Timore.
Fear.
Vedi Coraggio. Speranza e timore. See Courage. Hope and fear. 364,2 2803,1 3488,2 3518,1Egoismo del timore.
Egoism of fear.
2206,1 2387,1 2497,2 2630,1 2669,1 3638,3 3765,1 3798 4126,6[364,2] Quegli stessi che credono grave, o maggiore che non è,
ogni leggera malattia che loro sopravviene, caduti in qualche malattia grave o
mortale, la credono leggera, o minore che non è. E la cagione d'ambedue le cose
è la codardia che gli sforza a temere dove non è timore, e a sperare dove non è
speranza.
[2803,1] Altro è il timore altro il terrore. Questa è {passione} molto più forte {e
viva} di quella, e molto più avvilitiva dell'animo e sospensiva
dell'uso della ragione, {+anzi quasi di
tutte le facoltà dell'animo, ed anche de' sensi del corpo.}
2804 Nondimeno la prima di queste passioni non cade
nell'uomo perfettamente coraggioso o savio, la seconda sì. Egli non teme {mai,} ma può sempre essere atterrito. Nessuno può
debitamente vantarsi di non poter essere spaventato. (21. Giugno
1823.).
[3488,2] Molti sono timidi i quali sono insieme
coraggiosissimi. Voglio dire che molti si perdono d'animo nella società, i quali
nè fuggono nè temono ed anche volontariamente incontrano i pericoli
3489
{e i danni e le fatiche e le sofferenze ec.;} e non
sostengono gli sguardi o le parole amichevoli o indifferenti di tali di cui
sosterrebbero facilissimamente l'aspetto minaccioso e l'armi nemiche in
battaglia o in duello. La timidità spetta per così dire ai mali dell'animo, il
coraggio a quelli del corpo. L'una teme de' danni e delle pene interne, l'altro
brava i danni e le sofferenze esteriori. L'una s'aggira intorno allo spirituale,
l'altro al materiale. E tanto è lungi che la timidità escluda il coraggio, che
anzi ella piuttosto lo favorisce, e da essa si può dedurre {con verisimiglianza} che l'uomo che n'è affetto sia coraggioso.
Perocchè la timidità è abito di temer la vergogna, la quale assai facilmente e
spesso incontra chi teme e fugge i pericoli. Onde il temer la vergogna, ch'è
male, per così dire, interno e dell'animo, giacchè nulla nuoce al corpo nè alle
cose esteriori, ed opera sul pensiero solo, ed ai sensi non dà noia; fa che
l'uomo non tema i danni esteriori, e non fugga e, bisognando, affronti il
pericolo {+ed eziandio la certezza}
di soffrirli, preponendo i mali o i pericoli esterni e materiali agl'interni e
spirituali,
3490 e l'anima, per così dire, al corpo; e
volendo innanzi soffrire ne' sensi, nella roba ec. che nello spirito, e morire
piuttosto che patir la {pena della} vergogna. Chè {in} questo e non altro consiste quel coraggio che viene
da sentimento di onore, e gli effetti del medesimo. Il qual coraggio ha origine
e fondamento, anzi è esso stesso una spezie di timidità, o certo {una spezie} di qualità contraria alla sfrontatezza,
all'impudenza, all'inverecondia. (21. Sett. Festa della Beatissima Vergine
Addolorata. 1823.). {{V. la pag. seg. [p.
3491,3].}}
[3518,1] Superiorità della natura sulla ragione,
dell'assuefazione (ch'è seconda natura) sulla riflessione. - Mio timor panico
d'ogni sorta di scoppi, non solo pericolosi, (come tuoni ec.), ma senz'ombra di
pericolo (come spari festivi ec.); timore che stranamente e invincibilmente
3519 mi possedette non pur nella puerizia, ma
nell'adolescenza, quando io era bene in grado di riflettere e di ragionare, e
così faceva io infatti, ma indarno per liberarmi da quel timore, benchè ogni
ragione mi dimostrasse ch'egli era tutto irragionevole.
{Io non credeva che vi fosse pericolo, e sapeva che non
v'era pericolo nè che temere; ma io temeva niente manco che se io avessi
saputo e creduto e riflettuto il contrario. (puoi vedere la p. 3529.).} Non potè nè la
ragione nè la riflessione liberarmi di quel timore irragionevolissimo,
perch'esso m'era cagionato dalla natura. Nè io certo era de' più stupidi e
irriflessivi, nè di quelli che men vivono secondo ragione, e meno ne sentono la
forza, e son meno usi di ragionare, e seguono più ciecamente l'istinto o le
disposizioni naturali. Or quello che non potè per niun modo la ragione nè la
riflessione contro la natura, lo potè in me la natura stessa e l'assuefazione; e
il potè contro la ragione medesima e contro la riflessione. Perocchè coll'andar
del tempo, anzi dentro un breve spazio, essendo io stato forzato in certa
occasione a sentire assai da vicino e frequentemente di tali scoppi, perdei
quell'ostinatissimo e innato timore in modo, che non solo trovava piacere in
quello
3520 che per l'addietro m'era stato sempre di
grandissimo odio e spavento senza ragione, ma lasciai pur di temere e presi
anche ad amare nel genere stesso quel che ragionevolmente sarebbe da esser
temuto; nè la ragione o la riflessione che già non poterono liberarmi dal timor
naturale, poterono poscia, nè possono tuttavia, farmi temere o solamente non
amare, quello che per natura o assuefazione, irragionevolmente, io amo e non
temo. {#1. Nè io son pur, come ho detto,
de' più irriflessivi, nè manco di riflettere ancora in questo proposito
all'occasione, ma indarno per concepire un timore che non mi è più
naturale.} Questo ch'io dico di me, so certo essere accaduto e
accadere in mille altri tuttogiorno, o quanto all'una delle due parti solamente,
o quanto ad ambedue. - Quello che non può in niun modo la riflessione, può {{e fa}} l'irriflessione. (25. Sett. 1823.).
{{V. p. 3908.}}

[2206,1] Il timore, passione immediatamente figlia dell'amor
proprio e della propria conservazione, e quindi inseparabile dall'uomo, ma
soprattutto manifesta e propria nell'uomo primitivo, nel fanciullo, in coloro
che più conservano dello stato naturale; passione strettissimamente comune
all'uomo con ogni specie di animali, e carattere generale de' viventi; una tal
passione, è la più egoistica del mondo. Nel timore l'uomo si isola
perfettamente, si stacca da' suoi più cari, e pena pochissimo (anzi quasi da
necessità naturale è portato) a sacrificarli ec. per salvarsi. Nè solo dalle
persone, o da tutto ciò ch'è in qualche modo altrui, ma dalle cose stesse più
proprie sue, più preziose, più necessarie, l'uomo
2207
si stacca quando teme, come il navigante che getta in mare il frutto de' suoi
più lunghi travagli, e anche di tutta la sua vita, i suoi mezzi di sussistenza.
Onde si può dire che il timore è la perfezione e la più pura quintessenza
dell'egoismo, perchè riduce l'uomo non solo a curar puramente le cose sue, ma a
staccarsi anche da queste per non curar che il puro e nudo se stesso, ossia la
nudissima esistenza del suo proprio individuo separata da qualunque altra
possibile esistenza. Fino le parti di se medesimo sacrifica l'uomo nel timore
per salvarsi la vita, alla quale, e a quel solo che l'è assolutamente necessario
in qualunque istante, si riduce e si rannicchia la cura e la passione dell'uomo
nel timore. Si può dir che il se stesso diviene allora più piccolo e ristretto
che può, affine di conservarsi, e consente a gettare tutte le proprie parti non
necessarie, per salvare quel tanto ch'
2208 è
inseparabile dal suo essere, che lo forma, e in cui esso necessariamente e
sostanzialmente consiste.
[2387,1]
Ni sabian que pudiesse haver Sacrificio sin que
muriesse alguno por la salud de los demàs.
*
Parole di
Magiscatzin,
vecchio Senatore Tlascalese a Ferd. Cortès, presso D.
Antonio de Solìs, Hist. de la
Conquista de Mexico, lib. 3.
2388
capit. 3. en
Madrid 1748. p. 184. col. 1. Ecco
l'origine e la primitiva ragione de' sacrifizi, e idea della divinità. Si
stimava invidiosa e nemica degli uomini, perchè gli uomini lo erano per natura
fra loro, e per causa delle tempeste ec. le quali appunto si cercava di stornare
co' sacrifizi. Nè si credeva già primitivamente che gli Dei godessero
materialmente godessero della carne o sangue o altro che loro si sacrificava, ma
della morte e del male della vittima, e che questo placasse l'odio loro verso i
mortali, e la loro invidia. Egoismo del timore, che ho spiegato in altro luogo
pp. 2206-208. Quindi
si facevano imprecazioni ed esecrazioni sulla vittima, che non si considerava
già come cosa buona, ma come il soggetto su cui doveva scaricarsi tutto l'odio
degli dei, e come sacra solo per questo verso. Quindi quando il timore (o il
bisogno, o il desiderio ec.) era maggiore, si sacrificavano uomini, stimando
così di soddisfar maggiormente l'odio divino contro di noi. E ciò avveniva o
tra' popoli più vili e timidi (e quindi più fieramente egoisti), o più
travagliati dalle convulsioni degli elementi (com'erano i Tlascalesi ec.), o ne'
tempi più antichi,
2389 e quindi più ignoranti, e
quindi più paurosi. E nell'estrema paura, si sacrificavano non solo prigionieri,
o nemici, o delinquenti ec. come in america, ma
compatrioti, consanguinei, figli, per maggiormente saziare l'odio celeste, come
Ifigenia ec. Eccesso di egoismo
prodotto dall'eccesso del timore, o della necessità, o del desiderio di qualche
grazia ec. (6. Feb. 1822.).
[2497,2] Ho detto altrove pp. 2206-208
pp. 2387-89 che il timore è la più egoistica passione dell'uomo sì
naturale e sì civile. {+Così anche degli
altri animali.} Ed è bren[ben] dritto,
perocchè l'oggetto del timore pone in pericolo (vero o creduto) l'esistenza o il
ben essere di quel sè che il vivente ama per propria essenza
2498 sopra ogni cosa. L'uomo il più sensibile per abito e per natura,
il più nobile, il più affettuoso, {{il più virtuoso,}}
occupato anche attualmente, poniamo caso, da un amore il più tenero e vivo, se
con tutto ciò è suscettibile del timor violento, trovandosi in un grave pericolo
(vero o immaginato) abbandona l'oggetto amato, preferisce (e dentro se stesso e
coll'opera) la propria salvezza a quella di quest'oggetto, ed è anche capace in
un'[un] ultimo pericolo di sacrificar questo
oggetto alla propria salute, dato il caso che questo sacrifizio (in qualunque
modo s'intenda) gli fosse, o gli paresse dovergli esser giovevole a scamparlo.
Tutti i vincoli che legano l'animale ad altri oggetti, o suoi simili o no, si
rompono col timore. (26. Giugno 1822.).
[2630,1] Ho detto altrove pp. 2206-208
pp. 2387-89
pp.
2497-98 che il timore è la più egoistica delle passioni. Quindi ciò
ch'è stato osservato, che in tempo di pesti, o di pubblici infortuni, dove
ciascun teme per se medesimo, i pericoli e le morti de' nostri più cari, non
{ci} producono alcuno o quasi alcun sentimento.
(5. Ottobre. 1822.).
[2669,1] Sopra quello che ho detto altrove pp. 2206-208
pp.
2387-89 che l'uso de' sacrifizi nacque dall'egoismo del timore. Toutes les fois que le courroux des dieux se déclare par la famine,
par une épidémie ou d'autres fléaux on tâche de le détourner sur un
homme et sur une femme du peuple, entretenus par l'état pour être,
au besoin, des victimes expiatoires, chacun au nom de son sexe. On
les promène dans les rues au son des instrumens; et après leur avoir
donné quelques coups de verges, on les fait sortir de la
ville
*
(d'Athènes). Autrefois on les condamnoit aux
flammes et on jetoit leurs cendres au vent.
{+(Aristoph. in equit. v.
1133. Schol. ibid. Id. in ran.[Ranae] v. 745. Schol. ib.
Hellad. ap. Phot. p. 1590. Meurs.
graec. fer. in
thargel.).}
*
Voyage du jeune
2670
Anacharsis en Grèce t. 2. ch. 21. 2e édit.
Paris 1789. p. 395. Vedete anche nello
stesso capit. la 3a pag. avanti a questa, circa i sacrifizi di vittime umane, i
quali si facevano principalmente ne' maggiori pericoli e timori, come dice
altrove il medesimo autore. (7. Feb. 1823.). {{V. p.
2673.}}
[3638,3]
Primos in orbe deos fecit timor.
*
Intorno a ciò
altrove p. 2208
pp. 2387-89. Or si aggiunga, che siccome quanto è maggior l'ignoranza
tanto è maggiore il timore, e quanta più la barbarie tanta {è} più l'ignoranza, però si vede che le idee de' più barbari e
selvaggi popoli circa la divinità, se non forse in alcuni climi tutti piacevoli,
sono per lo più spaventose ed odiose, come di esseri tanto di noi invidiosi e
vaghi del nostro male quanto più forti di noi. Onde le immagini ed idoli che
costoro si fabbricano de' loro Dei, sono mostruosi e di forme terribili, non
solo per lo poco artifizio di chi fabbricolle, ma eziandio perchè tale si fu la
intenzione e la idea dell'artefice. E vedesi questo medesimo anche in molte
nazioni che benchè lungi da civiltà pur non sono senza cognizione ed
3639 uso sufficiente di arte in tali ed altre opere di
mano ec. come fu quella de' Messicani, {#1.
i cui idoli più venerati eran pure bruttissimi e terribilissimi d'aspetto
{come} d'opinione. Molte nazioni selvagge, o
ne' lor principii, riconobbero per deità questi o quelli animali più forti
dell'uomo, e forse tanto più quanto maggiori danni ne riceveano, e maggior
timore ne aveano, e minori mezzi di liberarsene, combatterli, vincerli ec.
La forza superiore all'umana è il primo attributo riconosciuto dagli uomini
nella divinità. V. p.
3878.} E certo egli è segno di civiltà molto cresciuta e bene
istradata il ritrovare in una nazione e la idea e le immagini o simboli o
significazioni della divinità, piacevoli o non terribili. Come fu in
Grecia, sebben molto a ciò dovette contribuire la
piacevolezza e moderatezza di quel clima, che nulla o quasi nulla offre mai di
terribile. Perocchè le forze della natura vedute negli elementi ec.,
riconosciute per superiori di gran lunga a quelle degli uomini, e, a causa
dell'ignoranza, credute esser proprie di qualche cosa animata e capace, come
l'uomo, di volontà, poichè è capace di movimento, di muovere ec.; sono state le
cose che hanno suscitata l'idea della divinità (perchè gli uomini amano e son
soliti di spiegar con un mistero un altro mistero, e d'immaginar cause
indefinibili degli effetti che non intendono, e di rassomigliare l'ignoto al
noto; come le cause ignote de' movimenti naturali, alla volontà ed all'altre
forze note che producono i movimenti animali ec.), ond'è ben naturale che tale
3640 idea corrispondesse alla natura di tali
effetti, e fosse terribile se terribili, moderata se moderati, piacevole se
piacevoli ec. e più e meno secondo i gradi ec. Se non che nell'idea primitiva
dovette sempre prevalere o aver gran parte il {terribile,} perchè essendo l'uomo naturalmente inclinato più al
timore che alla speranza, {#1. come altrove
in più luoghi pp. 458-59
pp. 1303-304
pp. 2206-208
pp. 3433-35} una forza superiore
affatto all'umana, dovette agl'ignoranti naturalmente aver sempre del
formidabile. Oltre che in ogni paese v'ha tempeste, benchè più o meno terribili
ec. E tra le varie divinità di una nazione che ne riconosca più d'una, di una
mitologia ec., le più antiche son certamente le più formidabili e cattive, e le
più amabili e benefiche ec. son certamente le più moderne.
{Le nazioni più civilizzate adoravano gli animali utili,
domestici, mansueti ec. come gli egizi il bue, il cane, o loro immagini. Le
più rozze, gli animali più feroci, o loro sembianze (v. la parte 1. della Cron. del
Peru di Cieça,
cap. 55. fine. car. 152. p. 2.). Quelle p. e. il sole o solo o principalmente, queste, o sola o principalmente la tempesta ovvero ec. ec.
{+E a proporzione della rozzezza
o civiltà, gli Dei ec. malefici e benefici erano stimati più o men
principali e potenti, ed acquistavano o perdevano nell'opinione e
religion del popolo, e nelle mitologie, e riti ec.}
V. p. 3833.} Come della
mitologia greca e latina ec. senza dubbio si dee dire. Infatti anche
indipendentemente da questa osservazione, s'hanno argomenti di fatto per
asserire che {p. e.}
Saturno, Dio
crudele e malefico, {#2. e rappresentato
per vecchio, brutto, e d'aspetto come d'indole e di opere, odioso,} fu
l'uno de' più antichi Dei della Grecia o della nazione
onde venne la greca e latina mitologia, e più antico di Giove ec. Effettivamente la
detta mitologia favoleggia che Saturno regnò prima di Giove,
3641 e da costui fu privato del regno. La qual favola o volle
espressamente significare la mutazione delle idee de' greci ec. circa la
divinità, e il loro passaggio dallo spaventoso all'amabile ec. cagionato dal
progresso della civiltà, e decremento dell'ignoranza; o (più verisimilmente)
ebbe origine e occasione da questo passaggio, di essere inventata
naturalmente.

[3765,1]
Alla p. 3557.
principio. L'aspetto della debolezza riesce piacevole e amabile
principalmente ai forti, sia della stessa specie sia di diversa. (forse per
quella inclinazione che la natura ha messa, come si dice, ne' contrarii verso i
contrarii). Quindi la debolezza in una donna riesce più amabile all'uomo che
all'altre donne, in un fanciullo più amabile agli adulti che agli altri
fanciulli. E la donna è più amabile all'uomo che all'altre donne, anche pel
rispetto della debolezza ec. Ed all'uomo tanto più quanto egli è più forte, non
solo per altre cagioni, ma anche per questa, che l'aspetto della debolezza gli
riesce tanto più piacevole, quando è in un oggetto {{altronde}} amabile ec. Ed anche per questa causa i militari, e le
3766 nazioni militari generalmente sono più portate
verso le donne, o verso τὰ παιδικά ec. (V. Aristot.
Polit. 2. Flor. 1576. p. 142.). Le cose dette della
debolezza si possono anche dire della timidità. Piace l'aspetto della timidità
in un oggetto d'altronde amabile, e quando essa medesima non disconvenga. Piace
p. e. ne' lepri, ne' conigli ec. Piace massimamente ai forti o assolutamente o
per rispetto a quei tali oggetti. Piace ai più coraggiosi, e questo ancora si
riferisca a quel che ho detto de' militari. Il veder che uno teme e ha ragion di
temere, e ch'e' non si può difendere, è cosa amabile, e induce i forti e i
coraggiosi, o della stessa specie o di diversa, a risparmiare quei tali oggetti;
quando non v'abbia altra causa che operi il contrario, come nel lupo verso la
pecora ec. Cause indipendenti dalla timidità e dal coraggio. E da ciò, almeno in
parte, deriva che gl'individui e le nazioni forti e coraggiose sogliono
naturalmente essere le più benigne; e in contrario è stato osservato che
gl'individui e i popoli più deboli e timidi sogliono essere i più crudeli verso
i viventi più deboli di loro, verso i loro {stessi}
individui più deboli ec. Ed
3767 è proposizione
costante e generale che la timidità la codardia e la debolezza amano molto di
accompagnarsi colla crudeltà, colla inclemenza e spietatezza e durezza de'
costumi e delle azioni ec. (Che il timore sia naturalmente crudele, perchè
sommamente egoista, e così la viltà ec. l'ho notato in più luoghi pp. 2206-208
pp. 2387-89
p. 2630). Ciò non solo si osserva negli uomini, ma eziandio negli
altri animali. E con molta verisimiglianza, se non anche con verità, si
attribuisce al leone la generosità verso gli animali di lui più deboli e timidi
ec. quando la natura, cioè una nimistà naturale, o la fame ec. non lo spinga ad
opprimerli ec. o ve lo spinga talora, ma non in quel tal caso, o quando la
natura non glieli abbia destinati particolarmente per cibo, chè allora sarà ben
difficile ch'ei se ne astenga, o se ne astenga per altro che per sazietà. Si
applichino queste osservazioni a quelle da me fatte circa la compassionevolezza
naturale ai forti, e la naturale immisericordia e durezza dei deboli ec. e
viceversa quelle a queste (p. 3271.
segg.) Si suol dire, e non è senza esempio nelle storie che le donne
3768 divenute potenti {in
qualunque modo,} sono state e sono generalmente come più furbe e
triste, così più crudeli e meno compassionevoli verso i loro nemici, o
generalmente ec. di quel che sieno stati o sieno, o che sarebbero stati o
sarebbero, gli uomini, in parità d'ogni altra circostanza. Ed è ben noto che i
Principi più deboli e vili sono sempre stati i più crudeli proporzionatamente
alle varie qualità ed al vario spirito de' tempi a cui sono vissuti o vivono, e
alle varie circostanze in cui si sono rispettivamente trovati o trovansi, e
secondo le varie epoche e vicende della vita di ciascheduno ec. (24. Ott.
1823.).
[3797,1]
{Io noto che generalmente parlando,} le dette crudeltà
ec. tanto sono {più} frequenti e maggiori, e le guerre
tanto più feroci e continue e micidiali ec. quanto i popoli sono più vicini a
natura. E astraendo dall'odio e dagli effetti suoi, non si troverà popolo alcuno
{così} selvaggio, cioè così vicino a natura, nel
quale se v'è società stretta, non regnino costumi, superstizioni ec. tanto più
lontani e contrarii a natura quanto lo stato della lor società ne è più vicino,
cioè più primitivo. Qual cosa più contraria a natura di quello che una specie
{di animali} serva al mantenimento e cibo di se
medesima? Altrettanto sarebbe aver destinato un animale a pascersi di se
medesimo, distruggendo effettivamente quelle proprie parti di ch'ei si nutrisse.
La natura ha destinato molte specie di animali a servir di cibo e sostentamento
l'une all'altre, ma che un animale si pasca del suo simile, e ciò non per
eccesso straordinario di fame, ma regolarmente, e che lo appetisca, e lo
preferisca agli altri cibi; questa incredibile assurdità non si trova in altra
specie che nell'umana. Nazioni intere, di costumi quasi primitive, se non che
sono strette in una informe società, usano ordinariamente o usarono per secoli e
secoli questo costume, e non pure verso i nemici, ma verso i compagni, i
maggiori, i genitori vecchi, le mogli, i figli. {#1. L'antropofagia era e fu per lunghissimi secoli
propria di forse tutti i popoli barbari e selvaggi d'America sì meridionale
che settentrionale (escludo il paese comandato dagl'incas, i quali tolsero questa barbarie, e
l'impero messicano e tutti i paesi un poco colti
ec.) e lo è ancora di molti, e lo fu ed è di moltissimi altri popoli
selvaggi affatto separati tra loro e dagli americani. L'antropofagia fu ben
conosciuta da Plinio e dagli altri
antichi ec. ec. E forse tutti i popoli ne' loro principii (cioè per
lunghissimo tempo) furono antropofagi. v. p. 3811.}
{{(Veggansi i luoghi
citati nella pagina antecedente
[p.
3795,2]).}}
3798 Le superstizioni, le vittime umane, anche di
nazionali e compagni, immolate non per odio, ma per timore, come altrove s'è
detto p. 2208
pp.
2388-89
pp.
2669-70
pp. 3641-43 , e poi per
usanza; i nemici ancora immolati crudelissimamente agli Dei senza passione
alcuna, ma per solo costume; il tormentare il mutilare ec. se stessi per vanità,
per superstizione, per uso; l'abbruciarsi vive le mogli spontaneamente dopo le
morti de' mariti; il seppellire uomini e donne vive insieme co' lor signori
morti, come s'usava in moltissime parti dell'America meridionale; ec. ec. son cose notissime. Non v'è uso, o azione,
o proprietà {o credenza} ec. tanto contraria alla
natura che non abbia avuto o non abbia ancor luogo negli uomini riuniti in
società. E sì i viaggi sì le storie tutte delle nazioni antiche dimostrano che
quanto la società fu o è più vicina a' suoi principii, tanto la vita
degl'individui e de' popoli fu o è più lontana e più contraria alla natura. Onde
con ragione si considerano tutte le società primitive e principianti, come
barbare, e così generalmente si chiamano, e tanto più barbare quanto più vicine
a' principii loro. Nè mai si trovò, nè si trova, nè troverassi società, come si
dice, di selvaggi, cioè primitiva, che non si chiami, e non sia veramente, o non
fosse, affatto barbara e snaturata. (o vogliansi considerar quelle che mai non
furon civili, o quelle che poscia il divennero, quelle che il sono al presente
ec. ec.). Dalle quali osservazioni si deduce per cosa certa e incontrastabile
che l'uomo non ha potuto arrivare a quello stato di società che or si considera
come a lui conveniente e naturale, e come perfetto o manco
3799 imperfetto, se non passando per degli stati evidentemente
contrarissimi alla natura. Sicchè se una nazione qualunque, si trova in quello
stato di società che oggi si chiama buono, s'ella è o fu mai, come si dice,
civile; si può con certezza affermare ch'ella fu, e per lunghissimo tempo,
veramente barbara, cioè in uno stato contrario affatto alla natura, alla
perfezione, alla felicità dell'uomo, ed anche all'ordine e all'analogia generale
della natura. I primi passi che l'uomo fece o fa verso una società stretta lo
conducono di salto in luogo così lontano dalla natura, e in uno stato così a lei
contrario, che non senza il corso di lunghissimo tempo, e l'aiuto di moltissime
circostanze e d'infinite casualità (e queste difficilissime ad accadere) ei si
può ricondurre in uno stato, che non sia affatto contrario alla natura ec.
[4126,6] Circa l'origine, se non della religione (cioè
dell'opinione della divinità), almeno del culto, dal timore v. nell'Abrégé de
l'origine de tous les cultes, par Dupuis. Parigi
1821. chap. 4. p. 86-93. come quasi tutti i popoli avendo ammesso due
principii, due generi di divinità, le une buone {{e
benefiche}}, le altre cattive {e malefiche,} i
più selvaggi riducevano o riducono del tutto o principalmente il loro culto alle
seconde, ed alcuni anche le stimavano più potenti delle prime, laddove i più
civilizzati, (come i Greci nella favola dei Giganti) hanno
supposto il principio cattivo vinto e sottomesso dal buono. (19. Marzo.
1825. Festa di S. Giuseppe.)
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