[1313,1] Chi vuol persuadersi dell'immensa moltiplicità di
stili e quasi lingue diverse, rinchiuse nella lingua italiana, consideri le
opere di Daniello Bartoli, meglio
*
del quale niuno conobbe i più riposti segreti della nostra
lingua.
*
(Monti, Proposta, vol. 1 par.
1. p. XIII.)
1314 Un uomo consumato negli studi della nostra
favella, il quale per la prima volta prenda a leggere questo scrittore, resta
attonito e spaventato, e laddove stimava d'essere alla fine del cammino negli
studi sopraddetti, comincia a credere di non essere a mala pena al mezzo. Ed io
posso dire per esperienza che la lettura del Bartoli, fatta da me dopo bastevole notizia degli
scrittori italiani d'ogni sorta e d'ogni stile, fa disperare di conoscer mai
pienamente la forza, e la infinita varietà delle forme e sembianze che la lingua
italiana può assumere. Vi trovate in una lingua nuova: locuzioni e parole e
forme delle quali non avevate mai sospettato, benchè le riconosciate ora per
bellissime e italianissime: efficacia ed evidenza tale di espressione che alle
volte disgrada lo stesso Dante, e vince
non solo la facoltà di qualunque altro scrittore antico o moderno, di
qualsivoglia lingua, ma la stessa opinione delle possibili forze della favella.
E tutta questa novità non è già novità che non s'intenda, che questo non sarebbe
pregio ma vizio sommo, e non farebbe vergogna al lettore ma allo scrittore.
Tutto s'intende benissimo, e tutto è nuovo, e diverso dal consueto:
1315 ella è lingua e stile italianissimo, e pure è
tutt'altra lingua e stile: e il lettore si maraviglia d'intender bene, e
perfettamente gustare una lingua che non ha mai sentita, ovvero di parlare una
lingua, che si esprime in quel modo a lui sconosciuto, e però ben inteso. Tale è
l'immensità e la varietà della lingua italiana, facoltà che pochi osservano e
pochi sentono fra gli stessi italiani più dotti nella loro lingua; facoltà che
gli stranieri difficilmente potranno mai conoscere pienamente, e quindi
confessare. (13. Luglio 1821.).
[2197,3] Quello che altrove ho detto della lingua del Bartoli
pp.
1313-15, dimostra quanto la nostra lingua si presti all'originalità
dello stile e degli stili individuali, in tutti i generi, e in tutta
l'estensione del termine. Originalità
2198 strettamente
vietata dalla lingua francese allo stile ec. dell'individuo, se non pochissima,
che a' francesi pare gran cosa, come la lingua di Bossuet. Perocchè è molto una piccola differenza, in
una nazione, in una letteratura, in una lingua, avvezza, e necessariamente
conducẽte[conducente] all'uniformità, che
non può essere alterata se non se menomamente, senza dar bruttamente negli
occhi, e uscir de' limiti del lecito. Laddove nella lingua italiana lo scrittore
individuo può essere uniforme agli altri, e difforme se vuole, anzi tutt'altro,
e nuovissimo, e originalissimo, senza lasciar di essere e di parere italiano, e
ottimo italiano, e insigne nella lingua. Ciascuno colla lingua italiana si può
aprire una strada novissima, propria, ignota, e far maravigliare i nazionali di
parlare una lingua che si possa esprimere in modo si[sì] differente dal loro, e da loro non mai pensato,
2199 benchè benissimo l'intendano, per nuovo che sia.
(30. Nov. 1821.).
[2396,1] Il P. Dan.
Bartoli è il Dante della prosa
italiana. Il suo stile in ciò che spetta alla lingua, è tutto a risalti e
rilievi. (22. Marzo 1822.).
[2523,1]
Ovidio descrive, Virgilio dipinge, Dante (e così proporzionatamente nella prosa il nostro Bartoli) a parlar con proprietà, non
solo dipinge da maestro in due colpi, e vi fa una figura con un tratto di
pennello; non solo dipinge senza descrivere, (come fa anche Virgilio ed Omero), ma intaglia e scolpisce dinanzi agli occhi del lettore le
proprie idee, concetti, immagini, sentimenti. (29. Giugno, 1822. dì di
S.
Pietro.).
[3630,1] Quanto fosse incerta l'ortografia stessa italiana
(che oggi è la più giusta di tutte) anche nel 600, cioè nel secolo dopo il
miglior secolo della nostra letteratura, veggasi la prefazione all'ortografia
del Bartoli, (uomo che fra
tutti del suo tempo, e fors'anche di tutti i tempi, fu quello che e per teoria e
scienza e per pratica, meglio e più profondamente e pienamente conobbe la nostra
lingua), e il consiglio che quivi egli dà a chi vuole scrivere, di pigliarsi
cioè o di formarsi un'ortografia a suo modo, e quella sempre seguire; consiglio
che niuno certamente darebbe oggi in italia ad alcuno, nè
vi sarebbe più che una ortografia da poter pigliare cioè scegliere ec. Ma al contrario era allora, dopo tre
secoli e più che si scriveva la nostra lingua, e ciò da letterati, non sol per
uso della vita. (8. Ott. 1823.).
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