[601,4] La mente nostra non può non solamente conoscere, ma
neppur concepire alcuna cosa oltre i limiti della materia. Al di là, non
possiamo con qualunque possibile sforzo, immaginarci una
602 maniera di essere, una cosa diversa dal nulla. Diciamo che l'anima
nostra è spirito. La lingua pronunzia il nome di questa sostanza, ma la mente
non ne concepisce altra idea, se non questa, ch'ella ignora che cosa e quale e
come sia. Immagineremo un vento, un etere, un soffio (e questa fu la prima idea
che gli antichi si formarono dello spirito, quando lo chiamarono in greco πνεῦμα
da πνέω, e in latino spiritus da spiro: ed anche anima presso i latini si
prende per vento, come presso i greci ψυχή derivante da ψύχω, flo spiro, ovvero refrigero); immagineremo una fiamma; assottiglieremo l'idea della materia
quanto potremo, per formarci un'immagine e una similitudine di una sostanza
immateriale; ma una similitudine sola: alla sostanza medesima non arriva nè
l'immaginazione, nè la concezione dei viventi, di quella medesima sostanza, che
noi diciamo immateriale, giacchè finalmente è l'anima appunto e lo spirito che
non può concepir se stesso. In così perfetta oscurità pertanto ed ignoranza su
tutto quello che è, o si suppone fuor della materia, con che
603 fronte, o con qual menomo fondamento ci assicuriamo noi di dire
che l'anima {nostra} è perfettamente semplice, e
indivisibile, e perciò non può perire? Chi ce l'ha detto? Noi vogliamo l'anima
immateriale, perchè la materia non ci par capace di quegli effetti che notiamo e
vediamo operati dall'anima. Sia. Ma qui finisce ogni nostro raziocinio; qui si
spengono tutti i lumi. Che vogliamo noi andar oltre, e analizzar la sostanza
immateriale, che non possiamo concepir quale nè come sia, e quasi che l'avessimo
sottoposta ad esperimenti chimici, pronunziare ch'ella è del tutto semplice e
indivisibile e senza parti? Le parti non possono essere immateriali? Le sostanze
immateriali non possono essere di diversissimi generi? E quindi esservi gli
elementi immateriali de' quali sieno composte le dette
sostanze, come la materia è composta di elementi materiali. Fuor della materia
non possiamo concepir nulla, la negazione e l'affermazione sono egualmente
assurde: ma domando io: come dunque sappiamo che {l'}immateriale è indivisibile? Forse l'immateriale, e l'indivisibile
nella nostra mente sono tutt'uno? sono gli attributi di una stessa idea?
604 Primieramente ho già dimostrato come l'idea delle
parti non ripugni in nessun modo all'idea dell'immateriale. Secondariamente, se
l'immateriale è indivisibile e uno per essenza, non è egli diviso, non ha egli
parti, quando le sostanze immateriali, ancorchè tutte uguali, sono pur molte e
distinte? Dunque non vi sarà pluralità di spiriti, e tutte le anime saranno una
sola.
[826,1]
An
censes (ut de me ipso aliquid more senum
glorier) me tantos labores diurnos nocturnosque domi militiaeque
suscepturum fuisse, si iisdem finibus gloriam meam, quibus vitam,
essem terminaturus? nonne melius multo fuisset, otiosam aetatem, et
quietam, sine ullo labore et contentione traducere? sed, nescio quomodo, animus erigens se,
posteritatem semper {ita} prospiciebat,
quasi, cum excessisset e vita, tum denique victurus
esset; quod quidem ni ita se haberet, ut animi immortales
essent, haud optimi cuiusque animus maxime ad
immortalitem[immortalitatem]
gloriae niteretur.
*
Catone maggiore appresso Cic.
Cato maior seu de Senect. c. ult.
23. Tanto è vero che il piacere è sempre futuro, e non mai presente,
come ho detto in altri pensieri pp. 532-35
p.
648. Con la quale osservazione io spiego questo che Cicerone dice, e quello che vediamo negli uomini di
certa fruttuosa ambizione; dico quella speranza riposta
827 nella posterità, quel riguardare, quel proporsi per fine delle
azioni dei desideri delle speranze nostre la lode ec. di coloro che verranno
dopo di noi. L'uomo da principio desidera il piacer della gloria nella sua vita,
cioè presso a' contemporanei. Ottenutala, anche interissima e somma,
sperimentato che questo che si credeva piacere, non solo è inferiore alla
speranza (quando anche la gloria in effetto fosse stata maggiore della
speranza), ma non piacere, e trovatosi non solo non soddisfatto, ma come non
avendo ottenuto nulla, e come se il suo fine restasse ancora da conseguire (cioè
il piacere, infatti non ottenuto, perchè non è mai se non futuro, non mai
presente); allora l'animo suo erigens se quasi fuori
di questa vita, posteritatem respicit, come che dopo
morte tum denique victurus sit, cioè debba conseguire
il fine, il complemento essenziale della vita, che è la felicità, vale a dire il
piacere, non conseguito ancora, e già troppo evidentemente non conseguibile da
lui in questa vita; allora la speranza del piacere, non avendo
828 più luogo dove posarsi, nè oggetto al quale indirizzarsi dentro a'
confini di questa vita, passa finalmente al di là, e si ferma ne' posteri,
sperando {l'uomo} da loro e dopo morte quel piacere,
che vede sempre fuggire, sempre ritrarsi, sempre impossibile e disperato di
conseguire, di afferrare in questa vita. E si riduce l'uomo a questo estremo,
perchè come il fine della vita è la felicità, e questa qui non si può
conseguire, ma d'altra parte una cosa non può mancare di tendere al suo fine
necessario, e mancherebbe se mancasse del tutto la speranza, così questa non
trovando più dimora in questa vita arriva finalmente a collocarsi al di là di
lei, colla illusione della posterità. Illusione appunto più comune negli uomini
grandi, perchè laddove gli altri, conoscendo meno le cose, o ragionando meno, ed
essendo meno conseguenti, dopo infiniti parziali disinganni e delusioni,
continuano pure a sperare dentro i limiti della lor vita; essi al contrario ben
persuasi, e ben presto, cioè con poche esperienze, disperati dell'attuale e vero
piacere in questa vita, e d'altronde
829 bisognosi di
scopo, e quindi della speranza di conseguirlo, e spronati pure dall'animo alle
grandi azioni, ripongono il loro scopo, e speranza, al di là dell'esistenza, e
si sostentano con questa ultima illusione. Quantunque non solo dopo morte o non
saremo capaci di felicità nessuna, o di tutt'altra da quella che possa derivare
dai posteri; ma quando anche fossimo {allora} tanto
capaci di godere della fama nostra appo i futuri, quanto siamo ora di quella
appo i contemporanei, quella fama (durando le stesse condizioni dell'animo
nostro e del piacere) ci riuscirebbe, siccome questa presente, del tutto
insipida, e vuota, e incapace di soddisfare, e proccurare un piacere altro che
futuro, dico un piacere attuale e presente. (20. Marzo 1821.).
{Applicate questi pensieri alla
speranza di felicità futura in un altro mondo.}
[1615,2] Ma lo spirito è più perfetto della materia - 1. Che
cosa è lo spirito? Come sapete ch'esiste, non sapendo che cosa sia? non potendo
concepire al di là della materia una menoma forma di essere? 2. perchè è più
perfetto della materia? - Perchè non si può distruggere, e perchè non ha parti
ec. - Il non aver parti chi vi ha detto che sia maggior perfezione dell'averne?
Chi vi ha detto che lo spirito non ha parti? che avendone o no, non si possa
distruggere ec. ec.? {+Come potete
affermare o negar nulla intorno alle qualità di ciò che neppur concepite, e
quasi non sapete se sia possibile? Tutto è dunque un romanzo arbitrario
della vr̃a[vostra] fantasia, che può
figurarsi un essere come vuole.} V. un altro mio pensiero in tal
proposito pp. 601-606
pp. 629-33. (2.
Sett. 1821.).
[3027,2] Ho discorso altrove p. 826 di
quel luogo di Cic. nella Vecchiezza, dove dice che l'animo nostro, non si sa come,
sempre mira alla posterità ec. e ne deduce ch'egli abbia un sentimento
naturale della sua propria eternità e indestruttibilità. Ho mostrato come questo
effetto viene dal desiderio dell'infinito, ch'è una conseguenza dell'amor
proprio, e dal continuo ricorrer che l'uomo fa colla speranza
3028 al futuro, non potendo esser mai soddisfatto del presente, nè
trovandovi piacere alcuno, e d'altronde non rinunziando mai alla speranza, fino
a trapassar con essa di là dalla morte, non trovando più in questa vita dove
ragionevolmente fermarla. Ma il suddetto effetto non è naturale. Esso viene
dall'esperienza già fatta, che la memoria degli uomini insigni si conserva, dal
veder noi medesimi conservata presentemente e celebrata la memoria di tali
uomini, e dal conservarla e celebrarla noi stessi. Onde introdotta nel mondo
questa fama superstite alla morte, essa è stata ed è bramata e cercata, come
tanti altri beni {+o di opinione o
qualunque,} di cui la natura niun desiderio ci aveva ispirato, e che
sono comparsi nel mondo di mano in mano per varie circostanze, non da principio,
nè creati dalla natura. Nei primissimi principii della società, quando ancor non
v'era esempio di rammemorazioni e di lodi tributate ai morti, neppur gli uomini
coraggiosi e magnanimi, quando anche desiderassero la stima de' loro compagni e
contemporanei, pensarono mai
3029 a travagliare per la
posterità, nè, molto meno, a trascurare il giudizio de' presenti per proccurarsi
quello de' futuri, o rimettersi alla stima de' futuri. Che se il tempo che ho
detto, colle circostanze che ho supposte non v'è mai stato, supponendo però
ch'egli sia stato o sia mai per essere in alcun luogo, certamente ne verrebbe
l'effetto che ho ragionato, cioè che niuno benchè magnanimo, benchè insigne tra'
suoi connazionali o compagni, avrebbe o concepirebbe alcuna cura o pensiero
della posterità. (25. Luglio. dì di San Giacomo. 1823.).
[4277,1]
4277 Allegano in favore della immortalità dell'animo il
consenso degli uomini. A me par di potere allegare questo medesimo consenso in
contrario, e con tanto più di ragione, quanto che il sentimento ch'io sono per
dire, è un effetto della sola natura, e non di opinioni e di raziocinii o {di} tradizioni; o vogliamo dire, è un puro sentimento e
non è un'opinione. Se l'uomo è immortale, perchè i morti si piangono? Tutti sono
spinti dalla natura a piangere la morte dei loro cari, e nel piangerli non hanno
riguardo a se stessi, ma al morto; in nessun pianto ha men luogo l'egoismo che
in questo. Coloro medesimi che dalla morte di alcuno ricevono qualche
grandissimo danno, se non hanno altra cagione che questa di dolersi di quella
morte, non piangono; se piangono, non pensano, non si ricordano punto di questo
danno, mentre dura il lor pianto. Noi c'inteneriamo veramente sopra gli estinti.
Noi naturalmente, e senza ragionare; avanti il ragionamento, e mal grado della
ragione; gli stimiamo infelici, gli abbiamo per compassionevoli, tenghiamo per
misero il loro caso, e la morte per una sciagura. Così gli antichi; presso i
quali si teneva al tutto inumano il dir male dei morti, e l'offendere la memoria
loro; e prescrivevano i saggi che i morti e gl'infelici non s'ingiuriassero,
congiungendo i miseri e i morti come somiglianti: così i moderni; così tutti gli
uomini: così sempre fu e sempre sarà. Ma perchè aver compassione ai morti,
perchè stimarli infelici, se gli animi sono immortali? Chi piange un morto non è
mosso già dal pensiero che questi si trovi in luogo e in istato di punizione: in
tal caso non potrebbe piangerlo: l'odierebbe, perchè lo stimerebbe reo. Almeno
quel dolore sarebbe misto di orrore {e di avversione}:
e ciascun sa per esperienza che il dolor che si prova per morti, non è nè misto
di orrore {o avversione,} nè proveniente da tal causa,
nè di tal genere in modo alcuno. Da che vien dunque la compassione che abbiamo
agli estinti se non dal credere, seguendo un sentimento intimo, e senza
ragionare, che essi abbiano perduto la vita
4278 e
l'essere; le quali cose, pur senza ragionare, e in dispetto della ragione, da
noi si tengono naturalmente per un bene; e la qual perdita, per un male? Dunque
noi non crediamo {naturalmente} all'immortalità
dell'animo; anzi crediamo che i morti sieno morti veramente e non vivi; e che
colui ch'è morto, non sia più.
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