20. Gen. 1821.
[532,2] Il piacere umano (così probabilmente quello di ogni
essere vivente, in quell'ordine di cose che noi conosciamo) si può dire ch'è
sempre futuro, non è se non futuro, consiste solamente nel futuro. L'atto
proprio del piacere non si dà. Io spero un piacere; e questa speranza in
moltissimi casi si chiama piacere. Io ho provato un piacere, ho avuto una buona
ventura: questo non è piacevole se non perchè ci dà una buona idea del futuro;
ci fa sperare qualche godimento più o meno grande; ci apre un nuovo campo di
speranze; ci persuade di poter godere; ci fa conoscere la possibilità di
arrivare a certi desideri; ci mette
533 in migliori
circostanze pel futuro, sia riguardo al
fatto e alla realtà, sia riguardo all'opinione e persuasone nostra, ai successi,
alle prosperità che ci promettiamo dietro quella prova, quel saggio fattone. ec.
Io provo un piacere: come? ciascuno individuale istante dell'atto del piacere, è
relativo agl'istanti successivi; e non è piacevole se non relativamente
agl'istanti che seguono, vale a dire al futuro. In questo istante il piacere
ch'io provo, non mi soddisfa, e siccome non appaga il mio desiderio, così non è
{ancora} piacere, ma ecco che senza fallo io lo
proverò immediatamente; ecco che il piacere crescerà, ed io sarò intieramente
soddisfatto. Andiamo più avanti: ancora non provo vero piacere, ma ora (chi ne
dubita?) sono per provarlo. Questo è il discorso, il cammino, l'occupazione,
l'operazione, e la sensazione dell'animo nell'atto di qualunque siasi piacere.
Giunto l'ultimo istante, e terminato l'atto del piacere, l'uomo non ha provato
ancora il piacere: resta dunque o scontento: o soddisfatto comunque per una
opinione debole, falsa, e poco, anzi niente persuasiva,
534 di averlo provato; e va ruminando, e compiacendosi di quello che
ha sentito, e provando così un'altro[un altro]
piacere, il di cui oggetto è bensì passato, ma non il piacere (perchè come può
esser passato quello che non è mai stato, e che è sempre futuro?) e l'atto di
questo nuovo piacere è composto di una successione d'istanti della stessa natura
che l'altro atto; e quindi parimente futuro: o finalmente resta con una certa
letizia e si rallegra, perchè quantunque non possa il suo piacere riferirsi
{più} agl'istanti successivi di quell'atto, ch'è
già finito, si riferisce ad altri atti; l'idea del così detto piacere provato,
gli dà un'idea di quelli ch'egli crede di poter provare; concepisce una migliore
idea del futuro, una speranza, un disegno, una risoluzione o di proccurarsi
altri piaceri, o qualunque ella sia. Così prova un piacere, ma sempre ed
ugualmente futuro. Così p. e. se tu sei stato lodato, o ti sei trovato in una
occasione di brillare, di gloria, ec. L'atto di quel piacere è stato quale l'ho
descritto: ma finito l'atto, lo vai ruminando {a parte a
parte,} e torna un altro atto di piacere composto alla stessa guisa, e
fondato o sul semplice gusto della
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sulla relazione che quel preteso piacere ha col futuro, con quei piaceri o beni
che tu (come credi) puoi dunque o devi provare, coll'idea che ti dà della futura
vita, coi disegni, coll'idea di te stesso, delle tue forze ec. colle speranze o
reali, o rispetto all'opinione e immaginazione tua; insomma tutto futuro, tanto
riguardo all'atto del nuovo piacere presente, quanto agli oggetti di esso
piacere. Così il piacere non è mai nè passato nè presente, ma sempre e solamente
futuro. E la ragione è, che non può esserci piacer vero per un essere vivente,
se non è infinito; {+(e infinito in ciascuno istante, cioè attualmente)} e
infinito non può mai essere, benchè confusamente ciascuno creda che può essere,
e sarà, o che anche non essendo infinito, sarà piacere: e questa credenza
(naturalissima, essenziale ai viventi, e voluta dalla natura) è quello che si
chiama piacere; è tutto il piacer possibile. Quindi il piacer possibile non è
altro che futuro, o relativo al futuro, e non consiste che nel futuro.
(20. Gen. 1821.). {{V. p. 612. capoverso
1.}}