26. Nov. 1821.
[2166,1] Può far meraviglia molto ragionevole che Marcaurelio scrivesse i suoi libri τῶν εἰς
2167 ἑαυτόν, delle considerazioni di se
stesso
come lo chiama il Menagio, piuttosto in greco
che in latino, essendo romano, non allevato in grecia (nè credo che mai
ci fosse), ed avendo posto molto e felice studio nelle lettere e nella lingua
nativa, come apparisce sì da altre notizie che danno di lui gli Storici, sì
massimamente da ciò ch'egli scrive a Frontone e Frontone a
lui. Non poteva aver egli di mira, cred'io, la maggior diffusione del
suo lavoro, scrivendolo in una lingua più divulgata. Ma io credo certissimo che
egli non fosse indotto a preferir la lingua greca alla latina se non per la
maggiore libertà di quella. Della quale libertà egli aveva bisogno in un'opera
profondamente ed intimamente filosofica, e attenente alla scienza della vita e
del cuore umano, ed alle sottili speculazioni psicologiche. Non dubito ch'egli
non disperasse di potere riuscire
2168 a trattare un
tale argomento in latino, a parlare a se stesso, e di se stesso, cioè del cuor
suo ec. (non delle sue cose pubbliche come fa Cic.) in latino. Questa lingua aveva già avuto un Cic. e un Seneca, e un Tacito, eppure ancor non bastava a una certa filosofia veramente
intima. La lingua greca aveva avuto scrittori filosofici profondi, ma senza ciò,
la sua pieghevolissima e liberissima indole, si prestava a qualsivoglia genere
di argomento, grado di filosofia, {ec.} ancorchè nuovo.
La lingua latina per lo contrario: ed oltracciò quello era un tempo, dove, come
accade dopo una decisa corruzione e licenza, che richiamandosi gl'istituti umani
alla buona strada, essi cadono nell'eccesso contrario; la lingua latina e il
gusto di quel tempo (come oggi in italia) peccava di
servilità, timidità (in vitium ducit culpę fuga
*
), come si può
vedere nelle opere di Frontone, e come
dicevano i maestri di devozione,
2169 che le anime
recentemente convertite, sogliono patire di scrupoli, e sarebbe anzi mal segno
se non ne patissero. Questo durò poco, perchè la lingua e letteratura colle cose
latine tornò a precipitare indietro ben presto. Ma in quel tempo lo stile di
Seneca, e altri tali stili
filosofici si condannavano altamente dai letteratori latini, come oggi dagli
italiani quello di Cesarotti ec. e ciò
serviva d'impaccio e di spauracchio a chi volesse scrivere filosoficamente in
latino, come oggi volendo scriver buon italiano, nessuno s'impaccia più di
pensare. Marcaurelio pertanto dovè
sentire questo pericolo, disperare di poter essere profondo filosofo nella
lingua nativa voluta dal suo tempo, e senza violare il gusto corrente, e dar nel
naso ai critici, i quali già lo riprendevano di cattiva {e
negligente} lingua, e di licenza dopo ch'egli s'era dato alla
filosofia, e dallo studio delle parole a quello delle cose,
2170 come apertamente lo riprende Frontone
de Orationibus.
Trovossi adunque obbligato per esprimere i suoi più intimi sentimenti, a
sceglier la lingua greca, a creder più facile di esprimere le cose sue più
proprie, in una lingua forestiera ed altrui, che nella propria e nativa. (Il
qual bisogno pur troppo si farebbe molte volte sentire agl'italiani rispetto al
francese, se gl'italiani pensassero, ed avessero cose proprie da dire.)
[2170,1] Il quale splendido esempio, e {fatto} notabilissimo per le sue circostanze, conferma quello ch'io
dico della maggior filosoficità della lingua greca, maggior libertà, e
indipendenza, maggior capacità delle idee sottili, maggiore adattabilità alle
cose moderne; e com'ella avrebbe potuto assai più della latina servire alla
rinata letteratura, e giovare anche oggi la
sua {intima} cognizione (se non all'uso, ch'è
impossibile) almeno al perfezionamento dell'intelletto
2171
filosofico moderno, {delle idee di ciascuno, e}
{{della facoltà di pensare}} e delle stesse più
colte lingue moderne. (26. Nov. 1821.).