14. Sett. 1821.
[1695,1] Forza dell'assuefazione sull'idea della convenienza.
L'uso ha introdotto che il poeta scriva in verso. Ciò non è della sostanza nè
della poesia, nè del suo linguaggio, e modo di esprimer le cose. Vero è che
questo linguaggio e modo, e le cose che il poeta dice, essendo al tutto divise
dalle ordinarie, è molto conveniente, e giova moltissimo all'effetto, ch'egli
impieghi un ritmo ec. diviso dal volgare e comune, con cui si esprimono le cose
alla maniera ch'elle sono, e che si sogliono considerare nella vita. Lascio poi
l'utilità dell'armonia ec. Ma in sostanza, e per se stessa, la poesia non è
legata al
1696 verso. E pure fuor del verso, gli
ardimenti, le metafore, le immagini, i concetti, tutto bisogna che prenda un
carattere più piano, se si vuole sfuggire il disgusto dell'affettazione, e il
senso della sconvenienza di ciò che si chiama troppo poetico per la prosa,
benchè il poetico, in tutta l'estensione del termine, non includa punto l'idea
nè la necessità del verso, nè di veruna melodia. L'uomo potrebb'esser poeta
caldissimo in prosa, senza veruna sconvenienza assoluta: e quella prosa, che
sarebbe poesia, potrebbe senza nessuna sconvenienza assumere interissimamente il
linguaggio, il modo, e tutti i possibili caratteri del poeta. Ma l'assuefazione
contraria ed antichissima (originata forse da ciò che i poeti si animavano a
comporre colla musica, e componevano secondo essa, {a
misura,} e cantando, e quindi verseggiando, cosa molto naturale)
c'impedisce di trovar conveniente una cosa che nè in se stessa nè nella natura
del linguaggio umano, o dello spirito poetico, o dell'uomo, o delle cose,
rinchiude niuna discordanza.
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(14. Sett. 1821.).