Naturalezza.
Naturalness.
Vedi Semplicità. See Simplicity. 658,1 650,1 705 1329,3 1365,1 1404,1 1411,1 1915,1 2037,2 2498,1 2545,1 2682,1 3047,1 3050,1 3490,1Naturalezza e Chiarezza nello scrivere.
Naturalness and Clarity in writing.
119,1Naturalezza e Chiarezza nello scrivere non si possono avere se non per arte.
Naturalness and Clarity in writing can only be attained by means of art.
3047,1 3050,1[658,1] La ragione di quanto ho più volte osservato circa la
difficoltà anzi impossibilità di riuscire in quelle cose che si fanno con troppo
impegno, pp. 461-62 e tanto più quanto queste cose sono
naturali, e quanto la perfezione loro consiste nella naturalezza, è questa. Non
riesce bene e secondo natura, se non quello che si fa naturalmente.
659 Ma i detti mezzi non sono naturali, e il servirsi di
essi non è secondo natura. Dunque ec. Non basta che un'operazione sia naturale:
ma quanto più è o dev'esser naturale, tanto più bisogna farla naturalmente. Anzi
non è naturale, se non è fatta naturalmente. (14. Feb. 1821.).
[650,1]
Les
passions même les plus vives ont besoin de la pudeur pour se montrer dans une forme séduisante:
elle doit se répandre sur toutes vos actions; elle doit parer et
embellir
651 toute votre personne. On dit que
Jupiter, en formant les passions, leur donna à chacune sa
demeure; la pudeur fut oubliée, et quand elle se présenta, on ne savoit
plus où la placer; on lui permit de se mêler avec toutes les autres.
Depuis ce temps-là, elle en est inséparable.
*
Mme de Lambert, Avis d'une mère à sa fille,
dans ses oeuvres complètes citées ci-dessus, (p. 633.), p. 60-61. Che
vuol dir questo, se non che niente è buono senza la naturalezza? Applicate
questi detti della Marchesa anche alla
letteratura, inseparabile parimente dal pudore, e a quello ch'io dico del
sentimento, e del genere sentimentale nel Discorso sui romantici.
(13. Febbr. 1821.).
[704,1]
704 L'uomo dev'esser libero e franco nel maneggiare la
sua lingua, non come i plebei si contengono liberalmente e disinvoltamente nelle
piazze, per non sapere stare decentemente e con garbo, ma come quegli ch'essendo
esperto ed avvezzo al commercio civile, si diporta francamente e scioltamente
nelle compagnie, per cagione di questa medesima esperienza e cognizione. Laonde
la libertà nella lingua dee venire dalla perfetta scienza e non dall'ignoranza.
La quale debita e conveniente libertà manca oggigiorno in quasi tutti gli
scrittori. Perchè quelli che vogliono seguire la purità e l'indole e le leggi
della lingua, non si portano liberamente, anzi da schiavi. Perchè non
possedendola {intieramente e} fortemente, e sempre
sospettosi di offendere, vanno così legati che pare che camminino fra le uova. E
quelli che si portano liberamente, hanno quella libertà de' plebei, che deriva
dall'ignoranza della lingua, dal non saperla maneggiare, e dal non curarsene. E
questi in comparazione
705 degli altri sopraddetti, si
lodano bene spesso come scrittori senza presunzione. Quasi che da un lato fosse
presunzione lo scriver bene (e quindi anche l'operar bene, e tutto quello che si
vuol fare convenientemente, fosse presunzione); dall'altro lato scrivesse bene
chi {ne} dimostra presunzione. Quando anzi il
dimostrarla, non solamente in ordine alla {buona}
lingua, ma a qualunque altra dote della scrittura, è il massimo vizio nel quale
scrivendo si possa incorrere. Perchè in somma è la stessa cosa che
l'affettazione; e l'affettazione è la peste d'ogni bellezza e d'ogni bontà,
perciò appunto che la prima e più necessaria dote sì dello scrivere, come di
tutti gli atti della vita umana, è la naturalezza. (28. Feb.
1821.).
[1329,3] Non è mai sgraziato un fanciullino che si vergogna,
e parlando arrossisce, e non sa stare nè operare nè discorrere in presenza
altrui. Bensì un giovane poco pratico del buon tratto, e desideroso di esserlo,
o di comparirlo. Non è mai sgraziata una pastorella che non sa levar gli occhi,
trovandosi fra persone nuove, nè ha la maniera di contenersi,
1330 di portarsi ec. Bensì una donna, egualmente o anche meno timida,
e più istruita, ma che volendo figurare, o essere come le altre in una
conversazione, non sappia esserlo o non abbia ancora imparato. Così lo sgraziato
non deriva mai dalla natura (anzi le dette qualità naturali, sono graziose
sempre ec. ec.), ma bensì frequentemente dall'arte, e questa non è mai fonte di
grazia nè di convenienza, se non quando ha ricondotto l'uomo alla natura, o
all'imitazione di essa, cio è[cioè] alla
disinvoltura, all'inaffettato, alla naturalezza ec. E l'andamento necessario
dell'arte, è quasi sempre questo. Farci disimparare quello che già sapevamo
senza fatica, e toglierci quelle qualità che possedevamo naturalmente. Poi con
grande stento, esercizio, tempo, tornarci a insegnare le stesse cose, e
restituirci le stesse qualità, o poco differenti. Giacchè quella modestia,
quella timidezza, quella vergogna naturale ec. si trova bene spesso in molti,
non più naturale, chè l'hanno perduta, ma artifiziale, chè mediante l'arte
appoco appoco e stentatamente l'hanno ricuperata. (15. Luglio
1821.).
[1365,1] La grazia bene spesso non è altro che
1366 un genere di bellezza diverso dagli ordinari, e
che però non ci par bello, ma grazioso, o bello insieme e grazioso (che la
grazia è sempre nel bello). A'[A] quelli a'
quali quel genere non riesca straordinario, parrà bello ma non grazioso, e
quindi farà meno effetto. Tale è p. e. quella grazia che deriva dal semplice,
dal naturale ec. che a noi in tanto par grazioso, in quanto, atteso i nostri
costumi e assuefazioni ec., ci riesce straordinario, come osserva appunto Montesquieu. Diversa è l'impressione che a noi produce la
semplicità degli scrittori greci, v. g. Omero, da quella che produceva ne' contemporanei. A noi par graziosa,
{+(V. Foscolo nell'articolo
sull'Odiss. del Pindemonte; dove parla della sua propria traduzione del
1. Iliade)} perchè divisa da' nostri costumi, e
naturale. Ai greci contemporanei, appunto perchè naturale, pareva bella, cioè
conveniente, perchè conforme alle loro assuefazioni, ma non graziosa, o certo
meno che a noi. Quante cose in questo genere paiono ai francesi graziose, che a
noi paiono soltanto belle, o non ci fanno caso in verun conto! A molte cose può
estendersi questo pensiero. (21. Luglio 1821.)
[1404,1] Le Cinesi si storpiano per farsi il piede piccolo
riputando bellezza, quello ch'è contro natura. Che accade il noverare le tante
barbare cioè snaturate usanze e opinioni intorno alla bellezza umana? Certo è
però che tutti questi barbari, e i cinesi ec. trovano più bella una persona
snaturatasi e rovinatasi in quei tali modi, che una persona bellissima e
foggiata secondo natura. Anzi
1405 questa parrà loro
anche deforme in quelle tali parti ec. Dunque essi provano il senso del bello,
come noi nelle cose contrarie; dunque chi ha ragione de' due? perchè dunque si
chiamano barbari simili gusti?
[1411,1] La semplicità è quasi sempre bellezza sia nelle
arti, sia nello stile, sia nel portamento, negli abiti ec. ec. ec. Il buon gusto
ama sempre il semplice. Dunque la semplicità è assolutamente è[e] astrattamente bella e buona? Così si conclude. Ma non è
vero. Perchè dunque suol esser bella?
[1915,1]
1915 Una cagione del piacere che produce la semplicità
nelle opere d'arte, o di scrittura, o in tutto ciò che spetta al bello; cagione
universale, e indipendente dall'assuefazione quanto al totale dell'effetto, ed
inerente alla natura del bello semplice; si è il contrasto fra l'artefatto e
l'inartefatto, o la perfetta apparenza dell'inartefatto. Contrasto il quale può
essere 1. tra le altre bellezze e qualità dell'opera, che stante la loro
perfezione, non paiono poter essere inartefatte, e la semplicità o naturalezza
che tutte le veste e le comprende, la quale è, o pare del tutto inartefatta: 2.
fra la stessa natura della semplicità e naturalezza che per se stessa par che
includa lo spontaneo e non artefatto, e il sapere o accorgersi bene (com'è
naturale) ch'essa, malgrado questa perfetta apparenza, è non per tanto
artefatta, e deriva dallo studio. Contrasto il quale produce la meraviglia che
sempre deriva dallo straordinario,
1916 e dall'unione di cose o qualità che paiono
incompatibili ec. Siccom'è il ricercato colla sembianza del non ricercato.
Sottilissime, minutissime, sfuggevolissime sono le cause e la natura de' più
grandi piaceri umani. E la maggior parte di essi si trova in ultima analisi
derivare da quello che non è ordinario, e da ciò appunto, ch'esso non è
ordinario. ec. (14. Ott. 1821.). {+La maraviglia principal fonte di piacere nelle arti
belle, poesia, ec. da che cosa deriva, ed a qual teoria spetta, se non a
quella dello straordinario?}
[2037,2] La semplicità bene spesso non è altro
2038 che quella cosa, quella qualità, quella forma,
quella maniera alla quale noi siamo assuefatti, sia naturale o no. Altra cosa,
forma, ec. benchè assai più semplice in se, o più naturale ec. se non ci par
semplice, perchè ripugna, o è lontana dalle nostre assuefazioni.
[2498,1] L'estrema possibile semplicità o naturalezza dello
stile, dello scrivere o del parlar francese civile, è sempre di quel genere
ch'essi medesimi (in altre occasioni) chiamano maniéré. {+Anche il Salvini lo chiama ammanierato. V. la definizione di maniéré ne' Diz. francesi, dove lo
diffiniscono per un'abitudine
viziosa che deforma tutto, e fa proprio al caso.}
V. p. e. il Tempio di Gnido, e le Favole di
La
Fontaine. (26. Giugno. 1822.).
[2545,1] Gli uomini semplici e naturali sono molto più
dilettati e trovano molto più grazioso il colto, lo studiato e anche l'affettato
che il semplice e il naturale. Per lo contrario non v'è qualità nè cosa più
graziosa per gli uomini civili e colti che il semplice e il naturale, voci che
nelle nostre lingue e ne' nostri discorsi sono bene spesso sinonime di grazioso,
e confuse con questa, come si confonde la grazia colla naturalezza e semplicità,
credendo che sieno essenzialmente, e per natura, e per se stesse,
2546 qualità graziose. Nel che c'inganniamo. Grazioso
non è altro che lo straordinario in quanto straordinario, appartenente al bello,
dentro i termini della convenienza. Il troppo semplice non è grazioso. Troppo
semplice sarà una cosa per li francesi, e non lo sarà per noi. Lo sarà anche per
noi, e contuttoquesto[con tutto questo] sarà
ancora al di qua del naturale. (Tanto siamo lontani dalla natura, e tanto ella
ci riesce straordinaria). Viceversa dico del civile rispetto ai selvaggi,
naturali, incolti ec. Del resto possiamo vedere anche nelle nostre contadine che
sono molto poco allettate dal semplice e dal naturale, o per lo meno sono tanto
allettate dal nostro modo artefatto, quanto noi dalla loro naturalezza, o reale,
o dipinta ne' poemi ec. (4. Luglio 1822.).
[2682,1]
2682 Grazia dal contrasto. {Conte}
Baldessar Castiglione, Il Libro del Cortegiano. lib. 1.
Milano, dalla Società tipogr. de' Classici
italiani, 1803. vol. 1. p. 43-4. Ma avendo io già più
volte pensato meco, onde nasca questa grazia, lasciando quegli che dalle
stelle l'hanno, trovo una regola universalissima; la qual mi par valer
circa questo in tutte le cose umane, che si facciano, o dicano, più che
alcuna altra; e ciò è fuggir quanto più si può, e come un asperissimo e
pericoloso scoglio la affettazione; e, per dir forse una nuova parola,
usar in ogni cosa una certa sprezzatura, che nasconda l'arte, e
dimostri, ciò che si fa, e dice, venir fatto senza fatica, e quasi senza
pensarvi. Da questo credo io che derivi assai la grazia: perchè delle cose rare, e ben fatte ognun
sa
*
{+(p. 44. dell'edizione)}
la
difficultà, onde in
esse
la facilità
genera grandissima maraviglia; e per lo
contrario, lo sforzare, e, come si dice, tirar per i capegli, dà somma
disgrazia, e fa estimar poco ogni cosa, per grande ch'ella si
sia.
*
(Roma 14. Marzo. 1823. secondo Venerdì di
Marzo.).
[3047,1] La forza, l'originalità, l'abbondanza, la sublimità,
ed anche la nobiltà dello stile possono, certo in gran parte, venire dalla
natura, dall'ingegno dall'educazione, o col favore di queste acquistarsene {{in breve}} l'abito, ed acquistato, senza grandissima
fatica metterlo in opera. La chiarezza e (massime a' dì nostri) la semplicità
(intendo quella ch'è quasi uno colla naturalezza {e il
contrario dell'affettazione sensibile,} di qualunque genere ella sia, ed in qualsivoglia
materia e stile e composizione, come ho spiegato altrove pp. 1411. sgg. ), la chiarezza e la
semplicità (e quindi eziandio la grazia che senza di queste non può stare, e che
in esse per gran parte e ben sovente consiste), la chiarezza, dico, e la
semplicità, quei pregi fondamentali d'ogni qualunque scrittura, quelle qualità
indispensabili anzi di primissima necessità, senza cui gli altri pregi a nulla
valgono, e colle quali niuna scrittura, benchè niun'altra dote abbia, è mai
dispregevole, sono tutta e per tutto opera {{dono ed
effetto}} dell'
3048 arte. Le qualità dove
l'arte dee meno apparire, che paiono le più naturali, che debbono infatti parere
le più spontanee, che paiono le più facili, che debbono altresì parer conseguite
con somma facilità, l'una delle quali si può dir che appunto consista nel
nascondere intieramente l'arte, e nella niuna apparenza d'artifizioso e di
travagliato; esse sono appunto le figlie dell'arte sola, quelle che non si
conseguono mai se non collo studio, le più difficili ad acquistarne l'abito, le
ultime che si conseguiscano, e tali che acquistatone l'abito, non si può
tuttavia mai senza grandissima fatica metterlo in atto. Ogni minima negligenza
dello scrittore nel comporre, toglie al suo scrivere, in quanto ella si estende,
la semplicità e la chiarezza, perchè queste non sono mai altro che il frutto
dell'arte, siccome abituale, così ancora attuale; perchè la natura non le
insegna mai, non le dona ad alcuno; perchè non è possibile
ch'ella[elle] vengano mai da se, chi non le
cerca, nè che veruna parte
3049 di veruna scrittura
riesca mai chiara nè semplice per altro che per espresso {artifizio} e diligenza posta dallo scrittore a farla riuscir tale. E
togliendo immancabilmente la chiarezza e la semplicità, ogni minima negligenza
dello scrittore inevitabilmente danneggia, e in quella tal parte distrugge sì la
bellezza sì la bontà di qualsivoglia scrittura. Perocchè la semplicità e la
chiarezza sono {{parti}} così fondamentali ed essenziali
della bellezza e bontà degli scritti, ch'elle debbono esser continue, nè mai per
niuna ragione (se non per ischerzo o cosa tale) elle non debbono essere
intermesse, nè mancare a veruna, benchè piccola, parte del componimento. La
forza, la sublimità, l'abbondanza o la brevità e rapidità, lo splendore, la
nobiltà medesima, si possono, anzi ben sovente si debbono intermettere nella
scrittura; elle possono, anzi debbono avere quando il più quando il meno, sì
dentro una medesima, come in diverse composizioni e generi; elle possono esser
differenti da se medesime, secondo le scritture, e le parti e circostanze
3050 e occasioni di queste, anzi elle {nè deggiono nè} possono altrimenti. Ma la chiarezza e la
semplicità non denno aver mai nè il più nè il meno; in qualsivoglia genere di
scrittura, in qualsivoglia stile, in qualsivoglia parte di qualsiasi
componimento, elle, non solo non hanno a mancar mai pur un attimo, ma denno
sempre e dovunque e appresso ogni scrittore esser le medesime in quanto a se
(benchè con diversi mezzi si possono proccurare, e dar loro diversi aspetti e
diverse circostanze), sempre della medesima quantità, per così dire, e sempre
uguali a se stesse nell'esser di chiarezza e semplicità, e nell'intensione di
questo essere. (26. Luglio. 1823. dì di Sant'Anna.).
[3050,1] È ben difficile scrivere in fretta con chiarezza e
semplicità; più difficile che con efficacia veemenza, copia, ed anche con
magnificenza di stile. Nondimeno la fretta può stare colla diligenza. La
semplicità e chiarezza {se} può star colla fretta, non
può certo star colla negligenza. È bellissima nelle scritture un'apparenza di
trascuratezza, di sprezzatura, un abbandono, una quasi noncuranza.
3051 Questa è una delle specie della semplicità. Anzi
la semplicità più o meno è sempre un'apparenza di sprezzatura (benchè per le
diverse qualità ch'ella può avere, non sempre ella produca nel lettore il
sentimento di questa sprezzatura come principale e caratteristico) perocch'ella
{sempre} consiste nel nascondere affatto l'arte, la
fatica, e la ricercatezza. Ma la detta apparenza non nasce mai dalla vera
trascuratezza, anzi per lo contrario da moltissima e continua cura e artifizio e
studio. Quando la negligenza è vera, il senso che si prova nel legger lo
scritto, è quello dello stento, della fatica, dell'arte, della ricercatezza,
della difficoltà. Perocchè la facilità che si dee sentir nelle scritture è la
qualità più difficile ad esser loro comunicata. Nè senza stento grandissimo si
consegue nè l'abito nè l'atto di comunicarla loro. (27. Luglio.
1823.).
[3490,1] Non si dà nella orazione, qualunque ella sia, tratto
veramente sublime, in cui il lavoro non ceda di grandissima lunga alla materia,
cioè dove l'altezza e il pregio del pensiero, dell'immagine, e simili, non vinca
d'assaissimo la nobiltà, l'eleganza, e il pregio dell'espressione e dello stile.
Una sola virtù dell'espressione può e deve, in un luogo {+ch'abbia ad esser} sublime, andar di pari
coll'altezza del concetto, e questa si è la semplicità, o vogliamo dir la
naturalezza e l'apparenza della sprezzatura. (21. Sett. 1823.).
[119,1] La naturalezza dello scrivere è così comandata che
posto il caso che per conservarla bisognasse mancare alla chiarezza, io
considero che questa è come di legge civile, e quella come di legge naturale, la
qual legge non esclude caso nessuno, e va osservata quando anche ne debba
soffrire la società o l'individuo, come non è straordinario che accada.
[3047,1] La forza, l'originalità, l'abbondanza, la sublimità,
ed anche la nobiltà dello stile possono, certo in gran parte, venire dalla
natura, dall'ingegno dall'educazione, o col favore di queste acquistarsene {{in breve}} l'abito, ed acquistato, senza grandissima
fatica metterlo in opera. La chiarezza e (massime a' dì nostri) la semplicità
(intendo quella ch'è quasi uno colla naturalezza {e il
contrario dell'affettazione sensibile,} di qualunque genere ella sia, ed in qualsivoglia
materia e stile e composizione, come ho spiegato altrove pp. 1411. sgg. ), la chiarezza e la
semplicità (e quindi eziandio la grazia che senza di queste non può stare, e che
in esse per gran parte e ben sovente consiste), la chiarezza, dico, e la
semplicità, quei pregi fondamentali d'ogni qualunque scrittura, quelle qualità
indispensabili anzi di primissima necessità, senza cui gli altri pregi a nulla
valgono, e colle quali niuna scrittura, benchè niun'altra dote abbia, è mai
dispregevole, sono tutta e per tutto opera {{dono ed
effetto}} dell'
3048 arte. Le qualità dove
l'arte dee meno apparire, che paiono le più naturali, che debbono infatti parere
le più spontanee, che paiono le più facili, che debbono altresì parer conseguite
con somma facilità, l'una delle quali si può dir che appunto consista nel
nascondere intieramente l'arte, e nella niuna apparenza d'artifizioso e di
travagliato; esse sono appunto le figlie dell'arte sola, quelle che non si
conseguono mai se non collo studio, le più difficili ad acquistarne l'abito, le
ultime che si conseguiscano, e tali che acquistatone l'abito, non si può
tuttavia mai senza grandissima fatica metterlo in atto. Ogni minima negligenza
dello scrittore nel comporre, toglie al suo scrivere, in quanto ella si estende,
la semplicità e la chiarezza, perchè queste non sono mai altro che il frutto
dell'arte, siccome abituale, così ancora attuale; perchè la natura non le
insegna mai, non le dona ad alcuno; perchè non è possibile
ch'ella[elle] vengano mai da se, chi non le
cerca, nè che veruna parte
3049 di veruna scrittura
riesca mai chiara nè semplice per altro che per espresso {artifizio} e diligenza posta dallo scrittore a farla riuscir tale. E
togliendo immancabilmente la chiarezza e la semplicità, ogni minima negligenza
dello scrittore inevitabilmente danneggia, e in quella tal parte distrugge sì la
bellezza sì la bontà di qualsivoglia scrittura. Perocchè la semplicità e la
chiarezza sono {{parti}} così fondamentali ed essenziali
della bellezza e bontà degli scritti, ch'elle debbono esser continue, nè mai per
niuna ragione (se non per ischerzo o cosa tale) elle non debbono essere
intermesse, nè mancare a veruna, benchè piccola, parte del componimento. La
forza, la sublimità, l'abbondanza o la brevità e rapidità, lo splendore, la
nobiltà medesima, si possono, anzi ben sovente si debbono intermettere nella
scrittura; elle possono, anzi debbono avere quando il più quando il meno, sì
dentro una medesima, come in diverse composizioni e generi; elle possono esser
differenti da se medesime, secondo le scritture, e le parti e circostanze
3050 e occasioni di queste, anzi elle {nè deggiono nè} possono altrimenti. Ma la chiarezza e la
semplicità non denno aver mai nè il più nè il meno; in qualsivoglia genere di
scrittura, in qualsivoglia stile, in qualsivoglia parte di qualsiasi
componimento, elle, non solo non hanno a mancar mai pur un attimo, ma denno
sempre e dovunque e appresso ogni scrittore esser le medesime in quanto a se
(benchè con diversi mezzi si possono proccurare, e dar loro diversi aspetti e
diverse circostanze), sempre della medesima quantità, per così dire, e sempre
uguali a se stesse nell'esser di chiarezza e semplicità, e nell'intensione di
questo essere. (26. Luglio. 1823. dì di Sant'Anna.).
[3050,1] È ben difficile scrivere in fretta con chiarezza e
semplicità; più difficile che con efficacia veemenza, copia, ed anche con
magnificenza di stile. Nondimeno la fretta può stare colla diligenza. La
semplicità e chiarezza {se} può star colla fretta, non
può certo star colla negligenza. È bellissima nelle scritture un'apparenza di
trascuratezza, di sprezzatura, un abbandono, una quasi noncuranza.
3051 Questa è una delle specie della semplicità. Anzi
la semplicità più o meno è sempre un'apparenza di sprezzatura (benchè per le
diverse qualità ch'ella può avere, non sempre ella produca nel lettore il
sentimento di questa sprezzatura come principale e caratteristico) perocch'ella
{sempre} consiste nel nascondere affatto l'arte, la
fatica, e la ricercatezza. Ma la detta apparenza non nasce mai dalla vera
trascuratezza, anzi per lo contrario da moltissima e continua cura e artifizio e
studio. Quando la negligenza è vera, il senso che si prova nel legger lo
scritto, è quello dello stento, della fatica, dell'arte, della ricercatezza,
della difficoltà. Perocchè la facilità che si dee sentir nelle scritture è la
qualità più difficile ad esser loro comunicata. Nè senza stento grandissimo si
consegue nè l'abito nè l'atto di comunicarla loro. (27. Luglio.
1823.).
Related Themes
Semplicità. (1827) (12)
Della natura degli uomini e delle cose. (pnr) (4)
Francesi. (1827) (4)
non si possono avere se non per arte. (1827) (4)
Carattere, lingua ec. ec. (1827) (3)
Grazia. (1827) (3)
Affettazione. (1827) (3)
Pudore. Verecondia. (1827) (2)
Romanticismo. (1827) (2)
Verecondia. Pudore. (1827) (2)
Lingue. (pnr) (2)
Romanzi. Sentimentale. (1827) (1)
Sgraziataggine. (1827) (1)
Natura e Fortuna; provvidenza ed arte. (1827) (1)
Sublimità nella scrittura. (1827) (1)
Maraviglia (1827) (1)
Piacere (Teoria del). (1827) (1)
Naturalezza e Chiarezza nello scrivere. (1827) (1)