Semplicità.
Simplicity.
Vedi Naturalezza. See Naturalness. 237,2 1365,1 1404,1 1411,1 1449,1 1689,1 1915,1 2037,2 2498,1 2545,1 3047,1 3050,1 3490,1[237,2] La semplicità dev'esser tale che lo scrittore, o
chiunque l'adopra in qualsivoglia caso, non si accorga, o mostri di non
accorgersi di esser semplice, e molto meno di esser pregevole per questo capo.
Egli dev'esser come inconsapevole non solo di tutte le altre bellezze dello
scrivere, ma della stessa semplicità. Homme d'une simplicité
rare,
*
dice La
Harpe di La Fontaine (Eloge de La Fontaine), qui sans doute ne pouvait pas ignorer son genie,
mais ne l'appréciait pas, et qui même, s'il pouvait être témoin des
honneurs qu'on lui rend aujourd'hui, serait étonné de sa gloire, et
aurait besoin qu'on lui révélât le secret de son
mérite.
*
La stessa cosa
238 in
molto maggior grado si può dire degli scritti di Senofonte, e caratterizzarne la
semplicità. (10. 7bre 1820.).
[1365,1] La grazia bene spesso non è altro che
1366 un genere di bellezza diverso dagli ordinari, e
che però non ci par bello, ma grazioso, o bello insieme e grazioso (che la
grazia è sempre nel bello). A'[A] quelli a'
quali quel genere non riesca straordinario, parrà bello ma non grazioso, e
quindi farà meno effetto. Tale è p. e. quella grazia che deriva dal semplice,
dal naturale ec. che a noi in tanto par grazioso, in quanto, atteso i nostri
costumi e assuefazioni ec., ci riesce straordinario, come osserva appunto Montesquieu. Diversa è l'impressione che a noi produce la
semplicità degli scrittori greci, v. g. Omero, da quella che produceva ne' contemporanei. A noi par graziosa,
{+(V. Foscolo nell'articolo
sull'Odiss. del Pindemonte; dove parla della sua propria traduzione del
1. Iliade)} perchè divisa da' nostri costumi, e
naturale. Ai greci contemporanei, appunto perchè naturale, pareva bella, cioè
conveniente, perchè conforme alle loro assuefazioni, ma non graziosa, o certo
meno che a noi. Quante cose in questo genere paiono ai francesi graziose, che a
noi paiono soltanto belle, o non ci fanno caso in verun conto! A molte cose può
estendersi questo pensiero. (21. Luglio 1821.)
[1404,1] Le Cinesi si storpiano per farsi il piede piccolo
riputando bellezza, quello ch'è contro natura. Che accade il noverare le tante
barbare cioè snaturate usanze e opinioni intorno alla bellezza umana? Certo è
però che tutti questi barbari, e i cinesi ec. trovano più bella una persona
snaturatasi e rovinatasi in quei tali modi, che una persona bellissima e
foggiata secondo natura. Anzi
1405 questa parrà loro
anche deforme in quelle tali parti ec. Dunque essi provano il senso del bello,
come noi nelle cose contrarie; dunque chi ha ragione de' due? perchè dunque si
chiamano barbari simili gusti?
[1411,1] La semplicità è quasi sempre bellezza sia nelle
arti, sia nello stile, sia nel portamento, negli abiti ec. ec. ec. Il buon gusto
ama sempre il semplice. Dunque la semplicità è assolutamente è[e] astrattamente bella e buona? Così si conclude. Ma non è
vero. Perchè dunque suol esser bella?
[1449,1] Non solo i contemporanei p. e. di Omero, sentivano e gustavano la di lui semplicità ben
meno di noi, come ho detto altrove p. 1420, ma lo stesso Omero non si accorgeva di esser semplice,
non credè non cercò di esser pregevole per questo, non sentì non conobbe
pienamente il pregio e il gusto della semplicità (nè in genere, nè della sua
propria): come si può vedere in quei soverchi epiteti ec. ed altri ornamenti
ch'egli profonde fuor di luogo, come fanno i fanciulli
1450 quando cominciano a comporre, e si studiano e stiman pregio
dell'opera tutto il contrario della semplicità, cioè l'esser manierati, ornati
ec. Segni di un'arte bambina, la quale infanzia dell'arte produceva
insaputamente la semplicità, e volutamente questi piccoli difetti in ordine alla
stessa semplicità; difetti che un'arte più matura ha saputo facilmente evitare
cercando la semplicità, la quale però non ha mai più potuto conseguire. Così
dico dell'Ariosto ec. de' cui difetti
ho parlato ne' miei primi pensieri pp. 4-5 , ed altrove p. 700. Così dei
trecentisti manieratissimi, e scioccamente carichi di ornamenti in molte cose,
benchè, per indole naturale,
semplicissimi ec. (4. Agos. 1821.).
[1689,1] A ciò che ho detto altrove p. 1366
pp.
1579-80 che la semplicità è relativa, aggiungete che oggi per es.
sarebbe bruttissimo uno stile semplice al modo di Senofonte, o de' nostri trecentisti, ancorchè
inaffettato, e composto di voci e frasi niente anticate. La semplicità d'oggi è
diversissima da quella d'allora, e di un grado molto minore. Cosa che non
s'intende da coloro che raccomandano l'imitazione degli antichi. (13.
Sett. 1821.).
[1915,1]
1915 Una cagione del piacere che produce la semplicità
nelle opere d'arte, o di scrittura, o in tutto ciò che spetta al bello; cagione
universale, e indipendente dall'assuefazione quanto al totale dell'effetto, ed
inerente alla natura del bello semplice; si è il contrasto fra l'artefatto e
l'inartefatto, o la perfetta apparenza dell'inartefatto. Contrasto il quale può
essere 1. tra le altre bellezze e qualità dell'opera, che stante la loro
perfezione, non paiono poter essere inartefatte, e la semplicità o naturalezza
che tutte le veste e le comprende, la quale è, o pare del tutto inartefatta: 2.
fra la stessa natura della semplicità e naturalezza che per se stessa par che
includa lo spontaneo e non artefatto, e il sapere o accorgersi bene (com'è
naturale) ch'essa, malgrado questa perfetta apparenza, è non per tanto
artefatta, e deriva dallo studio. Contrasto il quale produce la meraviglia che
sempre deriva dallo straordinario,
1916 e dall'unione di cose o qualità che paiono
incompatibili ec. Siccom'è il ricercato colla sembianza del non ricercato.
Sottilissime, minutissime, sfuggevolissime sono le cause e la natura de' più
grandi piaceri umani. E la maggior parte di essi si trova in ultima analisi
derivare da quello che non è ordinario, e da ciò appunto, ch'esso non è
ordinario. ec. (14. Ott. 1821.). {+La maraviglia principal fonte di piacere nelle arti
belle, poesia, ec. da che cosa deriva, ed a qual teoria spetta, se non a
quella dello straordinario?}
[2037,2] La semplicità bene spesso non è altro
2038 che quella cosa, quella qualità, quella forma,
quella maniera alla quale noi siamo assuefatti, sia naturale o no. Altra cosa,
forma, ec. benchè assai più semplice in se, o più naturale ec. se non ci par
semplice, perchè ripugna, o è lontana dalle nostre assuefazioni.
[2498,1] L'estrema possibile semplicità o naturalezza dello
stile, dello scrivere o del parlar francese civile, è sempre di quel genere
ch'essi medesimi (in altre occasioni) chiamano maniéré. {+Anche il Salvini lo chiama ammanierato. V. la definizione di maniéré ne' Diz. francesi, dove lo
diffiniscono per un'abitudine
viziosa che deforma tutto, e fa proprio al caso.}
V. p. e. il Tempio di Gnido, e le Favole di
La
Fontaine. (26. Giugno. 1822.).
[2545,1] Gli uomini semplici e naturali sono molto più
dilettati e trovano molto più grazioso il colto, lo studiato e anche l'affettato
che il semplice e il naturale. Per lo contrario non v'è qualità nè cosa più
graziosa per gli uomini civili e colti che il semplice e il naturale, voci che
nelle nostre lingue e ne' nostri discorsi sono bene spesso sinonime di grazioso,
e confuse con questa, come si confonde la grazia colla naturalezza e semplicità,
credendo che sieno essenzialmente, e per natura, e per se stesse,
2546 qualità graziose. Nel che c'inganniamo. Grazioso
non è altro che lo straordinario in quanto straordinario, appartenente al bello,
dentro i termini della convenienza. Il troppo semplice non è grazioso. Troppo
semplice sarà una cosa per li francesi, e non lo sarà per noi. Lo sarà anche per
noi, e contuttoquesto[con tutto questo] sarà
ancora al di qua del naturale. (Tanto siamo lontani dalla natura, e tanto ella
ci riesce straordinaria). Viceversa dico del civile rispetto ai selvaggi,
naturali, incolti ec. Del resto possiamo vedere anche nelle nostre contadine che
sono molto poco allettate dal semplice e dal naturale, o per lo meno sono tanto
allettate dal nostro modo artefatto, quanto noi dalla loro naturalezza, o reale,
o dipinta ne' poemi ec. (4. Luglio 1822.).
[3047,1] La forza, l'originalità, l'abbondanza, la sublimità,
ed anche la nobiltà dello stile possono, certo in gran parte, venire dalla
natura, dall'ingegno dall'educazione, o col favore di queste acquistarsene {{in breve}} l'abito, ed acquistato, senza grandissima
fatica metterlo in opera. La chiarezza e (massime a' dì nostri) la semplicità
(intendo quella ch'è quasi uno colla naturalezza {e il
contrario dell'affettazione sensibile,} di qualunque genere ella sia, ed in qualsivoglia
materia e stile e composizione, come ho spiegato altrove pp. 1411. sgg. ), la chiarezza e la
semplicità (e quindi eziandio la grazia che senza di queste non può stare, e che
in esse per gran parte e ben sovente consiste), la chiarezza, dico, e la
semplicità, quei pregi fondamentali d'ogni qualunque scrittura, quelle qualità
indispensabili anzi di primissima necessità, senza cui gli altri pregi a nulla
valgono, e colle quali niuna scrittura, benchè niun'altra dote abbia, è mai
dispregevole, sono tutta e per tutto opera {{dono ed
effetto}} dell'
3048 arte. Le qualità dove
l'arte dee meno apparire, che paiono le più naturali, che debbono infatti parere
le più spontanee, che paiono le più facili, che debbono altresì parer conseguite
con somma facilità, l'una delle quali si può dir che appunto consista nel
nascondere intieramente l'arte, e nella niuna apparenza d'artifizioso e di
travagliato; esse sono appunto le figlie dell'arte sola, quelle che non si
conseguono mai se non collo studio, le più difficili ad acquistarne l'abito, le
ultime che si conseguiscano, e tali che acquistatone l'abito, non si può
tuttavia mai senza grandissima fatica metterlo in atto. Ogni minima negligenza
dello scrittore nel comporre, toglie al suo scrivere, in quanto ella si estende,
la semplicità e la chiarezza, perchè queste non sono mai altro che il frutto
dell'arte, siccome abituale, così ancora attuale; perchè la natura non le
insegna mai, non le dona ad alcuno; perchè non è possibile
ch'ella[elle] vengano mai da se, chi non le
cerca, nè che veruna parte
3049 di veruna scrittura
riesca mai chiara nè semplice per altro che per espresso {artifizio} e diligenza posta dallo scrittore a farla riuscir tale. E
togliendo immancabilmente la chiarezza e la semplicità, ogni minima negligenza
dello scrittore inevitabilmente danneggia, e in quella tal parte distrugge sì la
bellezza sì la bontà di qualsivoglia scrittura. Perocchè la semplicità e la
chiarezza sono {{parti}} così fondamentali ed essenziali
della bellezza e bontà degli scritti, ch'elle debbono esser continue, nè mai per
niuna ragione (se non per ischerzo o cosa tale) elle non debbono essere
intermesse, nè mancare a veruna, benchè piccola, parte del componimento. La
forza, la sublimità, l'abbondanza o la brevità e rapidità, lo splendore, la
nobiltà medesima, si possono, anzi ben sovente si debbono intermettere nella
scrittura; elle possono, anzi debbono avere quando il più quando il meno, sì
dentro una medesima, come in diverse composizioni e generi; elle possono esser
differenti da se medesime, secondo le scritture, e le parti e circostanze
3050 e occasioni di queste, anzi elle {nè deggiono nè} possono altrimenti. Ma la chiarezza e la
semplicità non denno aver mai nè il più nè il meno; in qualsivoglia genere di
scrittura, in qualsivoglia stile, in qualsivoglia parte di qualsiasi
componimento, elle, non solo non hanno a mancar mai pur un attimo, ma denno
sempre e dovunque e appresso ogni scrittore esser le medesime in quanto a se
(benchè con diversi mezzi si possono proccurare, e dar loro diversi aspetti e
diverse circostanze), sempre della medesima quantità, per così dire, e sempre
uguali a se stesse nell'esser di chiarezza e semplicità, e nell'intensione di
questo essere. (26. Luglio. 1823. dì di Sant'Anna.).
[3050,1] È ben difficile scrivere in fretta con chiarezza e
semplicità; più difficile che con efficacia veemenza, copia, ed anche con
magnificenza di stile. Nondimeno la fretta può stare colla diligenza. La
semplicità e chiarezza {se} può star colla fretta, non
può certo star colla negligenza. È bellissima nelle scritture un'apparenza di
trascuratezza, di sprezzatura, un abbandono, una quasi noncuranza.
3051 Questa è una delle specie della semplicità. Anzi
la semplicità più o meno è sempre un'apparenza di sprezzatura (benchè per le
diverse qualità ch'ella può avere, non sempre ella produca nel lettore il
sentimento di questa sprezzatura come principale e caratteristico) perocch'ella
{sempre} consiste nel nascondere affatto l'arte, la
fatica, e la ricercatezza. Ma la detta apparenza non nasce mai dalla vera
trascuratezza, anzi per lo contrario da moltissima e continua cura e artifizio e
studio. Quando la negligenza è vera, il senso che si prova nel legger lo
scritto, è quello dello stento, della fatica, dell'arte, della ricercatezza,
della difficoltà. Perocchè la facilità che si dee sentir nelle scritture è la
qualità più difficile ad esser loro comunicata. Nè senza stento grandissimo si
consegue nè l'abito nè l'atto di comunicarla loro. (27. Luglio.
1823.).
[3490,1] Non si dà nella orazione, qualunque ella sia, tratto
veramente sublime, in cui il lavoro non ceda di grandissima lunga alla materia,
cioè dove l'altezza e il pregio del pensiero, dell'immagine, e simili, non vinca
d'assaissimo la nobiltà, l'eleganza, e il pregio dell'espressione e dello stile.
Una sola virtù dell'espressione può e deve, in un luogo {+ch'abbia ad esser} sublime, andar di pari
coll'altezza del concetto, e questa si è la semplicità, o vogliamo dir la
naturalezza e l'apparenza della sprezzatura. (21. Sett. 1823.).
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