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25. Luglio 1823.

[3029,2]  In molte altre cose l'andamento, il progresso, le vicende, la storia del genere umano è simile a quella di ciascuno individuo poco meno che una figura in grande somigli alla medesima figura fatta  3030 in piccolo; ma fra l'altre cose, in questa. Quando gli uomini avevano pur qualche mezzo di felicità o di minore infelicità ch'al presente, quando perdendo la vita, perdevano pur qualche cosa, essi l'avventuravano spesso e facilmente e di buona voglia, non temevano, anzi cercavano i pericoli, non si spaventavano della morte, anzi l'affrontavano tutto dì o coi nemici o tra loro, e godevano sopra ogni cosa e stimavano il sommo bene, di morire gloriosamente. Ora il timor dei pericoli è tanto maggiore quanto maggiore è l'infelicità {e} il fastidio di cui la morte ci libererebbe, o se non altro, quanto è più nullo quello che morendo abbiamo a perdere. E l'amor della vita e il timor della morte è cresciuto nel genere umano e cresce in ciascuna nazione secondo che la vita val meno. Il coraggio è tanto minore quanto minori beni egli avventura, e quanto meno ei dovrebbe costare. La morte che per gli antichi così attivi, e di vita, se non altro, così piena, era talora il sommo bene, è stimata e chiamata {più} comunemente il sommo male quanto la vita è più misera. È ben  3031 ben noto che le nazioni più oppresse, e similmente le classi più deboli e misere e schiave nella società, sono le meno coraggiose e le più timide della morte, e le più sollecite e gelose di quella vita ch'è pur loro un sì gran peso. E quanto più altri le opprime e rende infelice la vita loro, tanto ne le fa più studiose. E insomma si può dire che gli antichi vivendo non temevano il morire, e i moderni non vivendo, lo temono; e che quanto più la vita dell'uomo è simile alla morte, tanto più la morte sia temuta e fuggita, quasi ce ne spaventasse quella continua immagine che nella vita medesima ne abbiamo e contempliamo, e quegli effetti, anzi quella parte, che pur vivendo ne sperimentiamo. E viceversa.
[3031,1]  Or si applichi quel ch'io dico degli antichi e dei moderni, agl'individui giovani e vecchi, in qualunque età delle nazioni e del genere umano, e troverassi proporzionatamente la medesima differenza e di circostanze e di effetti. (25. Luglio 1823.).