12. Feb. 1821.
[646,2] La somma della teoria del piacere, e si può dir anche, della natura dell'animo
nostro e di qualunque vivente, è questa. Il vivente si ama senza limite nessuno,
e non cessa mai di amarsi. Dunque non cessa mai di desiderarsi il bene, e si
desidera il bene senza limiti. Questo bene in sostanza non è altro che il
piacere. Qualunque piacere ancorchè grande, ancorchè reale, ha limiti. Dunque
nessun piacere possibile è proporzionato ed uguale alla
647 misura dell'amore che il vivente porta a se stesso. Quindi nessun
piacere può soddisfare il vivente. Se non lo può soddisfare, nessun piacere,
ancorchè reale astrattamente e assolutamente, è reale relativamente a chi lo
prova. Perchè questi desidera sempre di più, giacchè per essenza si ama, e
quindi senza limiti. Ottenuto anche di più, quel di più similmente non gli
basta. Dunque nell'atto del piacere, o nella felicità, non sentendosi
soddisfatto, non sentendo pago il desiderio, il vivente non può provar pieno
piacere; dunque non vero piacere, perchè inferiore al desiderio, e perchè il
desiderio soprabbonda. Ed eccoti la tendenza naturale e necessaria dell'animale
all'indefinito, a un piacere senza limiti. Quindi il piacere che deriva
dall'indefinito, piacere sommo possibile, ma non pieno, perchè l'indefinito non
si possiede, anzi non è. E bisognerebbe possederlo pienamente, e al tempo stesso indefinitamente, perchè l'animale fosse pago, cioè
felice, cioè l'amor proprio suo che non ha limiti, fosse definitamente soddisfatto: cosa
648 contraddittoria e impossibile. Dunque la felicità è impossibile a
chi la desidera, perchè il desiderio, sì come è desiderio assoluto di felicità,
e non di una tal felicità, è senza limiti necessariamente, perchè la felicità
assoluta è indefinita, e non ha limiti. Dunque questo desiderio stesso è cagione
a se medesimo di non poter esser soddisfatto. Ora questo desiderio è conseguenza
necessaria, anzi si può dir tutt'uno coll'amor proprio. E questo amore è
conseguenza necessaria della vita, in quell'ordine di cose che esiste, e che noi
concepiamo, e altro non possiamo concepire, ancorchè possa essere, ancorchè
fosse realmente. Dunque ogni vivente, perciò stesso che vive (e quindi si ama, e
quindi desidera assolutamente la felicità, vale a dire una felicità senza
limiti, e questa è impossibile, e quindi il desiderio {suo} non può esser soddisfatto) perciò stesso, dico, che vive, non
può essere attualmente felice. E la felicità ed il piacere è sempre futuro, cioè
non esistendo, nè potendo esistere realmente, esiste solo nel desiderio del
vivente, e nella speranza, o aspettativa che ne segue. {{Le
649
présent n'est jamais notre but; le passé et le présent sont nos
moyens; le seul avenir est notre objet:}} ainsi nous ne
vivons pas, mais nous espérons de vivre,
*
dice
{Pascal}.
Quindi segue che il più felice possibile, è il più distratto dalla intenzione
della mente alla felicità assoluta. Tali sono gli animali, tale era l'uomo in
natura. Nei quali il desiderio della felicità cangiato nei desiderii di questa o
di quella felicità, {o fine,} e soprattutto mortificato
e dissipato dall'azione continua, da' presenti bisogni ec. non aveva e non ha
tanta forza di rendere il vivente infelice. Quindi l'attività massimamente, è il
maggior mezzo di felicità possibile.
Oltre l'attività, altri mezzi meno universali o durevoli o valevoli, ma pur
mezzi, sono gli altri da me notati nella teoria del piacere, p. e. (ed è uno de' principali) lo stupore 1. di
carattere e d'indole: gli uomini così fatti sono i più felici: gli uomini
incapaci di questa qualità, sono i più infelici: sii grande e infelice,
*
dice la natura
agli uomini grandi, {detto di D'Alembert, Éloges de l'Académie
Françoise
(così, Françoise)} agli uomini
sensibili, passionati ec: il senso vivo del desiderio di felicità li tormenta:
questo desiderio
650 bisogna sentirlo il meno possibile,
quantunque innato, e continuo
necessariamente. 2. derivato da languore o torpore ec. artefatto, come per via
dell'oppio, o proveniente da lassezza ec. ec. 3. derivato da impressioni
straordinarie, dalla maraviglia di qualunque sorta, da avvenimenti, da cose
vedute, udite ec. insomma da sensazioni straordinarie di qualsivoglia genere: 4.
dalla immaginazione, dall'estasi che deriva dalla fantasia, da un sentimento
indefinito, dalla bella natura ec. e v. la
teoria del piacere. Notate che l'immaginazione {la
vivacità,} la sensibilità, le quali nocciono alla felicità per la
parte dello stupore, giovano per la parte dell'attività. E perciò sono piuttosto
un dono della natura (ancorchè spesso doloroso), di quello che un danno; perchè
effettivamente l'attività è il mezzo {di distrazione
il} più facile, più sicuro e forte, più durevole, più frequente e
generale e realizzabile nella vita. (12. Feb. 1821.).