6. Maggio 1821.
[1017,1]
1017 Dalla mia teoria
del piacere seguita che l'uomo, desiderando sempre un piacere infinito
e che lo soddisfi intieramente, desideri sempre e speri una cosa ch'egli non può
concepire. E così è infatti. Tutti i desiderii e le speranze umane, anche dei
beni ossia piaceri i più determinati, ed anche già sperimentati altre volte, non
sono mai assolutamente chiari e distinti e precisi, ma contengono sempre un'idea
confusa, si riferiscono sempre ad un oggetto che si concepisce confusamente. E
perciò {e non per altro,} la speranza è meglio del
piacere, contenendo quell'indefinito, che {la realtà}
non può contenere. E ciò può vedersi massimamente nell'amore, dove la passione e
la vita e l'azione dell'anima essendo più viva che mai, il desiderio e la
speranza sono altresì più vive[vivi] e
sensibili, e risaltano più che nelle altre circostanze. Ora osservate che per
l'una parte il desiderio e la speranza del vero amante è più confusa, vaga,
indefinita che quella di chi è animato da qualunque altra passione: ed è
carattere (già da molti notato) dell'amore, il presentare all'uomo un'idea
infinita (cioè più sensibilmente
indefinita di quella che presentano le altre passioni), e ch'egli può concepir
meno di qualunque
1018 altra idea ec. Per l'altra parte
notate, che appunto a cagione di questo infinito, inseparabile dal vero amore,
questa passione in mezzo alle sue tempeste, è la sorgente de' maggiori piaceri
che l'uomo possa provare. (6. Maggio 1821.).