14. Sett. 1821.
[1699,2]
Alla p. 1562.
fine. Non si dà salvatichezza
in natura. Bensì per noi. Ciò vuol dire che non siamo quali dovevamo. Quello che
per noi è salvatico, o non doveva servirci, e non era destinato all'uomo, o non
è salvatico se non perchè noi siamo civili, e incapaci quindi di servircene come
avremmo dovuto, e come la natura avea destinato. Non si nega che la coltura, i
nesti ec. non migliorino le piante le frutta, e le razze loro, molte delle quali
1700 nel loro stato di salvatichezza, non ci potrebbero servire affatto, o ci
servirebbero, o diletterebbero assai meno. ec. Così dico degli animali. ec. Ma
questo miglioramento è relativo al nostro stato presente, non mica alla natura
di quelle razze ec. pretese migliorate, nè alla natura propria nostra. Infatti
quelle razze ec. coi miglioramenti che ricevono dalle nostri[nostre] arti, acquistano qualunque altra qualità fuorchè il
vigore, la robustezza, la sanità, la forza di resistere alle intemperie alle
fatiche ec. di operare ec. di crescere proporzionatamente ec. Anzi quanto
guadagnano in altre qualità (non proprie nè primitive loro) altrettanto perdono
in questa, ch'è il vero carattere della natura in tutte le sue opere, e senza la
cui rispettiva dose proporzionata alla natura di ciascun genere, l'individuo è
insomma in istato di malattia abituale. {
V. la Veterinaria di
Vegezio, prologo al lib.
2., nel passo riportato
dal Cioni, Lettera a G. Capponi sopra Pelagonio, not.
19.} Il vigore rispettivo è la prima e più necessaria
di tutte le facoltà, perchè insomma non è altro che la facoltà di pienamente
esercitare tutte le proprie facoltà, e tutte le qualità rispettive della propria
natura, e tutta la perfezion fisica della propria esistenza. Senza la qual
perfezione
1701 fisica (che la natura ha dato
immediatamente a tutti i generi, ed all'umano come agli altri, a differenza
della pretesa perfezione dell'animo), nè l'animo (che dipende in tutto dal
fisico) nè l'intero animale può mai essere se non imperfetto. (14. Sett.
1821.).