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Epiteti in Omero.

Epithets in Homer.

1449,1 2791

Ragione dell'epiteto βοῶπις in Omero.

Reason for the epithet boȏpis in Homer.

2546,1

Moltiplicare gli epiteti senza congiunzioni.

Multiplying epithets without conjunctions.

2791

[1449,1]  Non solo i contemporanei p. e. di Omero, sentivano e gustavano la di lui semplicità ben meno di noi, come ho detto altrove p. 1420, ma lo stesso Omero non si accorgeva di esser semplice, non credè non cercò di esser pregevole per questo, non sentì non conobbe pienamente il pregio e il gusto della semplicità (nè in genere, nè della sua propria): come si può vedere in quei soverchi epiteti ec. ed altri ornamenti ch'egli profonde fuor di luogo, come fanno i fanciulli  1450 quando cominciano a comporre, e si studiano e stiman pregio dell'opera tutto il contrario della semplicità, cioè l'esser manierati, ornati ec. Segni di un'arte bambina, la quale infanzia dell'arte produceva insaputamente la semplicità, e volutamente questi piccoli difetti in ordine alla stessa semplicità; difetti che un'arte più matura ha saputo facilmente evitare cercando la semplicità, la quale però non ha mai più potuto conseguire. Così dico dell'Ariosto ec. de' cui difetti ho parlato ne' miei primi pensieri pp. 4-5 , ed altrove p. 700. Così dei trecentisti manieratissimi, e scioccamente carichi di ornamenti in molte cose, benchè, per indole naturale, semplicissimi ec. (4. Agos. 1821.).

[2791,1]  Del resto il luogo dell'iscrizione triopea ῞Αρπυιαι κλωθῶες ἀνηρείψαντο μέλαιναι * , dove ἅρπυιαι è manifesto aggettivo e sta per rapaci, nótisi essere espressamente imitato dai seguenti versi dell'odissea, ed averli l'autore avuti onninamente in vista.
Nῦν δέ μιν ἀκλειῶς ἅρπυιαι ἀνηρείψαντο * . α, 241. ξ, 371.
Tόϕρα δέ τὰς κούρας ἅρπυιαι ἀνηρείψαντο * . υ, 77.

 2792 Nótisi ancora l'aggettivo μέλαιναι compagno d'ἅρπυιαι e tuttavia non legato con questo per nessuna congiunzione.

[2546,1]  Le Dee e specialmente Giunone, è chiamata spesso da Omero βοῶπις (βοώπιδος)  2547 cioè ch'ha occhi di bue. La grandezza degli occhi del bue, alla quale Omero ha riguardo, è certo sproporzionata al viso dell'uomo. Nondimeno i greci intendentissimi del bello, non temevano di usar questa esagerazione in lode delle bellezze donnesche, e di attribuire {e appropriar} questo titolo, come titolo di bellezza, indipendentemente anche dal resto, e come contenente una bellezza in se, contuttochè contenga una sproporzione. E in fatti non solo è bellezza per tutti gli uomini e per tutte le donne (che non sieno, come sono molti, di gusto barbaro) la grandezza degli occhi, ma anche un certo eccesso di questa grandezza, se anche si nota come straordinario, e colpisce, e desta il senso della sconvenienza, non lascia perciò di piacere, e non si chiama bruttezza. E notate che non così accade dell'altre parti umane alle quali conviene esser grandi (lascio l'osceno che appartiene ad  2548 altre ragioni di piacere, diverse dal bello): nè i poeti greci, nè verun altro poeta o scrittore di buon gusto, ha mai creduto che l'esagerazione della grandezza di tali altre parti fosse una lode per esse, e un titolo di bellezza, come hanno fatto relativamente agli occhi. Dalle quali cose deducete

[2791,1]  Del resto il luogo dell'iscrizione triopea ῞Αρπυιαι κλωθῶες ἀνηρείψαντο μέλαιναι * , dove ἅρπυιαι è manifesto aggettivo e sta per rapaci, nótisi essere espressamente imitato dai seguenti versi dell'odissea, ed averli l'autore avuti onninamente in vista.
Nῦν δέ μιν ἀκλειῶς ἅρπυιαι ἀνηρείψαντο * . α, 241. ξ, 371.
Tόϕρα δέ τὰς κούρας ἅρπυιαι ἀνηρείψαντο * . υ, 77.

 2792 Nótisi ancora l'aggettivo μέλαιναι compagno d'ἅρπυιαι e tuttavia non legato con questo per nessuna congiunzione.