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Novità nella lingua italiana: Latinismi, Grecismi, Spagnolismi ec. Regole e modi d'usarli.

Novelty in the Italian language: Latinisms, Grecisms, Spanishisms, etc. Rules and ways of using them.

3404,1 3866,1

[3404,1]  Venendo alla conchiusione, ripeto che da una lingua così conforme alla nostra, come ho mostrato essere la spagnuola, {per ogni verso, e} per tante cagioni naturali, accidentali, intrinseche, estrinseche ec.; da una lingua sorella com'essa è all'italiana; da una lingua ec. {ec.;} molta bella ed utile novità possono trarre gli scrittori italiani moderni, come ne trassero gli antichi e classici nostri. Ma voglio io perciò introdotti nella lingua italiana degli spagnuolismi? Tanto come, consigliando  3405 di attingere dal latino, intendo consigliare che s'introducano nell'italiano de' latinismi. {#1. Molto meno io vorrei consigliare che la lingua o lo scrittore italiano si modellasse sulla lingua spagnuola, molto alla nostra inferiore in perfezione, benchè conforme in carattere. Oltre che una lingua già perfetta non si dee modellare, anzi dee fuggir di modellarsi sopra alcuna altra, {+sia quanto si vuole perfettissima.} E così a proporzione discorrasi della letteratura ec.} Sono nel latino molte parole, nello spagnuolo alcune, nel greco, nel latino e nello spagnuolo moltissimi modi e forme di dire, {+(e molte significazioni di vocaboli o modi già fatti italiani)} le quali tutte non per altro non sono italiane, se perchè da veruno per anche non introdotte nella nostra lingua. Adoperandole nell'italiano, elle sarebbero così bene intese, cadrebbero così bene e facilmente, parrebbero così spontanee e naturali, sarebbero così lontane da ogni sembianza d'affettate, che niuno s'accorgerebbe non pur ch'elle fossero o greche o latine o spagnuole anzi, o più, che italiane, ma neppur sentirebbe che fossero nuove nella nostra lingua, nè se n'avvedrebbe in altro modo che ricercandone espressamente il vocabolario. O se vi sentisse della novità, ne sentirebbe quel tanto e non più, che dà grazia, eleganza, forza, nobiltà, bellezza allo stile e alla lingua, e dividono l'una e l'altra dal popolo, il che non pur è concesso ma richiesto al nobile scrittore in qualunque genere. Queste  3406 voci, frasi, forme, benchè latine, greche, spagnuole di origine; benchè non mai per l'innanzi usate o sentite in italiano; introdotte che vi fossero, non sarebbero nè latinismi nè grecismi nè spagnolismi, perchè non vi si conoscerebbe nè la latinità, nè la grecità ec., o se vi si conoscerebbe, non vi si sentirebbe, ch'è quel che importa; nè vi si conoscerebbe che per cagioni estrinseche e proprie del lettore, cioè per la cognizione che questi avrebbe di quelle lingue, e degli scrittori italiani ec.; non per cagioni intrinseche, cioè proprie di quella tale scrittura, stile ec. per le qualità di quelle tali voci, frasi ec. rispetto alla lingua italiana o a quel tal genere e stile. Altre voci, frasi, forme, {significazioni} sono in gran numero nelle dette lingue, che si potrebbero pure utilissimamente introdurre nella italiana, ma non altrove che in certi luoghi, con certi contorni, {preparazioni ec.} nè senza molta avvertenza, arte, discrezione, giudizio dell'opportunità ec. Con le quali condizioni, {} anche queste (che sono in molto maggior numero dell'altre sopraddette) non riuscirebbero nè latinismi nè grecismi ec. per le stesse ragioni.  3407 Ovunque si senta latinità, grecità ec. o un sapore di non nazionale, indipendentemente dalle cognizioni ec. del lettore, e per propria qualità della parola o frase, o del modo in ch'ella è adoperata, quivi è latinismo, grecismo ec. quivi barbarismo, quivi sempre vizio. E siccome nei contrarii casi suddetti, malgrado la vera novità, niun vizio, anzi pregio vi sarebbe; così in questo caso, niun pregio sarebbevi, e sempre vizio, quando anche la novità non fosse vera, cioè quando bene quella tal parola ec. avesse già esempio d'autor classico nazionale, e n'avesse ancor molti; sia che in tutti questi ella stesse parimente male, o che stando bene in questi, ella stesse male nel dato caso, perchè {+non intelligibile o difficile a intendere, perchè} male adoperata, e senza i debiti riguardi, e in {+occasione e con} circostanze non opportune ec. Similmente accade e si dee discorrere intorno alle parole antiquate. La novità in una lingua, o la rarità ec., insomma il pellegrino, da qualunque luogo sia tolto (o da' forestieri, o dagli antichi classici nazionali ec.), deve sempre parere una  3408 pianta, bensì nuova nel paese o rara, ma nata nel terreno medesimo della lingua nazionale, e non pur della nazionale, ma della lingua di quel secolo, della lingua conveniente a quel genere a quello stile a quel luogo della scrittura. Sempre ch'ella par forestiera {+(e recata d'altronde)} per qualunque ragione, e in qualunque di questi sensi, ella è cattiva. Nel caso contrario è sempre buona.

[3866,1]  Il pellegrino e l'elegante che nasce dall'introdurre nelle nostre lingue voci, modi, e significati tolti dal latino, è quasi della stessa natura ed effetto con quello che nasce dall'uso delle nostre proprie voci, modi e significati antichi, o passati dall'uso quotidiano, volgare, parlato ec. Perocchè siccome queste, così quelle (e talor più delle seconde, che siccome erano, così conservano talvolta del barbaro della {loro} origine o dell'incolto di que' tempi che le usarono {ec.}) hanno sempre (quando sieno convenientemente scelte, ed atte alle lingue ove si vogliono introdurre) del proprio e del nazionale, quando anche non sieno mai per l'addietro state parlate nè scritte in quella tal lingua. E ciò è ben naturale, perocch'esse son proprie di una lingua da cui le nostre sono nate ed uscite, e del cui sangue e delle cui ossa {queste} sono formate. Onde queste tali voci {ec.} spettano in certo modo all'antichità delle nostre lingue, e riescono in queste quasi come lor {proprie} voci antiche. Sicchè non è senza ragione verissima, se biasimando l'uso o introduzione di voci ec. tolte dall'altre lingue, sieno antiche sieno moderne, (eccetto le voci ec. già naturalizzate) lodiamo quella delle voci {ec.} latine. Perocchè quelle a differenza di queste, sono come di sangue, così di {aspetto e di} effetto straniero, e diverso  3867 da quello delle altre nostre voci, e delle nostre lingue in genere, e del loro carattere ec. La novità tolta {prudentemente} dal latino, benchè novità assolutissima in fatto, è per le nostre lingue piuttosto restituzione dell'antichità che novità, piuttosto peregrino che nuovo; e veramente (anche quando non sia troppo prudente nè lodevole) ha più dell'arcaismo che del neologismo. Al contrario dell'altre novità, e degli altri stranierismi ec. E per queste ragioni, oltre l'altre, è ancor ragionevole e consentaneo che la lingua francese sia, com'è, infinitamente men disposta ad arricchirsi di novità tolta dal latino, che nol son le lingue sorelle. Perocchè essa lingua è molto più di queste sformata e diversificata dalla sua origine, degenerata, allontanata ec. Onde quel latinismo che a noi sarebbe convenientissimo e facilissimo perchè consanguineo {e materno} ec. alla lingua francese, tanto mutata dalla sua madre, riescirebbe affatto alieno e straniero e non materno ec. Meglio infatti generalmente riesce e fa prova e si adatta e s'immedesima e par naturale nella lingua francese la novità tolta dall'inglese e dal tedesco (che agl'italiani e spagnuoli sarebbe insopportabile e barbara) che quella dal latino. Questo può vedersi in certo modo anche ne' cognomi {e nomi propri} inglesi, tedeschi, ec. {che si} nominino nel francese. Paiono {sovente e gran parte di loro} molto men forestieri che tra noi, e men diversi ed alieni da' nazionali.