Vecchi, perchè amino tanto la vita.
Old people, why they love life so much.
294,1 1420,2 2643,1 2987,3 3029,2 4116,1[294,1] Le cagioni dell'amore dei vecchi alla vita e del timor
della morte, i quali par che crescano in proporzione che la vita è meno amabile,
e che la morte può
295 privarci di minore spazio di
tempo, e di minori godimenti, anzi di maggiori mali (fenomeno discusso
ultimamente dai filosofi tedeschi che ne hanno recato mille ragioni fuorchè le
vere: v. lo Spettatore di
Milano), sono, oltre quella che ho recata,
mi pare, negli abbozzi della Vita di Lorenzo Sarno, queste altre.
1. Che coll'ardore e la forza della vitalità e dell'esistenza, si estingue o
scema il coraggio, e quindi a proporzione che l'esistenza è meno gagliarda,
l'uomo è meno forte per poterla disprezzare, e incontrarne o considerarne la
perdita. Anche i giovani più facili a disprezzar la vita, coraggiosissimi nelle
battaglie e in ogni rischio, sono bene spesso paurosissimi nelle malattie, tanto
per la detta cagione della minor forza del corpo, e quindi dell'animo, quanto
perchè non possono opporre alla morte quell'irriflessione, quel movimento,
quell'energia, che gl'impedisce di fissarla nel viso, in mezzo ai rischi attivi.
2. Che molte cose vedute da lungi paiono facilissime ad incontrare, e niente
spaventose, e in vicinanza riescono terribili, e poi ci si trovano mille
difficoltà, mille crepacuori; affezioni, progetti ec. che da lontano pareano
facili ad abbandonare
296 per forza di ardore di
entusiasmo, o di passione, disperazione ec. e da vicino rincrescono
infinitamente quando la passione è sparita, e le cose si considerano
quietamente. 3. Che la natura ha posto negli esseri viventi sommo amor della
vita, e quindi odio della morte, e queste passioni ha voluto e fatto che fossero
cieche, e non dipendessero dal calcolo delle utilità, della maggiore o minor
perdita ec. Quindi è naturale che gli effetti di questo amore e di quest'odio
crescano in proporzione che la cosa amata è più in pericolo, e più bisognosa di
cure per conservarla, e la cosa odiata più vicina. 4. Che i beni si disprezzano
quando si possiedono sicuramente, e si apprezzano quando sono perduti, o si
corre pericolo o si è in procinto di perderli. E come quel disprezzo era
maggiore del giusto, così anche questa stima suol eccedere i limiti in
qualsivoglia cosa. Ora il giovane, per quanto è concesso all'uomo, è il vero
possessor della vita; il vecchio la possiede come precariamente. 5. Che la
felicità o infelicità non si misura dall'esterno ma dall'interno. Il vecchio per
l'assuefazione è meno suscettibile
297 di mali, e meno
sensibile a quelli che gli avvengono; per l'estinzione dell'impeto e
dell'inquietudine giovanile, meno bisognoso dei beni che gli mancano, meno vivo
nei desideri, più facile a soffrir la privazione di ciò che desidera, e a
desiderar cose dove possa agevolmente esser soddisfatto. Laonde la vita del
vecchio non è più infelice di quella del giovane, anzi forse più felice secondo
la sesta considerazione. 6. Che la vita metodica, tranquilla e inattiva non è
penosa ma piacevole, quando s'accordi col metodo, calma, e inattività
dell'individuo. Certo il giovane muore in una tal condizione, ma la condizione
ch'egli desidera, specialmente nello stato presente del mondo, è difficilissima
o impossibile a conseguire. Egli non trova altro che il nulla da cui fugge; il
vecchio lo desidera, lo cerca, lo trova come tutti gli altri di qualunque età, e
a differenza delle altre età, se ne compiace, o almeno non se ne duole, o certo
lo soffre con pazienza, e quando l'uomo è perfettamente paziente, allora non può
non amar la vita, perchè questa è amabile per natura. Aggiungete la tempesta
delle passioni, dalla
298 dalla quale il vecchio è
libero, la tempesta del mondo, della società, degli affari, delle azioni, degli
stessi diletti, quella tempesta nella quale il giovane, anche dopo averla
sospirata in mezzo alla noia, sospira il riposo e la calma. Anzi è certo che lo stato naturale è il riposo e la quiete, e
che l'uomo anche più ardente, più bisognoso di energia, tende alla calma
{e all'inazione}
continuamente in quasi tutte le sue operazioni. Osservate ancora che la
vita metodica era quella dell'uomo primitivo, e la più felice vita, non sociale,
ma naturale. Osservate anche oggidì l'impressione che fa l'aspetto di essa vita
rurale o domestica, nelle persone più dissipate, o più occupate, e com'ella par
loro la più felice che si possa menare. È vero che ella ordinariamente è tale
quando consiste in un metodo di occupazioni, e tale era nei primitivi, e nei
selvaggi sempre occupati ai loro bisogni, o ad un riposo figlio e padre della
fatica e dell'azione. Ma in ogni modo l'uomo avvezzandosi anche alla pura
inazione, ci si affeziona talmente che l'attività gli riuscirebbe
299 penosissima. Si vedono bene spesso de' carcerati
ingrassare e prosperare, ed esser pieni di allegria, nella stessa aspettazione
di una sentenza che decida della loro vita. Dove anzi l'imminenza del male,
accresce il piacere del presente, cosa già osservata dagli antichi (come da Orazio), anzi famosa tra loro, e provata
da me, che non ho mai sperimentato tal piacere della vita, e tali furori di
gioia maniaca ma schiettissima, come in alcuni tempi ch'io aspettava un male
imminente, e diceva a me stesso; ti resta tanto a godere e
non più, e mi rannicchiava in me stesso, cacciando tutti gli altri
pensieri, e soprattutto di quel male, per pensare solamente a godere, non
ostante la mia indole malinconica in tutti gli altri tempi, e riflessivissima.
Anzi forse questa accresceva allora l'intensità del godimento, o della
risoluzione di godere. Applicate anche questa settima considerazione ai vecchi.
V. p. 121. pensiero 3. e
confrontalo, rettificalo, ed accrescilo con questo, e questo con quello.
(23. 8.bre 1820.).
[1420,2] La forza anche passeggera del corpo, oltre gli
effetti altrove notati pp. 96-97
p.
115, rende anche più coraggiosi del solito, e meno suscettibili al
timore, anche
1421 de' pericoli straordinari ec. Quindi
i giovani sono più coraggiosi de' vecchi, e disprezzatori della vita, benchè
abbiano tanto più da perdere ec. {contro quella
osservazione} ordinarissima, che principal fonte di coraggio suol
essere l'aver poco a perdere ec. (31. Luglio 1821.).
[2643,1]
2643 L'amor della vita cresce quasi come l'amor del
danaio, e, com'esso, cresce in proporzione che dovrebbe scemare. Perciocchè i
giovani disprezzano e prodigano la vita loro, ch'è pur dolce, e di cui molto
avanza loro; e non temono la morte: e i vecchi la temono sommamente, e sono
gelosissimi della propria vita, ch'è miserabilissima, e che ad ogni modo poco
hanno a poter conservare. E così il giovane scialacqua il suo, come s'egli
avesse a morire fra pochi dì, e il vecchio accumula e conserva e risparmia come
s'avesse a provvedere a una lunghissima vita che gli restasse. (24. Ottob.
1822.).
[2987,3] La gioventù non era fra gli antichi un bene inutile,
e un vantaggio di cui niun frutto si potesse cavare, nè la vecchiezza era uno
incomodo e uno
2988 svantaggio che niun bene, {niun comodo,} niun godimento togliesse, e niuna
privazione recasse seco. Quindi e molto meno frequente che a' tempi nostri era
il numero di quelli che in gioventù si uccidevano, e molti più vecchi suicidi si
trovano commemorati nell'antichità che non si veggono al presente. Come dire
Pomponio Attico e molti filosofi
greci e romani. Perocchè al presente le contrarie cagioni producono effetto
contrario. Il giovane moltissimo desidera e nulla ha, neppure ha come distrarre,
divertire, ingannare il suo desiderio, e occupare la sua forza vitale,
adoperarla, sfogarla. Quindi più giovani suicidi oggidì che fra gli antichi non
pur giovani solamente, ma giovani e vecchi insieme. Il vecchio nulla perde per
la vecchiezza, e poco, o meno ferventemente e impetuosamente e smaniosamente,
desidera. Quindi è così raro un vecchio suicida oggidì, che parrebbe quasi
miracolo. E pure il giovane che si uccide, privasi della gioventù, e rinunzia a
una vita, ch'ei si può ancora promettere,
2989 di molti
anni. Il vecchio si priva della vecchiezza (qual privazione Dio buono) e
rinunzia a pochi anni o mesi di vita. Nonpertanto per mille giovani suicidi
appena e forse neanche si troverà oggi un solo vecchio suicida, e questo, se pur
si troverà, sarà forse tale per qualche estrema disgrazia, in qualche caso ove
la vita fosse già disperata, e per salvarsi da una morte più trista, e sicura.
Ma neanche nell'estreme sventure è costume de nostri vecchi il ricorrere
volontariamente alla morte. Applicate queste considerazioni a quello che ho
detto altrove p. 294
p.
2643 circa l'amor della vita nei vecchi, l'amore e la cura della vita
crescenti in proporzione che per l'aumento dell'età scema il valore d'essa vita.
(18. Luglio 1823.).
[3029,2] In molte altre cose l'andamento, il progresso, le
vicende, la storia del genere umano è simile a quella di ciascuno individuo poco
meno che una figura in grande somigli alla medesima figura fatta
3030 in piccolo; ma fra l'altre cose, in questa. Quando
gli uomini avevano pur qualche mezzo di felicità o di minore infelicità ch'al
presente, quando perdendo la vita, perdevano pur qualche cosa, essi
l'avventuravano spesso e facilmente e di buona voglia, non temevano, anzi
cercavano i pericoli, non si spaventavano della morte, anzi l'affrontavano tutto
dì o coi nemici o tra loro, e godevano sopra ogni cosa e stimavano il sommo
bene, di morire gloriosamente. Ora il timor dei pericoli è tanto maggiore quanto
maggiore è l'infelicità {e} il fastidio di cui la morte
ci libererebbe, o se non altro, quanto è più nullo quello che morendo abbiamo a
perdere. E l'amor della vita e il timor della morte è cresciuto nel genere umano
e cresce in ciascuna nazione secondo che la vita val meno. Il coraggio è tanto
minore quanto minori beni egli avventura, e quanto meno ei dovrebbe costare. La
morte che per gli antichi così attivi, e di vita, se non altro, così piena, era
talora il sommo bene, è stimata e chiamata {più}
comunemente il sommo male quanto la vita è più misera. È ben
3031 ben noto che le nazioni più oppresse, e similmente le classi più
deboli e misere e schiave nella società, sono le meno coraggiose e le più timide
della morte, e le più sollecite e gelose di quella vita ch'è pur loro un sì gran
peso. E quanto più altri le opprime e rende infelice la vita loro, tanto ne le
fa più studiose. E insomma si può dire che gli antichi vivendo non temevano il
morire, e i moderni non vivendo, lo temono; e che quanto più la vita dell'uomo è
simile alla morte, tanto più la morte sia temuta e fuggita, quasi ce ne
spaventasse quella continua immagine che nella vita medesima ne abbiamo e
contempliamo, e quegli effetti, anzi quella parte, che pur vivendo ne
sperimentiamo. E viceversa.
[4116,1] Dell'amor dei vecchi alla vita v. il capo 118. di Stobeo (ed. Gesn.) Laus vitae, e massime il luogo di
Licofrone.
(10. Agos. Festa di San Lorenzo Martire. 1824.)
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