vasta, varia, libera, ardita,
espressiva, potente, naturale di tutte le lingue colte, alla francese ch'è la
più povera, limitata, uniforme, schiava, timida, languida, inefficace,
artifiziale delle medesime. E più curioso che l'una e l'altra lingua abbiano
servito all'universalità appunto perchè possedevano in sommo grado le predette
qualità, che sono contrarie direttamente fra loro. E pur tant'è, ed anche oggidì
dalla lingua francese in fuori, non v'è, e mancando la lingua francese, non vi
sarebbe lingua meglio adattata all'universalità della greca, ancorchè morta,
(2. Settem. 1822.)
{{ed ancorch'ella sia precisamente l'estremo opposto alla
lingua francese. (2. Sett. 1822.).}}
[2635,1] La lingua greca ch'è la più antica delle colte ben
conosciute, è anche fra tutte le lingue colte la più capace di significar l'idee
e gli oggetti più propriamente moderni cioè i più difficili a significarsi e di
supplire ai bisogni d'espressioni, prodotti dall'ampiezza, varietà e profondità
delle nozioni moderne. E il fatto stesso lo dimostra, ricorrendosi tutto dì alla
lingua greca ec. come ho detto altrove pp. 735-38
pp.
1843-45. (10. Ottobre. 1822.)
[2138,2] 2. Noi troviamo apere, ed
aptus come si vede in una infinità di es. nel Forcell. è un evidente participio di un verbo significante
alligare
connectere ec. Questo medesimo participio non è
primitivo, ma contratto (forse da apitus) come ho
mostrato altrove pp. 1153-54. Da questo
2139 participio ridotto ad aptus, è venuto
il verbo aptare, secondo gl'infiniti esempi che ho
addotti, e nella maniera e andamento che ho dimostrato circa la formazione de'
verbi in are da' participi in us di altri verbi.
[2307,1] (Nel qual proposito osservo di passaggio. La n è radicale e caratteristica della negativa in
latino, e così pure per conseguenza in italiano. Quindi non, ne, nec, neque
{[v. il
Forcell.]}
nihil, nil, nemo, nullus cioè non
ullus come pure si dice, nego, nefas, nequam,
nepus cioè non purus, nolo, {nequeo, nequicquam, nedum,} nequaquam ec. de'
quali v. il Forcell. ed osserva la
forza {e l'uso} della particella ne in composizione. Non così nel linguaggio greco dei buoni secoli.
Giacchè οὐ, οὐχ, οὐκ, μή, ἀ- ec. non hanno n.
2308 Eppure nell'antichissimo greco è chiaro per le
sullodate testimonianze, e per l'uso di Omero ec. che la ν avea forza di negazione,
privazione, ec. Ecco un'altra prova e della fraternità antichissima delle dette
due lingue, e dell'esser forse qualche cosa passata piuttosto dal latino nel
greco, che viceversa; o certo dell'avere la lingua latina conservate assai più
della greca le sue antichissime ed originarie proprietà. E notate che
trattandosi della caratteristica negativa, si tratta di cosa primitiva affatto,
e di primissima necessità in qualunque lingua.)
[2329,1]
2329
Alla p. 1136
fine. Fra le molte prove che si potrebbero addurre di ciò, cavate
dalla veramente profonda e non superficiale investigazione della più remota
antichità, v'è anche questa. Noi diciamo che lo spirito denso dei greci fu bene
spesso trasformato dai latini in una s. Ma il fatto
sta che gli antichissimi monumenti greci hanno essi medesimi il sigma, dove poi
si costumò di porre lo spirito denso, e forse anche in luogo del lene. V. Iscriz. antiche illustrate dall'Ab. Gaetano Marini, p. 184. e
soprattutto il Lanzi, della
lingua Etrusca. Questo che cosa dimostra? dimostra secondo
me, che l'antichissima forma di quelle tali parole comuni {ab} antichissimo al greco e al latino, era infatti colla s in principio, e non collo spirito; che questo per
indole di loro pronunzia fu coll'andar del tempo sostituito dai greci parlatori,
e poi dagli scrittori, al sigma, e non viceversa la s
allo spirito dai latini; che per conseguenza la forma latina è più antica della
greca, la pronunzia cioè e la scrittura latina di tali parole; e che quindi in
esse i latini hanno conservato l'antichità e il primitivo più dei
2330 greci. V.
p. 2143. segg.
{2307-8,} ed altri miei passi su questo punto di
antichità. E quante altre simili osservazioni si potrebbono fare sulle
antichissime parole, proprietà, ortografie ec. delle due lingue: osservazioni le
quali mostrerebbero che quello che comunemente crediamo venuto dalla
grecia nel Lazio, o è tutto al
rovescio, o vien da origine comune; e che quelle differenze che in tali cose s'incontrano fra il greco
e il latino, e che da noi sono attribuite a corruzione sofferta da quelle parole
ec. passando nel Lazio, si debbono invece attribuire a
corruzione sofferta in Grecia; e nel
Lazio conservano la loro forma antichissima, e non
differiscono dalla greca, se non perchè questa s'è allontanata essa stessa dal
primitivo assai più della latina. (5. Gen. 1822.). {{V. p. 2351. fine. e 2384.}}
[2369,1] Noi diciamo fare una cosa di
buona gana, cioè alacriter. Presso gli
spagnuoli gana vale alacritas. Gli scrittori latini non hanno parola da cui questa si
possa derivare. E pure dove credete che rimonti la sua origine? Alle primissime
sorgenti delle due lingue sorelle latina e greca. Γάνος in greco vuol dire lętitia, gaudium, voluptas. V. il
Lessico co' suoi derivati. Come dunque questa voce nostra e
spagnuola, volgarissima in ambo le lingue, anzi plebea, nè degna della scrittura
sostenuta, può esser mai derivata dal greco? quando ne' tempi barbari in cui
nacquero tali lingue,
2370 appena si sapeva in
italia o in Ispagna che vi
fosse al mondo una lingua greca? come può esser venuta questa voce se non dal
volgare latino, e per mezzo di esso?
[2572,1] Dire che la lingua latina è figlia della greca,
perchè vi si trovano molte parole e modi greci introdottivi parte dalla letteratura, parte dal commercio e
vicinanza delle colonie greco-italiane, parte dall'antico commercio avuto colla
nazione greca sempre mercatrice, parte derivanti dalla stessa comune origine
d'ambe le lingue, è lo stesso appunto che vedendo la nostra presente
2573 lingua italiana piena di francesismi, e modellata
sulla francese, conchiudere che la lingua italiana è figlia della francese. Anzi
v'ha più di francese nella presente lingua italiana (che è quasi una traduzione,
e una scimia della francese) di quel che v'abbia di greco nella lingua latina,
massime poi dell'antica. Del resto la parità va molto bene a proposito, perchè
infatti le lingue italiana e francese sono appunto sorelle, come la greca e la
latina. (20. Luglio 1822.).
[2771,3] Come la lingua latina abbia conservato l'antichità
più della greca, si dimostra ancora con queste considerazioni. 1. La lingua
latina conserva nell'uso comune de' suoi buoni tempi e de' seguenti (non solo
degli anteriori) i temi, o altre voci regolari di verbi che tra' greci, avendo
le stesse radici che in latino, ma essendo però difettivi o anomali, non
conservano i loro primi temi o quelle tali voci regolari, o non le usano se non
di rarissimo,
2772 o talmente ch'essi temi ed esse voci
non si trovano se non presso gli antichissimi autori, o presso i poeti soli, i
quali in ciascuna lingua che ha favella poetica distinta, conservano sempre gran
parte d'antichità per le ragioni che ho detto altrove pp. 2639. sgg. Dovechè la lingua latina
usa essi temi ed esse voci universalmente sì nella prosa come nel verso, ed
usale ne' secoli in ch'ella era già formata e piena, ed usale eziandio non come
rare, nè come quasi licenze o arcaismi, ma tutto dì e regolarmente e come temi e
voci proprie e debite di quei verbi a' quali appartengono. Per esempio il verbo
do, si è il tema di δίδωμι (e nota che questo
verbo in greco non è neppure anomalo nè difettivo, {+ma l'uso l'ha cangiato interamente dal suo primo stato,
a differenza del verbo latino do.).} Il qual
tema conservasi nel latino in tutti i composti d'esso verbo, come {credo, edo, trado,}
addo, {subdo,
prodo, vendo, perdo,}
indo, condo, reddo, dedo, {ec.}
{+(ne' quali per istraordinaria anomalia è mutata la
coniugazione di do dalla prima nella terza:
non così in circumdo as, venundo as, pessundo as
ec.).} Ma in nessun composto del verbo δίδωμι comparisce nel
greco il suo vero tema. ῎Eδω voce e tema di verbo anomalo o difettivo, non si
troverà,
2773 credo, in greco se non presso i poeti, ma
tra' latini edo e il suo composto comedo sono voci e verbi di tutti i secoli e di tutte le scritture.
Eo ἔω tema da cui nascono in greco tanti verbi,
non si trova nè fra' poeti greci nè fra' prosatori ma egli è comune e proprio ai
latini, e ne nasce un verbo usitatissimo, co' suoi composti, che tutti
conservano il tema intatto {e conservano altresì tutta la sua
coniugazione perfettamente,}
redeo, abeo, exeo, ineo, subeo, coeo,
{adeo, circumeo, pereo, intereo, obeo, prodeo,
introeo, veneo, prętereo, transeo,} ec. Nessun
composto greco conserva il tema ἔω. Lateo è il
medesimo che λήϑω, voce, {e} tempo ben raro negli
scrittori greci, e verbo difettivo in greco, ma {tema}
comune e usitatissimo, e verbo quasi perfetto e regolare in latino. {Il tema λήϑω trovasi espressamente in Senofon.
Simpos. c. 4. §. 48.} I Dori e gli
Eoli dicevano probabilmente λάϑω. Patior che sta in
luogo dell'attivo patio (il quale pur si trova
nell'antica latinità) è più vicino al πήϑω, (Dor. ed Eol. πάϑω) inusitato in
greco, che non è l'usitato πάσχω. {Composti, per-petior ec.} Il verbo fero, s'io non m'inganno, ha più voci in latino che in
greco. Del tema sto equivalente all'inusitato στάω, altrove pp. 2142. sgg.
{+Il tema στάω non si trova, ch'io sappia in greco. Il
verbo si trova, cioè ἔστην ἕστηκα στήσας, στάς ec. ma è difettivo. Il
verbo sto è intero.}
[2779,2] Che il proprio tema de' verbi ἱστάω, ἵστημι ἵσταμαι
fosse στάω, come forse ho detto nella mia teoria de' continuativi
pp. 2142-45 parlando di
sisto, e che l'iota sia una giunta fatta al tema
per proprietà di lingua, si conosce sì dalle molte voci di questi verbi che
mancano di quell'ι paragogico, e da tutti i loro derivati che parimente
2780 ne mancano, sì dal verbo ἵπταμαι il quale colla
medesima paragoge (ch'esso perde in molte voci) è fatto dall'inusitato πτάω (v. la
Gramm. di Pad. p. 210.)
{+o πετάω, onde πετάομαι, πέταμαι, πέτομαι che vagliono
altresì volare, e che in origine non debbon
esser altro che il verbo πετάω pando explico
che ancora esiste, trasportato alla significazione del volare per lo
spiegar delle ali ec. e vedi la pag. 2826.}
[2811,3]
Alla p. 2776
margine. Lo stesso discorso si può fare di βαΰζω, il quale è pur verbo
esprimente un suono, e fatto per imitazione di questo suono; il qual suono come
è similissimo a quello di βαΰω, così non ha niente che fare con βαΰζω. Ma questa
e simili interposizioni della lettera
2812 ζ e d'altre
tali, sono {state} fatte o per evitare l'iato o per
altre diverse cagioni, nel processo della lingua, quando già non v'era più
bisogno che il vocabolo per essere inteso, esprimesse e rappresentasse collo
stesso suo suono l'oggetto significato, ma egli era già inteso generalmente per
se, e non per virtù della sua origine; e quando già nella lingua si guardava più
alla dolcezza ec. che alla necessità ec. ne' quali modi le parole in tutte le
lingue si sono allontanate dalla forma primitiva e hanno spesso perduto affatto
quel suono rappresentativo che prima avevano e sul quale furono modellati e
creati, e nel quale da principio consisteva la ragione della loro significanza.
I latini dal tema βαΰω o bauare fecero baubari, interponendo un b
(il quale in questo caso è più adattato all'imitazione) invece del ζ. Noi baiare, che per verità potrebb'essere appunto quello
stesso originale βαΰω ch'è affatto perduto nella lingua greca e nella latina
scritta: e ben si potrebbe credere che fosse totalmente
2813 voce antica latina, conservata nel volgare; dal che si
dedurrebbe, primo, che l'antico latino, e di poi il suo volgare perpetuamente
conservò puro il verbo originale βαΰω (giacchè l'υ greco in latino {antico} ora risponde a un u,
ora ad un i), {quantunque non si
trovi nel latino scritto;} verbo inusitato affatto nell'antica e
moderna grecità nota; secondo, che questo antichissimo verbo, perduto, o
vogliamo dire alterato nel greco, perduto ossia alterato nel latino scritto,
conservasi ancora purissimo e senz'alterazione alcuna nell'italiano, e vedi la
pag. 2704. {+Si potrebbe anche credere che i primi latini e il volgo,
invece di baubari dicessero bauari (appunto βαΰειν), e che la mutazione dell'u in i (vocali che
spessissimo si scambiano, per esser le più esili, come ho detto altrove pp. 1277-83
p.
2153
p.
2824) seguisse nell'italiano e nel francese ec. Ovvero che gli
antichi dicessero bauari, e poi il volgo baiari.}
(24. Giugno 1823.).
[2882,1]
2882 È notabile come lo spagnuolo atar abbia conservato il proprio e primitivo significato di aptare cioè legare,
significato che benchè proprio e primitivo, pur non è molto frequente negli
autori latini, anzi un esempio che faccia veramente al caso non mi pare che sia
se non quello d'Ammiano nel Forcell. v. aptatus. Ora Ammiano è pur di bassa latinità. Mostra
che il volgo abbia sempre conservato il primo uso di questo verbo, più degli
scrittori eleganti, che l'hanno {piuttosto} adoperato
metaforicamente. Del resto se mai si potesse dubitare che il verbo aptare venisse da aptus, il
cui proprio senso è legato ec. e che Festo dice essere participio di apo, lo spagnuolo atar
{che vale legare
congiungere,} finirebbe di mandare a terra
qualunque dubbio. Il nostro {attare,}
adattare, adapter ec. ha per
proprio il significato metaforico ordinario di apto
adapto ec. V. nel Forcell. esempi di coaptare, coaptatio, coaptatus, {(συνάπτειν)}
in senso di collegato ec. tutti di S. Agostino, il quale certo non
pigliava {questo} buono e primitivo uso di tali parole
da' più antichi padri della scrittura latina, nè dagli scrittori aurei che non
le usano, ma dal parlar del volgo, che tuttavia conservava quel significato,
come ancora lo conserva in Ispagna. E così dite di Ammiano.
2883
E chi sa che aptare in questo senso, non sia l'origine
di attaccare, attacher ec.?
V. il
Glossar.
Cang. principalmente in attachiare cioè vincire
ec. Ma siccome questa voce si trova massimamente usata nelle scritture
latino-barbare d'inglesi e scozzesi così non voglio contrastare che la sua
origine non possa probabilmente essere Teutonica ec. come si afferma nel
medesimo Glossar. v. 2. Tasca.
(3. Luglio 1823.). {{V. p. 2887.}}
[3284,2]
{Ciò per la varietà de'dialetti, o per
altro, in modo però che le voci formate per tali alterazioni sono
generalmente proprie degli scrittori greci o de' poeti; onde a noi
partoriscono la stessa difficoltà, qual se ne fusse la cagione {e l'origine;} e quando questa pur fusse particolare,
la difficultà che a noi ne viene è ordinaria e generale ec.} La lingua
greca, secondo che si può vedere a pagg. 2774. - 2777 , e più largamente e distintamente per
capi presso i grammatici, ebbe in costume di alterare notabilmente le sue
radici, p. e. i temi de' suoi verbi, anche fuori affatto dei casi di derivazione
e di composizione, e senza punto alterarne il significato, ma
3285 semplicemente la forma estrinseca e gli elementi del vocabolo.
Onde i verbi in ω li trasmutavano in verbi in μι;
{+dei temi} ad altri
aggiungevano le lettere αν, e li facevano terminare in ανω, ad altri αιν, e li
terminavano in αινω, ad altri σκ e li finivano in σκω (ma questi non erano
sempre alterati dal tema, ma da un altro tempo del verbo: v. i Grammatici),
{+ad altri duplicavano la prima
conson., interponendo una vocale, come l'iota (πιπράσκω), ec. Spesso si
mutava la desinenza, volgendola in ίζω ec. senza mutazione di significato:
νεμεσάω-νεμεσίζω, βάπτω-βαπτίζω ec. ec..}
{Da ὄϕλω o da ὀϕείλω, ὀϕλισκάνω, doppia
alterazione.} E di questi verbi e temi così alterati materialmente
senz'alcun'alterazione di significato, altri restarono soli, {venendo a mancare} il tema o verbo primitivo e incorrotto, altri
{restarono} insieme con questo, altri insieme con
altri verbi fatti per tali alterazioni dal medesimo tema ec. ec. Ed altri
interi, altri difettivi, suppliti dal verbo primitivo in molte voci, anomali,
regolari ec. ec. del che vedi i Grammatici. E queste alterazioni de' verbi
primitivi e de' temi (e così dell'altre radici), alterazioni affatto diverse
{+distinte e indipendenti}
dalla derivazione e {dalla} composizione, che anche
nelle altre lingue hanno luogo; alterazioni che per niun conto influivano nè
modificavano il significato (come influisce e modifica, o suole per lo più e
regolarmente fare, la composizione e la derivazione), non furono
3286 già nella lingua greca quasi casuali, rare, fuor
di regola e di costume e d'ordine, quasi anomalie, aberrazioni, non proprie
della lingua, ma frequentissime, ordinarie, usitate, {abituali,} e regolari, ossia fatte per regola, come apparisce dal
gran numero di temi e verbi che si trovano alterati in questo o quello de'
suddetti modi e degli altri che si potrebbero dire; onde i grammatici
distinguono siffatte alterazioni o modificazioni affatto materiali in molti
diversi generi, e sotto ciascun genere radunano un gran numero di verbi o temi,
in quella tal guisa uniformemente alterati {dal primo loro
essere.} Questa tal sorta di alterazione, questo modo di alterare le
voci, indipendente e diverso affatto dal derivare e dal comporre, e del tutto
scompagnato dalla mutazione o pur modificazione di senso, non si trova punto nel
latino; certo non vi si trova per costume nè per regola, nè d'assai così
frequente, nè così vario ec. Perlochè anche di qui si faccia ragione quanto più
nel greco che nel latino sia difficile il rintracciare le origini, l'antichità,
il primitivo o l'antico stato delle voci e della lingua e della
3287 grammatica, le radici, l'etimologie ec. Massime
considerando che detta materialissima alterazione si fa non mica in uno o in
due, ma in molti diversissimi modi, tutti però frequentissimi e usitatissimi;
che {moltissimi} verbi o vocaboli così alterati hanno
mandato in disuso i non alterati ec. {+che naturalmente moltissimi verbi così alterati, essendo perduti quelli
della primitiva forma, saranno da noi creduti aver la forma primitiva, e
pigliati per radici, quando non saranno che alterazioni di queste, più o men
lontane, mediate o immediate, maggiori o minori ec. ec.}
[3541,3] Monosillabi latini. Pes,
{spes, {#1. V. p.
3571.}
dies, nox, fax, nix,}
res. Nótisi che questi e tutti gli altri monosillabi
da me raccolti, sono radici (anche rex, lex ec. come ho mostrato pp. 1129-30). E
che i nomi greci corrispondenti, bene spesso, oltre al non essere monosillabi,
non sono radici: come ἥλιος (lat. sol monosillabo) si
deriva da ἅλς
3542 ec. ec. e πρᾶγμα {(res)} viene da πράσσω
indubitabilmente. Ed essendo verisimile che i nomi delle cose più necessarie e
frequenti a nominarsi, più materiali ec., delle cose che sembrano dover essere
state le prime nominate ec. (come sono, almeno in gran parte, quelle significate
ne' monosillabi latini da me raccolti ec.) fossero radici, non meno che
monosillabi; par che ne segua che in greco, ove tali nomi non sono radici, essi
non siano i nomi primitivi greci delle dette cose, e che questi sieno perduti, e
che il latino all'incontro gli abbia conservati; e così si confermi la maggior
conservazione dell'antichità nel latino che nel greco. E probabilmente i detti
nomi latini saranno stati una volta anche greci, {e
saranno} venuti da quella lingua onde il greco e il latino
scaturirono, ma il latino gli avrà sempre conservati, sino a trasmettergli alle
lingue oggi viventi, e nel greco si saranno poi perduti o disusati ec. ec.
(27. Sett. 1823.).
[3762,2] Chi vorrà credere che apto
ed ἅπτω (de' quali altrove pp.
2136-41
p.
2277
pp.
2784-86
pp.
2887-88) essendo gli stessissimi materialmente, e significando
propriamente la stessissima cosa, non abbiano a far nulla tra loro per origine
ec. converrà supporre un'assoluta casualità che troverà pochi fautori ec.
(23. Ott. 1823.).
[3902,3] Monosillabi latini. Lac:
idea primitiva ec. Gr. γάλα γάλακτος, dalla qual voce gli etimologi derivano la
latina. (24. Nov. 1823.)
[3938,4] Monosillabi latini. Lux,
idea primitiva. Gr. ϕάος, ϕῶς. (30. Nov. 1823.). Falx.
[3940,2] Che titillo, come altrove
dico p. 2811, {Puoi vedere la p. 3986.}
sia duplicazione (nata nel Lazio, o fatta p. e. dagli
Eoli o da altro greco dialetto, o propria dell'antica lingua madre del latino e
del greco, o dell'antico greco comune ec. ec.) del greco τίλλω, fatta all'uso
greco, lo conferma l'osservare che la vocale di tal duplicazione cioè l'i è quella appunto che il greco usa in tali
duplicazioni, come in τιτρώσκω ec. {#1.
V. p. 3979.} Laddove
nell'altre duplicazioni latine, come in dedi, cecidi ec. la vocale della duplicazione è la e. E questo ancora è all'uso greco, che nella
duplicazione de' perfetti usa la ε. E notisi che come questa, così quella e è breve, fuorchè in cecīdi
che molti scrivono caecidi, dove forse non sarà breve
per distinguerlo da cecĭdi. Del resto
3941 tal uso affatto conforme al greco ha luogo in
molti verbi latini che non hanno a far niente con alcuna voce greca nota, ed è
un uso antichissimo nel latino, e non introdottovi da' letterati. Il che
conferma l'antica conformità dell'origine, e fratellanza tra il greco e latino.
Dalla quale origine dovette venir quest'uso nell'una e nell'altra lingua, in
quella più conservato e steso, in questa meno, e sì può dire, perduto, se non in
certe voci determinate, di cui si conservò sempre la forma antica, senza però
mai applicar tal forma ad altri verbi, o a' verbi di mano in mano introducentisi
da quegli antichissimi tempi in poi. ec. Tal uso trovasi ancora nella lingua
sascrita, come negli Annali di Scienze e lettere di
Milano, altrove citati in proposito d'essa
lingua ec. p. 929
(5. Dec. 1823.).
[4007,4] Alle varie alterazioni de' verbi greci quanto alla
forma (sia nel tema, sia altrove ec.) senz'alterar punto il significato, delle
quali altrove [pp.
3284-87], aggiungi in ννύω o ννυμι, come κεράω, κεραννύω, κεράννυμι;
χρώω, χρωννύω, χρώννυμι; che valgono tutti tre lo stesso, e sono un sol verbo.
Lascio poi l'alterazione sì comune in μι, ch'è pur di tante forme, e sì di
regola e proprietà dell'uso greco ec. ec. e che parimente non muta punto il
significato, che moltissime volte ha fatto dimenticare, disusare, o anche
ignorare affatto il vero tema in ω, che {in} molti
verbi si congettura {o si dee congetturare,} benchè
espressamente non si trovi, essere stata usata ec. (2. Gen.
1824.).
[4030,7] Raddoppiamenti greci, del che altrove pp.
2774-75
p.
2811
p.
3940
p.
3979
p.
3994. ἐληλαμένος, ἐληλεγμένος, ὀρωρυγμένος, ἀληλειμμένος, ἀλήλειμμαι
ec. ἄραρε ec. (14. Feb. 1824.).
[4040,3] Φάω, ϕαείνω, ϕαείνομαι. Alterazione di desinenza
collo stesso significato, del che altrove pp. 2774-75.
(3. Marzo. Mercoledì delle S. Ceneri. 1824.).
[4042,4] Mινύϑω-minuo, forse l'uno
e l'altro da μινύω, alterato nel greco colla interposizione del θ, (cosa usata),
conservato purissimo in latino, eziandio ne' composti: della qual conservazione
dell'antichità appo i latini più che appo i greci, dico diffusamente altrove
pp. 2351-54
pp. 2771-79. (8.
Marzo 1824.).
[4045,1] ᾽Eϑέλω ἐγρηγορέω - ϑέλω γρηγορέω possono essere
esempi o di accrescimenti o di troncamenti fatti da' greci ai loro temi
senz'alterazione di significato. Così λῶ per ἐϑέλω, o quella sia la radice, o un
troncamento, del che altrove p. 2779
(12. Marzo 1824.).
[4050,4] Θανέω o θάνω-θνήσκω. Qui l'alterazione non solo è
nella desinenza, ma eziandio nella omissione dell'α, onde θνήσκω per θανήσκω dal
fut. θανήσω donde si fanno questi verbi in σκω, secondo il Weller. (21. Marzo. 1824.).
[4086,4] Il verbo stare, che ha
tanta relazione al verbo esse per l'uso, pel
significato, alcune volte sinonimo ec. che in italiano supplisce col suo
participio al difetto del verbo essere, e spesso si
usa altresì, come anche più nello spagnuolo, in luogo di questo verbo, ec. non
ha tuttavia nessunissima relazione grammaticale con lui, senza la mia
osservazione pp. 1120-21
pp. 2142-45
pp. 2780. sgg. che lo fa
derivare da un antico participio o supino di sum.
Similmente in greco ἵστημι, στάω, ec. che in se, e ne' loro composti e derivati,
e nel lat. sisto che ne deriva, e suoi composti, come
exsisto, subsisto, exsistentia ec. e nella voce ὑπόστασις (substantia,
subsistentia ec.), ha tanta relazione col verbo essere, non ha alcuna attinenza grammaticale con lui, senza la mia
osservazione che lo fa derivare dal latino sto,
derivato da sum. Anche i composti e derivati di sto (come exsto, exstantia, substantia, substantivus, substo ec.
ec.) manifestano nel significato ec. grandissima relazione col verbo essere. (4. Maggio. 1824.).
[4089,2]
Clepo is psi ptum - κλέπτω, quasi clepto as da cleptum di clepo. Il caso è al tutto simile a quel di apo-aptum-apto-ἅπτω, di cui lungamente altrove pp. 2136-40 , eccetto che clepto lat. non si conosce (è però ben verisimile), e viceversa clepo è più noto e certo di apo benchè parimente antiquato. Avvi anche clepso
is, se è vero. V. Forcell.
(17. Maggio. 1824.). {{V. pag. 4115.}}
[4096,1]
Sisto in vece di venire dal greco ἱστάω, come si crede
e ho detto altrove pp. 2143-45
pp. 2779-80 , ben
potrebbe venire da sto per duplicazione, non ignota
neppure ai latini (come usitatissimo fra i greci), massime antichi, come ho
mostrato altrove p. 2774
p.
2811
pp.
3940-41 coll'es. di titillo da τίλλω, e dei
perf. cecidi ec. ec. E la mutazione della coniugazione
dalla prima nella terza, sarebbe appunto come nei composti di do (del che pure altrove p. 2772) anch'esso
monosillabo come sto. E quanto al significato e
all'uso ec. chi non vede l'analogia fra sto e sisto? (1. Giugno. 1824.).
[4123,1]
4123 Kλείω - κλεΐζω, κληΐζω, κλῄζω.
[4154,9]
Juxta meam
sententiam βρύω et βρύζω idem verbum est, ut βλύω et βλύζω, βύω βύζω,
μύω μύζω, ϕλύω ϕλύζω et alia.
*
Ignatius Liebel
ad Archilochi fragm. 5. p. 70. ed.
Vindobon. 1818.
[4155,1] (Taso era nome di un'isola
aggiacente alla Tracia.) A questo frammento di
Archiloco
il Jacobs fa questa osservazione. Ὄνου ῥαχις.
Propter montium iuga poeta sic appellasse videtur insulam. Plurimas
partium corporis appellationes ad terrarum situm et conditionem
significandam translatas diligenter collegit Eustath. ad. Il. p. 233. seqq. quaedam schol.
Sophocl. in Oed. Col. 691. conf.
Wesseling
ad Herod. I. p. 35. 86. Promontorium Laconiae
ὄνου γνάϑον appellatum commemorat Pausanias III. 22. p. 431. edit. Facii. Nec hoc
ὄνου ῥάχις tam Archilocho
proprium fuisse puto, quam potius montosarum regionum
appellationem.
*
Jacobs, Animadverss. in Antholog.
vol. 1. par. 1. p. 165. seq. ap. Liebel loc. cit. qui dietro, fragm. 9. p. 79. Or notisi il
nostro schiena d'asino o a
schiena d'asino, detto di strade ec.
(Bologna 27. Nov. 1825.
Domenica.).
[4268,3] ϕλύω - vϕλύζω.
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