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Romanzi. Sentimentale.

Novels. The sentimental.

64,2 650,1 724,3 1436,1 1448,1 1691,2 1903,1 2229 2738,1 3158,1

[64,2]  Molti sono che dalla lettura de' romanzi libri sentimentali ec. o acquistano una falsa sensibilità non avendone, o corrompono quella vera che avevano. Io sempre nemico mortalissimo dell'affettazione massimamente in tutto quello che spetta agli effetti dell'animo e del cuore mi sono ben guardato dal contrarre questa sorta d'infermità, e ho sempre cercato di lasciar la natura al tutto libera e spontanea operatrice ec. A ogni modo mi sono avveduto che la lettura de' libri non ha veramente prodotto un[in] me nè affetti o sentimenti che non avessi, nè anche verun effetto di questi, che senza esse letture non avesse dovuto nascer da se: ma pure gli ha accelerati, e fatti sviluppare più presto, in somma sapendo io dove quel tale affetto moto sentimento ch'io provava, doveva andare a finire, quantunque lasciassi intieramente fare alla natura, nondimeno trovando la strada come aperta, correvo per quella più speditamente. Per esempio nell'amore la disperazione mi portava più volte a desiderar vivamente di uccidermi: mi ci avrebbe portato senza dubbio da se, ed io sentivo che quel desiderio veniva dal cuore ed era nativo e {mio} proprio non tolto in prestito, ma egualmente mi parea di sentire che quello mi sorgea così tosto perchè dalla lettura recente del Verter, sapevo che quel genere di amore ec. finiva così, in somma la disperazione mi portava là, ma s'io fossi stato nuovo in queste cose, non mi sarebbe venuto in mente quel desiderio così presto, dovendolo io come inventare, laddove (non ostante ch'io fuggissi quanto mai si può dire ogni imitazione ec.) me lo trovava già inventato.

[650,1]  Les passions même les plus vives ont besoin de la pudeur pour se montrer dans une forme séduisante: elle doit se répandre sur toutes vos actions; elle doit parer et embellir  651 toute votre personne. On dit que Jupiter, en formant les passions, leur donna à chacune sa demeure; la pudeur fut oubliée, et quand elle se présenta, on ne savoit plus où la placer; on lui permit de se mêler avec toutes les autres. Depuis ce temps-là, elle en est inséparable. * Mme de Lambert, Avis d'une mère à sa fille, dans ses oeuvres complètes citées ci-dessus, (p. 633.), p. 60-61. Che vuol dir questo, se non che niente è buono senza la naturalezza? Applicate questi detti della Marchesa anche alla letteratura, inseparabile parimente dal pudore, e a quello ch'io dico del sentimento, e del genere sentimentale nel Discorso sui romantici. (13. Febbr. 1821.).

[724,3]  I poeti, oratori, storici, scrittori in somma di bella letteratura, oggidì in italia, non manifestano mai, si può dire, la menoma forza d'animo (vires animi, e non intendo dire la magnanimità), ancorchè il soggetto, o l'occasione {ec.} contenga  725 grandissima forza, sia per stesso fortissimo, abbia gran vita, grande sprone. Ma tutte le opere letterarie italiane d'oggidì sono inanimate, esangui, senza moto, senza calore, senza vita (se non altrui). Il più che si possa trovar di vita in qualcuno, come in qualche poeta, è un poco d'immaginazione. Tale è il pregio del Monti, e dopo il Monti, ma in assai minor grado, dell'Arici. Ma oltre che questo pregio è rarissimo nei nostri odierni o poeti o scrittori, oltre che in questi rarissimi è anche scarso (perchè il più de' loro pregi appartengono allo stile), osservo inoltre che non è veramente spontaneo nè di vena, e soggiungo che non solamente non è, ma non può essere, se non in qualche singolarissima indole.

[1436,1]  Mirabile disposizione della natura! Il giovane non crede alle storie, benchè sappia che son vere, cioè non crede che debbano avverarsi ne' particolari della sua vita, degli uomini ch'egli conosce, {e} tratta, o conoscerà e tratterà, e spera di trovare il mondo assai diverso, almeno in quanto a se stesso, e per modo di eccezione. E crede pienamente a' poemi e romanzi, benchè sappia che sono falsi, cioè se ne lascia persuadere che il mondo sia fatto e vada in quel  1437 modo, e crede di trovarlo così. Di maniera che le storie che dovrebbero fare per lui le veci dell'esperienza, e così pure gl'insegnamenti filosofici ec. gli restano inutili, non già per capriccio, nè ostinazione, nè piccolezza d'ingegno, ma per opera universale e invincibile della natura. E solo quando egli è dentro a questo mondo sì cambiato dalla condizione naturale, l'esperienza lo costringe a credere quello che la natura gli nascondeva, perchè neppur nel fatto era conforme alle di lei disposizioni. Segno che il mondo è tutto il rovescio di quello che dovrebbe, poichè il giovane che non ha altra regola di giudizio, se non la natura, e quindi è giudice competentissimo, giudica sempre ed inevitabilmente vero il falso, e falso il vero. (2. Agosto. 1821.).

[1448,1]  È vero che la poesia propria de' nostri tempi è la sentimentale. Pure un uomo di genio, giunto a una certa età, quando ha il cuor disseccato dall'esperienza e dal sapere, può più facilmente scriver belle poesie d'immaginazione che di sentimento, perchè quella si può in qualche modo comandare, questo no, o molto meno. E se il poeta scrivendo non  1449 è riscaldato dall'immaginazione, può felicemente fingerlo, aiutandosi della rimembranza di quando lo era, e richiamando, raccogliendo, e dipingendo le sue fantasie passate. Non così facilmente quanto alla passione. E generalmente io credo che il poeta vecchio sia meglio adattato alla poesia d'immaginazione, che a quella di sentimento proprio, cioè ben diverso dalla filosofia, dal pensiero ec. E di ciò si potrebbero forse recare molti esempi di fatto, antichi e moderni, contro quello che pare a prima vista, perchè l'immaginazione è propria de' fanciulli, e il sentimento degli adulti. (3. Agosto. 1821.). {{V. p. 1548.}}

[1691,2]  Voi altri riformatori dello spirito umano, e dell'opera della natura, voi altri predicatori della ragione, provatevi un poco a  1692 fare un romanzo, un poema ec. il cui protagonista si finga perfettissimo e straordinario in tutte le parti morali, e dipendenti dall'uomo, e imperfetto {o men che perfetto} nelle parti fisiche, dove l'uomo non ha per se verun merito. Di che si parla in questo secolo sì spirituale massime in letteratura che oramai par che sdegni tutto ciò che sa di corporeo, di che si parla, dico, ne' poemi, ne' romanzi, nelle opere tutte d'immaginazione e sentimento, fuorchè di bellezza del corpo? Questa è la prima condizione in un personaggio che si vuol fare interessante. {+La perfettibilità dell'uomo, come altrove ha[ho] detto p. 830, non ha che fare col corpo. E contuttociò la perfezione del corpo, che non dipende dagli uomini nè è opera della ragione, si è la principal condizione che si ricerca in un eroe di poema ec. (o si dee supporre, perchè ogni menoma imperfezione corporale suppostagli guasterebbe ogni effetto) e la più efficace, supponendolo ancora perfetto nello spirito.} Questa circostanza non si può tacere; quando anche si taccia, la supplirà il lettore; ma fare espressamente un protagonista brutto, è lo stesso che rinunziare a qualsivoglia effetto. (V. ciò che dico in tal proposito dove parlo della compassione pp. 220-21). Mad. di Staël non era bella: in un'anima come la sua, questa circostanza avrà prodotto mille pensieri e sentimenti sublimi, nuovissimi a scriverli, profondissimi, sentimentalissimi: (così di Virgilio pretende Chateaubriand) ella amava sopra tutto l'originalità, e poco teneva il buon  1693 gusto (v. Allemagne tome 1. ch. dernier.): ella, come tutti i grandi, dipingeva ne' suoi romanzi il suo cuore, i suoi casi, e però si serve di donne per li principali effetti; nondimeno si guarda bene di far brutti o men che belli i suoi eroi o le sue eroine. Tutto lo spregiudizio, tutto l'ardire, tutta l'originalità di un autore in qualsivoglia tempo non può giunger fin qua. Che cosa è la bellezza? lo stesso in fondo, che la nobiltà e la ricchezza: dono del caso? È egli punto meno pregevole un uomo sensibile e grande, perchè non è bello? {+Quale inferiorità di vero merito si trova nel più brutto degli uomini verso il più bello?} Eppure non solamente lo scrittore o il poeta si deve guardare dal fingerlo brutto, ma deve anche guardarsi da entrare in comparazioni sulla {sua} bellezza. Ogni effetto svanirebbe se parlando o di se stesso (come fa il Petrarca) o del suo eroe, l'autore dicesse ch'egli era sfortunato nel tale amore perchè le sue forme, o anche il suo tratto e maniere esteriori (cosa al tutto corporea) non piacevano all'amata, o perch'egli era men bello di un suo rivale ec. ec. Che cosa è dunque il mondo fuorchè  1694 NATURA? Ho detto [pp. 601-603] p. 1026 p. 1262 p. 1657 che l'intelletto umano è materiale in tutte le sue operazioni e concezioni. La teoria stessa dell'intelletto si deve applicare al cuore e alla fantasia. La virtù, il sentimento, i più grandi pregi morali, le qualità dell'uomo le più pure, le più sublimi, infinite, le più immensamente lontane in apparenza dalla materia, non si amano, non fanno effetto veruno se non come materia, e in quanto materiali. Divideteli dalla bellezza, o dalle maniere esteriori, non si sente più nulla in essi. Il cuore può bene immaginarsi di amare lo spirito, o di sentir qualche cosa d'immateriale: ma assolutamente s'inganna.

[1903,1]  Il giovane o dirittamente e precisamente, o almeno confusamente, e nel fondo del suo cuore; e non solo il giovane ma la massima parte degli uomini, e possiamo dir tutti, almeno in qualche circostanza, credono straordinario nel mondo quello appunto ch'è ordinario, e viceversa; straordinari i casi delle storie, e ordinari i casi de' romanzi. (12. Ott. 1821.).

[2228,1]  È cosa facilmente osservabile che nel comporre ec. giova moltissimo, e facilita ec. il leggere abitualmente in quel tempo degli autori di stile, di materia ec. analoga a quella che abbiamo per le mani ec. Da che cosa crediamo noi che ciò derivi? forse dal ricevere quelle tali letture, quegli autori ec. come modelli, come esempi di ciò che dobbiamo fare, dall'averli più in pronto, per mirare in essi, e regolarci nell'imitarli? ec. non già, ma dall'abitudine materiale che la mente acquista a quel tale stile ec. la quale abitudine le rende molto più facile l'eseguir ciò che ha da fare. Tali letture in tal tempo non sono studi, ma esercizi, come la lunga abitudine del comporre facilita la composizione. Ora tali letture fanno appunto allora l'uffizio di quest'abitudine, la facilitano, esercitano insomma la mente in quell'operazione  2229 ch'ella ha da fare. E giovano massimamente quando ella v'è già dentro, e la sua disposizione e[è] sul traine[train] di eseguire, di applicare al fatto ec. Così leggendo un ragionatore, per quei giorni si prova una straordinaria tendenza, facilità, frequenza ec. di ragionare sopra qualunque cosa occorrente, anche menoma. Così un pensatore, così uno scrittore d'immaginazione, di sentimento (esso ci avvezza per allora a sentire anche da noi stessi), originale, inventivo ec. E questi effetti li producono essi non in forza di modelli (giacchè li producono quando anche il lettore li disprezzi, o li consideri come tutt'altro che modelli), ma come mezzi di assuefazione. E però, massime nell'atto di comporre, bisogna fuggir le cattive letture, sia in ordine allo stile, o a qualunque altra cosa; perchè la mente senz'avvedersene si abitua a quelle maniere, per quanto le condanni, e per quanto sia abituata già a maniere diverse, abbia formato una maniera  2230 propria, ben radicata nella di lui assuefazione ec. (6. Dic. 1821.).

[2738,1]  Il qual ristagno è micidiale alla felicità per le ragioni sopraddette. Ora esso è l'effetto proprio del moderno modo di vivere, e il carattere che lo distingue dall'antico, e quello che osservato da Chateaubriand, volendo fare un romanzo di carattere essenzialmente moderno, e ignoto e impossibile da farsi o da concepirsi agli  2739 antichi, gl'ispirò il René, che si aggira tutto in descrivere e determinare questo ristagno, e gli effetti suoi. Da ciò solo si conchiuda se la vita antica o la moderna è più conducente alla felicità, ovvero qual delle due sia meno conducente all'infelicità. E poichè lo Chateaubriand considera questo ristagno come effetto preciso e proprio del Cristianesimo, vegga egli qual conseguenza se ne debba tirare intorno a questa religione, per ciò che spetta al temporale. In verità si trova ad ogni passo che le sue {+più fine, profonde, {nuove} {e vere}} osservazioni e i suoi argomenti intorno al Cristianesimo, e agli effetti di lui, ed alla moderna civiltà, ed al carattere e spirito dell'uomo Cristiano, o moderno e civile, provano dirittamente il contrario di quello ch'egli si propone. {+E può dirsi che ogni volta ch'egli reca in mezzo osservazioni nuove, travaglia per la sentenza contraria alla sua, accresce gli argomenti che la fortificano, e somministra {nuove} armi ai suoi propri avversari, credendosi di combatterli.} (1. Giugno. Domenica. 1823.). {{V. p. 2752.}}

[3158,1]  4. Oggi, come ho già detto p. 564 pp. 3141. sgg., e proporzionatamente eziandio a' tempi di Virgilio, si può dir che più non esista interesse pubblico, se non in quei pochi che le cose pubbliche amministrano, e che il pubblico rappresentano,  3159 anzi, si può dir, lo compongono {e} costituiscono. Ed è ben cosa ragionevole e consentanea che l'interesse pubblico negli altri più non esista (e chi governa non legge poemi). Ora dunque i poemi il cui soggetto non è che qualche felicità {e gloria} nazionale, poco possono oggidì interessare, o certo assai meno che a' tempi d'Omero. Ma la sventura, e massime degl'immeritevoli, è sempre dell'interesse privato di ciascheduno uomo. Niuno è che non si stimi infelice e conseguentemente nol sia, e niuno è parimente che non si reputi immeritevole della infelicità ch'ei sostiene. Queste disposizioni benchè comuni a tutti i tempi, sono massimamente sensibili oggidì, poichè {+per le circostanze politiche} la vita non ha più come {vivamente} occuparsi e distrarsi, e {d'altronde} il lume della filosofia dissipa ben tosto, o soffoca nel nascere, o impedisce del tutto qualunque illusione di felicità. Quindi eziandio indipendentemente dalla compassione, egli era  3160 tanto più conveniente oggidì che a' tempi d'Omero il far molto giuocare ne' poemi epici le sventure degli uomini, quanto che oggi il sentimento della infelicità nelle nazioni civili è più vivo che fosse mai nel genere umano, ed {è} il sentimento e il pensiero per così dir dominante, {+da cui niuno oramai trova più come distrarsi.} E la infelicità individuale degli uomini è, per così dire, il carattere o il segno di questo secolo. Tutto al contrario di quel d'Omero, il quale forse godette di quella maggior felicità o minore infelicità che possa godersi dall'uomo nello stato sociale, e che sempre risulta dalla grande attività della vita e dalle grandi {e forti} illusioni, cose proprissime di quel tempo, massime nella Grecia. Or dunque oggidì le sventure cantate da' poeti, non possono non interessar grandemente, e più che in ogni altro tempo, e tutti; essendo il sentimento della propria sventura l'universale e più continuo sentimento degli uomini d'oggidì, ed amando naturalmente gli uomini di parlare e  3161 udir parlare delle cose proprie, e riguardando ciascheduno la infelicità come propria sua cosa, e dilettandosi gli uomini singolarmente di quelli che loro più si assomigliano, nè potendosi trovar somiglianza più universale che quella della infelicità, e compiacendosi ciascheduno di vedere in altrui o di legger ne' poeti i suoi propri sentimenti, e contando per somma ventura ogni volta ch'egli incontra o nella vita o ne' libri qualche notabile conformità o di casi o di circostanze o di opinioni o di carattere o di pensieri o d'inclinazioni o di modi o di vita e abitudini, colle sue proprie; e consolandosi ciascheduno delle sue sventure coll'esempio vivamente rappresentato, e più col vederle quasi celebrate e piante in altrui {+(e ciò in soggetto e circostanze e persone e avvenimenti illustri, come son quelli cantati ne' poemi epici),} innalzando il concetto di se stesso quasi il canto del poeta avesse per soggetto la di lui stessa infelicità, ed intenerendosi nella lettura quasi sui proprii mali. Chè in verità qualora leggendo i poeti (versificatori o prosatori) {o le storie} noi ci sentiamo  3162 commuovere da quelle vere o finte calamità, e ci lasciamo andare alle lagrime, crediamo forse di piangere le miserie altrui ma più spesso e più veramente, o più intensamente piangiamo in quel med. punto le nostre proprie, o mescoliamo il pensiero di queste al pensiero di quelle, e questa mescolanza (ch'è vera e propria e debita arte, e dev'essere scopo, del poeta l'occasionarla) è principal cagione di quelle nostre lagrime. E ci accade allora (e così ne' teatri ec.) come ad Achille piangente sul capo di Priamo il suo vecchio padre e la breve vita a se destinata ec. ec. sublimissimo e bellissimo e naturalissimo quadro di Omero. {+Le sventure, quando sieno nazionali, o in altra maniera più {particolarmente} appartenenti ai lettori, interesseranno sempre più, per la maggior somiglianza e prossimità, che non è quella dello sventurato in generale, e perchè sarà tanto più facile e pronto il passaggio dell'animo del lettore da quelle calamità alle sue proprie ec. Onde sarà sempre importantissimo che il soggetto del poema sia nazionale, e questi soggetti saranno sempre preferibili agli altri, e la nazionalità conferirà moltissimo all'interesse.}