30. Giugno 1821.
[1243,2] Altre cagioni di fatto della ricchezza e varietà
della lingua italiana, oltre la copia degli scrittori, come ho detto altrove
pp. 343-45
p. 686
p. 776-77 sono:
[1243,3] 1. Il non aver noi mai rinunziato alle nostre
1244 ricchezze di quantunque antico possesso, a
differenza della lingua francese, a cui non gioverebbe neppure l'avere avuta
altrettanta copia di scrittori e di secoli letterati, quanti noi. Neppure alla
varietà, ed anche a quella ricchezza che serve precisamente all'esatta
espressione delle cose, gioverebbe alla lingua francese l'avere avuto in questi
due secoli dopo la sua rigenerazione, tanti e più scrittori quanti noi in cinque
secoli. Non le gioverebbe dico, quanto giova alla nostra lingua la moltitudine
dei secoli, e quindi la maggior varietà degli scrittori, delle opinioni, de'
gusti, degli stili, delle materie da loro trattate; varietà che non si può
trovare nello stesso grado in due secoli soli, benchè fossero più copiosi di
scrittori, che questi 5. insieme: e varietà che serve infinitamente alla
ricchezza di una lingua, ed alla esattezza e minutezza del suo poter esprimere,
giacch'è stata applicata ad esprimere tanto più diverse cose, da tanto più
diversi ingegni, e più diversamente disposti; e in tanto più diversi modi.
Neppure la lingua tedesca ha rinunziato alle sue antiche ricchezze e
possedimenti, come si vede nel Verter, abbondante di studiati e
begli ed espressivi arcaismi.
[1245,1]
1245 2. La gran vivacità, immaginosità, fecondità, e
varietà degl'ingegni degli scrittori nostri, qualità proprie della nazione
adattabile a ogni sorta di assunti, e di caratteri, e d'imprese, e di fini.
[1245,2] 3. Il moltissimo che la nostra lingua scritta,
(giacchè della ricchezza e varietà di questa intendiamo parlare, e questa
intendiamo paragonare colle straniere) ha preso dalla lingua parlata e popolare.
Or come ciò, se io dico, che la principale, anzi necessaria fonte della
ricchezza e perfezione di una lingua, sono gli scrittori, e questi, letterati?
Ecco il come.
[1245,3] Ho detto, ed è vero, che la convenzione, sola cosa
che può render parola una parola, cioè segno effettivo di un'idea, non può mai
esser molto estesa, nè uniforme e regolata, nè nazionale, se non per mezzo della
letteratura. Ma un popolo, massimamente vivacissimo come l'italiano, e in
particolare il toscano, e di più, civilizzato assai (qual fu il toscano e
l'italiano fra tutti i popoli Europei, e prima di tutti), e posto in gran
corrispondenza cogli altri popoli (come appunto la
Toscana, sì per la fama della sua coltura, sì per le
circostanze sue politiche, la sua libertà, e specialmente il suo commercio)
{#(a) Notate in questo proposito che da
principio si contrastarono la preminenza il dialetto Veneziano e il Toscano,
appunto perchè Venezia era pure insigne pel
commercio. V. Monti
Proposta ec. vol. 2. par. 1. p. 191. ed anche p. 168.
fine.}
1246 inventa naturalmente, o adotta, infinite parole,
infinite locuzioni, e infiniti generi e forme sì di queste che di quelle, l'uso
però e l'intelligenza delle quali, se non sono ricevute dalla letteratura, la
quale le diffonde per la nazione, ne stabilisce la forma, ne precisa il
significato, ne assicura la durata, poco si estendono, poca precisione
acquistano, restano facilmente incerte, ondeggianti, e arbitrarie, e presto si
perdono, sottentrandone delle nuove. {+V. p. 1344.} Ora la
letteratura italiana ha fatto appunto quello che ho specificato. Ha ricevute con
particolare, e fra tutte le letterature singolar cura, amorevolezza e piacere,
le voci, i modi, le forme del popolo segnatamente toscano: e da questo è
venuto
[1246,1] 1. Che le parole modi ec. che sarebbero state
proprie di una sola provincia, e bene spesso di una sola città ed anche meno,
ricevute e accarezzate e stabilite nell'uso letterario, {prima} dagli scrittori di quella provincia ec. poi da quelli che vi
andavano per imparar la lingua, o a qualunque effetto, poi dalla totalità degli
scrittori italiani, son divenute italiane, di toscane o altro che erano. Ed è
avvenuto questo alle toscane più che alle altre, perchè i primi buoni scrittori
italiani sono stati di quel paese, e ne hanno diffuso e stabilito nella
letteratura italiana
1247 le parole ec. ed anche perchè
quel dialetto forse ancora per se stesso, era più grazioso, ed anche meno
irregolare, {meno goffo} e meno storpiato e barbaro
degli altri{{, e meno difforme a se stesso, nelle strutture,
nelle forme delle parole e modi ec.}}
[1247,1] 2. Non essendo mai cessato negli scrittori toscani e
italiani lo studio e l'imitazione competente (gli abusi ora non si contano)
della favella popolare, massime toscana (a differenza di quello ch'è accaduto in
tutte le altre letterature un poco formate); n'è seguito che la lingua italiana
{presente,} mediante la sua letteratura, sia ricca
delle parole, modi ec. venuti in uso in uno de' suoi popoli più vivaci,
immaginosi e inventivi, dal principio della lingua fino al dì d'oggi: parole e
modi ec. che non avrebbero avuto se non cortissima durata, e pochissima
estensione, se non fossero state adottate e stabilite dalla letteratura, che le
ha fatte e perpetue, e nazionali. E così la letteratura {e
non il popolo,} anche riguardo alle voci popolari, viene ad essere la
vera {e principale} sorgente della ricchezza e
perfezione di nostra lingua.
[1247,2] 3. Gridino a piacer loro i mezzi filosofi. Ricchezza
che importi varietà, bellezza, espressione, efficacia, forza, {brio, grazia, facilità, mollezza,} naturalezza, non
l'avrà mai, non l'ebbe e non l'ha veruna lingua, che non abbia moltissimo,
1248 e non da principio soltanto, ma continuamente
approfittato ed attinto al linguaggio popolare, non già scrivendo come il popolo
parla, ma riducendo ciò ch'ella prende dal popolo, alle forme alle leggi
universali della sua letteratura, e della lingua nazionale. La precisione
filosofica non ha punto che fare con veruna delle dette qualità: e la ricchezza
filosofica {e logica,} cioè di parole precise ec. e di
modi geometrici ec. serve bensì al filosofo, è una ricchezza, ed è necessaria,
ma non importa veruna delle dette qualità, anzi serve loro di ostacolo, e bene
spesso, com'è avvenuto al francese, ne spoglia quasi affatto quella lingua, che
già le possedeva. Tutte le dette qualità sono principalissimamente proprie
dell'idioma popolare; e se la lingua italiana {{scritta,}} si distingue in ordine ad esse qualità, fra tutte le altre
moderne; se è ricca {fra tutte le moderne, ed anche le
antiche} di quella ricchezza che produce e contiene le dette qualità;
ciò proviene dall'aver la lingua italiana scritta (forse perchè poco ancora
applicata alla filosofia, e generalmente poco moderna), attinto più, e più
durevolmente che qualunque altra, al linguaggio popolare. Le ragioni per cui
questo linguaggio, abbia sempre, e massime in un popolo vivacissimo, {sensibilissimo, e suscettibilissimo,} le dette qualità,
più
1249 che qualunque altro linguaggio, sono
abbastanza manifeste da se. Quella ricchezza proprissima della lingua italiana,
e maggiore in lei che nella stessa greca e latina, della quale ho parlato pp. 1240-42. non da altro deriva che
dall'idioma popolare, giudiziosamente e discretamente applicato dagli scrittori
alla letteratura.
[1249,1] 4. Con questi vantaggi vennero anche dalla stessa
fonte molti abusi. Li condanniamo altamente, e conveniamo in questo cogli
scrittori che oggidì alzano contro di essi la voce in
italia, senza convenire in questo che ogni genere di
bellezza in una lingua, non debba per necessità riconoscere come sua fonte
essenziale e principale l'idioma popolare. {+Dico della bellezza, {ec.} la
quale conviene alla vera poesia, ed alla bella letteratura, essenzialmente
distinta nel suo linguaggio da quello che conviene alle scienze ec.}
Negando questo, io non so com'essi ammirino tanto p. e. il Caro, la massima parte delle cui verissime {finissime} e carissime bellezze, sì nelle prose, come
ne' versi dell'Eneide, ognun può vedere a prima
giunta che derivano originalmente da un grandissimo uso e possesso del
linguaggio toscano volgare, {+(o anche
degli altri volgari d'italia, v. Monti,
Proposta, vol. 1. par. 1. p. XXXV.} e da
una giudiziosissima applicazione di questo ai diversi generi della letteratura,
dai più bassi fino ai più alti, dalle lettere {familiari,} fino all'Epopea. Del resto, ben fecero gli scrittori
italiani attingendo al volgare toscano più che agli altri volgari
d'italia, e ciò
1250 per le
ragioni che tutti sanno, e che abbiam detto p. 1246. fine - 47. principio. Ma sciocca, assurda,
pedantesca, ridicola è la conseguenza che dunque non si possa attingere se non
da quel volgare; che gli scrittori non possano scrivere se non come e quanto
dice e parla quel popolo; che la lingua e letteratura italiana dipenda in tutto
e per tutto dal volgo toscano (quando non dipende neppure in nessun modo dal
volgo, ma solamente se ne serve se le pare); che in
toscana e fuori, lo scrittore italiano non possa
formar voce nè frase, che il volgo toscano non usi; che in somma quello che non
è toscano, anzi fiorentino, anzi pure di Mercato vecchio, non sia italiano.
Quando, come abbiamo veduto, non la letteratura al volgo, ma il volgo è
totalmente subordinato alla letteratura, e quello è ai servizi, e giova ai
comodi di questa, e non già questa di quello. E la letteratura forma e dispone
della favella che prende dal volgo, e non viceversa. E le aggiunge quel che le
piace, e se ne serve, sin dove può, e dove la favella del volgo non le può
servire, l'abbandona, o in parte o in tutto. In somma abbiamo lodato la lingua
italiana scritta perchè ha saputo giovarsi del linguaggio popolare, {più e} meglio forse
1251 di
qualunque altra lingua moderna, e perchè non l'ha mai licenziato da' suoi
servigi, come hanno fatto si può dir tutte le altre (anche la greca dopo un
certo tempo, e lo farebbe anche l'italiana, se non la richiamassimo, anzi lo
andrebbe già facendo); non già perch'ella si sia sottomessa alla favella del
volgo, molto meno del volgo di una sola provincia o città, che nè essa l'ha
fatto o potuto fare, nè facendolo sarebbe stata superiore, ma inferiore a tutte
le altre, nè {noi} l'avremmo lodata ma sommamente
biasimata. {{Da tutto ciò}} segue ancora che la lingua
italiana scritta, può servirsi di qualunque altro volgare (come faceva la lingua
greca, anzi la stessa attica); e che è pazzo il privilegio esclusivo che si
arrogano i toscani sulla lingua comune; se non in quanto non si possano torre da
questi volgari quelle cose che non convengono a detta lingua comune.
[1251,1] Parimente soggiungo. Molti scrittori toscani e
italiani hanno preso dal volgare toscano più di quello che ne potessero
prendere, che fosse intelligibile o aggradevole ec. da per tutto, che convenisse
all'indole e alle forme della lingua italiana regolata e scritta, che potesse
comunicarsi
1252 alla nazione, e di toscano e
provinciale divenir nazionale e italiano, {+che riuscisse nobile e adattato a una lingua scritta e
ad una letteratura non più da formarsi, ma formata.} Han fatto
malissimo, e se non vanno confusi cogli altri scrittori vernacoli, certo però
non s'hanno da tenere per italiani ma per toscani o fiorentini o sanesi, e per
iscrittori non già nazionali, ma provinciali, ovvero anche, se così posso dire,
oppidani.
[1252,1] Così discorro di tutti simili abusi, e negli
scrittori e nel Vocabolario ec.
[1252,2] - Nessuno è meno filosofo di chi vorrebbe tutto il
mondo filosofo, e filosofica tutta la vita umana, {+che è quanto dire, che non vi fosse più vita al
mondo.} E pur questo è il desiderio ec. de' filosofastri{{, anzi della maggior parte de' filosofi presenti e
passati.}}
[1252,3] Così i nostri mezzi filosofi italiani, sapendo bene
che il volgo non può essere il legislatore della favella scritta, nè la lingua
volgare può mai bastare ai progressi dello spirito umano, nè alla fissazione,
{determinazione, distinzione,} e trasmissione delle
cognizioni; perciò pretendono che qualunque lingua {scritta,} e qualunque stile debba appartarsi affatto dal volgare, ed
escludono affatto il volgare dallo scritto, non avendo bastante filosofia per
distinguere il bello dal vero, e quindi la letteratura e la poesia dalle
scienze; e vedere che prima fonte del bello è la natura, la quale a nessun altro
genere di uomini parla sì vivamente, immediatamente,
1253 e frequentemente, e da nessuno è così bene, e felicemente, e così al vivo e
propriamente espressa, come dal volgo. La precisione toglietela dai filosofi. La
proprietà, e quindi l'energia, {la concisione ben diversa dalla precisione,} e
tutte le qualità che derivano dalla proprietà; non d'altronde le potrete
maggiormente attingere che dalla favella popolare. E il Lipsio
{+(Epistolica Institutio,
cap. 11.)} consigliando lo studio di Cic. sopra tutti per la eleganza, {la soavità, la
copia, la facilità} del latino, consiglia {i comici
Plauto e Terenzio,} come unici o principali mezzi
d'imparare la proprietà d'esso sermone.
{Puoi vedere p. 1481.-84.}
[1253,1] Da quanto abbiamo detto sulla differenza essenziale
della lingua poetica e letterata dalla scientifica, risulta che la lingua
francese, che nei suoi modi quasi geometrici si accosta alla qualità di quelle
voci che noi chiamiamo termini, e di più, massimamente oggi, abbonda quasi più
di termini, o pressochè termini, che di parole, è di sua natura incapace di vera
poesia, e di veramente bella letteratura: mancando del linguaggio di queste, che
non può non essere sostanzialmente segregato da quello delle scienze. Termini o
quasi termini, chiamo io anche le voci di conversazione, e d'altri tali generi,
di cui la lingua francese, è sì ricca, e che esprimono in qualsivoglia materia,
un'idea nuda, o quasi nuda, secca, precisa, e precisamente. (30. Giugno
1821.).