17. 8.bre 1820.
[280,2] Anche la mancanza {sola} del
presente è più dolorosa al giovine che a qualunque altro. Le illusioni in lui
sono più vive, e perciò le speranze più capaci di pascerlo. Ma l'ardor giovanile
non sopporta la mancanza intera di una vita presente, non è soddisfatto del solo
vivere nel futuro, ma ha bisogno di un'energia attuale, e la monotonia e
l'inattività presente gli è di una pena di un peso di una noia maggiore che in
qualunque altra età, perchè l'assuefazione alleggerisce qualunque male, e l'uomo
col lungo uso si può assuefare anche all'intera e perfetta noia, e trovarla
molto meno insoffribile che da principio. L'ho provato io, che della noia da
principio mi disperava, poi questa crescendo in luogo di scemare, tuttavia
l'assuefazione me la rendeva appoco appoco meno spaventosa, e più suscettibile
di pazienza. La qual pazienza della noia in me divenne finalmente affatto
eroica. {Esempio de' carcerati, i quali talvolta si sono
anche affezionati a quella vita.}
[280,3] L'abito dell'eroismo può essere in un corpo debole, ma
l'atto difficilmente, e non senza un grande
281 sforzo,
nè senza ripugnanza, e quasi contro natura. E perciò vediamo moltissimi che per
abito sono tutt'altro che eroi, far non di rado azioni eroiche; e viceversa.
Anzi si può dire che gli uomini d'abito di principii e d'animo eroico, lo sono
di rado nel fatto; e gli uomini eroici nel fatto, lo sono di rado nell'abito nei
sentimenti e nell'animo. {Estendete queste osservazioni
all'entusiasmo.}
[281,1] Quell'usignuolo di cui dice Virgilio
nell'episodio d'Orfeo, che
accovacciato su d'un ramo, va piangendo tutta notte i suoi figli rapiti, e colla
miserabile sua canzone, esprime un dolor profondo, continuo, ed
acerbissimo, senza moti di vendetta, senza cercare riparo al suo male, senza
proccurar di ritrovare il perduto ec. è compassionevolissimo, a cagione di
quell'impotenza ch'esprime, secondo quello che ho detto in altri pensieri. p.
108
p.
164
p. 196
p.
211.
[281,2]
Il Buffon
Hist. nat. de l'homme, combatte
coloro i quali credono che la separazione dell'anima dal corpo debba essere
dolorosissima per se stessa. A' suoi argomenti aggiungi questo, che forse è il
più concludente. Se volessimo considerar l'anima come materiale, già non si
tratterebbe più di separazione, e la morte non sarebbe altro che un'
282 estinzione della forza vitale, in qualunque cosa
consista, certo facilissima a spegnersi. Ma considerandola come spirituale, è
ella forse un membro del corpo, che s'abbia a staccare, e perciò con gran
dolore? O non piuttosto i legami tra lo spirito e la materia, qualunque sieno,
certo non sono materiali, e l'anima non si svelle come un membro, ma parte
naturalmente quando non può più rimanere, nello stesso modo che una fiamma si
estingue e parte da quel corpo dove non trova più alimento, nel che, per dire
un'immagine, noi non vediamo nè ci figuriamo neanche astrattamente nessuna
violenza e nessun dolore sia nel combustibile sia nella fiamma. La morte
nell'ipotesi della spiritualità dell'anima, {non} è una
cosa positiva ma negativa, non una forza che la stacchi dal corpo, ma un
impedimento che le vieta di più rimanervi, posto il quale impedimento, l'anima
parte da se, perchè manca il come abitare nel corpo, non perchè una forza
violenta ne la sradichi e rapisca. Giacchè se l'anima è spirito, non bisogna
considerarla come parte del corpo, ma come ospite di esso corpo, e tale che
l'entrata e l'uscita sua sia facilissima leggerissima e dolcissima, non
essendoci mica nervi nè membrane nè ec. che ve la tengano attaccata, o
283 catene che ve la tirino quando deve entrarvi. E
quando v'entra, la cosa è insensibile, e l'uomo certamente non se ne avvede;
così la sua uscita dev'essere insensibile, e tutta diversa dalla nostra maniera
di concepire. Come l'uomo non s'accorge nè sente il principio della sua
esistenza, così non sente nè s'accorge del fine, nè v'è istante determinato per
la prima conoscenza {e sentimento} di quello nè di
questo. V. p.
290.
[283,1] Qualunque uomo nuovo tu veda, purch'egli viva nel
mondo, tu sei certo di non errare, tenendolo subito per un malvagio, qualunque
sia la sua fisonomia, le maniere, il portamento, le parole, le azioni ec. E chi
vuol mettersi al sicuro deve subito giudicarlo per tale, e appresso a poco non
troverà mai di avere sbagliato veramente, non ostante che tutte le apparenze gli
possano dimostrare il contrario per lunghissimo tempo. Nello stesso modo, e per
la stessa ragione è pur troppo acerbissima oggidì la condizione dell'uomo da
bene che si unisce in matrimonio. Perchè s'egli non intende di portare e far
sempre vivere i suoi figli nelle selve, deve tenere per indubitatissimo
284 fino da quel primo punto, che il suo matrimonio non
frutterà al mondo altro che qualche malvagio di più. E questo non ostante
qualunque indole, qualunque cura o arte di educazione ec. Perchè da che un uomo
qualunque dovrà entrare nella società, è quasi matematicamente certo che dovrà
divenire un malvagio, se non tutto a un tratto, certo a poco a poco; se non del
tutto, certo in gran parte, a proporzione degli ostacoli ch'esso gli opporrà, ma
che in tutti i modi certamente saranno vinti. E parimente dovrebb'esser
dolorosissimo per l'uomo da bene il considerare nel mentre che alleva i suoi
figli, che qualunque sua cura, qualunque immaginabile speranza di virtù, ch'egli
ne possa concepire, è certissimo per infallibile e continua esperienza, che
saranno, almeno in gran parte, inutili e vane. Sicchè tutto quello che può
ragionevolmente sperare e cercare il buon educatore, è d'istillare ne' suoi
figli tanta dose di virtù, che venendo senza fallo a scemare, pur ne resti
qualche poco, a proporzione della prima quantità. Questa sarebbe ben altra
risposta da darsi a chi vi consigliasse d'ammogliarvi, o v'interrogasse perchè
non l'abbiate fatto. Al che Talete
interrogato
285 da Solone, dicono che
rispondesse col mostrargli le inquietudini e i dolori del padre per li pericoli
o le sventure della sua prole. Ma ora si potrebbe rispondere: per non procreare
dei malvagi: per non dare al mondo altri malvagi. (17. 8.bre
1820.).