Vita. Perchè si vive.
Life. Why we live.
273,2 2549,1Vita. Non è necessaria.
Life. Is not necessary.
925,1Che cosa è la vita?
What is life?
1476,2Perchè si nasce?
Why are we born?
Vedi Nascimento dell'uomo. See Birth of man. 2607,1Amor della vita, cresce come l'amor del danaio.
Love of life, grows like the love of money.
2643,1Definizione metafisica della vita: l'uomo è il più vivente degli esseri.
Metaphysical definition of life: man is the most alive of all beings.
3381Osservazioni metafisiche sull'essenza e sull'amor della vita.
Metaphysical observations on the essence and on the love of life.
3813,1Definizione allegorica della vita.
Allegorical definition of life.
4162,14Vita. Luogo di Aristotele.
Life. Passage from Aristotle.
3568,2Principal bene nella vita.
Principal good in life.
3895,1 4043,2La vita è un male per se.
Life is an evil in itself.
4043,2Cura di vivere.
Care of living.
4164,2Amor della vita, non innato.
Love of life, not innate.
4242,1La somma della vita è uguale ne' μακροβιότατοι e ne' βραχυβιότατοι degli animali.
Sum of life is equal neither to the longest-lived (makrobiotatoi) nor to the shortest-lived (brachybiotatoi) of animals.
3511-14[273,2] La maggior parte degli uomini vive per abito, senza
piaceri, nè speranze formali, senza ragion sufficiente di conservarsi in vita, e
di fare il necessario per sostenerla. Che se riflettessero, astraendo dalla
religione, non troverebbero motivo di vivere, e contro natura, ma secondo
ragione, conchiuderebbero che la vita loro è un assurdo, perchè l'aver
cominciato a vivere, secondo natura sibbene, ma secondo ragione non è motivo
giusto di continuare.
[2549,1] La quistione se il suicidio giovi o non giovi
all'uomo (al che si riduce il sapere se sia o no ragionevole e preeleggibile),
si ristringe in questi puri termini. Qual delle due cose è la migliore, il
patire o il non patire? Quanto al piacere è cosa certa,
2550 immutabile e perpetua che l'uomo in qualunque condizione della
vita, anche felicissima secondo il linguaggio comune, non lo può provare,
giacchè, come ho dimostrato altrove pp. 532-35
pp. 646-50, il piacere è sempre futuro, e non mai presente. E come,
per conseguenza, ciascun uomo dev'essere fisicamente certo di non provar mai
piacere alcuno in sua vita, così anche ciascuno dev'esser certo di non passar
giorno senza patimento, e la massima parte degli uomini è certa di non passar
giorno senza patimenti molti e gravi, ed alcuni son certi di non passarne senza
lunghissimi e gravissimi (che sono i così detti infelici; poveri, malati
insanabili, ec. ec.). Ora io torno a dimandare qual cosa sia migliore, se il
patire o il non patire. Certo il godere, fors'anche il godere e patire sarebbe
meglio del semplice non patire, {+(giacchè la natura e l'amor proprio ci spinge e trasporta tanto verso il
godere, che c'è più grato il godere e patire, del non essere e non patire, e
non essendo non poter godere)} ma il godere essendo impossibile
all'uomo, resta escluso necessariamente e per natura
2551 da tutta la quistione. E si conchiude ch'essendo all'uomo più giovevole il
non patire che il patire, e non potendo vivere senza patire, è matematicamente
vero e certo che l'assoluto non essere giova e conviene all'uomo più
dell'essere. E che l'essere nuoce precisamente all'uomo. E però chiunque vive
(tolta la religione), vive per puro e formale error di calcolo: intendo il
calcolo delle utilità. Errore moltiplicato tante volte quanti sono gl'istanti
della nostra vita, in ciascuno de' quali noi
preferiamo il vivere al non vivere. E lo preferiamo col fatto non meno
che coll'intenzione, col desiderio, e col discorso più o meno espresso, più o
meno tacito ed implicito della nostra mente. Effetto dell'amor proprio ingannato
come in tante altre cattive elezioni ch'egli fa considerandole sotto l'aspetto
di bene, e del massimo bene che gli convenga in quelle tali circostanze.
[925,1] Si considera come sola cosa necessaria la vita, la
quale anzi è la cosa meno necessaria di tutte le altre. Perchè tutte le
necessità o desiderabilità hanno la loro ragione nella vita, la quale, massime
priva delle cose o necessarie o desiderabili, non ha la ragione della sua
necessità o desiderabilità in nessuna cosa. (6. Aprile 1821.).
[1476,2] La maggior parte degli uomini in ultima analisi non
ama e non brama di vivere se non per vivere. L'oggetto reale della vita è la
vita, e lo strascinare con gran fatica su e giù per una medesima strada un carro
pesantissimo e vôto. (10. Agos. 1821.).
[2607,1] Così tosto come il bambino è nato, convien che la
madre che in quel punto lo mette al mondo, lo consoli, {accheti il suo pianto,} e gli
alleggerisca il peso di quell'esistenza che gli dà. E l'uno de' principali
uffizi de' buoni genitori nella fanciullezza e nella prima gioventù de' loro
figliuoli, si è quello di consolarli, {d'incoraggiarli alla vita;} perciocchè i
dolori e i mali e le passioni riescono in quell'età molto più gravi, che non a
quelli che per lunga esperienza, o solamente per esser più lungo tempo vissuti,
sono assuefatti a patire. E in verità conviene che il buon padre e la buona
madre studiandosi di racconsolare i loro figliuoli, emendino alla meglio, ed
alleggeriscano il danno che loro hanno fatto col procrearli. Per Dio! perchè
dunque nasce l'uomo? e perchè genera? per poi racconsolar quelli che ha generati
del medesimo essere stati generati? (13. Agosto 1822.).
[2643,1]
2643 L'amor della vita cresce quasi come l'amor del
danaio, e, com'esso, cresce in proporzione che dovrebbe scemare. Perciocchè i
giovani disprezzano e prodigano la vita loro, ch'è pur dolce, e di cui molto
avanza loro; e non temono la morte: e i vecchi la temono sommamente, e sono
gelosissimi della propria vita, ch'è miserabilissima, e che ad ogni modo poco
hanno a poter conservare. E così il giovane scialacqua il suo, come s'egli
avesse a morire fra pochi dì, e il vecchio accumula e conserva e risparmia come
s'avesse a provvedere a una lunghissima vita che gli restasse. (24. Ottob.
1822.).
[3376,1] Similmente si discorra degli altri animali, e di
mano in mano degli altri generi di creature, con quest'avvertenza però e con
questa proporzione, che negli altri animali, le disposizioni
3377 ingenite sono più ad essere che a poter essere; il che vuol dire
che gli animali sono naturalmente meno conformabili dell'uomo; che essi per le
loro naturali disposizioni, non solo non debbono acquistare altre qualità che le
destinate loro dalla natura, il che è proprio anche dell'uomo, ma non possono
acquistarne molto diverse da queste, come l'uomo può; non possono acquistar
tante e così varie qualità, come l'uomo può, per essere sommamente conformabile:
in fine che le loro naturali disposizioni non rendono possibile tanta varietà di
risultati, non possono esser così diversamente applicate e usate come quelle
dell'uomo. Ond'è che gli animali non acquistino quasi altre qualità che le
destinate loro dalla natura, non divengano se non quali la natura gli ha voluti,
quali ella intese che divenissero nel dar loro quelle disposizioni. Il che vuol
dire ch'ei si mantengono nello stato naturale; che non è altro se non quello che
ho detto, cioè divenir tali quali la natura ha inteso; perchè nè anche gli
animali nascono, ma divengono; nè la
3378 natura
ingenera in essi delle qualità, ma delle disposizioni, ben più ristrette che
quelle dell'uomo. In questo modo e con questa proporzione passando ai
vegetabili, e quindi scendendo per tutta la catena degli esseri, troverete che
le naturali disposizioni sono di mano in mano sempre maggiormente ad essere che
a poter essere, cioè si restringono, finchè gradatamente si arrivi a quegli enti
ne' quali la natura non ha posto disposizioni nè ad essere nè a poter essere, ma
solo qualità. Del qual genere io non credo che alcuna cosa si possa in verità
trovare, esattamente e strettamente parlando, ma largamente si potrà dire che di
tal genere sia questo nostro globo tutto insieme considerato e rispetto al
sistema solare o universale, e similmente i pianeti e il sole e le stelle e gli
altri globi celesti. Ne' quali e ne' moti loro, e per dir così, nella vita, e
nell'esistenza rispettiva degli uni agli altri, niun disordine si può trovare,
niuna irregolarità, niun morbo, niuna ingiuria, niun accidente, successo o
effetto che sia contro nè fuori delle intenzioni avute dalla natura nel porre in
essi le qualità che ci ha posto; dico le qualità rispettive
3379 che hanno gli uni verso gli altri, le quali negli effetti e
nell'uso loro sempre e interamente corrispondono alle primitive destinazioni
della natura, e immutabilmente serbano ed efficiunt
quell'ordine dell'universo che la natura volle espressamente e vuole, e quella
vita o esistenza ch'essa natura gli ha destinata, e tale nè più né più nè meno
quale ella intese e ordinò che fosse. Da questo genere di esseri rimontando
indietro per insino all'uomo, troveremo sempre di mano in mano decrescere
secondo l'ordine delle specie e de' generi, il numero e l'efficacia e importanza
delle qualità ingenerate in ciascun di
essi generi o specie dalla natura, e crescere altrettanto il numero o
l'estensione, la varietà o piuttosto la variabilità o adattabilità delle disposizioni in esse dalla natura
ingenerate: e queste disposizioni esser da principio solamente, o quasi del
tutto, ad essere, poscia eziandio a poter essere, e ciò sempre più, salendo pe'
vegetabili ai polipi, indi per le varie specie d'animali fino alla scimia, e
all'uomo salvatico, e da queste specie all'uomo. Nella cui parte che si chiama
morale {o spirituale,} troveremo, come ho detto, che
3380 la natura non ha posto di sua mano quasi
veruna qualità determinata, se non pochissime, e queste, semplicissime: tutto il
resto disposizioni, non solo ad essere, ma a poter essere tante cose, ed
acquistare tanto varie qualità, quanto niun altro genere di enti a noi noti. E
per questa scala ascendendo, troveremo colla medesima gradazione, che quanto
minore in ciascun genere o specie è il numero e il valore delle qualità ingenite
e naturali, quanto maggiore quello delle disposizioni altresì naturali, e quanto
maggiormente queste disposizioni sono a poter essere (ossia divenire), tanto
maggiore esattamente in ciascuno d'essi generi o specie, e nell'esistenza loro,
e negli effetti loro sopra se stessi e fuor di se stessi è il numero e la
grandezza de' disordini, delle irregolarità de' morbi, de' casi, degli
accidenti, de' successi non naturali, non voluti o espressamente disvoluti dalla
natura, contrarii alle intenzioni e destinazioni fatte dalla natura nel formare
quei tali generi o specie, e nel così disporli com'essa li dispose, sì rispetto
a se stessi, sì riguardo agli altri generi e specie a cui essi hanno relazione,
ed all'intera
3381 università delle cose. Tutto ciò
troverassi nelle meteore, ne' vegetabili, negli animali sopra tutto, e fra gli
animali, sopra tutti nell'uomo, ossia nel genere umano. Perocchè il vivente è
meno dell'altre cose tutte composto di qualità naturali, e più di disposizioni;
e tra' viventi l'uomo in massimo grado. Nel quale è maggior la vita che negli
altri viventi; e la vita si può, secondo le fin qui dette considerazioni,
definire una maggiore o minore conformabilità, un numero e valore di
disposizioni naturali prevalente in certo modo {+(più o meno)} a quello delle ingenite qualità.
Massime rispetto allo spirituale, all'intrinseco, a quello che, propriamente
parlando, vive; a quello in che sta {propriamente} e si
esercita la vita, in che siede il principio vitale, {e}
la facoltà dell'azione sia interna sia esterna, cioè la facoltà del pensiero e
della sensibile operazione. {ec.} Nella qual facoltà
consiste propriamente la vita ec. (6-7. Settembre. 1823.). Per lo contrario le cose che meno partecipano della vita sono
quelle che per natura hanno meno di qualità e più di disposizione, cioè le
meno conformabili naturalmente. E se v'ha cosa che non sia punto
conformabile naturalmente, quella niente partecipa della vita, ma solo
esiste; quella è che si dee propriamente
3382
chiamare semplicemente e puramente esistente ec. ec. ec. (8. Sett.
Natività di Maria
Santissima. 1823.).
[3813,1] L'amor della vita, il piacere delle sensazioni vive,
dell'aspetto della vita ec. {+delle quali
cose altrove}
pp.
2107-108
p.
2499
pp. 1988-90
pp. 2017-18
p. 2415
pp. 2433-34 è ben
consentaneo negli animali. La natura è vita. Ella è esistenza. Ella stessa ama
la vita, e proccura in tutti i modi la vita, e tende in ogni sua operazione alla
vita. Perciocch'ella esiste e vive. Se la natura fosse morte, ella non sarebbe.
Esser morte, son termini contraddittorii. S'ella tendesse in alcun modo alla
morte, se in alcun modo la proccurasse, ella tenderebbe e proccurerebbe contro
se stessa. S'ella non proccurasse la vita con ogni sua forza possibile, s'ella
non amasse la vita quanto più si può amare, e se la vita non fosse tanto più
cara alla natura, quanto maggiore e più intensa e in maggior grado, la natura
non amerebbe se stessa (vedi la pagina 3785. principio), non proccurerebbe se stessa o il proprio bene, o
non si amerebbe quanto più può (cosa impossibile), nè amerebbe il suo maggior
3814 possibile bene, e non proccurerebbe il suo
maggior bene possibile (cose che parimente, come negl'individui e nelle specie
ec., così sono impossibili nella natura). Quello che noi chiamiamo natura non è
principalmente altro che l'esistenza, l'essere, la vita, sensitiva o non
sensitiva, delle cose. Quindi non vi può esser cosa {nè
fine} più naturale, nè più naturalmente amabile e desiderabile e
ricercabile, che l'esistenza e la vita, la quale è quasi tutt'uno colla stessa
natura, nè amore più naturale, nè naturalmente maggiore che quel della vita. (La
felicità non è che la perfezione {il compimento} e il
proprio stato della vita, secondo la sua diversa proprietà ne' diversi generi di
cose esistenti. Quindi ell'è in certo modo la vita o l'esistenza stessa, siccome
l'infelicità in certo modo è lo stesso che morte, o non vita, perchè vita non
secondo il suo essere, e vita imperfetta ec. Quindi la natura, ch'è vita, è
anche felicità.). E quindi è necessario alle cose esistenti amare e cercare la
maggior vita possibile a ciascuna di loro. E il piacere non è altro che vita ec.
E la vita è piacere necessariamente, e maggior piacere, quanto essa vita è
maggiore e più viva. La vita generalmente e[è]
tutt'uno colla natura, la vita divisa ne' particolari è tutt'uno co' rispettivi
subbietti esistenti. Quindi ciascuno essere, amando la vita, ama se stesso:
pertanto non può non amarla, e non amarla quanto si possa il più. L'essere
esistente non può amar la morte, {#1. (in
quanto la morte abbia rispetto a lui)} veramente parlando, non può
tendervi, non può proccurarla, non può non odiarla il più ch'ei possa, in veruno
istante dell'esser suo; per la stessa ragione per cui egli non può
3815 odiar se stesso, proccurare, amare il suo male,
tendere al suo male, non odiarlo sopra ogni cosa e il più ch'ei possa, non
amarsi, non solo sopra ogni cosa, ma il più ch'egli possa onninamente amare.
Sicchè l'uomo, l'animale ec. ama le sensazioni vive ec. ec. e vi prova piacere,
perch'egli ama se stesso. (31. Ott. 1823.).
[4162,14] Che cosa è la vita? Il viaggio di un zoppo e
infermo che con un gravissimo carico in sul dosso per montagne ertissime e
luoghi sommamente aspri, faticosi e difficili, alla neve, al gelo, alla pioggia,
al vento, all'ardore del sole, cammina senza mai riposarsi dì e notte uno spazio
di molte giornate
4163 per arrivare a un {cotal} precipizio o un fosso, e quivi {inevitabilmente cadere.}
(Bologna. 17. Gen. 1826.).
[3568,2]
Δῆλον δ᾽ ὡς καρτεροῦσι
πολλὴν κακοπάϑειαν οἱ πολλοὶ τῶν ἀνϑρώπων γλιχόμενοι τοῦ ζῆν, ὡς ἐνούσης
τινὸς εὐημερίας (prosperitatis. Victorius) ἐν αὐτῷ, καὶ γλυκύτητος ϕυσικῆς
*
. Aristot.
Polit. l. 3. ed. Flor. Iunt. 1576. p. 211.
(1. Ottobre. 1823.)
[3895,1] Il sonno e tutto quello che induce il sonno, {ec.} è per se stesso piacevole, secondo la mia teoria del piacere ec pp.
172-73. Non c'è maggior piacere (nè maggior felicità) nella vita, che
il non sentirla. (20. Nov. 1823.).
[4043,2] Nè la occupazione nè il divertimento qualunque, non
danno veramente agli uomini piacere alcuno. Nondimeno è certo che l'uomo
occupato o divertito comunque, è manco infelice del disoccupato, e di quello che
vive vita uniforme senza distrazione alcuna. Perchè? se nè questi nè quelli sono
punto superiori gli uni agli altri nel godimento e nel piacere, ch'è l'unico
bene dell'uomo? Ciò vuol dire che la vita è per se stessa un male. Occupata o
divertita, ella si sente e si conosce meno, e passa, in apparenza più presto, e
perciò solo, gli uomini occupati o divertiti, non avendo alcun bene nè piacere
più degli altri, sono però manco infelici: e gli uomini disoccupati e non
divertiti, sono più infelici, non perchè abbiano minori beni, ma per maggioranza
di male, cioè maggior sentimento, conoscimento, e diuturnità (apparente) della
vita, benchè questa sia senza alcun altro male particolare. Il sentir meno la
vita, e l'abbreviarne l'apparenza è il sommo bene, o vogliam dire la somma
minorazione di male e d'infelicità, che l'uomo possa conseguire. La noia è
manifestamente un male, e l'annoiarsi una infelicità. Or che cosa è la noia?
Niun male nè dolore particolare, (anzi l'idea e la natura della noia esclude la
presenza di qualsivoglia particolar male o dolore), ma la semplice vita
pienamente sentita, provata, conosciuta, pienamente presente all'individuo, ed
occupantelo. Dunque la vita è semplicemente un male: e il non vivere, o il viver
meno, sì per estensione che per intensione è semplicemente un bene, o un minor
male, ovvero preferibile per se ed assolutamente alla vita ec. (8. Marzo.
1824.). {{V. p.
4074.}}
[4043,2] Nè la occupazione nè il divertimento qualunque, non
danno veramente agli uomini piacere alcuno. Nondimeno è certo che l'uomo
occupato o divertito comunque, è manco infelice del disoccupato, e di quello che
vive vita uniforme senza distrazione alcuna. Perchè? se nè questi nè quelli sono
punto superiori gli uni agli altri nel godimento e nel piacere, ch'è l'unico
bene dell'uomo? Ciò vuol dire che la vita è per se stessa un male. Occupata o
divertita, ella si sente e si conosce meno, e passa, in apparenza più presto, e
perciò solo, gli uomini occupati o divertiti, non avendo alcun bene nè piacere
più degli altri, sono però manco infelici: e gli uomini disoccupati e non
divertiti, sono più infelici, non perchè abbiano minori beni, ma per maggioranza
di male, cioè maggior sentimento, conoscimento, e diuturnità (apparente) della
vita, benchè questa sia senza alcun altro male particolare. Il sentir meno la
vita, e l'abbreviarne l'apparenza è il sommo bene, o vogliam dire la somma
minorazione di male e d'infelicità, che l'uomo possa conseguire. La noia è
manifestamente un male, e l'annoiarsi una infelicità. Or che cosa è la noia?
Niun male nè dolore particolare, (anzi l'idea e la natura della noia esclude la
presenza di qualsivoglia particolar male o dolore), ma la semplice vita
pienamente sentita, provata, conosciuta, pienamente presente all'individuo, ed
occupantelo. Dunque la vita è semplicemente un male: e il non vivere, o il viver
meno, sì per estensione che per intensione è semplicemente un bene, o un minor
male, ovvero preferibile per se ed assolutamente alla vita ec. (8. Marzo.
1824.). {{V. p.
4074.}}
[4164,2] Spessissimo noi, come un malato, {un convalescente,} che si cura, un povero che si procaccia il vitto
con gran fatica, usando una infinita pazienza per solo conservarci la vita, non
facciamo altro che patire infinitamente per conservarci, {per
non perdere,} la facoltà di patire, ed esercitar la pazienza per
preservarci il potere di esercitarla, per continuarla ad esercitare.
(Bologna. 4. Feb. 1826.).
[4242,1] L'amor della vita e il timor della morte non sono
innati {per se:} altrimenti niuno s'ammazzerebbe.
Innato è l'amor di se, e quindi del proprio bene, e l'odio del proprio male: e
però niun può non amarsi, nè amare il suo creduto male ec. È però naturale che
ogni vivente giudichi la vita il suo maggior bene e la morte il maggior male. E
infatti così egli giudica infallibilmente, se non è molto allontanato dallo
stato di natura. Ecco dunque che la natura ha veramente provveduto alla
conservazione, rendendo immancabile questo error di giudizio; benchè non abbia
ingenerato
4243 un amor della vita. Esso è un
ragionamento, non un sentimento: però non può essere innato. Sentimento è l'amor
proprio, di cui l'amor della vita è una naturale, benchè falsa conclusione. Ma
di esso altresì è conclusione (bensì non naturale) quella di chi risolve
uccidersi da se stesso. (8. 1827.).
[3509,1] Niente d'assoluto. - Veggasi il pensiero antecedente, {#1. in particolare p. 3498-9. margine.} nel quale si dimostra che {nè} l'uomo nè alcun vivente non desidera neppur la
felicità assolutamente, ma relativamente, e solo s'ella conviene alla di lui
propria natura, ed è richiesta dal di lui modo {particolare} di essere ec. e in quanto ella sia tale. ec. Nè perchè
una cosa sia felicità, per questo solo ei la desidera, nè si compiace nello
sperarla, quando ella non convenga al suo modo di essere ec. - {Si può però dire per un lato, che l'uomo
desidera la felicità assolutamente. Veggasi la p. 3506. Ei non desidera tale o tale felicità,
s'a lui non conviene: e dovendo desiderare una tale felicità, ei non può desiderar se non la
conforme e propria al suo modo di essere. Ma la felicità assolutamente e
indeterminatamente considerata, e s'ei così la considera, ei non può non
bramarla, cioè in quanto felicità semplicemente.} Di qual cosa par che
si possa ragionare più assolutamente che della lunghezza o estensione di una
data porzione di tempo? la quale si misura {esattamente} coll'oriuolo, e si divide
3510
perfettamente in parti anche minutissime, non col pensiero solo, ma con
gl'istrumenti da ciò, e come fosse quasi materia, e queste parti si annoverano e
si raccolgono, e il loro numero si conosce colla certezza che dà l'aritmetica.
Ora egli è certissimo che la lunghezza di una medesima quantità di tempo ad
altri è {veramente} maggiore ad altri minore, e ad un
medesimo individuo può essere, ed è, quando maggiore quando minore. Onde può
dirsi con verità che una medesima data porzione di tempo or dura più or meno ad
un medesimo individuo, ed a chi più a chi meno. Lasciamo stare che il tempo
disoccupato, annoiato, {incomodato,} addolorato e
simili, riesce e si sente esser più lungo che quel medesimo o altrettanto spazio
di tempo, occupato, dilettevole, passato in distrazione e simili; {#1. Nella rimembranza è molte volte il
contrario, che più corto pare il tempo passato senza occupazione e uniformemente, perchè allora nella
memoria l'una ora l'un dì si confonde e quasi sovrappone coll'altro, in modo
che molti paiono un solo, non avendovi differenza tra loro, nè moltitudine
di azioni o passioni che si possa numerare, l'idea della qual moltitudine si
è quella che produce l'idea della lunghezza del tempo, massime passato ec.
Ma di questo pensiero {+altrove s'è
scritto}
pp.368-69} e ciò ad un medesimo individuo, o a diversi
individui d'una sola specie in un tempo medesimo, o in tempi di
versi[diversi.] Lasciando questo, si osservi che
agli animali i quali vivono meno dell'uomo per lor natura, a quelli che vivono
al più trent'anni, venti, dieci, cinqu'anni,
3511 un
anno solo, alcuni mesi, un solo mese, alcuni giorni soltanto (chè egli v'ha
{effettivamente} animali {{che
rispondano}} a tutte queste differenze di durata, e a cento e
mill'altre intermedie); a questi animali, dico, una data porzione di tempo è
veramente più lunga e dura più che all'uomo, e tanto più quanto la lor vita
naturale è più corta; e l'idea che ciascun d'essi si forma ed acquista
naturalmente della durata {e quantità} di una tal
porzione qualunque di tempo, è assolutamente maggiore di quella che l'uomo
concepisce; {{e maggiore}} in ragione esattamente
inversa della lunghezza ordinaria del viver loro. E s'egli è vero {+come dicono,}
che nel fiume Apanis nella Scizia vi abbia
degli animaletti, tra i quali, quei, i quali essendo nati il
mattino, muojono la sera, sono i più vecchi, e muojono carichi di
figli, di nipoti, di pronipoti, e di anni, a lor modo
*
(Genovesi, Meditazioni filosofiche sulla Religione e sulla
Morale. Meditaz. 1. Piacere dell'esistenza. § o articolo 12.
Bassano, Remondini 1783. p. 26. Vedilo dall'articolo 11. al fine della
Meditazione);
3512 se questo, dico, è vero
(che ben può essere, {#1. Se non è, può
essere, e al nostro caso tanto è il poter essere quanto l'essere in fatto.
Immaginiamo, se non è, che sia, e come di un'ipotesi discorriamo di quello
che necessariamente seguirebbe se così fosse. Essendo l'ipotesi
possibilissima e similissima al vero, l'argomento avrà la medesima forza, e
tanto nel caso presente varrà e proverà l'immaginazione e la supposizione,
quanto la verità, tanto il supposto e l'immaginato quanto il vero ed
effettivo.} e se non d'essi animaletti, d'altri, visibili o
invisibili; e se no, discorrasi proporzionatamente di quelli che, come di certo
si sa, vivono pochissimi giorni), egli è certissimo che l'idea che questi
animali si formano e naturalmente acquistano della durata e quantità p. e. di
una mezz'ora di tempo, è tanto maggiore della nostra idea, che noi non possiamo
pur concepire il quanto. E veramente una mezz'ora dùra per essi indefinibilmente
più che per noi, stante la rapidità delle loro azioni, {sensazioni,} passioni ed eventi; il velocissimo succedersi di questi,
gli uni agli altri; la inconcepibile prontezza del loro sviluppo; la rapidità,
per così dire, della lor vita ed esistenza; e stante ch'essi in una mezz'ora, in
un minuto, vivono ed esistono, si può ben dire, assai più che noi nè gli altri
più macrobii animali, in quel medesimo spazio, non
fanno; e la loro esistenza in un minuto è veramente di quantità e d'intensità
ec. maggiore che la nostra non è, in altrettanto spazio, e che noi non possiamo
pure immaginare. In contrario senso ragionisi dell'idea che dovettero aver gli
uomini naturalmente della durata e quantità di una data porzione di tempo,
quando la
3513 la lor vita naturale era
strabocchevolmente più lunga della presente; e proporzionatamente dell'idea che
debbono averne le nazioni (se ve n'ha) che vivono ordinariamente più di noi
(siccome v'ha certo di quelle che vivono meno, e prestissimo giungono alla
maturità, e ciò ne' climi caldi, come nell'America meridionale, ove le donne si maritano di 10 o 12 anni, e tra gli
orientali ec. {V. p.
3898.} e vedi a questo proposito l'Indica di Arriano, c. 9. sect. 1-8. e
Plinio se ha nulla ec.); e dell'idea che n'hanno gli
animali più longevi dell'uomo, come l'elefante, il cervo, la cornice, la
tartaruga, alla quale pigrissima e tardissima nelle sue operazioni, la natura
diede, non lunghissima vita, ma moltissimi anni. E dico, non lunghissima vita,
perch'ella stante la tardità de' suoi movimenti ed azioni, alla quale
corrisponde quella del suo incremento e sviluppo naturale ec. e di tutta la sua
natura, vive ed esiste in un dato spazio di tempo assai meno che l'uomo in
altrettanto spazio non fa. E così proporzionatamente gli altri animali più
longevi di noi. E dalle suddette osservazioni si raccoglie che la somma {e quantità} della vita, e però la
3514 durata e lunghezza della medesima, è generalmente e appresso a
poco altrettanta in effetto negli animali ed esseri brachibiotati, che ne' macrobiotati e
negl'intermedii, e niente {minore,} e così viceversa.
Onde la durata di un medesimo spazio di tempo è naturalmente e generalmente
{e costantemente}
{+salve le varie circostanze della vita
di una stessa specie e individuo, accennate di sopra, come la noia, il
piacere ec. che variano l'idea e 'l sentimento della durata ec. sempre però
dentro i limiti e la proporzione e in rispetto dell'idea d'essa durata,
propria particolarmente della specie per sua natura ec.} per gli uni
maggiore per gli altri minore ec. e non si può determinare ec. nè giudicarne
assolutamente come noi facciamo ec. (24. Sett. 1823.).
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