[66,2] Se tu hai un nemico mortale nella tal città e vedi che
v'è sopra un temporale, ti passa pur per la mente la speranza ch'egli ne possa
restare ucciso? Or come dunque ti spaventi se quel temporale viene sopra di te,
quando la probabilità ch'egli uccida è tanto piccola che tu non ci sai neppur
fondare quella cosa che ha pur bisogno di sì poco fondamento per sorgere in noi,
dico la speranza? Lo stesso intendo dire di cento altri pericoli, i quali se in
vece fossero probabilità di bene, ci parrebbe ridicolo il porci per esse in
nessuna speranza, e pure ci poniamo per quei pericoli in timore. Tant'è: bisogna
bene che per quanto la speranza sia facile a nascere, e insussistente, il timore
lo sia di più. Ma questa riflessione mi pare molto atta a temperarlo. {{Il timore è dunque più fecondo d'illusioni che la
speranza.}}
[105,3] Come nella speranza o in qualunque altra disposizione
dell'animo nostro, il bene lontano è sempre maggiore del presente, così per
l'ordinario nel timore è più terribile il male.
[188,3] Così il bene come il male aspettato sono
ordinariamente più grandi che il bene o il male presente. La cagione di tutte
due le cose è la stessa, cioè l'immaginazione determinata dall'amor proprio
occupato nel primo caso dalla speranza, nel secondo dal timore.
[364,2] Quegli stessi che credono grave, o maggiore che non è,
ogni leggera malattia che loro sopravviene, caduti in qualche malattia grave o
mortale, la credono leggera, o minore che non è. E la cagione d'ambedue le cose
è la codardia che gli sforza a temere dove non è timore, e a sperare dove non è
speranza.
[458,1] Quanta parte abbia nell'uomo il timore più della
speranza si deduce anche da questo, che la {stessa}
speranza è madre di timore, tanto che gli animi meno inclinati a temere, e più
forti, sono resi timidi dalla speranza, massime s'ella è notabile. E l'uomo non
può quasi sperare senza temere, e tanto più quanto la speranza è maggiore. Chi
spera teme, e il disperato non teme nulla. Ma viceversa la speranza non
459 deriva dal timore, {+benchè chi teme speri sempre
che il soggetto del suo timore non si verifichi.}
(26. Dic. 1820.). {{Osservate che la passione
direttamente opposta al timore, è la speranza. E nondimeno ella non può
sussistere senza produrre il suo contrario.}}
[1303,2] Altra prova che noi siamo più inclinati al timore
che alla speranza, è il vedere che noi {per lo più}
crediamo facilmente quello che temiamo, e difficilmente quello che desideriamo,
anche molto più verisimile. E poste due persone delle quali una tema, e l'altra
desideri una stessa cosa, quella la crede, e questa no. E se noi passiamo dal
temere una cosa al desiderarla, non sappiamo più {credere} quello che prima non sapevamo non credere,
1304 come mi è accaduto più volte. E poste due cose, o
contrarie o disparate, l'una desiderata, e l'altra temuta, e che abbiano lo
stesso fondamento per esser credute, la nostra credenza si determina per questa
e fugge da quella. Nell'esaminare i fondamenti di alcune proposizioni ch'io da
principio temeva che fossero vere, e poi lo desiderava, io li trovava da
principio fortissimi, e quindi insufficientissimi. (10. Luglio
1821.).
[3433,1] Che il timore sia, come ho detto altrove pp.
458-59
pp.
1303-304, più naturale all'uomo della speranza, e che l'uomo inclini
più a questo che a quello[quella], veggasi che
qualora gli uomini ignorano le cagioni degli effetti o naturali o artifiziali,
ordinariamente ne temono; e tanto è quasi, per gl'ignoranti massimamente e
primitivi e selvaggi e fanciulli, effetto di cagione nascosta, quanto effetto
spaventoso. Or quando mai la speranza è così temeraria? Di più se l'ignoranza,
{+superstizione ec.} portò
anticamente
3434 o porta oggidì a pigliar
qualch'effetto nuovo o sconosciuto per presagio dell'avvenire o per segno del
presente ignoto, osservisi che generalmente questi presagi e questi segni furono
creduti sinistri. Lascio l'ecclissi le quali possono parere spaventose
naturalmente a chi ne ignora la cagione, non ne ha mai veduto ec., e da questo
primitivo spavento può {ben} esser nata l'opinione del
cattivo augurio che loro si attribuì, e che le rese spaventose per sì lungo
tempo presso tutte le nazioni, e fin anche al di d'oggi, benchè già si sapesse e
si sappia che l'oscurazione non era per durar sempre ma passeggera ec. Ma le
comete che cosa hanno di spaventevole per se, più ch'altro corpo celeste, o che
la via lattea ec.? E volendole pigliare per segni o presagi, perchè non di bene?
ma non si troverà nazione dov'elle fossero o sieno stimate annunziare altro che
male. Quelli che gli antichi chiamavano mostri, cioè cose straordinarie, benchè
nulla terribili per se stesse e materialmente tutte erano stimate cattivi
augurii. Così nelle vittime il mancare del cuore, s'è pur vero che ciò accadesse
talvolta, come gli antichi narrano,
3435 o che paresse
così per errore di chi inspiciebat le viscere ec.
Tutti segni che l'uomo è più facile e proclive a temere che a sperare; e che
questo è di rado così irragionevole e precipitoso come quello; o certo ben più
di rado ec. Massimamente in natura, ne' fanciulli, negl'ignoranti e negli uomini
naturali. (15 Sett. 1823.).
[4123,9] Che gli uomini siano più inclinati al timore che
alla speranza, o provino almeno assai più spesso quello che questa, si può anche
dedurre dal considerar la grande abbondanza di parole che hanno le lingue
(almeno quelle che io conosco, e in particolare il greco, il latino lo spagnuolo
l'italiano e l'inglese) per esprimere il timore, il temere, {+lo intimorire, lo spaventoso, il timoroso, ec.} e
i suoi diversi gradi qualità ec. laddove esse lingue non hanno che una parola o
al più due per esprimere la speranza, {lo sperare ec.}
e queste stesse voci sono originariamente di significato comune anche al timore,
perchè significano solo l'aspettazione del futuro, e però anche del male, in
latino in greco, in italiano in ispagnuolo (anche nello spagnuolo moderno) e
credo anche in francese e forse pure in inglese antico, del che ho detto altrove
pp.
458-59
pp. 1303-304
pp. 2206-208
pp.
3433-35
pp. 3638-43
(21. Gennaio. 1825.).
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