Riflessione. Irriflessione.
Reflection. Lack of reflection.
Vedi Uomini riflessivi. See Men of reflection. 1163,1 1421,2 1998,1 2451,1 2610,1 3040,1 3518,1 3908,1 4010,3 4079,1 4272,2Riflessione. Irriflessione. Luogo del Tasso nell'Aminta.
Reflection. Lack of reflection. Passage from Tasso in the Aminta.
2391,1[1163,1] Il miglior uso ed effetto della ragione e della
riflessione, è distruggere o minorare nell'uomo la ragione e la riflessione, e
l'uso e gli effetti loro. (13. Giugno 1821.).
[1421,2] L'attendere {e il
riflettere} non è altro che il fissare la mente o il pensiero, il fermarlo ec. Abito che produce la
scienza, l'invenzione, l'uomo riflessivo ec. Abito puro, come facilmente può
considerare ciascun uomo riflessivo in se stesso, e notare ch'egli esercita
quest'abito anche senz'avvedersene, e nelle cose che meno gl'importano, e
giornalmente. Abito però poco comune, e però poco frequenti sono i pensatori, e
i riflessivi ec. (31. Luglio 1821.). {{V. p. 1434.
princip.}}
[1998,1] L'uomo riflessivo ha spessissimo bisogno di esser
determinato da un uomo irriflessivo o per natura o per abito, o da circostanze
imperiose, ec. Egli ha più bisogno di consiglio che qualunque altro, non perchè
non veda abbastanza da se, ma perchè troppo vede,
1999
dal che segue un'irresoluzione abituale e penosissima. (27. Ott.
1821.).
[2451,1] Beato colui che pone i suoi desiderii, e si pasce e
si contenta de' piccoli diletti, e spera sempre da vantaggio, senza mai far
conto della propria esperienza in contrario, nè quanto al generale, nè quanto ai
particolari. E per conseguenza beati gli spiriti piccoli, o distratti, e poco
esercitati a riflettere. (30. Maggio 1822.).
[2610,1] Dicasi quel che si vuole. Non si può esser grandi se
non pensando e operando contro ragione, e in quanto si pensa e opera contro
ragione, e avendo la forza di vincere la propria riflessione, o di lasciarla
superare dall'entusiasmo, che sempre e in qualunque caso trova in essa un
ostacolo, e un nemico mortale, e una virtù estinguitrice, e raffreddatrice.
(22. Agosto 1822.).
[3040,1] L'uomo in cui concorressero grande {e colto} ingegno, e risolutezza, si può affermare
senz'alcun dubbio che farebbe {e otterrebbe} gran cose
nel mondo, e che certo non potrebbe restare oscuro, in qualunque condizione
l'avesse posto la fortuna della nascita. Ma l'abito della prudenza nel
deliberare esclude ordinariamente la facilità e prontezza del risolvere, ed
anche la fermezza nell'operare. Di qui è che gli uomini d'ingegno grande ed
esercitato sono per lo più, anzi quasi sempre prigionieri, per così dire,
dell'irresolutezza, {+difficili a
risolvere, timidi, sospesi, incerti, delicati, deboli nell'eseguire.}
Altrimenti essi dominerebbero il mondo, il quale, perchè la risolutezza per se
può sempre più che la prudenza sola, fu {ed è} e sarà
sempre in balia degli uomini mediocri. (26. Luglio, dì di S. Anna.
1823.).
[3518,1] Superiorità della natura sulla ragione,
dell'assuefazione (ch'è seconda natura) sulla riflessione. - Mio timor panico
d'ogni sorta di scoppi, non solo pericolosi, (come tuoni ec.), ma senz'ombra di
pericolo (come spari festivi ec.); timore che stranamente e invincibilmente
3519 mi possedette non pur nella puerizia, ma
nell'adolescenza, quando io era bene in grado di riflettere e di ragionare, e
così faceva io infatti, ma indarno per liberarmi da quel timore, benchè ogni
ragione mi dimostrasse ch'egli era tutto irragionevole.
{Io non credeva che vi fosse pericolo, e sapeva che non
v'era pericolo nè che temere; ma io temeva niente manco che se io avessi
saputo e creduto e riflettuto il contrario. (puoi vedere la p. 3529.).} Non potè nè la
ragione nè la riflessione liberarmi di quel timore irragionevolissimo,
perch'esso m'era cagionato dalla natura. Nè io certo era de' più stupidi e
irriflessivi, nè di quelli che men vivono secondo ragione, e meno ne sentono la
forza, e son meno usi di ragionare, e seguono più ciecamente l'istinto o le
disposizioni naturali. Or quello che non potè per niun modo la ragione nè la
riflessione contro la natura, lo potè in me la natura stessa e l'assuefazione; e
il potè contro la ragione medesima e contro la riflessione. Perocchè coll'andar
del tempo, anzi dentro un breve spazio, essendo io stato forzato in certa
occasione a sentire assai da vicino e frequentemente di tali scoppi, perdei
quell'ostinatissimo e innato timore in modo, che non solo trovava piacere in
quello
3520 che per l'addietro m'era stato sempre di
grandissimo odio e spavento senza ragione, ma lasciai pur di temere e presi
anche ad amare nel genere stesso quel che ragionevolmente sarebbe da esser
temuto; nè la ragione o la riflessione che già non poterono liberarmi dal timor
naturale, poterono poscia, nè possono tuttavia, farmi temere o solamente non
amare, quello che per natura o assuefazione, irragionevolmente, io amo e non
temo. {#1. Nè io son pur, come ho detto,
de' più irriflessivi, nè manco di riflettere ancora in questo proposito
all'occasione, ma indarno per concepire un timore che non mi è più
naturale.} Questo ch'io dico di me, so certo essere accaduto e
accadere in mille altri tuttogiorno, o quanto all'una delle due parti solamente,
o quanto ad ambedue. - Quello che non può in niun modo la riflessione, può {{e fa}} l'irriflessione. (25. Sett. 1823.).
{{V. p. 3908.}}

[3908,1]
Alla p. 3520.
E bene spesso l'irriflessione de' fanciulli, degl'ignoranti, degl'inesperti ec.
fa quello stesso, e così perfettamente, o {assai}
meglio ancora, che può fare e fa la riflessione, {la
prudenza,}
{#1. la provvidenza, l'accorgimento,
l'abilità, la prontezza ec.} e la presenza di spirito acquistata a
forza di pratica ec. trova gli stessi partiti che potrebbe abbracciare dopo
maturissima considerazione l'uomo il più riflessivo, e dov'è bisogno di
prontezza, con altrettanta e maggior prontezza li trova e li eseguisce, che
possa fare l'abito della riflessione ec. (26. Nov. 1823.).
[4010,3] Avvi due sorte di coraggio ben contrarie fra loro.
L'una che dirittamente e propriamente nasce dalla riflessione, l'altra
dall'irriflessione. Quello è sempre e malgrado qualunque sforzo, debole,
incerto, breve e da farci poco fondamento sì dagli altri, sì da quello in cui
esso si trova ec. (10. Gen. 1824.).
[4079,1] Nel Dialogo della Natura e dell'Anima ho
considerato come la ragione e l'immaginazione e in somma le facoltà mentali
eccellenti nell'uomo sopra quelle di ciascun altro vivente, gli sieno causa di
non poter mai o quasi mai, e in ogni modo difficilmente, far uso di tutte le sue
forze naturali, come fanno tutto dì e
4080 senza
difficultà veruna tutti gli altri animali. Aggiungi. Si dice che i pazzi hanno
una forza straordinaria, a cui non si può resistere, massime da solo a solo. Si
crede che la loro malattia dia questa forza per se stessa, al contrario di tutte
l'altre infermità. Non è egli chiaro che ciò procede dal non aver essi in se
medesimi niuno impedimento a usare tutte le loro forze naturali? che i pazzi
hanno più forza degli altri, solo perchè usano tutte quelle che hanno, o maggior
parte che gli altri non usano? appunto come fa un animale nè più nè meno. Dal
che deduco: quanti animali che si dicono fisicamente essere più forti dell'uomo,
in verità non lo sono! quante forze debbe avere perdute l'uomo per i progressi
del suo spirito, non solo radicalmente, ma anche per essere impedito a usare
quelle che gli rimangono! quanto è più forte l'uomo, anche corrotto e
indebolito, di quel che egli si crede. I pazzi lo dimostrano, che sovente
superano di forze fisiche persone molto più robuste di loro, ed animali creduti
ordinariamente più forti dell'uomo a corpo a corpo. L'ubbriachezza accresce le
forze non solo radicalmente, ma eziandio negativamente per l'uso, che ella
impedisce o turba, della ragione. Senza un'assoluta mancanza o sospensione di
quest'uso, niuno uomo nè anche irriflessivo, nè anche fanciullo, nè anche
selvaggio, nè anche disperato (i quali però tutti si vede per esperienza che
hanno {o piuttosto mostrano di avere} a proporzione
molta più forza de' loro contrari), non usa, nè anche ne' maggiori bisogni, ne'
maggiori pericoli, tutte le forze precisamente che egli ha in tutte le loro
specie e in tutta la loro estensione. Non così gli animali: o certo essi
risparmiano infinitamente minor parte delle loro
4081
forze, anche ne' menomi pericoli, bisogni, desiderii, propositi, che non
risparmia l'uomo, anche il più disperato ec., ne' maggiori. (23. Apr.
1824.). {{Il detto de' pazzi dicasi
proporzionatamente de' disperati.}}
{{V. p. 4090.}}
[4272,2] Un uomo disarmato, alle prese con una bestia di
corporatura e di forze uguale a lui, {p. e. con un grosso
cane,} difficilmente resterà superiore, verisimilmente sarà vinto. Per
vincere, gli bisogna qualche arma, che diagli una forza non naturale, e una
decisa superiorità. La ragione è perchè il cane vi adopra e vi mette tutto se
stesso, fa ancor più del suo potere; dove che l'uomo riserva sempre una gran
parte di se medesimo fuor di fazione, e fa sempre meno di quello che può. Il
cane non guarda a pericolo, non considera, non usa prudenza. L'uomo al
contrario, se non è disperato affatto, stato al quale egli arriva difficilmente,
eziandio che abbia piena ragione di disperarsi. Egli si risparmia sempre, perchè
sempre spera; e così risparmiandosi, non ottiene quello che la speranza gli
promette, o non fugge quello che egli sperasi di fuggire; quello che, {se} non lo sperasse, otterrebbe o fuggirebbe. E che
questa sia veramente la cagion di ciò, vedetelo in un fanciullo: il quale assai
più facilmente che un uomo riuscirà pari o superiore in una zuffa con un animale
di forze uguali alle sue; zuffa che egli medesimo talvolta attaccherà
volontariamente. Il fanciullo, {e più il bambino,}
adopra tutto se stesso, come una bestia, o poco meno. E per questo lato io non
trovo niente d'inverisimile nella favola di Ercole bambino, strozzatore dei due serpenti. E la crederò vera più
facilmente che quella del medesimo Ercole adulto, sbranatore del leone nemeo, senza altre armi che le
sue braccia, come nell'altra battaglia, cioè in quella de' serpenti. (3.
Aprile. 1827.).
[2391,1]
2391
Ma nulla fa chi troppe
cose pensa.
*
Tasso
Aminta, Atto 2. scena 3. v. ult.
(20. Feb. primo di Quaresima. 1822.).
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