4. Gen. 1821.
[472,2] Non solo la facoltà conoscitiva, o quella di amare, ma
neanche l'immaginativa è capace dell'infinito, o di concepire infinitamente, ma
solo dell'indefinito, e di concepire indefinitamente. La qual cosa ci diletta
perchè l'anima non vedendo i confini, riceve l'impressione di una specie
d'infinità, e confonde l'indefinito coll'infinito; non però comprende nè
concepisce effettivamente nessuna infinità. Anzi nelle immaginazioni le più
vaghe e indefinite, e quindi le più sublimi e dilettevoli, l'anima sente
espressamente una certa angustia, una certa difficoltà, un certo desiderio
insufficiente, un'impotenza decisa di abbracciar tutta la misura di {quella} sua
473 immaginazione, o
concezione o idea. La quale perciò, sebbene la riempia e diletti e soddisfaccia
più di qualunque altra cosa possibile in questa terra, non però la riempie
effettivamente, nè la soddisfa, e nel partire non la lascia mai contenta, perchè
l'anima sente e conosce o le pare, di non averla concepita e veduta tutta
intiera, o che creda di non aver potuto, o di non aver saputo, e si persuada che
sarebbe stato in suo potere di farlo, e quindi provi un certo pentimento, nel
che ha torto in realtà, non essendo colpevole. (4. Gen. 1821.).