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Naturalezza.

Naturalness.

Vedi Semplicità. See Simplicity. 658,1 650,1 705 1329,3 1365,1 1404,1 1411,1 1915,1 2037,2 2498,1 2545,1 2682,1 3047,1 3050,1 3490,1

Naturalezza e Chiarezza nello scrivere.

Naturalness and Clarity in writing.

119,1

Naturalezza e Chiarezza nello scrivere non si possono avere se non per arte.

Naturalness and Clarity in writing can only be attained by means of art.

3047,1 3050,1

[658,1]  La ragione di quanto ho più volte osservato circa la difficoltà anzi impossibilità di riuscire in quelle cose che si fanno con troppo impegno, pp. 461-62 e tanto più quanto queste cose sono naturali, e quanto la perfezione loro consiste nella naturalezza, è questa. Non riesce bene e secondo natura, se non quello che si fa naturalmente.  659 Ma i detti mezzi non sono naturali, e il servirsi di essi non è secondo natura. Dunque ec. Non basta che un'operazione sia naturale: ma quanto più è o dev'esser naturale, tanto più bisogna farla naturalmente. Anzi non è naturale, se non è fatta naturalmente. (14. Feb. 1821.).

[650,1]  Les passions même les plus vives ont besoin de la pudeur pour se montrer dans une forme séduisante: elle doit se répandre sur toutes vos actions; elle doit parer et embellir  651 toute votre personne. On dit que Jupiter, en formant les passions, leur donna à chacune sa demeure; la pudeur fut oubliée, et quand elle se présenta, on ne savoit plus où la placer; on lui permit de se mêler avec toutes les autres. Depuis ce temps-là, elle en est inséparable. * Mme de Lambert, Avis d'une mère à sa fille, dans ses oeuvres complètes citées ci-dessus, (p. 633.), p. 60-61. Che vuol dir questo, se non che niente è buono senza la naturalezza? Applicate questi detti della Marchesa anche alla letteratura, inseparabile parimente dal pudore, e a quello ch'io dico del sentimento, e del genere sentimentale nel Discorso sui romantici. (13. Febbr. 1821.).

[704,1]   704 L'uomo dev'esser libero e franco nel maneggiare la sua lingua, non come i plebei si contengono liberalmente e disinvoltamente nelle piazze, per non sapere stare decentemente e con garbo, ma come quegli ch'essendo esperto ed avvezzo al commercio civile, si diporta francamente e scioltamente nelle compagnie, per cagione di questa medesima esperienza e cognizione. Laonde la libertà nella lingua dee venire dalla perfetta scienza e non dall'ignoranza. La quale debita e conveniente libertà manca oggigiorno in quasi tutti gli scrittori. Perchè quelli che vogliono seguire la purità e l'indole e le leggi della lingua, non si portano liberamente, anzi da schiavi. Perchè non possedendola {intieramente e} fortemente, e sempre sospettosi di offendere, vanno così legati che pare che camminino fra le uova. E quelli che si portano liberamente, hanno quella libertà de' plebei, che deriva dall'ignoranza della lingua, dal non saperla maneggiare, e dal non curarsene. E questi in comparazione  705 degli altri sopraddetti, si lodano bene spesso come scrittori senza presunzione. Quasi che da un lato fosse presunzione lo scriver bene (e quindi anche l'operar bene, e tutto quello che si vuol fare convenientemente, fosse presunzione); dall'altro lato scrivesse bene chi {ne} dimostra presunzione. Quando anzi il dimostrarla, non solamente in ordine alla {buona} lingua, ma a qualunque altra dote della scrittura, è il massimo vizio nel quale scrivendo si possa incorrere. Perchè in somma è la stessa cosa che l'affettazione; e l'affettazione è la peste d'ogni bellezza e d'ogni bontà, perciò appunto che la prima e più necessaria dote sì dello scrivere, come di tutti gli atti della vita umana, è la naturalezza. (28. Feb. 1821.).

[1329,3]  Non è mai sgraziato un fanciullino che si vergogna, e parlando arrossisce, e non sa stare nè operare nè discorrere in presenza altrui. Bensì un giovane poco pratico del buon tratto, e desideroso di esserlo, o di comparirlo. Non è mai sgraziata una pastorella che non sa levar gli occhi, trovandosi fra persone nuove, nè ha la maniera di contenersi,  1330 di portarsi ec. Bensì una donna, egualmente o anche meno timida, e più istruita, ma che volendo figurare, o essere come le altre in una conversazione, non sappia esserlo o non abbia ancora imparato. Così lo sgraziato non deriva mai dalla natura (anzi le dette qualità naturali, sono graziose sempre ec. ec.), ma bensì frequentemente dall'arte, e questa non è mai fonte di grazia nè di convenienza, se non quando ha ricondotto l'uomo alla natura, o all'imitazione di essa, cio è[cioè] alla disinvoltura, all'inaffettato, alla naturalezza ec. E l'andamento necessario dell'arte, è quasi sempre questo. Farci disimparare quello che già sapevamo senza fatica, e toglierci quelle qualità che possedevamo naturalmente. Poi con grande stento, esercizio, tempo, tornarci a insegnare le stesse cose, e restituirci le stesse qualità, o poco differenti. Giacchè quella modestia, quella timidezza, quella vergogna naturale ec. si trova bene spesso in molti, non più naturale, chè l'hanno perduta, ma artifiziale, chè mediante l'arte appoco appoco e stentatamente l'hanno ricuperata. (15. Luglio 1821.).

[1365,1]  La grazia bene spesso non è altro che  1366 un genere di bellezza diverso dagli ordinari, e che però non ci par bello, ma grazioso, o bello insieme e grazioso (che la grazia è sempre nel bello). A'[A] quelli a' quali quel genere non riesca straordinario, parrà bello ma non grazioso, e quindi farà meno effetto. Tale è p. e. quella grazia che deriva dal semplice, dal naturale ec. che a noi in tanto par grazioso, in quanto, atteso i nostri costumi e assuefazioni ec., ci riesce straordinario, come osserva appunto Montesquieu. Diversa è l'impressione che a noi produce la semplicità degli scrittori greci, v. g. Omero, da quella che produceva ne' contemporanei. A noi par graziosa, {+(V. Foscolo nell'articolo sull'Odiss. del Pindemonte; dove parla della sua propria traduzione del 1. Iliade)} perchè divisa da' nostri costumi, e naturale. Ai greci contemporanei, appunto perchè naturale, pareva bella, cioè conveniente, perchè conforme alle loro assuefazioni, ma non graziosa, o certo meno che a noi. Quante cose in questo genere paiono ai francesi graziose, che a noi paiono soltanto belle, o non ci fanno caso in verun conto! A molte cose può estendersi questo pensiero. (21. Luglio 1821.)

[1404,1]  Le Cinesi si storpiano per farsi il piede piccolo riputando bellezza, quello ch'è contro natura. Che accade il noverare le tante barbare cioè snaturate usanze e opinioni intorno alla bellezza umana? Certo è però che tutti questi barbari, e i cinesi ec. trovano più bella una persona snaturatasi e rovinatasi in quei tali modi, che una persona bellissima e foggiata secondo natura. Anzi  1405 questa parrà loro anche deforme in quelle tali parti ec. Dunque essi provano il senso del bello, come noi nelle cose contrarie; dunque chi ha ragione de' due? perchè dunque si chiamano barbari simili gusti?

[1411,1]  La semplicità è quasi sempre bellezza sia nelle arti, sia nello stile, sia nel portamento, negli abiti ec. ec. ec. Il buon gusto ama sempre il semplice. Dunque la semplicità è assolutamente è[e] astrattamente bella e buona? Così si conclude. Ma non è vero. Perchè dunque suol esser bella?

[1915,1]   1915 Una cagione del piacere che produce la semplicità nelle opere d'arte, o di scrittura, o in tutto ciò che spetta al bello; cagione universale, e indipendente dall'assuefazione quanto al totale dell'effetto, ed inerente alla natura del bello semplice; si è il contrasto fra l'artefatto e l'inartefatto, o la perfetta apparenza dell'inartefatto. Contrasto il quale può essere 1. tra le altre bellezze e qualità dell'opera, che stante la loro perfezione, non paiono poter essere inartefatte, e la semplicità o naturalezza che tutte le veste e le comprende, la quale è, o pare del tutto inartefatta: 2. fra la stessa natura della semplicità e naturalezza che per se stessa par che includa lo spontaneo e non artefatto, e il sapere o accorgersi bene (com'è naturale) ch'essa, malgrado questa perfetta apparenza, è non per tanto artefatta, e deriva dallo studio. Contrasto il quale produce la meraviglia che sempre deriva dallo straordinario,  1916 e dall'unione di cose o qualità che paiono incompatibili ec. Siccom'è il ricercato colla sembianza del non ricercato. Sottilissime, minutissime, sfuggevolissime sono le cause e la natura de' più grandi piaceri umani. E la maggior parte di essi si trova in ultima analisi derivare da quello che non è ordinario, e da ciò appunto, ch'esso non è ordinario. ec. (14. Ott. 1821.). {+La maraviglia principal fonte di piacere nelle arti belle, poesia, ec. da che cosa deriva, ed a qual teoria spetta, se non a quella dello straordinario?}

[2037,2]  La semplicità bene spesso non è altro  2038 che quella cosa, quella qualità, quella forma, quella maniera alla quale noi siamo assuefatti, sia naturale o no. Altra cosa, forma, ec. benchè assai più semplice in se, o più naturale ec. se non ci par semplice, perchè ripugna, o è lontana dalle nostre assuefazioni.

[2498,1]  L'estrema possibile semplicità o naturalezza dello stile, dello scrivere o del parlar francese civile, è sempre di quel genere ch'essi medesimi (in altre occasioni) chiamano maniéré. {+Anche il Salvini lo chiama ammanierato. V. la definizione di maniéré ne' Diz. francesi, dove lo diffiniscono per un'abitudine viziosa che deforma tutto, e fa proprio al caso.} V. p. e. il Tempio di Gnido, e le Favole di La Fontaine. (26. Giugno. 1822.).

[2545,1]  Gli uomini semplici e naturali sono molto più dilettati e trovano molto più grazioso il colto, lo studiato e anche l'affettato che il semplice e il naturale. Per lo contrario non v'è qualità nè cosa più graziosa per gli uomini civili e colti che il semplice e il naturale, voci che nelle nostre lingue e ne' nostri discorsi sono bene spesso sinonime di grazioso, e confuse con questa, come si confonde la grazia colla naturalezza e semplicità, credendo che sieno essenzialmente, e per natura, e per se stesse,  2546 qualità graziose. Nel che c'inganniamo. Grazioso non è altro che lo straordinario in quanto straordinario, appartenente al bello, dentro i termini della convenienza. Il troppo semplice non è grazioso. Troppo semplice sarà una cosa per li francesi, e non lo sarà per noi. Lo sarà anche per noi, e contuttoquesto[con tutto questo] sarà ancora al di qua del naturale. (Tanto siamo lontani dalla natura, e tanto ella ci riesce straordinaria). Viceversa dico del civile rispetto ai selvaggi, naturali, incolti ec. Del resto possiamo vedere anche nelle nostre contadine che sono molto poco allettate dal semplice e dal naturale, o per lo meno sono tanto allettate dal nostro modo artefatto, quanto noi dalla loro naturalezza, o reale, o dipinta ne' poemi ec. (4. Luglio 1822.).

[2682,1]   2682 Grazia dal contrasto. {Conte} Baldessar Castiglione, Il Libro del Cortegiano. lib. 1. Milano, dalla Società tipogr. de' Classici italiani, 1803. vol. 1. p. 43-4. Ma avendo io già più volte pensato meco, onde nasca questa grazia, lasciando quegli che dalle stelle l'hanno, trovo una regola universalissima; la qual mi par valer circa questo in tutte le cose umane, che si facciano, o dicano, più che alcuna altra; e ciò è fuggir quanto più si può, e come un asperissimo e pericoloso scoglio la affettazione; e, per dir forse una nuova parola, usar in ogni cosa una certa sprezzatura, che nasconda l'arte, e dimostri, ciò che si fa, e dice, venir fatto senza fatica, e quasi senza pensarvi. Da questo credo io che derivi assai la grazia: perchè delle cose rare, e ben fatte ognun sa * {+(p. 44. dell'edizione)} la difficultà, onde in esse la facilità genera grandissima maraviglia; e per lo contrario, lo sforzare, e, come si dice, tirar per i capegli, dà somma disgrazia, e fa estimar poco ogni cosa, per grande ch'ella si sia. * (Roma 14. Marzo. 1823. secondo Venerdì di Marzo.).

[3047,1]  La forza, l'originalità, l'abbondanza, la sublimità, ed anche la nobiltà dello stile possono, certo in gran parte, venire dalla natura, dall'ingegno dall'educazione, o col favore di queste acquistarsene {{in breve}} l'abito, ed acquistato, senza grandissima fatica metterlo in opera. La chiarezza e (massime a' dì nostri) la semplicità (intendo quella ch'è quasi uno colla naturalezza {e il contrario dell'affettazione sensibile,} di qualunque genere ella sia, ed in qualsivoglia materia e stile e composizione, come ho spiegato altrove pp. 1411. sgg. ), la chiarezza e la semplicità (e quindi eziandio la grazia che senza di queste non può stare, e che in esse per gran parte e ben sovente consiste), la chiarezza, dico, e la semplicità, quei pregi fondamentali d'ogni qualunque scrittura, quelle qualità indispensabili anzi di primissima necessità, senza cui gli altri pregi a nulla valgono, e colle quali niuna scrittura, benchè niun'altra dote abbia, è mai dispregevole, sono tutta e per tutto opera {{dono ed effetto}} dell'  3048 arte. Le qualità dove l'arte dee meno apparire, che paiono le più naturali, che debbono infatti parere le più spontanee, che paiono le più facili, che debbono altresì parer conseguite con somma facilità, l'una delle quali si può dir che appunto consista nel nascondere intieramente l'arte, e nella niuna apparenza d'artifizioso e di travagliato; esse sono appunto le figlie dell'arte sola, quelle che non si conseguono mai se non collo studio, le più difficili ad acquistarne l'abito, le ultime che si conseguiscano, e tali che acquistatone l'abito, non si può tuttavia mai senza grandissima fatica metterlo in atto. Ogni minima negligenza dello scrittore nel comporre, toglie al suo scrivere, in quanto ella si estende, la semplicità e la chiarezza, perchè queste non sono mai altro che il frutto dell'arte, siccome abituale, così ancora attuale; perchè la natura non le insegna mai, non le dona ad alcuno; perchè non è possibile ch'ella[elle] vengano mai da se, chi non le cerca, nè che veruna parte  3049 di veruna scrittura riesca mai chiara nè semplice per altro che per espresso {artifizio} e diligenza posta dallo scrittore a farla riuscir tale. E togliendo immancabilmente la chiarezza e la semplicità, ogni minima negligenza dello scrittore inevitabilmente danneggia, e in quella tal parte distrugge sì la bellezza sì la bontà di qualsivoglia scrittura. Perocchè la semplicità e la chiarezza sono {{parti}} così fondamentali ed essenziali della bellezza e bontà degli scritti, ch'elle debbono esser continue, nè mai per niuna ragione (se non per ischerzo o cosa tale) elle non debbono essere intermesse, nè mancare a veruna, benchè piccola, parte del componimento. La forza, la sublimità, l'abbondanza o la brevità e rapidità, lo splendore, la nobiltà medesima, si possono, anzi ben sovente si debbono intermettere nella scrittura; elle possono, anzi debbono avere quando il più quando il meno, sì dentro una medesima, come in diverse composizioni e generi; elle possono esser differenti da se medesime, secondo le scritture, e le parti e circostanze  3050 e occasioni di queste, anzi elle {nè deggiono nè} possono altrimenti. Ma la chiarezza e la semplicità non denno aver mai nè il più nè il meno; in qualsivoglia genere di scrittura, in qualsivoglia stile, in qualsivoglia parte di qualsiasi componimento, elle, non solo non hanno a mancar mai pur un attimo, ma denno sempre e dovunque e appresso ogni scrittore esser le medesime in quanto a se (benchè con diversi mezzi si possono proccurare, e dar loro diversi aspetti e diverse circostanze), sempre della medesima quantità, per così dire, e sempre uguali a se stesse nell'esser di chiarezza e semplicità, e nell'intensione di questo essere. (26. Luglio. 1823. dì di Sant'Anna.).

[3050,1]  È ben difficile scrivere in fretta con chiarezza e semplicità; più difficile che con efficacia veemenza, copia, ed anche con magnificenza di stile. Nondimeno la fretta può stare colla diligenza. La semplicità e chiarezza {se} può star colla fretta, non può certo star colla negligenza. È bellissima nelle scritture un'apparenza di trascuratezza, di sprezzatura, un abbandono, una quasi noncuranza.  3051 Questa è una delle specie della semplicità. Anzi la semplicità più o meno è sempre un'apparenza di sprezzatura (benchè per le diverse qualità ch'ella può avere, non sempre ella produca nel lettore il sentimento di questa sprezzatura come principale e caratteristico) perocch'ella {sempre} consiste nel nascondere affatto l'arte, la fatica, e la ricercatezza. Ma la detta apparenza non nasce mai dalla vera trascuratezza, anzi per lo contrario da moltissima e continua cura e artifizio e studio. Quando la negligenza è vera, il senso che si prova nel legger lo scritto, è quello dello stento, della fatica, dell'arte, della ricercatezza, della difficoltà. Perocchè la facilità che si dee sentir nelle scritture è la qualità più difficile ad esser loro comunicata. Nè senza stento grandissimo si consegue nè l'abito nè l'atto di comunicarla loro. (27. Luglio. 1823.).

[3490,1]  Non si dà nella orazione, qualunque ella sia, tratto veramente sublime, in cui il lavoro non ceda di grandissima lunga alla materia, cioè dove l'altezza e il pregio del pensiero, dell'immagine, e simili, non vinca d'assaissimo la nobiltà, l'eleganza, e il pregio dell'espressione e dello stile. Una sola virtù dell'espressione può e deve, in un luogo {+ch'abbia ad esser} sublime, andar di pari coll'altezza del concetto, e questa si è la semplicità, o vogliamo dir la naturalezza e l'apparenza della sprezzatura. (21. Sett. 1823.).

[119,1]  La naturalezza dello scrivere è così comandata che posto il caso che per conservarla bisognasse mancare alla chiarezza, io considero che questa è come di legge civile, e quella come di legge naturale, la qual legge non esclude caso nessuno, e va osservata quando anche ne debba soffrire la società o l'individuo, come non è straordinario che accada.

[3047,1]  La forza, l'originalità, l'abbondanza, la sublimità, ed anche la nobiltà dello stile possono, certo in gran parte, venire dalla natura, dall'ingegno dall'educazione, o col favore di queste acquistarsene {{in breve}} l'abito, ed acquistato, senza grandissima fatica metterlo in opera. La chiarezza e (massime a' dì nostri) la semplicità (intendo quella ch'è quasi uno colla naturalezza {e il contrario dell'affettazione sensibile,} di qualunque genere ella sia, ed in qualsivoglia materia e stile e composizione, come ho spiegato altrove pp. 1411. sgg. ), la chiarezza e la semplicità (e quindi eziandio la grazia che senza di queste non può stare, e che in esse per gran parte e ben sovente consiste), la chiarezza, dico, e la semplicità, quei pregi fondamentali d'ogni qualunque scrittura, quelle qualità indispensabili anzi di primissima necessità, senza cui gli altri pregi a nulla valgono, e colle quali niuna scrittura, benchè niun'altra dote abbia, è mai dispregevole, sono tutta e per tutto opera {{dono ed effetto}} dell'  3048 arte. Le qualità dove l'arte dee meno apparire, che paiono le più naturali, che debbono infatti parere le più spontanee, che paiono le più facili, che debbono altresì parer conseguite con somma facilità, l'una delle quali si può dir che appunto consista nel nascondere intieramente l'arte, e nella niuna apparenza d'artifizioso e di travagliato; esse sono appunto le figlie dell'arte sola, quelle che non si conseguono mai se non collo studio, le più difficili ad acquistarne l'abito, le ultime che si conseguiscano, e tali che acquistatone l'abito, non si può tuttavia mai senza grandissima fatica metterlo in atto. Ogni minima negligenza dello scrittore nel comporre, toglie al suo scrivere, in quanto ella si estende, la semplicità e la chiarezza, perchè queste non sono mai altro che il frutto dell'arte, siccome abituale, così ancora attuale; perchè la natura non le insegna mai, non le dona ad alcuno; perchè non è possibile ch'ella[elle] vengano mai da se, chi non le cerca, nè che veruna parte  3049 di veruna scrittura riesca mai chiara nè semplice per altro che per espresso {artifizio} e diligenza posta dallo scrittore a farla riuscir tale. E togliendo immancabilmente la chiarezza e la semplicità, ogni minima negligenza dello scrittore inevitabilmente danneggia, e in quella tal parte distrugge sì la bellezza sì la bontà di qualsivoglia scrittura. Perocchè la semplicità e la chiarezza sono {{parti}} così fondamentali ed essenziali della bellezza e bontà degli scritti, ch'elle debbono esser continue, nè mai per niuna ragione (se non per ischerzo o cosa tale) elle non debbono essere intermesse, nè mancare a veruna, benchè piccola, parte del componimento. La forza, la sublimità, l'abbondanza o la brevità e rapidità, lo splendore, la nobiltà medesima, si possono, anzi ben sovente si debbono intermettere nella scrittura; elle possono, anzi debbono avere quando il più quando il meno, sì dentro una medesima, come in diverse composizioni e generi; elle possono esser differenti da se medesime, secondo le scritture, e le parti e circostanze  3050 e occasioni di queste, anzi elle {nè deggiono nè} possono altrimenti. Ma la chiarezza e la semplicità non denno aver mai nè il più nè il meno; in qualsivoglia genere di scrittura, in qualsivoglia stile, in qualsivoglia parte di qualsiasi componimento, elle, non solo non hanno a mancar mai pur un attimo, ma denno sempre e dovunque e appresso ogni scrittore esser le medesime in quanto a se (benchè con diversi mezzi si possono proccurare, e dar loro diversi aspetti e diverse circostanze), sempre della medesima quantità, per così dire, e sempre uguali a se stesse nell'esser di chiarezza e semplicità, e nell'intensione di questo essere. (26. Luglio. 1823. dì di Sant'Anna.).

[3050,1]  È ben difficile scrivere in fretta con chiarezza e semplicità; più difficile che con efficacia veemenza, copia, ed anche con magnificenza di stile. Nondimeno la fretta può stare colla diligenza. La semplicità e chiarezza {se} può star colla fretta, non può certo star colla negligenza. È bellissima nelle scritture un'apparenza di trascuratezza, di sprezzatura, un abbandono, una quasi noncuranza.  3051 Questa è una delle specie della semplicità. Anzi la semplicità più o meno è sempre un'apparenza di sprezzatura (benchè per le diverse qualità ch'ella può avere, non sempre ella produca nel lettore il sentimento di questa sprezzatura come principale e caratteristico) perocch'ella {sempre} consiste nel nascondere affatto l'arte, la fatica, e la ricercatezza. Ma la detta apparenza non nasce mai dalla vera trascuratezza, anzi per lo contrario da moltissima e continua cura e artifizio e studio. Quando la negligenza è vera, il senso che si prova nel legger lo scritto, è quello dello stento, della fatica, dell'arte, della ricercatezza, della difficoltà. Perocchè la facilità che si dee sentir nelle scritture è la qualità più difficile ad esser loro comunicata. Nè senza stento grandissimo si consegue nè l'abito nè l'atto di comunicarla loro. (27. Luglio. 1823.).