Vigore corporale.
Vigor, bodily.
Vedi Esercizi del corpo. Vino. See Bodily exercises. Wine 96,1 109,3 115,2 130,12 152,1 163,1 254,1 280,3 324,4 473,3 661,2 1420,2 1581,1 1597,1 1631,2 1633,1 1699,2 1800,2 1953,1 1975,1 2204,1 2455,1 2544,1 2753-5 3180 3552,2 3835,1 3881,4 3921,1 4289,1[96,1] In proposito di quello che ho detto p. 76. e segg. in questi pensieri si
può osservare che quando noi per qualche circostanza ci troviamo in istato di
straordinario e passeggero vigore, come avendo {fatto}
uso di liquori che esaltino le forze del corpo senza però turbar la ragione, ci
sentiamo proclivissimi all'entusiasmo, nè però questo entusiasmo ha nulla di
malinconico, ma è tutto sublime nel lieto, anzi le idee dolorose, ed una soave
mestizia {e la pietà} non trova luogo allora nel cuor
nostro {o almeno non son questi i sentimenti ch'ei
preferisce,} ma il vigore che proviamo dà un risalto straordinario
alle nostre idee, ed abbellisce e sublima ogni oggetto agli occhi nostri, e
quello è il tempo di sentir gli stimoli della gloria, dell'amor patrio, dei
sacrifizi generosi (ma considerati come bene non come sventura) e delle altre
passioni antiche. Quindi possiamo congetturare quale dovesse essere
ordinariamente l'entusiasmo degli antichi che si trovavano incontrastabilmente
in uno stato di vigor fisico abituale, superiore al nostro ordinario; il quale
quanto noceva e nuoce alla ragione, tanto favorisce l'immaginazione, e i
sentimenti focosi gagliardi ed alti. Colla differenza che noi avvezzi nel corso
della nostra vita a compiacerci, al contrario degli antichi, nelle idee
dolorose, anche in quel vigore, sentendoci delle spinte al sentimento, ci
potremo compiacere molto più facilmente che non faceano gli antichi di qualcuna
di queste tali idee, quantunque non cercata allora di preferenza. Ma osservo che
in quei momenti anche le idee malinconiche ci si presentano come un'aria di
festa che la felicità non ci pare un'illusione,
97 anzi
ancora le dette idee ci si offrono come conducenti alla felicità, e la sventura
come un bene sublime che ci fa palpitar e d'entusiasmo e di speranza, e sentiamo
una gran confidenza in noi stessi e nella fortuna e nella natura, quando anche
ella non sia nel nostro carattere, o nell'abitudine contratta colla sperienza
della vita.
[109,3] L'ubbriachezza è madre dell'allegrezza, così il
vigore. Che segno è questo? Perchè l'ubbriachezza non cagiona la malinconia?
Prima perchè questa deriva dal vero e non dal falso, e l'ubbriachezza cagiona la
dimenticanza del vero, dalla quale sola può
nascere l'allegrezza. Secondo, che gli uomini nello stato di natura,
cioè di vigore molto maggiore del presente, eran fatti per esser felici,
è[e] abbandonarsi alle illusioni, e vederle
e sentirle come cose vive e corporee e presenti.
[115,2] Gli esercizi con cui gli antichi si procacciavano il
vigore del corpo non erano solamente utili alla guerra, o ad eccitare l'amor
della gloria ec. ma contribuivano, anzi erano necessari a mantenere il vigor
dell'animo, il coraggio, le illusioni, l'entusiasmo che non saranno mai in un
corpo debole (vedete gli altri miei pensieri p.76
p.
96) in somma quelle cose che cagionano la grandezza e l'eroismo delle
nazioni. Ed è cosa già osservata che il vigor del corpo nuoce alle facoltà
intellettuali, e favorisce le immaginative, e per lo contrario l'imbecillità del
corpo è favorevolissimo[favorevolissima] al
riflettere, (7. Giugno 1820)
{{e chi riflette non opera, e poco immagina, e le {grandi} illusioni non son fatte per lui.}}
[130,2] A quello che ho detto p. 128. aggiungi. Il giovane che entra nel mondo vuol
diventarci qualche cosa. Questo è un desiderio comune e certo di tutti. Ma
oggidì il giovane privato non ha altra strada a conseguirlo fuorchè quella che
ho detto, o l'altra della letteratura che rovina parimente il corpo. Così la
gloria d'oggidì è posta negli esercizi che nuocciono alla salute, in luogo che
una volta era posta nei contrarii. E così per conseguenza s'infiacchiscono
sempre più le generazioni degli uomini, e questo effetto della mancanza
d'illusioni esistenti nel mondo come
una volta, divien cagione di questa stessa mancanza, a motivo del poco vigore
secondo quello che ho detto negli altri pensieri, p. 96
p. 115 della necessità del vigor del corpo alle grandi illusioni
dell'animo. Sono poi troppo noti gli spaventosi effetti della ordinaria vita
giovanile d'oggidì, che a poco a poco ridurranno il mondo a uno spedale. Ma che
rimedio ci trovereste? Che altra occupazione resta oggi a un giovane privato, o
che altra speranza? E credete che un giovane si possa contentare di una vita
inattiva,
131 senza nessuna vista, e nessuna aspettativa
fuorchè di un'eterna monotonia, e di una noia immutabile? Anticamente la vanità
era considerata come propria delle donne, perchè anche nelle donne c'è lo stesso
desiderio di distinguersi, e ordinariamente non ne hanno avuto altro mezzo che
quello della bellezza. Quindi il loro cultus sui,
*
il
quale diceva Celso che adimi feminis non potest.
*
Ora resta intorno alla
vanità la stessa opinione, che sia propria delle donne, ma a torto, perchè è
propria degli uomini quasi egualmente, essendo anche gli uomini ridotti alla
condizione appresso a poco delle femmine, rispetto alla maniera di figurare nel
mondo, e l'uomo vecchio per la massima parte, è divenuto inutile e spregevole, e
senza vita nè piaceri nè speranze, come la donna comunemente soleva e suol
divenire, che dopo aver fatto molto parlar di se, sopravvive alla sua fama
invecchiando. (22. Giugno 1820.).
[152,1] L'ubbriachezza mette in fervore tutte le passioni, e
rende l'uomo facile a tutte, all'ira, alla sensualità ec. massime alle dominanti
in ciascheduno. Così proporzionatamente il vigore del corpo. È famoso quello di S.
Paolo, castigo corpus
meum et in servitutem redigo.
*
In fatti in un
corpo debole non ha forza nessuna passione.
[163,1] Io riguardo l'indebolimento corporale delle
generazioni umane, come l'una delle principali cause del gran cangiamento del
mondo e dell'animo e cuore umano dall'antico al moderno. Così anche della
barbarie de' secoli di mezzo, stante la depravazione de' costumi sotto i primi
imperatori e in seguito, la quale è certa cagione d'infiacchimento corporale,
come
164 appresso i Persiani divenuti fiacchissimi (e
perciò barbari e privi di libertà) per la depravazione degli antichi costumi e
istituti che li rendevano vigorosissimi. V.
la Ciroped. cap. ult. art. 5. e segg. sino
al fine.
[254,1] Il costume e la massima di macerare la carne, e
indebolire il corpo per ridurlo, come dice S. Paolo, in servitù, dovea
necessariamente illanguidire le passioni e l'entusiasmo, e render soggetti anche
gli animi di chi cercava di soggiogare il corpo, e così per una parte
contribuire infinitamente a spegner la vita del mondo, per l'altra ad appianar
la strada al dispotismo, perchè non ci son forse uomini così atti ad esser
tiranneggiati
255 come i deboli di corpo, da qualunque
cagione provenga questa debolezza, o da lascivia e mollezza, come presso i
Persiani, che dopo il tempo di Ciro
divennero l'esempio dell'avvilimento e della servitù; o da macerazione ec. Nel
corpo debole non alberga coraggio, non fervore, non altezza di sentimenti, non
forza d'illusioni ec. (30. 7.bre 1820.). {{Nel corpo servo anche l'anima è
serva.}}
[280,3] L'abito dell'eroismo può essere in un corpo debole, ma
l'atto difficilmente, e non senza un grande
281 sforzo,
nè senza ripugnanza, e quasi contro natura. E perciò vediamo moltissimi che per
abito sono tutt'altro che eroi, far non di rado azioni eroiche; e viceversa.
Anzi si può dire che gli uomini d'abito di principii e d'animo eroico, lo sono
di rado nel fatto; e gli uomini eroici nel fatto, lo sono di rado nell'abito nei
sentimenti e nell'animo. {Estendete queste osservazioni
all'entusiasmo.}
[324,4] Il vino è il più certo, e (senza paragone) il più
efficace consolatore. Dunque il vigore; dunque la natura.
[473,3] Del vigore del corpo, quanto influisca sopra l'animo,
e in genere come lo stato dell'animo corrisponda a quello del corpo, v. alcune
sentenze degli antichi nella nota del Grutero a Velleio II. 102. sect. 2.
[661,2] Dell'influenza del corpo sull'animo, e dell'esercizio
sulla virtù, v. le sentenze di Diogene
ap. Laert. in Diog. Cyn. VI.
70. e quivi il Menag. se ha
nulla. (14. Feb. 1821.).
[1420,2] La forza anche passeggera del corpo, oltre gli
effetti altrove notati pp. 96-97
p.
115, rende anche più coraggiosi del solito, e meno suscettibili al
timore, anche
1421 de' pericoli straordinari ec. Quindi
i giovani sono più coraggiosi de' vecchi, e disprezzatori della vita, benchè
abbiano tanto più da perdere ec. {contro quella
osservazione} ordinarissima, che principal fonte di coraggio suol
essere l'aver poco a perdere ec. (31. Luglio 1821.).
[1581,1]
1581 Parecchie volte un vigore straordinario e
passeggero, cagiona al corpo e a' nervi un certo torpore, per cui l'animo
s'abbandona in seno di una negligenza circa le cose e se stesso, in maniera che
o vede tutto dall'alto, e come non gli appartenesse se non debolissimamente; o
non pensa quasi a nulla, e desidera e teme il meno che sia possibile. Questo
stato è per se stesso un piacere.
[1597,1]
1597 Tutto nella natura è armonia, ma soprattutto
niente in essa è contraddizione. Non è possibile che, massime in un medesimo
individuo, in un medesimo genere di esseri, e degli esseri più elevati
nell'ordine naturale, siccom'è l'uomo, la perfezione di una parte principale e
importantissima di esso, voluta e ordinata dalla natura, noccia a quella di
un'altra parte similmente principalissima. Ora se quella che noi chiamiamo
perfezione del nostro spirito, se la civiltà presente fosse stata voluta e
ordinata dalla natura, e se ella fosse insomma veramente la nostra perfezione,
allora la contraddizione assurda che ho detto, si verificherebbe; giacchè è
incontrastabile che questa pretesa perfezione dell'animo nuoce al corpo.
[1631,2] Chi vuol vedere l'effetto della civiltà sul vigore
del corpo, paragoni gli uomini civili ai contadini o ai selvaggi, i contadini
d'oggi a ciò che noi sappiamo del vigore antico. ec. (Omero, com'è noto, assai spesso chiama l'età sua
degenerata dalle forze de' tempi troiani.) Osservi di quanto è capace il corpo
umano, vedendo l'impotenza nostra assoluta di far ciò che fa il meno robusto de'
villani; i pericoli a cui noi ci esporremmo volendo esporci a qualcuno de' loro
patimenti; le vergognose usanze quotidiane di fuggir l'aria il sole ec. di
maravigliarsi come il tale o tale abbia potuto affrontarlo per questa o quella
circostanza; le malattie o incomodi che tutto giorno si pigliano per un
1632 menomo strapazzo del corpo, o fatica di mente ec.
e poi dica se la civiltà rafforza l'uomo; accresce la sua capacità e potenza; se
gli antichi si maraviglierebbero o no della impotenza nostra; se la natura
stessa se ne debba o no vergognare; e se noi medesimi non lo dobbiamo, vedendo
sotto gli occhi per l'una parte di quanto sia capace il corpo umano, senza
veruno sforzo straordinario, e per l'altra di quanto poco sia capace il nostro.
(5. Sett. 1821.).
[1633,1] Una perfetta immagine degl'ingegni possono essere le
complessioni. Chi nasce più robusto e meglio disposto, chi meno. L'esercizio
{del corpo} agguaglia il meno robusto, al più
robusto inesercitato. In parità d'esercizio, chi è nato debole non potrà mai
agguagliarsi a chi è nato robusto. Ma se a costui manca affatto l'esercizio,
egli, ancorchè nato il più robusto degli uomini, sarà non solo uguale, ma
inferiore al più debole degli uomini che abbia fatto notabile esercizio (Esempio
dei Galli rispetto ai Romani. V. il Dionigi del Mai lib. 14. c. 17.-19. ed altri).
1634 Dal che segue che l'esercizio assolutamente
parlando è superiore alla natura, e principal cagione della forza corporale.
{+(La natura però avea dato all'uomo
essenzialmente l'occasione e la necessità di esercitare il suo corpo. Quindi
l'esercizio essendo figlio della natura, lo è anche il vigore e il ben
essere che ne deriva. Lasciando che le generazioni de' forti sono pure
naturalmente forti, siccome viceversa, benchè ancor qui si possa notare il
gran potere dell'esercizio.} Applicate queste considerazioni a
qualsivoglia facoltà mentale. Similmente ponno applicarsi alle altre facoltà
corporali (o sieno radicalmente naturali, o del tutto acquisite, ma bisognose di
una disposizione naturale) diverse dalla forza. (5. Sett.
1821.).
[1699,2]
Alla p. 1562.
fine. Non si dà salvatichezza
in natura. Bensì per noi. Ciò vuol dire che non siamo quali dovevamo. Quello che
per noi è salvatico, o non doveva servirci, e non era destinato all'uomo, o non
è salvatico se non perchè noi siamo civili, e incapaci quindi di servircene come
avremmo dovuto, e come la natura avea destinato. Non si nega che la coltura, i
nesti ec. non migliorino le piante le frutta, e le razze loro, molte delle quali
1700 nel loro stato di salvatichezza, non ci potrebbero servire affatto, o ci
servirebbero, o diletterebbero assai meno. ec. Così dico degli animali. ec. Ma
questo miglioramento è relativo al nostro stato presente, non mica alla natura
di quelle razze ec. pretese migliorate, nè alla natura propria nostra. Infatti
quelle razze ec. coi miglioramenti che ricevono dalle nostri[nostre] arti, acquistano qualunque altra qualità fuorchè il
vigore, la robustezza, la sanità, la forza di resistere alle intemperie alle
fatiche ec. di operare ec. di crescere proporzionatamente ec. Anzi quanto
guadagnano in altre qualità (non proprie nè primitive loro) altrettanto perdono
in questa, ch'è il vero carattere della natura in tutte le sue opere, e senza la
cui rispettiva dose proporzionata alla natura di ciascun genere, l'individuo è
insomma in istato di malattia abituale. {
V. la Veterinaria di
Vegezio, prologo al lib.
2., nel passo riportato
dal Cioni, Lettera a G. Capponi sopra Pelagonio, not.
19.} Il vigore rispettivo è la prima e più necessaria
di tutte le facoltà, perchè insomma non è altro che la facoltà di pienamente
esercitare tutte le proprie facoltà, e tutte le qualità rispettive della propria
natura, e tutta la perfezion fisica della propria esistenza. Senza la qual
perfezione
1701 fisica (che la natura ha dato
immediatamente a tutti i generi, ed all'umano come agli altri, a differenza
della pretesa perfezione dell'animo), nè l'animo (che dipende in tutto dal
fisico) nè l'intero animale può mai essere se non imperfetto. (14. Sett.
1821.).
[1800,2] Il vigore o costante o effimero, produce nell'uomo
un gran sentimento di se
1801 stesso, lo rende nella
sua immaginazione superiore alle cose, agli altri uomini, alla stessa natura; lo
fa sfidare il potere delle disgrazie, le persecuzioni, i pericoli, le
ingiustizie ec. ec.; lo fa pieno di coraggio ec. ec. in somma l'uomo vigoroso si
sente, si giudica padrone del mondo, e di se medesimo, e veramente uomo.
(28. Sett. 1821.)
[1953,1] Tutte le sensazioni di vigore (se questo non è
eccessivo rispettivamente alla specie e all'individuo) sono piacevoli.
Consultate i medici. Dal che apparisce che il vigore essendo piacevole per se
stesso, egli è destinato precisamente dalla natura agli animali, e forma parte
essenziale del loro ben essere, e questo non può star senza quello. (20.
Ott. 1821.).
[1975,1] Un uomo di forte e viva immaginazione, avvezzo a
pensare ed approfondare, in un punto di straordinario e passeggero vigore
corporale, di entusiasmo, {+di
disperazione, di vivissimo dolore o passione qualunque, di pianto, insomma di
quasi ubbriachezza, e furore,} ec. scopre delle verità che molti
secoli non bastano alla pura e fredda e geometrica ragione per iscoprire; e che
annunziate da lui non sono ascoltate, ma considerate come sogni, perchè lo
spirito umano manca tuttavia delle condizioni necessarie per sentirle, e
comprenderle come verità, e perch'esso non può universalmente fare in un punto
tutta la strada che ha fatto quel pensatore, ma segue necessariamente la sua
marcia, e il suo progresso gradato, senza sconcertarsi. Ma l'uomo in quello
stato vede tali rapporti, passa da una proposizione all'altra così rapidamente,
ne comprende così vivamente e facilmente il legame, accumula in un momento
1976 tanti sillogismi, e così ben legati e ordinati, e
così chiaramente concepiti, che fa d'un salto la strada di più secoli. E forse
esso stesso dopo quel punto, non crede più alle verità che allora avea concepite
e trovate, cioè o non si ricorda, o non vede più con egual chiarezza, i
rapporti, le proposizioni, i sillogismi, e le loro concatenazioni che l'avevano
portato a quelle conseguenze. Il mondo alla fine è sempre in istato di freddo, e
le verità scoperte nel calore, per grandi che siano non mettono radici nella
mente umana, finchè non sono sanzionate dal placido progresso della fredda
ragione, arrivata che sia dopo lungo tempo a quel segno. Grandi verità
scoprivano certamente gli antichi colla lor grande immaginazione, grandi salti
facevano nel cammino della ragione, ridendosi della lentezza, e degl'infiniti
mezzi che abbisognano al puro raziocinio ed esperienza per avanzarsi
altrettanto, grandi spazi occupati poi da' loro posteri, preoccupavano essi e
1977 conquistavano in un baleno, ma questi
progressi restavano necessariamente individuali, perchè molto tempo abbisognava
a renderli generali; queste conquiste non si conservavano, anzi erano piuttosto
viaggi che conquiste, perchè l'individuo penetrava solamente in quei nuovi
paesi, e li riconosceva, senza esser seguito dalla moltitudine che vi stabilisse
il suo dominio; i progressi de' grandi individui non giovavano gli uni agli
altri, perchè mancanti di una disposizione generale e comune nel mondo, che li
rendesse intelligibili gli uni agli altri, mancanti anche di una lingua atta a
stabilire, dar corpo, determinare e render a tutti egualmente chiaro quello che
ciascun individuo scopriva. Così che gli antichi grandi spiriti penetravano
nelle terre della verità, ciascuno isolatamente, e senza aiutarsi l'un l'altro,
e quando anche si scontrassero nel cammino, o giungessero ad un medesimo
1978 punto, e quivi casualmente si riunissero, non si
riconoscevano; e tornati dalla loro corsa, e narrandola altrui, non
s'accorgevano di dir le stesse cose, nè il pubblico se n'avvedeva, perchè non le
dicevano allo stesso modo, mancando di un linguaggio filosofico, uniforme; oltre
che le stesse ragioni che impedivano all'universale di riconoscere quelle
proposizioni per pienamente vere, gl'impediva altresì di scoprire l'uniformità
che esisteva tra le proposizioni e i sentimenti di questo e di quel grand'uomo.
E così le grandi scoperte de' grandi antichi, appassivano, e non producevano
frutto, e non erano applicate, mancando i mezzi e di coltivarle, e di aiutare e
legare una verità coll'altra mediante il commercio de' pensieri, e della società
pensante. (23. Ott. 1821.).
[2204,1]
È degno di esser letto l'ultimo capo del
Κυνηγετικός di Senofonte, dove inveisce contro i sofisti,
dimostra l'utilità e necessità delle assuefazioni ed esercizi corporei vigorosi,
dice particolarmente che bisogna seguir prima di tutto la natura, (§. δ.') ec.
V. ancora il capo precedente che contiene un bell'elogio della caccia,
occupazione naturalissima e primitiva, degna veramente dell'uomo, e conducente
alla felicità naturale. (1. Dic. 1821.).
[2455,1]
2455
Tῶν δὲ σωμάτων
ϑηλυνομένων
*
(si corpora effeminentur), καὶ
αἱ ψυχαὶ πολὺ ἀῤῥωστότεραι γίγνοντι
*
Socrate ap. Senofon.
Econom. c. 4. §. 2.
(3. Giugno. 1822.).
[2544,1] Quello ch'altrove ho detto pp. 1624-25 del
modo che in greco si chiama la malattia, cioè debolezza (ἀσϑένεια), si deve anche dire del latino, infirmitas, infirmus. (4. Luglio. 1822.).
{{Così anche languor ec.}}
[2752,1]
Alla p. 2739.
fine. In primavera non è dubbio che la vita nella natura è maggiore,
o, se non altro, è maggiore il sentimento della vita, a causa della diminuzione
{e torpore} di esso sentimento cagionato dal
freddo, e del contrasto fra il nuovo sentimento, o fra il ritorno di esso, e
l'abitudine contratta nell'inverno. Questo accrescimento di vita
2753 (chiamiamolo così) è comune in quella stagione,
come alle piante e agli animali, così agli uomini, e massime agli individui
giovani, sì delle predette specie, come dell'umana. Ora indubitatamente non è
alcuno, se non altro de' giovani, che in quella stagione non sia più malcontento
del suo stato {e di se,} che negli altri tempi
dell'anno (parlando astrattamente e generalmente, senza relazione alle
circostanze particolari, o vogliamo dire, in parità di circostanze). Tanto è
vero che il sentimento dell'infelicità si accresce o si scema in proporzione
diretta del sentimento della vita, e che l'aumento di questo è inseparabile
dall'aumento di quello. (4. Giugno 1823.). {+V. p. 2926.
fine.} Così una sventura particolare opera maggior
effetto e più dolorosa impressione in un temperamento forte e vivo, e lo abbatte
di più che non un temperamento debole, contro quello che parrebbe dovesse
essere, {+e che il volgo crede e
dice.} E la causa di ciò, non è, come si suol dire, la
maggior resistenza che un temperamento
2754 forte
oppone alla sventura e al dolore, ma il maggior grado di vita, e quindi la
maggiore intensità di amor proprio e {il maggior}
desiderio di felicità, che nasce dal maggior vigore; nè qui ha che far la
rassegnazione, o piuttosto essa non è altro che un sentir meno il dolore. Se il
dolore faceva quasi una strage nell'uomo antico, siccome fa nel selvaggio; se
gli antichi, come ora i selvaggi, erano portati dalla sventura fino alle smanie
e al furore, a incrudelire contro il proprio corpo, al deliquio, al totale
spossamento di forze, al deperimento della salute, all'infermità, alla morte o
volontaria o naturale, ciò non proveniva, come si dice, dal non essere
assuefatti al dolore. Qual è l'uomo vivo che non sia accostumato a soffrire? Ma
proveniva dal maggior vigore di corpo ch'era negli antichi ed è ne' selvaggi, a
paragone de' moderni e civili. E forse questa, più che la minore assuefazione, è
la causa che i giovani siano più sensibili
2755 alle
sventure e più suscettibili di dolore che i vecchi; o certo questa n'è in
grandissima parte la causa. Massimamente osservando che questa differenza si
trova anche fra giovani assuefatissimi[assuefattissimi] alle calamità, ed informatissimi, per dottrina, di
quanto convenga patire in questa vita, e vecchi assuefatti ad aver sempre avuto
ogni cosa a lor modo, ignorantissimi, e persuasissimi che questa terra sia la
più felice abitazione del mondo, e la vita il sommo bene degli uomini (4.
Giugno 1823.).
[3179,1] È cosa indubitata che la civiltà ha introdotto nel
genere umano mille spezie di morbi che prima di lei non si conoscevano, nè senza
lei sarebbero state; e niuna, che si sappia, n'ha sbandito, o seppur qualcuna,
così poche, e poco acerbe e poco micidiali, che sarebbe stato incomparabilmente
meglio restar con queste che cambiarle con la moltitudine, fierezza e mortalità
di quelle. (Vediamo infatti quanto poche e blande sieno le malattie spontanee
degli altri animali, massime salvatichi, cioè non corrotti da noi; e similmente
de' selvaggi, e massime de' più
3180 naturali, come i
Californii; e che anche quelle degli agricoltori sono molte più poche e rare e
men feroci che quelle de' cittadini). È parimente indubitato che la civiltà
rende l'uomo inetto a mille fatiche e sofferenze che egli avrebbe e potuto e
dovuto tollerare in natura, e suscettibilissimo d'esser danneggiato da quelle
fatiche e patimenti che, o per natura generale o per circostanze particolari,
egli è obbligato a sostenere, e che nello stato naturale avrebbe sostenuto senza
verun detrimento, e, almeno in parte, senza incomodo. È indubitato che la
civiltà debilita il corpo umano, a cui per natura (siccome a ogni altra cosa
proporzionatamente) si conviene la forza, e {il}
{quale} privo di forza, o con minor forza della sua
natura, non può essere che imperfettissimo; {+e ch'ella rende propria dell'uomo {civile} la delicatezza rispettiva di corpo, qualità che in natura
non è propria nè dell'uomo nè di veruno altro genere di cose, nè dev'esserlo
(vedi la pag. 3084.
segg. ).} È indubitato che le generazioni umane peggiorano
in quanto al corpo di mano in mano, ogni generazione più, sì per se stessa, sì
perch'ella così peggiorata non può non produrre una generazione peggior di se
ec. ec. Da tutte queste e da cento altre cose, da me altrove in diversi luoghi
considerate pp. 68-69
pp. 830-38
pp. 1597-602
pp.
1631-32, si fa più che certissimo e si tocca con mano, che i progressi
della civiltà portano seco e producono inevitabilmente il successivo
deterioramento
3181 del suo fisico,
deterioramente[deterioramento] sempre
crescente in proporzione d'essa civiltà. Nei progressi della civiltà, e non in
altro, consiste quello che i nostri filosofi, e generalmente tutti, chiamano
oggidì (e molti anche in antico) il perfezionamento dell'uomo e dello spirito
umano. È dunque dimostrato e fuori di controversia che il perfezionamento
dell'uomo include, non accidentalmente ma di necessità inevitabile, il
corrispondente e sempre proporzionato deterioramento e, per così dire,
imperfezionamento di una piccola parte di esso uomo, cioè del suo corpo: di modo
che quanto l'uomo s'avanza verso la perfezione, tanto il suo fisico cresce nella
imperfezione; e quando l'uomo sarà pienamente perfetto, il corpo umano, {generalmente parlando,} si troverà nel peggiore stato
ch'e' mai siasi trovato, e {in} che gli sia possibile
di trovarsi generalmente. Se con ciò si possa giustamente chiamare
perfezionamento, quello che oggi s'intende sotto questo nome, cioè se
l'incremento della civiltà sia perfezionamento dell'uomo, e la perfezione della
civiltà perfezione dell'uomo; se una tal perfezione ci possa essere stata
destinata dalla natura;
3182 se la nostra natura la
richiegga ed a lei tenda; se veruna natura richiegga o possa richiedere una
perfezione di questa sorta; se perciò che l'uomo è civilizzabile, e in quanto
egli è civilizzabile, ei sia, come dicono, e come stabiliscono {e dichiarano} per fuori d'ogni controversia,
perfettibile; si lascia giudicare a chiunque non è ancor tanto perfezionato,
tanto vicino all'ultima perfezione dell'uomo, ch'egli abbia perduto affatto
l'uso del raziocinio, {e non serbi neppur tanta parte del
discorso naturale quanta è} propria ancora degli altri viventi.
(17. Agosto. Domenica. 1823.).
[3552,2]
Alla p. 3388.
Il vino (ed anche il tabacco e simili cose) e tutto ciò che produce uno
straordinario vigore o del corpo tutto o della testa, non pur giova
all'immaginazione, ma eziandio all'intelletto, ed all'ingegno generalmente, alla
facoltà di ragionare, di pensare, e di trovar delle verità ragionando (come ho
provato più volte per esperienza), all'inventiva ec. Alle volte per lo contrario
giova sì all'immaginazione, sì all'intelletto, alla mobilità del pensiero e
della mente, alla fecondità, alla copia, alla facilità e prontezza dello
spirito, del parlare, del ritrovare, del raziocinare, del comporre, {#1. alla prontezza della memoria, alla
facilità di tirare le conseguenze, di conoscere i rapporti ec. ec.}
ec. una certa debolezza di corpo, di nervi ec.
3553 una
rilasciatezza non ordinaria ec. come ho pure osservato in me stesso più volte.
Altre volte all'opposto.
[3835,1] L'esaltamento di forze proveniente da' liquori o da'
cibi o da altro accidente (non morboso), se non cagiona, come suole sovente, un
torpore e una specie di assopimento letargico (come diceva il Re di Prussia), essendo un
accrescimento di vita, accresce l'effetto essenziale di essa, ch'è il desiderio
del piacere, perocchè coll'intensità della vita cresce {quella del}l'amor proprio, e l'amor proprio è desiderio della propria
felicità, e la felicità è piacere {#1. V. p. 3905.}
{Puoi vedere la p. 3842. seg..} Quindi l'uomo in quello
stato è oltre modo, e più ch'ei non suole, avido {e
famelico} di sensazioni piacevoli, e inquieto per questo desiderio, e
le cerca, e tende con più forza e più direttamente e immediatamente al vero fine
della sua vita e del suo essere e di se stesso, e alla vera somma e sostanza
ultima della felicità, ch'è il piacere, poco, {o men del suo
solito,} curando le altre cose, che spesso son fini delle operazioni e
desiderii umani, ma fini secondarii, benchè tuttogiorno si prendano per primarii
{e per felicità}; perch'essi stessi tendono
essenzialmente ad un altro fine, e tutti ad un fine medesimo, cioè a dire al
piacere. In somma l'uomo è allora rispetto a se stesso ed al solito suo, quello
che sono {sempre} i più forti rispetto agli altri, cioè
più sitibondi della felicità, e più inquieti da' desiderii, cioè dal desiderio
della propria felicità, e più immediatamente e specialmente, e in modo più
espresso, sensibile e manifesto sì agli altri che a se medesimi, avidi del
piacere
3836 (al quale tutti tendono e sempre, ma i più
forti più, e più immediatamente e chiaramente, o ciò più spesso e più
ordinariamente degli altri), perocch'essi sono {abitualmente} più vivi degli altri.
[3881,4] Il vino, il cibo ec. dà talvolta una straordinaria
prontezza vivacità, rapidità, facilità, fecondità d'idee, di ragionare,
d'immaginare, di motti, d'arguzie, sali, risposte ec. vivacità di spirito,
furberie, risorse, trovati, sottigliezze grandissime di pensiero, profondità,
verità astruse, tenacità
3882 e continuità ed esattezza
di ragionamento anche lunghissimo e induzioni successive moltissime, senza
stancarsi, facilità di vedere i più lontani e sfuggevoli rapporti, e di passare
rapidamente dall'uno all'altro senza perderne il filo ec. volubilità somma di
mente ec. Questo secondo le condizioni particolari delle persone, ed anche le
loro circostanze sì attuali {in quel punto,} sì
abituali in quel tempo, sì abituali nel resto della vita ec. Ma quello
accrescimento di facoltà prodotto dal vino, {{ec.}} è
indipendente per se stesso dall'assuefazione. E gli uomini più stupidi di
natura, d'abito ec. divengono talora in quel punto spiritosi, ingegnosissimi ec.
{+V. p. 3886.} Questo si applichi alle mie
osservazioni p. 1553
pp. 1819-22
pp. 3197-206
pp. 3345-47 dimostranti che il talento {e le
facoltà dell'animo ec.} essendo in gran parte cosa fisica, e influita
dalle cose fisiche ec. la diversità de' talenti in gran parte è innata, e
sussiste {anche} indipendentemente dalla diversità
delle assuefazioni, esercizi, circostanze, coltura ec. (14. Nov.
1823.).
[3921,1]
3921 Dico altrove in più luoghi p. 1382
pp. 2410-14
pp. 2736-39
pp.
3291. sgg.
pp. 3835-36
p.
3906 che gli uomini e i viventi più forti o per età o per complessione
{o per clima} o per qualunque causa, abitualmente o
attualmente o comunque, avendo più vita ec. hanno anche più amor proprio ec. e
quindi sono più infelici. Ciò è vero per una parte. Ma essi sono anche tanto più
capaci e di azion viva ed esterna, e di piaceri {forti
e} vivi. Quindi tanto più capaci di viva distrazione ed occupazione, e
di poter fortemente divertire l'operazione {interna}
dell'amor proprio e del desiderio di felicità sopra loro stessi e sul loro
animo. La qual potenza ridotta in atto è uno de' principalissimi mezzi, anzi
forse il principal mezzo di felicità o di minore infelicità conceduto ai
viventi. (Io considero quelli che si chiamano piaceri come utili e conducenti
alla felicità, solo in quanto distrazioni forti, e vivi divertimenti dell'amor
proprio, (chè infatti essi non sono utili in altro modo) e tanto più forti
distrazioni, quanto più vivi e forti sono essi piaceri, così chiamati, e
maggiore il loro essere di piacere, e la sensazion loro più viva. I deboli sono
incapaci di piaceri forti, o solo di rado e poco frequenti, e men forti sempre
che non ne provano i vigorosi, perchè la lor natura non ha la facoltà o di
sentire più che tanto vivamente, o di sentire piacevolmente quando le sensazioni
sieno più che tanto vive.) Se l'uomo forte in qualunque modo, è privo, per
qualunque cagione, di piaceri, o di piaceri abbastanza forti, e di sensazioni
vive, e di poter mettere in opera la sua facoltà di azione, o di metterla in
opera più che il debole, egli è veramente più infelice che il debole, e soffre
3922 di più. Perciò, fra le altre cose, nel
presente stato delle nazioni e quanto alla sua natura, i giovani sono
generalmente più infelici dei vecchi, e questo stato è più conveniente e buono
alla vecchiezza che alla giovanezza. L'uomo forte è meno infelice del debole in
uguali dispiaceri e dolori; più infelice s'egli è privo di piaceri, o di piaceri
più vivi {e frequenti} che non son quelli del debole.
Egli {è} più atto a soffrire, e meno atto a non godere;
o vogliamo dire men disadatto all'uno, e più disadatto all'altro.
[4289,1] Ci resta ancora molto a ricuperare della civiltà
antica, dico di quella de' greci e de' romani. Vedesi appunto da quel tanto
d'instituzioni e di usi antichi che recentissimamente si son rinnovati: le
scuole e l'uso della ginnastica, l'uso dei bagni e simili. Nella educazione
fisica della gioventù e puerizia, nella dieta corporale della virilità e d'ogni
età dell'uomo, in ogni parte dell'igiene pratica, in tutto il fisico della
civiltà, {+v. p. 4291.} gli antichi ci sono ancora
d'assai superiori: parte, se io non m'inganno, non piccola e non di poco
momento. La tendenza di questi ultimi anni, più decisa che mai, al miglioramento
sociale, ha cagionato e cagiona il rinnovamento di moltissime cose antiche, sì
fisiche, sì politiche e morali, abbandonate e dimenticati[dimenticate] per la barbarie, da cui non siamo ancora del
tutto risorti. Il presente progresso della civiltà, è ancora un risorgimento;
consiste ancora, in gran parte, in ricuperare il perduto. (18. Sett.
1827.)
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