29. Aprile. 1821.
[988,1] I latini erano veramente δίγλωττοι rispetto alla
lingua loro e alla greca 1. perchè parlavano l'una come l'altra, ma non così i
greci generalmente, anzi ordinariamente: 2. perchè scrivendo citavano del
continuo parole e passi greci, in lingua e caratteri greci, ovvero usavano
parole o frasi greche nella stessa maniera; ma non i greci viceversa, del che
vedi p. 981.
{{e p. 1052. capoverso
3.}}
{{e p.
2165.}}
[988,2] 3. Resta memoria di parecchie traduzioni fatte dal
greco in latino anche ne' buoni tempi, e fino dagli ottimi scrittori latini,
come Cicerone. Ed anche restano di
queste traduzioni, o intere o in frammenti, come quelle di Arato
{fatte da Cicerone e
da Germanico,} quella del
Timeo di Cic., quelle
di Menandro fatte da Terenzio, quelle fatte da Apuleio o attribuite a lui, quelle
dell'Odissea fatta da Livio Andronico, dell'Iliade da Accio Labeone, da Cneo Mattio o Mazzio, da Ninnio
Crasso, (Fabric.
B. Gr. 1. 297.) ec. {tutte anteriori a Costantino.}
{+v. Andrès, Stor. della
letteratura, edizione di Venezia,
Vitto. t. 9. p. 328 - 329. cioè Parte 2. lib. 4. c. 3.
principio.} Non così nessuna traduzione, che sappia io, si
rammenta dal latino in greco, se non dopo Costantino, e quasi tutte di opere teologiche {o
ecclesiastiche} o sacre, cioè scientifiche e appartenenti a quella
scienza che allora prevaleva, non mai letterarie. {V. Andrès, t. 9. p. 330. fine.} La
traslazione di Eutropio fatta da Peanio che ci rimane, e l'altra
perduta di un Capitone Licio, non
pare che si possano riferire a letteratura, trattandosi di un compendio
ristrettissimo di storia, fatto a solo uso, {possiamo dire,
elementare.}
989 E si può dire con verità quanto alla letteratura,
che la comunicazione che v'ebbe fra la greca e la romana, non fu {mai} per nessunissimo conto reciproca, neppur dopo che
la letteratura Romana era già grandissima e nobilissima, anzi superiore assai
alla letteratura greca contemporanea.
[989,1] 4. I latini scrivevano bene spesso in greco del loro.
Così fa molte volte Cic. nelle Epistole ad
Attico (forse anche nelle altre); dove forse per non
essere inteso dal portalettere, la qual gente, com'egli dice, soleva alleviare
la fatica {e la noia} del viaggio leggendo le lettere
che portava; ovvero per evitare gli altri pericoli di lettere vertenti sopra
negozi pubblici, politici ec. dal contesto latino passa bene spesso a lunghi
squarci scritti in greco, e tramezzati al latino, e scritti anche in maniera
enigmatica e difficile. Restano parecchie lettere greche di Frontone. Resta l'opera greca di Marcaurelio, il quale imperatore scriveva parimente,
com'è naturale, in latino, e così bene, come si può vedere nelle sue lettere
ultimamente scoperte. {+Eliano, conosciuto solamente come scrittor greco,
fu di Preneste, e quindi cittadino Romano, ed appena
si mosse mai d'Italia. Nondimeno dice di lui Filostrato: ῾Pωμαῖος μὲν ἦν, ἠττίχιζε δὲ
ὥσπερ οἱ ἐν τῇ μεσογείᾳ ᾽Aϑηναῖοι.
*
(Fabric. 3. 696. not.)}
{Intorno a Marcaurelio puoi vedere la p. 2166. fine.}
Non così i greci sapevano mai scrivere in latino. Anzi Appiano
{in
Roma} scrivendo a Frontone, uomo latino, sebbene di origine affricana,
scriveva in greco, e Frontone
rispondeva parimente in greco, non in latino. E così molti libri di autori greci
si trovano, scritti in greco, sebbene indirizzati a personaggi
990 romani o latini.

[990,1] Le stesse cose appresso a poco si possono notare
avvenute a noi riguardo al francese. Giacchè fino a tanto che la nostra
letteratura prevalse o per merito reale, o per continuazione di fama e di
opinione generale, e la nostra lingua era per tutti i versi più studiata, più
conosciuta, più dilatata fra i francesi ed altrove, e la nostra letteratura
parimente, sì nella nazione, che fra' suoi letterati e scrittori; e si trovarono
di quei francesi che scrivevano in ambedue le lingue francese e italiana. Ora
accade tutto l'opposto: e si trovano degl'italiani, come anche {non pochi} d'altre nazioni, che scrivono e stampano così
nella lingua francese, come nella loro: libri, parole, testi francesi si
allegano continuamente in tutti i paesi di europa: non
così viceversa in Francia, dove difficilmente si troverà
un francese che sappia scrivere altra lingua che la sua, e scrivendo a'
forestieri scriveranno in francese, e riceveranno risposta nella stessa lingua;
e dove è più necessario che in qualunque altro paese colto, che i passi o parole
che si citano di libri forestieri, (e massime italiani) si citino in francese,
{o se n'aggiunga la traduzione.}
[990,2] Osservo ancor questo. Ridotti in provincie romane i
diversi paesi dell'impero, tutti gli scrittori che
uscirono di queste provincie, qualunque lingua fosse in esse originaria o
propria, scrissero in latino. I Seneca,
Quintiliano, Marziale,
991
Lucano, Columella, {Prudenzio, Draconzio, Giovenco,} ed altri Spagnuoli; Ausonio, Sidonio
Apollinare
{S. Prospero, S. Ilario, Latino Pacato, Eumenio,}
Sulpizio Severo ed altri Galli; Terenzio, Marziano Capella, Frontone, Apuleio, Nemesiano, Tertulliano, Arnobio, S. Ottato, Mario Vittorino, S. Agostino, S.
Cipriano, Lattanzio ed altri
Affricani; Sedulio Scozzese. {v. p. 1014.} Parecchi de' quali arrivarono
ancora all'eccellenza nella lingua latina. Non così i greci. E dico tanto i
greci Europei, quanto quelli nativi delle colonie greche nell'Asia Minore, o delle altre parti dell'asia
divenute greche di lingua e di costumi dopo la conquista di Alessandro, e così dell'Egitto,
o di qualunque luogo dove la lingua greca prevalesse nell'uso quotidiano, ovvero
anche solamente come lingua degli scrittori e della letteratura. Nessuno di
questi scrisse in latino, ma tutti in greco, eccetto pochissimi (come Claudiano, e Igino Alessandrini, Petronio Marsigliese ec.); {+che son quasi nulla rispetto al
numero ed estensione delle dette provincie greche, massime paragonandoli
alla gran copia degli altri scrittori latini forestieri di ciascuna provincia, ancorchè minore.} E di
questi pochissimi nessuno arrivò, non dico all'eccellenza, ma appena alla
mediocrità nella lingua latina. {V. p. 1029.} E
Macrobio, che si stima uno di
questi pochissimi, si scusa se ec. (v. il
Fabricio, B. Latina t. 2. p. 113. l. 3. c. 12. §. 9.
nota (a) e di lui
dice Erasmo (in Ciceroniano) Graeculum latine balbutire
credas.
*
(Fabric. ivi) Cosa applicabilissima agli odierni francesi
per lo più balbettanti nelle altrui lingue, e massime nella nostra. E di Ammiano Marcellino, altro di questi
pochissimi, e più antico di Macrobio,
dice il Salmasio (Praef. de
Hellenistica p. 39.) ec.
v. il Fabricio
l. c. p. 99. nota (b) l. 3. c. 12. §.
1.
[992,1]
992 Ma del resto i greci di qualunque parte, ancorchè
sudditi romani, ancorchè cittadini romani, ancorchè vissuti lungo tempo in
Roma o in italia, ancorchè
scrivendo precisamente in italia o in
Roma, e in mezzo ai latini, ancorchè scrivendo ai
romani tanto gelosi del predominio del loro linguaggio, come sì è veduto p. 982. - p. 983. ancorchè
nel tempo dell'assoluta padronanza, ed intiera estensione del dominio della
nazione latina, ancorchè impiegati in cariche, in onori ec. al servizio de'
Romani, e nella stessa roma, ancorchè finalmente nominati
con nomi e prenomi latini, scrissero sempre in greco, e non mai altrimenti che
in greco. Così Polibio, familiare,
compagno, e commilitone del minore
Scipione; così Dionigi
d'Alicarnasso, vissuto 22 anni in Roma; così
Arriano prenominato Flavio, (Fabric., B. G. 3. 269. not.
b.) fatto cittadino Romano, senatore, Console, caro all'imperatore Adriano, e mandato prefetto di
provincia armata in Cappadocia; così Dione Grisostomo cognominato Cocceiano dall'Imperatore Cocceio Nerva, vissuto gran
tempo in Roma, e familiare del detto Imperatore e di Traiano; così l'altro Dione prenominato Cassio e cognominato parimente
Cocceiano ec.; così Plutarco
ec.; così Appiano ec. così Flegone, ec.; così Galeno prenominato Claudio ec.; così Erode Attico prenominato Tiberio Claudio, ec.; {così Plotino
ec.;} (v. per ciascuno di questi il Fabricio) così quell'Archia
poeta ec. (v. Cic.
pro Archia).
[992,2] Da tutto ciò si deduce in primo luogo, quanto, e con
quanta differenza dalle altre nazioni, i greci
993 di
qualunque paese fossero tenaci della lingua e letteratura loro, e noncuranti
della latina, anche durante e dopo il suo massimo splendore. Considerando ancora
che generalmente gli scrittori greci di qualunque età, e nominatamente i
sopraddetti e loro simili, che per le loro circostanze, parrebbono non solo a
portata ma in necessità di aver conosciuto la letteratura latina, non danno si
può dir mai segno veruno di conoscerla, nè la nominano ec. e se citano talvolta
qualche autore latino, li citano e se ne servono per usi di storia, di notizie,
di scienze, di teologia ec. non mai di letteratura. Questa è cosa universale
negli scrittori greci.
[993,1] In secondo luogo risulta dalle sopraddette cose, che i
mezzi usati dai romani per far prevalere la loro lingua, come nelle altre
nazioni, così in grecia, e ne' {moltissimi} paesi dove il greco era usato, (v. p. 982-83 ). laddove riuscirono in
tutti gli altri luoghi, non riuscirono e furon vani in questi. Ed osservo che la
lingua latina non prevalse mai alla greca in nessun paese dov'ella fosse
stabilita, sia come lingua parlata, sia come lingua scritta: laddove la greca
avea prevaluto a tutte le altre in questi tali (vastissimi e numerosissimi)
paesi, e in quasi mezzo mondo; e quello che
994 non potè
mai la lingua nè la potenza nè la letteratura latina, lo potè, a quel che pare,
in poco spazio, l'arabo, e le altre lingue {o dialetti}
maomettani, {(come il turco ec.)} e così perfettamente,
come vediamo anche oggidì. Ma la lingua latina (eccetto nella magna
grecia e in Sicilia) non solo non
estirpò, ma non prevalse mai in nessun modo e in nessun luogo alla lingua e
letteratura greca, se non come pura lingua della diplomazia: quella lingua
latina, dico, la quale nelle Gallie aveva, se non
distrutta, certo superata quell'antichissima lingua Celtica così varia, così
dolce, così armoniosa, così maestosa, così pieghevole, (Annali ec. 1811. n.
18. p. 386.
Notiz.
letterar. di Cesena 1792. p. 142.) e che al Cav. Angiolini che se la fece parlare
da alcuni montanari Scozzesi, parve somigliante ne' suoni alla greca: (Lettere sopra
l'inghilterra, Scozia,
ed Olanda. vol. 2do.
Firenze 1790. Allegrini. 8.vo anonime, ma
del Cav. Angiolini) (Notiz.
ec. l. c.) lingua della cui purità erano depositarii e custodi
gelosissimi quei famosi Bardi che avevano e conservarono per sì lungo tempo,
ancor dopo la conquista fatta da' Romani, tanta influenza sulla nazione, e
massime poi la letteratura: (Annali ec. l. c. p. 386. 385.
principio.) quella lingua così ricca, e ogni giorno più ricca di tanti
poemi, parte de' quali anche
995 oggi si ammirano.
Questa lingua e letteratura cedette alla romana; {v. p. 1012.
capoverso 1.} la greca non mai; neppur quando
roma e l'italia spiantata
dalle sue sedi, si trasportò nella {stessa}
grecia. Perocchè sebbene allora la lingua greca fu
corrotta {finalmente} di latinismi, ed altre barbarie,
(scolastiche ec.) imbarbarì è vero, ma non si cangiò; e in ultimo, piuttosto i
latini {vincitori e signori} si ridussero a parlare
quotidianamente e scrivere il greco, e divenir greci, di quello che la
grecia
{vinta e suddita} a divenir latina e parlare {o scrivere} altra lingua che la sua. Ed ora la lingua
latina non si parla in veruna parte del mondo, la greca, sebbene svisata, pur
vive ancora in quell'antica e prima sua patria. Tanta è l'influenza di una
letteratura estesissima in ispazio di tempo, e in quantità di cultori e di
monumenti; sebbene ella già fosse cadente a' tempi romani, e a' tempi di Costantino, possiamo dire, spenta. Ma i
greci se ne ricordavano sempre, e non da altri imparavano a scrivere che da'
loro sommi e numerosissimi scrittori passati, siccome non da altri a parlare,
che dalle loro madri. {v. p. 996. capoverso
1.} Certo è che la letteratura influisce sommamente
sulla lingua. (v. p. 766. segg.) Una
lingua senza letteratura, o poca, non difficilmente si spegne, o si travisa in
maniera non riconoscibile, {non potendo ella esser formata,
nè per conseguenza troppo radicata e confermata, siccome immatura e
imperfetta.} E questo accadde alla lingua Celtica, forse perch'ella
scarseggiava sommamente di scritture, sebbene abbondasse di componimenti, che
per lo più passavano solo di bocca in bocca. Non così una lingua abbondante di
scritti. Testimonio ne sia la Sascrita,
996 la quale
essendo ricca di scritture d'ogni genere, e di molto pregio secondo il gusto
orientale, e della nazione, vive ancora (comunque corrotta) dopo lunghissima
serie di secoli, in vastissimi tratti dell'india,
malgrado le tante e diversissime vicende di quelle contrade, in sì lungo spazio
di tempo. E sebbene anche i latini ebbero una letteratura, e grande, e che
sommamente contribuì a formare la loro lingua, tuttavia si vede ch'essa
letteratura, venuta, per così dire, a lotta colla greca, in questo particolare,
dovè cedere, giacchè non solamente non potè snidare la lingua e letteratura
greca, da nessun paese ch'ella avesse occupato, ma neanche introdursi nè essa nè
la sua lingua in veruno di questi {tanti} paesi.
(29. Aprile. 1821.). {{V. p. 999. capoverso
1.}}
[996,1]
Alla p. 995.
Infatti i greci anche nel tempo della barbarie, conservarono sempre la memoria,
l'uso, la cognizione delle loro ricchezze letterarie, e la venerazione e la
stima de' loro sommi antichi scrittori. E questo a differenza de' latini, dove
ne' secoli barbari, non si sapeva più, possiamo dir, nulla, di Virgilio, di Cic. ec. L'erudizione e la filologia non si spensero
mai nella grecia, mentre erano ignotissime in
italia; anzi nella grecia
essendo subentrate alle altre buone e grandi discipline, durarono tanto che la
loro letteratura sebbene spenta {già} molto innanzi,
quanto al fare, non si spense mai quanto alla memoria, alla cognizione e
997 allo studio, fino alla caduta totale
dell'impero greco. Ciò si vede primieramente da' loro
scrittori de' bassi tempi, in molti de' quali {anzi in quasi
tutti} (mentre in italia il latino scritto non
era più riconoscibile, e nessuno sognava d'imitare i loro antichi) la lingua
greca, sebbene imbarbarita, conserva però visibilissime le sue proprie
sembianze: ed in parecchi è scritta con bastante purità, e si riconosce
evidentemente in alcuni di loro l'imitazione e lo studio de' loro classici e
quanto alla lingua e quanto allo stile; sebbene degenerante l'una e l'altro nel
sofistico, il che non toglie la purità quanto alla lingua. Arrivo a dire che in
taluni di loro, e ciò fino agli ultimissimi anni
dell'impero greco, si trova perfino una certa notabile eleganza e di lingua
e di stile. {+in Gemisto è maravigliosa l'una e
l'altra. Tolti alcuni piccoli erroruzzi di lingua (non tali che sieno
manifesti se non ai dottissimi) le sue opere o molte di loro si possono
sicuramente paragonare e mettere con quanto ha di più bello la più
classica letteratura greca e il suo miglior secolo.} Oltre
a ciò l'erudizione e la dottrina filologica, e lo studio de' classici è
manifesto negli scrittori greci più recenti, a differenza de' latini. Gli
antichi {classici,} e singolarmente Omero, {benchè il più antico di
tutti,} non lasciarono mai di esser citati negli scritti greci, finchè
la grecia ebbe chi scrivesse. E vi si alludeva
spessissimo ec. Non domanderò ora qual uomo latino nel terzo secolo si possa
paragonare a un Longino o a un Porfirio. Non chiederò che mi si mostri
nel nono secolo, {anzi in tutto lo spazio che corse dopo il 2
secolo fino al 14to,} un latino, non dico uguale, ma somigliante
998 di lontano a Fozio, uomo nei pregi della lingua e dello stile non dissimile dagli
antichi, e superiore agli stessi antichi nell'erudizione e nel giudizio e
critica letteraria, doti proprie di tempi più moderni. Tenendomi però a' tempi
bassissimi, e potendo recare infiniti esempi, mi contenterò degli scritti di
quel Giovanni Tzetze, che fu nel 12mo
secolo, e di Teodoro Metochita che
viveva nel 14.to; scritti pieni di indigesta ma immensa erudizione classica.
[998,1] Secondariamente la mia proposizione apparisce da quei
greci che vennero in italia nel trecento, e dopo la
caduta dell'impero greco, nel quattrocento. E mentre in
italia si risuscitavano gli antichi scrittori latini
che giacevano sepolti e dimenticati da tanto tempo nella loro medesima patria, i
greci portavano qua il loro Omero, il
loro Platone e gli altri antichi, non
come risorti {o disseppelliti} fra loro, ma come sempre
vissuti. Della erudizione e dottrina di quei greci, delle cose che fecero in
italia, delle cognizioni che introdussero, delle
opere che scrissero, parte in greco, ed alcune proprio eleganti; parte in
latino, riducendosi allora finalmente per la prima volta ad usare il linguaggio
de' loro antichi e già distrutti vincitori; essendo cose notissime, non accade
se non accennarle. (29. Aprile. 1821.).